giuliano

domenica 30 dicembre 2018

AD UN FANCIULLO DELLA VAGA TERRA RECENTEMENTE PERITA (36)






























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Gli anelli dell'Albero (35/1)

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Il Potere delle Parole (37)















Agli uomini che pensano o peggio pretendono vedere parlare ammonire e capire.

Agli esseri assisi eterni vermi su medesimi ceneri di vulcani mai spenti. Scomposti ed uniti dalla vista non più Visione dalla Parabola ammirata.

Agli uomini celebranti e festanti uniti dai nuovi fasti e con loro l’araldo della falsità così pregata.

Agli uomini ed all’eterna calunnia socialmente con-divisa qual vero motto d’unità e credo: lo sguardo assente assorto concentrato e forsennato in cerca del proprio peccato scolpito su un saggio un eretico un pagano e l’ombra dell’istinto [con-divisa] qual prodigiosa artificiosa cornice braccare più profonde Parole come l’animale evoluto e nella folla accresciuto alla deriva di un globale colosseo d’un’insana risata nel sudario di medesima Storia celebrata… divorata derisa sbranata… 

Agli uomini che corrono fieri e veloci lo sguardo unito qual motto di conoscenza odio e superiore spirito di rivalsa senza radice alcuna che non sia Storia antica giammai progredita.

Agli uomini ed ai falsi credenti narro come fanciulli di una terra (de)perita unita nel dialogo da cui l’impropria vista, solo e nascosto scorgere profilo volto mediato e indiretto nell’ortica d’antiche e nuove parole ricomporre l’immagine da cui l’immateriale energia del Profeta (e Dio così mal celebrato) nato comporre universale materia e come un Bambino decifrarne urla ingiurie e smorfie così ben unite e distribuite all’alba d’una primavera quando i colori di quella stessa Poesia così come la Vita che lui presiedeva furono scomposti e ridistribuiti dalla cima del Teschio morte d’ogni Perfetta Imperfetta Natura e l’uomo dell’impero contare moneta barattare e confondere diavolo con dio patto antico profilo con la bestia globalmente condivisa…

Agli uomini dimenticando chi e come furono generati se donne o peccati abdico agli angeli d’un diverso credo unito dall’eresia solo per vedere quei volti colmi ed ubriachi imbevuti di calunnia e nutriti dall’odio spacciato per amore scomposto e ricomposto alla vista d’una breve fugace smorfia…

Agli uomini alla falsa presuntuosa (loro) creazione o peggio involuta evoluzione quando Pagani pregavamo medesimo Dio racchiuso nella volontà della comprensione divenuta potenza condivisa motto dell’uomo immagine di Dio e questa mutar destino dimensione e rotta ed aprire il limite ad una più vasta accresciuta prospettiva; e quando Cristiani vedere e scorgere medesimo enunciato della Storia comporre ugual Memoria, scoprendo il limite della volontà per ogni Storia numerata fuggire le ceneri dal vulcano ove nata; ma quando uniti nella superiore volontà d’un credo divenuto pazzia superare e valicare il limite d’ogni misura creata e misurata così come falsamente intendono e condividono Pensiero e Ragione al porto dell’errata comprensione; camminiamo d’improvviso fino alla cima del vulcano dall’abisso in cui nati e caduti non scorgendo differenza fra ciò che eravamo e divenuti non scorgendo l’Abisso cenere ghiaccio fuoco e lava ma solo il Pensiero pregato (anche nell’assenza di questo) da ciò cui il Tutto ammirato e ugualmente pregato per scoprire un Superiore Ingegno se pur nell’Imperfetto nato…    







PRIMO DIALOGO


 Oinos: Perdona, Agathos, la debolezza di uno spirito appena avvolto dall’immortalità!

Agathos: Nulla hai detto, caro Oinos, di cui chiedere perdono. Nemmeno qui, la conoscenza è frutto dell’intuizione. Per la saggezza, rivolgiti liberamente agli angeli, ché ti venga concessa!

Oinos: Ma in questa esistenza, sognai che subito avrei conosciuto ogni cosa, e subito sarei stato felice per tale conoscenza.

Agathos: Non nella conoscenza sta la felicità, ma nell’acquisizione della conoscenza! Nell’eterno conoscere, siamo eternamente beati; ma conoscere tutto, sarebbe la maledizione di un nemico.

Oinos: Ma che forse l’Altissimo non conosce tutto?

Agathos: Questa (poiché egli è il Sommamente Gaudioso) deve rimanere l’unica cosa ignota perfino a Lui.

Oinos: Ma, dal momento che, ora per ora, cresciamo in conoscenza, non dovrà, alla fine, esserci nota ogni cosa?

Agathos: Spingi il tuo occhio nelle distanze abissali! – Tenta di costringere il tuo sguardo lungo il molteplice panorama degli astri, mentre lentamente fra di essi scivoliamo, così – e così – e così! Forse che anche questa spirituale visione non è continuamente bloccata dalle ininterrotte, auree pareti dell’universo? Quelle pareti di miriadi di corpi luminosi il cui solo numero è sufficiente a fonderli in un tutto unico?

Oinos: Comprendo chiaramente che l’infinità della materia non è un sogno.

Agathos: Non esistono sogni in Aidenn – ma qui si sussurra che l’unico scopo è di offrire sorgenti infinite alle quali l’anima può placare la sete di conoscenza che sempre in essa arde – poiché spegnerla significherebbe spegnere l’anima stessa. Interrogami dunque, caro Oinos, liberamente e senza timore. Vieni! Lasceremo a sinistra la sonora armonia delle Pleiadi e ci slanceremo fuori dal trono nei campi stellati oltre Orione dove, quali mammole e viole, per la serenità del cuore, si stendono aiuole di triplici e tricolori soli.

Oinos: E ora, Agathos, mentre avanziamo, istruiscimi! – parlami nei familiari accenti della terra! Non comprendo ciò che or ora mi hai accennato circa i modi e i metodi di quella che, durante la nostra mortalità, usavamo definire Creazione. Intendi dire che il Creatore non è Dio?

Agathos: Intendo dire che la Divinità non crea.

Oinos: Spiegati!

Agathos: Solamente all’inizio, egli creò. Le illusorie creature che ora, in tutto l’universo, balzano improvvisamente in essere, possono unicamente considerarsi risultato mediato o indiretto, non già diretto o immediato, del Divino potere creativo.

Oinos: Fra gli umani, caro Agathos, questo sarebbe visto come il massimo dell’eresia.

Agathos: Fra gli angeli, caro Oinos, è visto come la semplice verità.

Oinos: Fin qui riesco a comprenderti – determinate operazioni di quella che noi chiamiamo Natura, o leggi naturali, in determinate circostanze, danno vita a qualcosa che ha tutta l’apparenza della creazione. Poco prima della distruzione finale della terra erano in corso, lo ricordo bene, molti esperimenti fortunati in quella che alcuni filosofi avevano la debolezza di definire la creazione di organismi animali microscopici.

Agathos: Gli esperimenti cui ti riferisci erano, in effetti, esempi della creazione secondaria – e dell’unica specie di creazione che sia mai esistita, da quando il suono diede vita alla prima legge.

Oinos: Quei mondi stellari che, dagli abissi del non-essere si catapultano continuamente nei cieli – quelle stelle, Agathos, non sono opera immediata del Sovrano?

Agathos: Cercherò, caro Oinos, di condurti passo dopo passo al concetto cui mi riferisco. Tu sai che, come nessun pensiero può morire, così nessuna azione può rimanere senza un risultato infinito. Quando dimoravamo sulla terra, per esempio, muovevamo le mani e, così facendo, impartivamo una vibrazione all’atmosfera che cingeva il nostro mondo. Quella vibrazione si dilatava all’infinito fino a trasmettere un impulso ad ogni particella dell’aria terrestre che da quel momento, e per sempre, rimaneva attivata da quel semplice movimento della mano. I matematici del nostro globo ben conoscevano questo fenomeno. E di tali effetti speciali, riproducendoli, anzi, mediante speciali impulsi nella materia fluida, fecero oggetto di calcoli precisi – tanto che divenne facile determinare l’esatto periodo in cui un impulso di una data ampiezza avrebbe circondato il globo terrestre, imprimendosi (per sempre) su ogni atomo dell’atmosfera circostante. Compiendo l’operazione opposta, non ebbero difficoltà a calcolare, in base a un determinato effetto, in determinate circostanze, l’impatto dell’impulso originale. I matematici – constatando come i risultati di un qualsiasi impulso fossero assolutamente infiniti – constatano che parte di questi risultati erano rintracciabili con precisione grazie all’analisi algebrica – e constatando, inoltre, quanto facile fosse questa operazione di regresso – i matematici, ripeto, al tempo stesso si resero conto che quel tipo di analisi consentiva anche un progresso indefinito – che non esistevano limiti concepibili al suo progresso e alla sua applicabilità, tranne i limiti imposti dall’intelletto di colui che la faceva progredire o la applicava. Ma a questo punto i nostri matematici si arrestarono.

Oinos: E perché, Agathos, avrebbero dovuto continuare?

Agathos: Perché, più oltre, esistevano considerazioni di estremo interesse. Da ciò che sapevano, si poteva dedurre che un essere di intelletto infinito – un essere al quale la perfezione dell’analisi algebrica era rivelata – non avrebbe avuto alcuna difficoltà a rintracciare ogni impulso trasmesso all’aria – e all’etere attraverso l’aria – fino alle più remote conseguenze e risalendo alle infinitamente remote epoche del tempo. È anzi dimostrabile che ciascuno di questi impulsi trasmessi all’aria deve, alla fine, ripercuotersi su ogni singola cosa esistente nell’universo; e questo essere di intelletto infinito – questo essere che noi abbiamo immaginato – avrebbe potuto rintracciare le remote ondulazioni dell’impulso – sia verticali che orizzontali, nella loro influenza su ciascuna particella di materia – verticali e orizzontali per sempre, nella loro modificazione di antiche forme – o, in altre parole, nella loro creazione di forme nuove – fino a trovarle riflesse -finalmente senza più trasmettere impulsi – dal trono della Divinità. E quell’essere non solamente poteva fare ciò ma, in qualsiasi epoca, avendo a disposizione un determinato risultato – per esempio se avesse potuto esaminare una di queste innumerevoli comete – non avrebbe avuto difficoltà a individuare, grazie a un’analisi regressiva, da quale impulso originale essa fosse stata creata. Questo potere di regresso, nella sua assoluta pienezza e perfezione – questa facoltà di rapportare in tutte le epoche, tutti gli effetti a tutte le cause – è naturalmente prerogativa esclusiva di Dio – ma, in ogni grado e misura, tranne che nell’assoluta perfezione, è lo stesso potere che esercita l’intera schiera delle menti angeliche.

Oinos: Ma tu parli semplicemente di impulsi trasmessi all’aria.

Agathos: Parlando di aria mi riferivo esclusivamente alla terra; ma l’enunciato in genere riguarda gli impulsi trasmessi all’etere – il quale poiché pervade, ed esso solo pervade, tutto lo spazio è, di conseguenza, il grande medium della creazione.

Oinos: Allora ogni movimento, di qualsiasi natura, è un atto creativo?

Agathos: Deve esserlo; ma una vera filosofia ha da tempo insegnato che fonte di ogni moto è il pensiero – e che fonte di ogni pensiero è – Oinos: Dio.

Agathos: Ti ho parlato, Oinos, come a un fanciullo della vaga terra recentemente perita – degli impulsi sulla sua atmosfera.

Oinos: È così.

Agathos: E mentre in tal modo io parlavo, la tua mente non è stata attraversata da un pensiero sul potere fisico delle parole? Forse che ogni parola non trasmette un impulso all’aria?

Oinos: Ma tu piangi, Agathos – perché, perché le tue ali si incurvano mentre ci libriamo al disopra di questa bella stella – la più verde eppur la più terribile fra quelle che abbiamo incontrato nel nostro volo? I suoi fiori scintillanti appaiono simili a un sogno di fiaba – ma i suoi fiammeggianti vulcani somigliano alle passioni di un cuore tempestoso.

Agathos: E lo sono! – lo sono! Quest’astro sfolgorante – sono ormai tre secoli da quando, con le mani giunte, con gli occhi colmi di lacrime, ai piedi della mia amata – con le mie parole - con poche frasi appassionate – le diedi vita. I suoi fiori scintillanti sono i più cari fra tutti i sogni non realizzati, e i suoi vulcani fiammeggianti sono le passioni del più tempestoso e profano dei cuori.

(Poe)







SECONDO DIALOGO


GENTILE. ti vedo, inginocchiato con grande devozione, mentre versi lacrime d'amore sincere e non false. Ti chiedo: chi sei?

CRISTIANO. Sono un cristiano.

GENTILE. Che cosa adori?

CRISTIANO. Dio.

GENTILE. Chi è il Dio che adori?

CRISTIANO. Non lo so.

GENTILE. Come fai ad adorare con tanta serietà ciò che non conosci?

CRISTIANO. Adoro perché non conosco. 

GENTILE. Mi stupisco che l'uomo possa essere preso da ciò che ignora.

CRISTIANO. È più strano che l'uomo sia preso da ciò che crede di sapere.

GENTILE. Perché?

CRISTIANO. Perché conosce meno ciò che crede di sapere di ciò che sa di ignorare.

GENTILE. Spiegalo, ti prego.

CRISTIANO. Siccome non si può sapere nulla, chiunque creda di sapere qualcosa, a me sembra un folle.

 GENTILE. A parer mio, il folle sei tu che dici che non si può conoscere nulla.

CRISTIANO. Intendo per scienza l'apprendimento della verità. Chi afferma di sapere, dice di avere appreso la verità.

GENTILE. Anch'io lo credo.

CRISTIANO. E come può essere appresa la verità se non per se stessa? Ma allora essa non è appresa, perché chi apprende è prima e l'appreso dopo.

GENTILE. Non capisco come la verità possa essere appresa solo per se stessa.

CRISTIANO. Credi che la si possa apprendere diversamente e in altro?

GENTILE. Sì.

CRISTIANO. Sbagli in modo evidente. La verità non è al di fuori della verità; il circolo non è al di fuori della circolarità, l'uomo non è al di fuori dell'umanità. Dunque, la verità non si trova al di fuori della verità, né diversamente, né in altro.

GENTILE. In che modo allora so che cosa è l'uomo, che cosa la pietra e, così, di ogni cosa che conosco?

 CRISTIANO. Tu non ne sai nulla, ma credi di sapere. Se ti avessi interrogato sulla quiddità di ciò che credi di sapere, avresti affermato che non sei capace di esprimere la verità dell'uomo o della pietra. Bensì sai che l'uomo non è la pietra, e ciò non deriva dalla scienza per la quale conosci l'uomo, la pietra e la [loro] differenza, ma dall'accidente, dalla diversità delle operazioni e delle figure. A queste cose, quando le distingui, imponi i nomi diversi. Il movimento della ragione impone i nomi.

GENTILE. C'è una sola verità o esistono molte verità?

CRISTIANO. La verità è una sola. L'unità è una sola e la verità coincide con l'unità, perché è vero che c'è una sola unità. Come nel numero non si trova che una sola unità, così nei molti non si trova che una sola verità. E, pertanto, chi non raggiunge l'unità, non conoscerà mai il numero, e chi non raggiunge la verità nell'unità non può sapere nulla di vero. E, sebbene creda di sapere con verità, si accorge facilmente che ciò che crede di sapere si può sapere con più verità. Il visibile può essere sempre visto con più verità di quanto non lo veda tu. Ed è visto con più verità dagli occhi più acuti. Dunque non è visto da te come è visibile in verità. Lo stesso si può dire dell'udito e degli altri sensi. Ora, poiché tutto ciò che è saputo, ma non con la scienza con la quale può essere saputo, non è conosciuto in verità, ma diversamente e in altro - infatti non si conosce la verità altrimenti e diversamente dal modo che è la verità stessa -, ne segue che è folle chi crede di sapere qualcosa in verità, e che ignora la verità. Non passerebbe forse per pazzo quel cieco che credesse di conoscere le differenze dei dolori quando non conosce il colore?

GENTILE. Quale uomo è, allora, sapiente, se non si può sapere nulla?

CRISTIANO. Deve essere stimato sapiente chi sa di essere ignorante. E venera la verità chi sa di non potere apprendere nulla, ossia di non potere essere, vivere e conoscere, senza di essa.

GENTILE. Ma all'adorazione [di Dio] non ti ha attirato proprio il desiderio di essere nella verità?

CRISTIANO, È come dici. Io onoro Dio, non quel [Dio] che la tua religione di gentile nomina e crede falsamente di conoscere, bensì quel Dio che è la verità ineffabile.

GENTILE. Ti prego, fratello, qual è la differenza tra te e me quando onori Dio che è la verità e io non voglio onorare quel Dio che non è Dio in verità?

  CRISTIANO. Le differenze sono molte. Ma la differenza una e massima è che noi onoriamo la verità assoluta, non mescolata, eterna, ineffabile; invece voi onorate non la verità stessa come è assoluta in sé, ma come è nelle sue opere; non l'unità assoluta, ma l'unità nel numero e nella molteplicità, e vi sbagliate perché la verità che è Dio non si può comunicare ad altro.

 GENTILE. Ti prego, fratello, guidami a capirti quando parli del tuo Dio. Dimmi: che cosa sai del Dio che adori?

CRISTIANO. So che tutto ciò che so, non è Dio, e che tutto ciò che concepisco, non gli è somigliante, ma che egli è al di sopra di tutto.

GENTILE. Dunque Dio è nulla.

CRISTIANO. Non è il nulla, perché questo nulla ha il nome di nulla.

GENTILE. Se non è nulla, è allora qualcosa.

 CRISTIANO. Non è qualcosa. Qualcosa, infatti, non è tutto. Dio non è qualcosa piuttosto che tutto.

GENTILE. Tu affermi in modo strano che il Dio che adori non e né nulla, né qualcosa, affermazione che nessuna ragione comprende.

CRISTIANO. Dio è al di sopra di nulla e di qualcosa perché il nulla gli obbedisce sì da divenire qualcosa. E questa è la sua onnipotenza. Per la sua potenza, egli supera tutto ciò che e o non è, per cui gli obbedisce sia ciò che non è, sia ciò che è. Egli fa che il non-essere venga in essere e che l'essere passi nel non-essere. Egli non è nulla di quanto è sotto di lui e che la sua onnipotenza previene. Pertanto, non può essere detto più questo che quello, perché tutte le cose sono da lui.

 GENTILE. Può essere nominato?

 CRISTIANO. È piccola cosa quella che è nominata. La grandezza di ciò che non può essere concepito, rimane ineffabile.

GENTILE. È allora ineffabile?

CRISTIANO. Non è ineffabile, bensì esprimibile al di sopra di tutto, in quanto è la causa di tutte le cose nominabili. Colui che dà il nome agli altri, come può esser senza nome?

GENTILE. È, dunque, esprimibile e ineffabile insieme.

CRISTIANO. Neppur questo. Dio non è la radice della contraddizione, ma è la semplicità stessa anteriore ad ogni radice. Pertanto, non dobbiamo dire che è esprimibile e ineffabile insieme.

GENTILE. Allora che cosa dici di esso?

 CRISTIANO. Che egli non è nominato né non nominato, né nominato e non nominato insieme; bensì tutte le cose che si possono dire in modo disgiuntivo e copulativo per consenso o contraddizione, non convengono a lui a causa dell'eccellenza della sua infinità, perché è il principio unico anteriore a ogni pensiero che possiamo formarci di lui.

GENTILE. Allora, quindi, a Dio non converrebbe l'essere.

CRISTIANO. Dici bene.

GENTILE. Allora è nulla.

CRISTIANO. Non è nulla, né non è, né è e non e insieme, ma è la fonte e l'origine di tutti i principi dell'essere e del non-essere.

GENTILE. Dio è la fonte dei principi dell'essere e del non-essere?

CRISTIANO. No.

GENTILE. Tu l'hai detto poco prima.

CRISTIANO. Ho detto la verità quando l'ho detto, e dico la verità anche ora, quando lo nego. Perché se ci sono i principi dell'essere e del non-essere, Dio è anteriore ad essi. Ma il non-essere non ha il principio del non-essere, ma dell'essere. Il non-essere ha bisogno del principio per essere. C'è allora il principio del non-essere, perché il non-essere non è senza di esso.

 GENTILE. Dio è verità?

CRISTIANO. No, ma è anteriore a ogni verità.

 GENTILE. È diverso dalla verità?

CRISTIANO. No, perché l'alterità non può convenirgli. Ma è infinitamente anteriore a tutto ciò che possiamo concepire e nominare della verità, in modo eccellente.

GENTILE. Non chiamate ‘Dio’, Dio?

CRISTIANO. Sì.

GENTILE. Dite il vero o il falso?

CRISTIANO. Né l'una cosa né l'altra, né tutte e due. Infatti non diciamo il vero, cioè che questo sia il suo nome, né il falso, perché non è falso che questo sia il suo nome. Né diciamo il vero e il falso, perché la sua semplicità è anteriore a tutte le cose sia nominabili che non nominabili.

GENTILE. Perché lo chiamate ‘Dio’, se ignorate il suo nome?

CRISTIANO. Per la somiglianza della perfezione.

 GENTILE. Spiegalo, ti prego.

CRISTIANO. Dio è chiamato così da theorò, cioè vedo. Dio è nella nostra sfera come la vista nella sfera del colore. Il colore è afferrato solo dalla vista; e, perché possa cogliere liberamente ogni colore, il centro della vista è senza colore. Dunque la vista non si trova nella sfera del colore, perché è priva di colore. Perciò secondo la sfera del colore, la vista è un nulla piuttosto che qualcosa. La sfera del colore non coglie l'essere al di fuori della sua sfera, ma afferma che è tutto ciò che è nella sua sfera. Qui non si trova la vista. La vista, dunque, che esiste senza il colore non ha un nome nella sfera del colore, perché non le corrisponde nessun nome di colore. La vista dà il nome a ogni colore per la distinzione, perciò dipende dalla vista ogni imposizione di nome nella sfera del colore, ma 6 comprendiamo che il suo nome, dal quale [è] ogni nome [di colore] è piuttosto nulla che alcunché. Dio si comporta nei confronti di tutte le cose come la vista rispetto ai visibili.

 GENTILE. Mi piace quello che hai detto, e ho capito chiaramente che nella sfera di tutte le creature non si trova Dio, né il suo nome. Dio sfugge a ogni concetto piuttosto che essere l'affermazione di qualcosa, in quanto egli non si trova nella sfera delle creature, non avendo la condizione di creatura. Nella sfera dei composti non si trova il non-composto, e tutti i nomi che sono nominati sono nomi di composti. Il composto non è da sé, ma da quello che è anteriore a ogni composto. E, sebbene la sfera dei composti e tutti i composti sono ciò che sono per lui, tuttavia, in quanto egli non è composto, non e conosciuto nella sfera dei composti. Sia, dunque, benedetto nei secoli Dio che si nasconde agli occhi di tutti i sapienti del mondo.

(Cusano)









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