giuliano

domenica 29 agosto 2021

L'INFERNO (21)

 










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d'un quadro della Domenica (20)


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Sguardo dell'uomo (14) 


& La prospettiva rovesciata (15)


& i vizi della nostra civiltà (16)








Dall’elemento del fuoco Bosch passa poi a quello dell’acqua, egli la dipinge nello stato di selvaggio scatenamento di una grande inondazione che trascina nei suoi vortici una massa di uomini nudi. Ma al tempo stesso ci mostra come l’uomo abbia domato questo elemento, costruendo ponti, battelli e mulini. Nella pittura del mulino, Bosch ha scrupolosamente riprodotto, ponendola in evidenza, tutta la struttura della ruota per valorizzare pienamente l’aspetto tecnico, ed ha fatto lo stesso con l’arco del ponte. Sottolinea così il grande progresso compiuto dalla tecnica dal tempo della forgia primitiva di Vulcano. Ma queste opere non sono ‘benedette’: il mulino è in fiamme, il battello è sul punto di affondare, e il ponte serve ad una selvaggia soldataglia per rovesciarsi da una riva all’altra. Il tentativo umano di domare l’elemento dell’aria, rappresentato dal mulino a vento, non è meno fallimentare: anche le ali del mulino bruciano.

 

Bosch ha reso l’elemento della terra tramite una grande fortezza, allineando una teoria di bastioni, muraglie e cittadelle dai neri contorni che si stagliano all’orizzonte. Bosch accusa così l’uomo di essersi separato dalla comunità terrestre, dalla pace delia Natura, per ritirarsi dietro le mura della diffidenza. La fortezza simboleggia l’isolamento ostile, la volontà di potenza, la violenza.

 

Questa umanità, divenuta estranea al Dio-natura, è in preda alla guerra.




Ed infatti la guerra avanza con le sue bandiere, le sue lance, le sue trombe e le sue legioni guidate da un condottiero che cavalca una salamandra di fuoco. Anche la vita civile è posta sotto il segno della violenza, completamente dominata dalla lotta tra il crimine e l’autorità. Teatro di questo scontro sono la forca e il rogo, situati a sinistra, ai margini del dipinto. Notiamo come, in questa scena d’esecuzione, i condannati a morte vengano raffigurati nudi, semplicemente, mentre i boia e i loro sbirri sono trasformati in caricature odiose. Questo disprezzo dell’autorità corrisponde letteralmente al nono articolo sottoposto a ritrattazione nel processo verbale di Cambrai, laddove si dice: ‘reprehenden tes peccatores vel eos judicantes plus peccant quam reprehensi aut judicati’.

 

Nel quadro della ‘rigida concezione medievale del diritto’, questa critica del Libero Spirito al concetto di giustizia è qualcosa di assolutamente nuovo. In effetti, secondo le analisi di J. Huizinga, il Medioevo non conosceva ancora quel complesso di scrupoli che, nei tempi moderni, ha suscitato l’idea della fallibilità dei giudici, e il sentimento della corresponsabilità della società nella genesi del crimine. Il Medioevo concepiva soltanto il castigo esemplare, e lo salutava con feroce soddisfazione.




Certamente questa applicazione spietata della legge era sovente controbilanciata da atti del tutto incondizionati di misericordia che concedevano la grazia al colpevole. Di fronte a queste due posizioni giuridiche estreme, l’atteggiamento del Libero Spirito è un’eccezione della più  grande rilevanza storica e sociale, tale da mettere in discussione l’assetto giuridico dell’epoca.

 

Nei paesaggi cosmici dello sfondo si poteva già ravvisare uno scetticismo radicale nei confronti della civiltà, condannata come generatrice di guerra.

 

Nella scena della forca è lo stato ad essere posto sotto accusa, e in una delle sue funzioni supreme, quella della giustizia. È lo stato stesso che viene giudicato in base all’utopia dell’innocenza originaria. Ci troviamo qui in presenza dell’anarchismo paleo-cristiano che perseguiva l’ideale di ‘una umanità riunificata, governata non dalle leggi, ma dall’amore’.




Tra i contemporanei di Bosch solo Cornelio Agrippa manifesta con la stessa audacia e la stessa foga un simile anarchismo. Nel x c i capitolo, De iure et legibus (Del diritto e delle leggi), del suo scritto intitolato Della vanità e dell’incertezza delle Scienze, egli è d’accordo con Bosch nel considerare il diritto come conseguenza diretta della caduta di Adamo:

 

Vedete ora come la scienza del diritto reclami il primato su tutte le altre scienze, come essa le tiranneggi tutte e si arroghi, quasi fosse una figlia di Dio, un privilegio su tutte le altre discipline? [...] Essa trae la sua origine dal crimine del nostro primo padre, crimine che è la causa di tutti i nostri mali. Ed è ciò che ha dato origine al diritto della natura corrotta, che si è convenuto di chiamare ius naturale o diritto naturale, le cui regole o principi fondamentali sono i seguenti: vim vi repellere licei, la violenza può essere combattuta con la violenza; frangentem fidem fides frangatur eidem, a colui che viola la propria parola non può essere accordata fiducia; attere fattentem non est fraus, ingannare chi ti inganna non è inganno; [...] volenti non fit iniuria, a chi acconsente nessun torto è fatto; [...] si te vel me confundi oporteat, potius eligam te confundi quam me, se uno di noi due deve soffrire, tu od io, preferisco che sia tu e non io. Ed altri principi dello stesso genere riconosciuti poi come leggi.




 Questo malefico diritto naturale è, in Bosch, la forza  invisibile che sconvolge e corrompe tutto l’orizzonte cosmico. Nella sua oscurità, lacerata qua e là da incendi sanguinosi, questo paesaggio fa pensare ad una miniera incendiata. L’effetto inquietante che ne risulta è essenzialmente dovuto al contrasto tra la rigidità di pietra dei neri edifici e il gioco furioso delle fiamme nel cielo, la fretta frenetica delle armate che s’avanzano come sferzate dalla furia della guerra e il panico dei personaggi travolti dalle acque o rifugiati sulla riva.

 

La rabbia e il terrore di questa enorme massa inebetita conferiscono a questo paesaggio cosmico un’atmosfera di disperazione annunciatrice del Giudizio finale.

 

Su questo teatro del mondo che qui funge da orizzonte, gli elementi della Natura e gli istinti malvagi dell’uomo si affrontano.

 

La smisuratezza dell’inventiva, della volontà di potenza e dell’egoismo umano non soltanto fanno violenza alla Creazione, ma distruggono anche ogni possibilità di vita comune tra gli uomini.




Dalla situazione iniziale d’un mondo stravolto da cima a fondo a causa della Caduta, Bosch passa al presente e mostra come l’ordine sociale del suo tempo sia minato dalla stessa corruzione, dallo stesso male. Egli non raggiunge qui i toni del Carro di fieno, dove più tardi, nel pannello centrale, rappresenterà le supreme autorità del Papa e dell’Imperatore che, accompagnati dal loro seguito di chierici e principi, si dirigono in corteo verso l’Inferno.

 

Per stigmatizzare potere temporale e potere spirituale, egli si limita qui, prudentemente, a ritrarre i monaci e i cavalieri, bersagli tradizionali della satira popolare. Ma, ponendo alla gogna questi due ordini — gli uni messi in caricatura come cavalieri erranti e sanguinari, gli altri come missionari fanatici ed ipocriti - egli manifesta una tale aggressività che i suoi attacchi, andando oltre i personaggi in questione, raggiungono quelli che, invisibili, stanno alle loro spalle. È il concetto stesso di autorità che Bosch qui abbatte. In queste immagini militanti, denunzie feroci contro monaci e cavalieri, il Libero Spirito rivoluzionario insorge e lancia il suo grido di odio in tyrannos.

 

(W. Fraenger)












venerdì 27 agosto 2021

LA PROTESTA (12)

 




















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ovvero, morte a Venezia (11)


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I figli della nebbia,


ovvero, il capitolo completo (13) 







UNA PROTESTA          

 

 

 

Le prove raccolte nelle pagine seguenti, a sostegno della loro supplica, sono così complete, e il riassunto della sua causa data con così temperata maestria dal signor Somervell, che non trovo nulla da aggiungere nelle circostanze, e poco da far valere in argomento.

 

E ho meno cuore nello scrivere anche di quale breve prefazione un così buon lavoro potrebbe, per cortesia del suo autore, essere permesso di ricevere da me, occupato come sono stato così a lungo in sforzi tendenti nella stessa direzione, perché proprio per questo motivo, sono molto meno interessato del mio amico a questa resistenza locale e limitata alla corrente altrove fatalmente vittoriosa della moderna follia, crudeltà e rovina.

 

Quando la frenesia dell’avarizia ogni giorno affoga i nostri marinai, soffoca i nostri minatori, avvelena i nostri figli e fa esplodere la superficie coltivabile dell’intero mondo - e non solo della nostra Inghilterra - in un deserto di cenere senza alberi, che importa veramente se un gregge di pecore, sia cacciato dalle pendici dell’Helvellyn, o dalla piccola pozza di Thirlmere piena di scisto, o di alcuni rari fiori selvaggi della valle di St. John persi nella corona della primavera inglese?

 

Poco per nessuno!

 

E - lasciatemi dire questo, almeno, all’inizio di cotal dire - niente per me!

 

Nessuno deve accusarmi di egoismo in nessuna parola o azione per la difesa di queste colline muschiose quanto dei fiori che nelle stagioni di questa poesia le ornano.




Non mi muovo con un’attività così piccola come ho ancora dimostrato nel settore che più mi compete, perché vivo a Coniston (dove nessun suono delle ruote di ‘macchine ferrate’ può raggiungermi); né perché non riesco a trovare altro posto dove ricordare Wordsworth, che, al margine del narciso della sua piccola palude Rydal conferisce.

 

Quali e quanti pensieri e opere sono ancora dinnanzi a me, come ha insegnato, i quali debbono essere indipendenti da qualsiasi limitata e limitante associazione.

 

Tutte le mie care montagne e città con i loro tesori, Chamonix, Interlachen, Lucerna, Ginevra, Venezia, sono state da tempo distrutte dalla popolazione europea; e ora, da parte mia, non m’importa più cosa fanno e rappresentino; possono drenare Loch Katrine, bere Loch Lomond e far saltare tutto il Galles e il Cumberland in un mucchio di ciottoli di ardesia; il mondo è ancora abbastanza vasto per consentire un rifugio - un più che modesto riparo - durante i giorni di queste alterne stagioni del nuovo progresso…, per poi restarci ed ammirarli. Oppure disprezzarli, giacché anche la natura esprime il conteso Verso quando offesa e vilipesa.  

 

Ma non vengo meno al mio dovere, a causa di coloro ai quali i dolci paesaggi dell’intero Creato (come dell’Inghilterra detta) sono ancora preziosi, e ai quali possono ancora insegnare ciò che hanno insegnato a me, nella prima fanciullezza, e lo farei ancora e per sempre se avessi ancora da imparare ,— è mio dovere supplicare con tutta la serietà che posso, affinché questi sacri libri sibillini possano essere redenti dalla morte.

 

Ma ancora una volta sono restio, perché non so come parlare alle persone che hanno bisogno di essere interpellate in questa materia.




Supponiamo, quindi, che mi troviate seduto, dove tra l’altro ancora risiedo, nell’Oxford altrettanto cambiata, sono felice di trovarmi in una delle piccole celle a graticcio della Biblioteca Bodleiana, e il mio gentile e amato amico, il signor Coxe, dovesse rinnovarmi con la notizia che si proponeva, ovvero di mandare in biblioteca novecento escursionisti ogni giorno, in tre gruppi di trecento ciascuno; che era inteso che dovessero elevare le loro menti leggendo tutti i libri che potevano afferrare durante la permanenza; e che il personale  prettamente scientifico addetto a tal incarico che li accompagna, debba cercare di bruciare tutti i manoscritti che conservano, per ogni strato d’oro altrettanto gelosamente conservato nelle loro miniature, sia grammaticali - sia beninteso puramente estetiche - che possiamo dedurre e vedere (se sappiamo ancora vedere, o meglio, se abbiamo imparato cotal difficile e più periglioso mestiere!); affinché detto oro possa essere consegnato ad un più pratico e confacente  servizio economico in seno all’odierno progresso…

 

…Ma sottinteso che il signor Coxe non possa, da parte sua, simpatizzare con l’intero movimento, e sperava così che io scriva qualcosa per disprezzarlo!

 

Cosa potrei dire per il signor Coxe?

 

Naturalmente, che novecento persone debbano vedere la biblioteca ogni giorno, invece di una, è giusto solo per tutte le novecento; e se c’è oro nei libri, non è proprietà pubblica?

 

Se c’è rame o ardesia a Helvellyn, il pubblico non dovrebbe bruciarlo o estrarlo - e dicono che lo farà, ovviamente - nonostante noi?

 

Cosa significa per loro come ci sentiamo noi poveri vecchi lettori silenziosi in questa biblioteca di montagna?




È vero, sappiamo abbastanza bene - ciò che non sanno i novecento studiosi escursionisti - che la biblioteca non può essere letta fino in fondo in un quarto d’ora; inoltre, che c’è un piacere nella lettura reale, ben diverso da quello di voltare le pagine; e che l’oro in un messale, o l’ardesia in una rupe, può essere più prezioso che in una banca o in un comignolo.

 

Ma come possono darci credito queste persone pratiche, queste persone che non sanno leggere né lo sapranno mai; e a chi è stato insegnato che nulla è virtuoso se non prendersi cura del proprio ventre, e nulla di utile se non ciò che entra in loro dalla bocca di cotal palato?

 

Che siano accreditati o meno, i fatti reali della questione, chiariti come sono nelle pagine seguenti, possono essere brevemente esposti alla considerazione di qualsiasi persona sincera.

 

Gli argomenti a favore della nuova strada e ruota ferrata sono i quattro principali e si può così rispondere.




1. Ci sono tesori minerari nel distretto in grado di svilupparsi.

 

Risposta. È una perfida finzione, inventata da chi l’ha elevata semplicemente per ingannare gli azionisti. Ogni filone di piombo e rame del Cumberland è noto da secoli; il rame di Coniston non ricambia il costo; e non c’è nessuno così ricco in Helvellyn da imbarcarsi per un futile guadagno. E le principali rocce vulcaniche centrali, attraverso le quali giace il tracciato, non producono né ardesia né ematite, mentre ce ne sono a sufficienza a Llanberis e a Dalton da coprire e sbarrare tutta l’Inghilterra in un’unica vasta bolgia, se onestamente ci si rendesse conto di aver bisogno di questa scelta.

 

2. La scenografia del sito deve essere resa accessibile al pubblico.

 

Risposta. È già più che accessibile; il pubblico vi si butta a capofitto e ne perde necessariamente i due terzi. Lo scenario del lago inizia davvero, a sud, a Lancaster, dove si vedono le colline di Cumberland sulla baia di Morecambe; a nord, a Carlisle, dove si vedono le brughiere di Skiddaw sulle ricche pianure tra loro e il Solway. Nessuno che ami veramente la montagna perderebbe un passo dell’avvicinamento, da queste distanze, da una parte e dall’altra.

 

Ma le stupide mandrie di turisti moderni si lasciano svuotare, come carboni da un sacco, a Windermere e a Keswick. Una volta arrivati ​​lì, ciò che la nuova strada ferrata deve fare è spalare a Windermere coloro che sono venuti a Keswick e a Keswick quelli che sono venuti a Windermere. E poi?




3. Ma è necessario un transito economico e veloce per la popolazione attiva, che altrimenti non potrebbe vedere il paesaggio.

 

Risposta. Dopo tutte le nostre urla su quanto gli agenti ubriachi e coloro che accompagnano, assieme spendono per l’alcol, non puoi insegnare loro a risparmiare abbastanza dal salario annuale per pagare una carrozza e un pony per un giorno, per guidare Missis e il bambino per quelle piacevoli venti miglia, fermandosi quando a loro piace, disfare il cestino su una sponda coperta di muschio?

 

Se non possono godersi il paesaggio in quel modo, non possono in alcun modo; e tutto ciò che la tua compagnia ferroviaria assieme alla futura ruota meccanizzata può fare per loro è solo aprire taverne e campi da gioco bische e saloon e bordelli intorno a Grasmere, che presto, quindi, non sarà altro che una pozza di drenaggio, una discarica a cielo aperto, con una spiaggia di bottiglie di birra rotte; e le loro menti, non meno delle presunte coscienze che le presenziano, non saranno migliorate contemplando lo scenario di un tale lago annebbiato all’elevato grado di una e i più BlackBeer.





 4. Cos’altro c’è da dire? Protesto che non riesco a trovare nulla, a meno che ingegneri e appaltatori non debbano vivere. Lasciali vivere, ma in un modo più utile e onorevole per l’intera società umana progettando la Vecchia Fiera di Bartolomeo sotto Helvellyn, e facendo una giostra a vapore nella regione dei laghi.

 

Ci sono strade da riparare dove la parrocchia non le riparerà, porti di rifugio necessari, dove le nostre navi cariche sono in perenne pericolo; prendi le tue commissioni e dividendi dove sai che c’è bisogno di lavoro, non dove il meglio che puoi fare è persuadere i cercatori di piacere incoraggiandoli in ozi più vertiginosi quanto pericolosi.

 

Gli argomenti addotti dai promotori della ferrovia come della ruota meccanizzata che l’accompagna possono quindi essere sommariamente risolti. Di quelli sollecitati nel seguente opuscolo in difesa del paese così com’è, mi preoccupo solo di indirizzare l’attenzione del lettore su uno in particolare, la certezza, cioè, del deterioramento del carattere morale degli abitanti di ogni rione attraversato dal tracciato della pista come della futura strada invece dell’amato Sentiero.

 

Dove c’è poco carattere morale da perdere, questo argomento ha poco peso!

 

Ma i contadini di confine di Scozia e Inghilterra, dipinti con assoluta fedeltà da Scott e Wordsworth (per i principali tipi di questa inesauribile ritrattistica, potrei nominare Dandie Dinmont e Michael), sono finora una razza appena ferita, la cui forza e virtù sopravvivono ancora a rappresentano il corpo e l’anima dell’Inghilterra prima dei suoi giorni di decrepitezza meccanica e disonore commerciale.

 

Ci sono uomini che lavorano nei miei campi che avrebbero potuto combattere con Enrico Quinto ad Agincourt senza essere distinti tra i suoi cavalieri; posso credere alla parola dei miei commercianti per mille sterline; il cancello del mio giardino si apre sul chiavistello della pubblica strada, di giorno e di notte, senza paura che nessun piede entri se non il mio, e le mie ragazze-ospiti possono vagare per strada, o brughiera, o attraverso ogni conca boscosa di questo bosco selvaggio, liberi come le api eriche o gli scoiattoli.




Ed ora un’ultima parola circa l’effetto benefico proposto sulle menti di coloro che mandi a corromperci.

 

Ho già detto detto che non mi interessa in senso egoistico avversare cotal messa in opera. Ma ne predispongo un concetto assommato ad un più elevato ideale altruista, e non certo mascherato. È proprio perché desidero appassionatamente migliorare le lucide menti della popolazione, e perché sto consumando la mia volontà in ciò cui difetta la popolazione che volete elevare dal passo all’alcolica spirituale nuova velocità, affinché mai vedano e contemplino Helvellyn mentre sono del tutto ubriachi.

 

Oppure ancor peggio drogati dall’oppio!

 

Suppongo che pochi uomini viventi abbiano sentito così seriamente - nessuno certamente l’ha dichiarato così vigorosamente - che la bellezza della natura è la più benedetta e la più necessaria delle lezioni per gli uomini; e che tutti gli altri sforzi nell’educazione sono inutili finché non hai insegnato al tuo popolo ad amare i campi, gli uccelli e i fiori.



 Venite dunque, miei benevoli amici, unitevi a me in questo insegnamento.

 

Ci sono stato tutta la vita e, senza orgoglio, ti assicuro solennemente che so come deve essere gestito. Non posso davvero dirti, in questa breve prefazione, come, completamente, assolvere un compito così glorioso. Ma posso dirti chiaramente, istantaneamente ed enfaticamente, con quale umore devi metterti in gioco.




Ecco tu, un cristiano, un gentiluomo e uno studioso preparato; c’è la tua materia di educazione: ovvero un pagliaccio senza Dio incarnato nella corrotta ignoranza ora e per sempre contrastata. Non puoi presentare offerta più benedetta a Dio di quella creatura umana elevata alla fede vestita dall’abito di pagliaccio d’ogni giorno comandato per il rozzo salario d’un sudario, solo alla mitezza ed umiltà non meno della conoscenza delle opere del suo Signore riconosciamo la Via maestra senza un tracciato ben progettato.

 

Ma osserva questo: non devi sperare di fare un’offerta così nobile a Dio di ciò che non ti costa nulla!

 

Devi essere risoluto a lavorare e perdere te stesso prima di poter salvare questa pecora smarrita oberata di fatica e offrirla viva al suo Padrone.

 

Se dunque, mio ​​benevolo amico, sei pronto a prendere i tuoi due soldi e a darli agli ospiti qui a Cumberland, dicendo: ‘Abbi cura di lui, e qualunque cosa tu spenda di più, te lo ripagherò quando verrò a Cumberland io stesso’, su questi termini - o miei amici benevoli, io sono con voi, mano e guanto, in ogni sforzo che desiderate fare per illuminare gli occhi dei poveri.

 

Ma se il vostro motivo è, al contrario, quello di mettere due denari nella quotata ‘borsa’, rubati tra Gerusalemme e Gerico (di Keswick e Ambleside), dalla tasca del povero viaggiatore ubriaco quanto del futuro operaio specializzato…

 

Allora vi maledico!

 

…E se il vostro vero scopo, dicevo, risiede nell’offerta caritatevole, giammai per chiedere prestito al ‘sudario’ di nostro Signore Gesù per ogni Cielo e Terra creata ed ove transitato abdicata alla bellezza per ricambiarla ai poveri; ma al contrario, per derubare all’invisibile principio preghiera del futuro sudario ottenendo dubbio guadagno, nonché assommato illecito profitto (e dividendo) sottratto a dei poveri ubriachi; allora, miei pii amici, entusiasta Anania, pietoso Giuda e santificato Cora, farò del mio meglio in nome di Dio, per fermare le vostre mani e tacere le vostre lingue.

 

J. Ruskin Brantwood , 22 giugno 1876.









 

mercoledì 25 agosto 2021

IN ITALIA (9)

 










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Negli stessi anni... (8)


Prosegue con i...:


Frutti degli alberi...


& con morte a Venezia (11/2)








Lo show raccontava atti di eroismo presi dalle cronache della frontiera e dalle pagine di storia: in “THE DRAMA OF CIVILIZATION”, la vita selvaggia degli indiani delle praterie e dei cow-boy prendeva vita.

 

“Gli sguardi della folla si rivolsero con curiosità vivissima sulle pelli-rosse, le quali fecero il loro ingresso galoppando vertiginosamente intorno alla pista, ed emettendo grida altissime e disordinate, proprio come gli indiani che aggrediscono il treno”.




 “In una quarantina i brutti ceffi vengono a salutare il pubblico. Sono quasi completamente nudi, ma non tema la società antipornografica, gli indiani sono talmente sovraccarichi di vernici colorate che la loro pelle scompare sotto strati di giallo, di cinabro e di turchino”.

 

“Dopo la tintura, che costituisce la parte più lunga e meticolosa, altro non breve tempo essi dedicano all’ornamento del capo, dei polsi, dei malleoli, ornamenti fatti di lunghe penne e disposti nel modo che tutti i lettori hanno potuto vedere nelle oleografie riproducenti l’arrivo di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo”.




Così il selvaggio “far-west” si presentò alle genti italiane. Qui dobbiamo fare ricorso alle cronache locali. A Padova il tendone smonta a Padova in piazza d’Armi. Arriva gente da tutto il Veneto, bambini in testa. Il cronista del ‘gazzettino’ scrive, ammirato dall’ordine che regna in quella folla circense dai colori della pelle diversi:

 

“Ogni forma di rumore e chiasso è bandita, tutto ciò per noi veneti espansivi in ogni nostra manifestazione costituisce un quadro sorprendente” e aggiunge “quando scendono le pelli rosse di una compostezza quasi ieratica, avvolte in strani ponci multicolori, e sudicette anzichenò, dai lunghi capelli untuosi raggruppati in trecce sulla fronte sfuggente, l’effetto è disastroso”.




 Alcune donne tra il pubblico commentano “varda che brute vecie”, la cronaca del giorno seguente è impietosa:

 

 “Certe americanate non si possono dimenticare così presto, quindicimila persone hanno assistito a una buffonata, a proposito il pubblico non lo chiama più Buffalo ma bruffolo, si sono spese 5 o 8 lire per vederlo…”.




 I commenti di Vicenza e Treviso (arrivarono treni stracarichi di provinciali, veneziani e bellunesi) furono più benevoli, sottolineando i costumi variopinti dei pelli rosse, l’abilità a cavallo dei cow-boys, l’impassibilità degli indiani in ogni situazione. Ma, in generale, il Veneto non risultò molto stupito dal Wild West Show, anzi diciamo che lo snobbò.

 

Finito lo spettacolo a Treviso, Buffalo Bill disse all’amante, che chiamava Missy:

 

“Domani ci recheremo a Venezia e faremo un giro in barca”.




Il giorno dopo, Cody, Missy e cinque indiani, noleggiata una carrozza, si recarono a Venezia. All’imbarcadero (non dimentichiamo che eravamo nel 1906) Missy non volle salire in gondola, un indiano rimase con lei per proteggerla e aspettarono gli altri in osteria; Cody e i compagni invece non si meravigliarono dell’acqua, dei canali e dell’aspetto della barca: era una gondola.

 

Il gondoliere li portò a San Marco dove finalmente gli americani ebbero un momento di stupore e di meraviglia nel vedere la piazza e la basilica. Un cicerone improvvisato raccontò agli stranieri delle bellezze artistiche e dei Dogi (paragonati da Cody ai presidenti delle Repubblica Usa). Di seguito, col gondoliere e col cicerone, tornarono a trovare Missy e l’altro indiano e tutti insieme mangiarono frittura mista.




Ci fu un intermezzo spiacevole: mentre stavano per ripartire, un pellerossa abbracciò una donna. Buffalo Bill estrasse la Colt che portava e gli intimò di lasciarla. L’indiano così fece quindi si inginocchiò e chiese scusa a Buffalo Bill. Tornati gli animi in pace, Buffalo Bill, Missy e gli indiani (i primi in carrozza, gli altri a cavallo) tornarono a Treviso da ci ripartirono il giorno dopo per Trieste dove si concluse il tour italiano.



 

 

 

 


 

venerdì 6 agosto 2021

RUBARONO TUTTA LA FRUTTA DAGLI ALBERI (& la portarono via!) (7)

 










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(circa...) Gli impiegati della Compagnia (6)


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Negli stessi anni (8/9)








Vivevano come ciechi in una vasta stanza, consci soltanto di quel che veniva in contatto con loro, ma incapaci di una visione d’insieme delle cose.

 

Il fiume, la foresta, tutta la grande terra palpitante di vita, erano come un enorme vuoto. Perfino la brillante luce del sole non svelava nulla d’intelligibile.

 

Le cose apparivano e sparivano davanti ai loro occhi in modo sconnesso e senza scopo. 

 

Il fiume pareva venire dal nulla e fluire verso il nulla…

 

Scorreva attraverso un vuoto…

 

Da quel vuoto, a volte, uscivano canoe, e uomini con lance in mano gremivano improvvisamente il piazzale della stazione…

 

Erano nudi, d’un nero lucido, adorni di conchiglie candide e di filo di ottone splendente, le membra perfette…

 

Quando parlavano emettevano uno sgraziato balbettio, si muovevano con fare sostenuto e mandavano occhiate rapide e selvagge dagli occhi irrequieti e stupiti…

 

Quei guerrieri si accovacciavano in lunghe file, quattro o più, davanti alla veranda, mentre i loro capi stavano delle ore a contrattare con Makola una zanna d’elefante…

 

Kayerts dalla sua sedia osservava le trattative senza capir nulla…

 

Li fissava con i suoi rotondi occhi azzurri e gridava a Carlier:

 

– Ehi, guardi, guardi quel tale laggiù e quell’altro a sinistra! Ha mai visto una faccia simile?

 

Oh, che bestione ridicolo!

 

Carlier, fumando tabacco locale in una corta pipa di legno, si dava delle arie arricciandosi i baffi, e, esaminando i guerrieri con indulgenza altezzosa, diceva:

 

– Belle bestie! Hanno portato qualche osso?


(J. Conrad, Un avamposto del progresso)