giuliano

giovedì 28 luglio 2022

ALLA 'GROTTA' DEI COSACCHI (il Generale) (2)

 









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Tratti dalla 'Grotta'






 

La città è completamente al buio perché da otto giorni si stanno svolgendo le grandi manovre giapponesi. Per una scaletta stretta, rigida e tutta sbocconcellata scendiamo in un antica cantina nella quale un vecchio cosacco di buona volontà e la sua donna hanno attrezzato una taverna notturna frequentata dai residui dell’Armata Bianca della Siberia. Il pavimento è stato arrangiato alla meglio con un po’ di cemento. Contro le pareti sono situati i tavoli, rozzi e pesanti, con intorno delle panche da caserma. Il soffitto è basso ed affumicato. Da molti anni le pareti sono state imbiancate e sono tutte piene di iscrizioni in russo, a lapis, a carbone, a sugo di pomodoro. Sono cognomi; evviva; insolenza; maledizioni; date di battaglia; nomi di donne; nostalgie di luoghi e di amori. Sulla parete di fondo un pittore ha abbozzato col carbone una vecchia veduta di Pietroburgo coi ponti sulla Nevà e le cupole di Santa Sofia.

 

Un pianoforte male in arnese, finito quaggiù chissà come, è il mobile principale del luogo. Un tipo altrettanto vecchio e scalcagnato quanto lo strumento siede sopra una cassa vuota dinanzi alla tastiera e ne estrae ballabili nord-americani o musiche russe a seconda delle preferenze della clientela. Tutto è povero nella ‘Grotta’, come la chiamano, povero e piuttosto sudicio, ma contigua allo stanzone principale vi è una piccola cucina dove la moglie del cosacco confeziona una squisita cucina russa, quale è difficile trovare altrove a Harbin; i prezzi sono estremamente modici e la vodka è di buona qualità.




Alla ‘Grotta’ sogliono raccogliersi la notte i cosacchi che non hanno sonno, qualche legionario calmucco o kirghiso che è rimasto a Harbin coi suoi compagni d’arme, cinque o sei colonnelli, due o tre generali, i musici dei ‘dancings’ di Harbin che sulle due chiudono i battenti, alcune donne anziane che sono anch’esse macerie dell’Armata Bianca, varie ragazze giovani, amanti od amiche degli avventurieri cosacchi. E vi fanno capo periodicamente tutti quei russi di Harbin che, maschi o femmine, giovani o vecchi, con soldi o squattrinati, sentono una data sera la nostalgia della vecchia Russia degli Czar e di Rasputin e sanno trovarla alla ‘Grotta’ con vodka e zabruski con musiche e canzoni, con allegrie chiassose e tristezze fonde.

 

Ogni tanto vi fanno capolino i pochi capi sopravvissuti alla tormenta, il vecchio generale Kislitzin, il filosofo Kunst, sicuri di trovarvi qualcuno dei loro antichi battaglioni o, se non altro, dei cosacchi della loro stessa pasta che hanno combattuto con Kolciak in Siberia, che hanno visto cadere Resiukin alla battaglia di Gobi, che hanno condiviso col barone Unzern-Stenberg i fastigi dell’effimero Regno cosacco di Mongolia che comunque hanno battagliato agli ordini del generale Bialov, del generale Dutov, del generrale Bakisc, del generale Kaigorodov, del generale Kazanev, del generale Annekov, del bizzarro generale Kazagrandi di origine lombarda, dei tanti altri improvvisati generali bianchi, morti in combattimento nelle steppe gelate della Siberia o fucilati dai tribunali rossi di Irkutsk, di Novo-Nicolaievsk e di Troitskosavsk.

 

- Nottata calda!




...mi dice il colonnello nel prendere posto all’unico tavolo ancora libero. Il locale è infatti pieno di gente e di fumo. Nell’atmosfera greve è sospeso un potente odore di  tabacco, di alcole, di olio bollente, di pesce in salamoia, di ascelle sudate. Il pianista - una faccia alla Beethoven, ma scolorata e scarnita dai digiuni - martella sul piano una canzonetta popolare russa che vari ubriachi accompagnano dai tavoli canticchiando. In un angolo della vecchia dal mento aguzzo e dalla pelle color sughero sgranocchia avidamente ceci arrostiti ed ogni dieci, dodici ceci si fa il segno ortodosso di croce. Alle pareti sono appese varie fotografie di generali russi in colbàc e pelliccia: ingiallite, affumicate, male incorniciate, preistoriche.

 

– Quello - mi dice il colonnello indicandomi un ritratto più grande degli altri, - è l’ammiraglio Kolciak, capo di tutte le forze bianche della Siberia, fucilato dai bolscevichi nel 1920 ad Irkustk.

 

- Viva Kolciak!

 

…grida qualcuno che ha inteso nell’ebrezza il nome dell’ammiraglio.

 

- Viva Kolciak! Ed ancora della vodka per me!

 

- E’ Ghisleief! precisa il colonnello. - Un valoroso che era aiutante di campo dell’ammiraglio. Aveva il grado di capitano ed era un tipo in gamba. Oggi la vodka lo ha abbrutito.




Scoppia uno schiamazzo d’inferno in un angolo tra un gruppo di Kolciakisti ed un gruppo di semionofisti. Tra Kolciak e Semionof i rapporti erano pessimi. La loro rivalità personale sopravvive alla loro morte, nei cuori e nelle ubbriachezze degli ex-dipendenti.

 

- Kolciak è stato tradito dal generale Sirowy!

 

urla un gigante biondo, tutto ciuffo, assestando un tremendo pugno al tavolo che vibra dolorosamente in tutti i suoi piatti sudici e le zuppiere vuote.  

 

Sirowy? chiedo. - Il cecoslovacco?

 

Sì mi spiega il colonnello, - Sirowy, l’ex Primo ministro di Cecoslovacchia. Egli è ben conosciuto da noi. Comandava in Siberia la Legione ceca ed ha combattuto i bolscevichi di Kolciak. I cosacchi non amavano i cechi i quali facevano la guerra con troppa ferocia, bruciavano i villaggi, uccidevano donne e bambini. Il ceco è un popolo feroce! Dove passavano i cechi seminavano il terrore e ciò contribuì a farci perdere molte simpatie in Siberia, fra i russi e fra i mongoli. 

 

– Che Dio lo stramaledica! urla la vecchia dei ceci.

 

– Rinunziammo all’attacco, continua il generale. – Fu un errore gravissimo che costò la vita dell’ammiraglio Kolciak e che determinò il crollo di tutta la resistenza bianca in Siberia. Tre giorni dopo eravamo attaccati noi dai bolscevichi con una schiacciante superiorità di artiglieria. Migliaia dei nostri caddero. Io fui ferito quel giorno cinque volte. L’ammiraglio fu catturato al tramonto e fucilato la notte stessa.




 – E i cechi? chiedo.

 

 – Durante la battaglia, la Legione ceca abbandonò la sua posizione scoprendo il nostro fianco all’avvolgimento nemico ed occupò per conto suo la stazione, dove si impadronì di diecimila vagoni vuoti. Sirowy avvertì laconicamente il Comando che, considerando la battaglia perduta, si ritirava il ferrovia prima che i bolscevichi diventassero padroni della linea. Era il tradimento vero e proprio! Sirowy si era messo d’accordo coi russi. le notti durante la battaglia, mentre i russi combattevano uno contro dieci, 40.000 cechi abbandonarono il campo di Sirowy.

 

– Che Dio lo maledica! ripeté la vecchia dei ceci.

 

– Il tradimento fu aggravato dal fatto che i cechi portarono via anche migliaia di vagoni vuoti, per cui quando il generale Voiciovski ordinò il ripiegamento sulla stazione, trovò che non v’era più un treno. I cechi s’erano portati via tutti i convogli. Fu per noi il disastro

 

 – Che Dio lo stramaledica! insisté la vecchia.

 

– Fu una ritirata spaventosa, a cavallo, in slitte, a piedi, per la campagna gelata. Migliaia di cosacchi morirono di freddo, di fame, di stanchezza sulla sterminata distesa bianca della Siberia. La ritirata era segnata sulla neve da una riga interminabile di cadaveri. Quei mille e mille morti russi, Sirowy li ha tutti sulla coscienza! L’ho dichiarato nettamente nel mio libro ‘Tra le fiamme della guerra civile’, perché resti un documento per la storia.




Un grande silenzio segue le ultime parole del vecchio generale. Sulle anime e sulle ubriachezze grava il peso di tutti quei mille e mille morti rimasti nella neve. Poi da uno dei tavoli si alza una voce ed intona un canto. Tutti i cosacchi balzano in piedi a far coro. E’ un canto nazionale cosacco: il ‘Sagustie Kazaki’: un po’ religioso, un po’ guerriero, un po’ barbaro: straordinariamente forte. Il vecchio generale lo ascolta in piedi, la mano alla fronte, nel saluto militare. Un soffio di poesia rinfresca e nobilita la taverna miserabile nella quale agonizza – grot-tesca e dolorosa – una epopea.

 

 Nel frattempo era entrata nella taverna una giovane donna – bellissima – e s’era seduta al tavolo della vecchia dei ceci. Non doveva avere più di vent’anni. Una di quelle straordinarie bellezze bionde che si trovano nei vicoli di Harbin.

 

– Ballaci qualche cosa, Maruscka! le dice qualcuno quando il coro è terminato e le anime sono tutte sospese verso l’Infinito.

 

– Ho altro per la testa che ballare, Vassili! risponde la ragazza. – Maestro, la ‘Glàsaia’, chiedono parecchi. Il pianista attacca il pezzo sulla tastiera gialla e sdentata che pare anch’essa un frantumo di guerra e di rivoluzione. Una donna che sta tutta raggomitolata in un angolo, canta  per conto suo la canzone senza abbandonare il suo angolo né il suo raggomitolamento. Ha una voce calda e dolce, con alcune note basse, aspre e dolenti. Dinanzi le fuma un piatto di cavoli lessi, tra due bottigliette di vodka, già vuote.

 

Di scatto, Màruscka s’alza, si strappa il cappello che libera una formidabile capigliatura bionda tutta ricci e baleni, si  punta le mani sui fianchi con un gesto mezzo lascivo mezzo guerriero, e fra gli applausi generali attacca la danza classica cosacca. E’ una danza di maneggio e di steppa che in certi momenti ha il ritmo dei trotti cadenzati ed in altri l’impeto dei galoppi a tutta briglia. La danza strappa agli avventori urla selvagge di entusiasmo. Altre bottiglie finiscono in pezzi sotto le gambe dei tavoli.




– Viva Kolciak! Viva Semionof! si grida. – Abbasso Sirowy! urla il gigante dal ciuffo. – Che Dio li maledica! aggiunge con costanza la vecchia dei ceci.

 

E l’esaltazione slava esplode nella bettola fumosa.

 

Tutti cantano, gridano, parlano, masticano, tracanna-no, litigano, si abbracciano, rompono piatti e bottiglie. Le fiamme dei fornelli avvampati intorno alle padelle proiettano bagliori spettrali sui volti degli uomini e delle femmine. Le mani battono con cadenza selvaggia il ritmo frenetico del finale della ‘cosacca’. Magnifica è la femmina con la bionda criniera sconvolta dalla danza, rosse le guance, fiammeggianti gli occhi, palpitante il seno, tutto fremente e sudato il corpo felino.

 

– Forza, Màruscka! Brava, Mu-ka! Avanti, Marka!…

 

(M. Appelius, Al di là della grande muraglia)









 

mercoledì 13 luglio 2022

(la caverna degli...) ANTICHI DEI

 





















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'Grotta' dei cosacchi



 



 

Dalla finestra, lassù nel Potala, soltanto un piano sotto il Dalai Lama, potevo vedere tutta Lhasa, tutta la Vallata. In lontananza scorgevo la grande Cattedrale (Jo Kang) col tetto dorato luccicante. La Via Circolare o Ligkor si stendeva nel suo circuito completo attorno alla Città di Lhasa. Vi si accalcavano pellegrini devoti venuti a inchinarsi davanti alla maggiore sede di Scienze Occulte del mondo. Mi stupivo per la mia fortuna di avere una Guida così meravigliosa come il Lama Mingyar Dondup; senza di lui sarei stato un novizio comune, alloggiato in un dormitorio buio invece di trovarmi quasi sulla cima del mondo.

 

 Improvvisamente, così improvvisamente che squittii di sorpresa, due braccia forti mi afferrarono e mi alzarono per aria. Una voce profonda disse,

 

‘È così! Pensi solo alla tua Guida perché ti porta quassù nel Potala e ti dà da mangiare quei dolciumi nauseanti provenienti dall’India?’.

 

Rise per far tacere le mie proteste e io ero troppo cieco, o troppo confuso, per capire che sapeva benissimo cosa pensassi di lui!

 

Finalmente disse,

 

‘Noi due siamo strettamente legati l’uno all’altro, ci conoscevamo bene in una vita precedente. Tu sai tutto di quella vita passata, devi solo essere aiutato a ricordare. Ora dobbiamo lavorare. Vieni nella mia stanza’.




Mi lisciai la veste e rimisi a posto la scodella che era caduta mentre venivo alzato in aria, poi mi affrettai verso la stanza della mia Guida. Mi fece segno di sedermi, e quando fui sistemato, disse:

 

‘Allora, hai meditato sulla questione della Vita, sulla nostra discussione di ieri sera?’.

 

Abbassai la testa, costernato, e risposi,

 

‘Signore, ho dovuto dormire, poi il Signor Abate ha voluto vedermi, poi voi mi avete mandato a chiamare, poi ho dovuto mangiare e poi voi mi avete voluto vedere di nuovo. Non mi è rimasto il tempo di pensare a niente, oggi!’.

 

Scorsi un sorriso sulla sua faccia mentre diceva:

 

‘Discuteremo più tardi sugli effetti del cibo, ma prima riprendiamo il discorso sulla Vita’.

 

Si fermò, allungò una mano e prese un libro scritto in una lingua straniera ed esotica. Ora so che si trattava dell’inglese.

 

Sfogliando le pagine, trovò finalmente ciò che cercava. Passandomi il libro, aperto a una figura, chiese:

 

 ‘Sai cosa sia questo?’.




Osservai la figura ed era così ordinaria che guardai le parole strane scritte sotto. Non significavano niente per me. Restituendo il libro, dissi in tono di rimprovero:

 

‘Sapete bene che io non so leggerlo, Onorevole Lama!’.

 

‘Ma riconosci la figura?’,

 

continuò.

 

‘Ebbene, sì, è solo uno Spirito della Natura, uguale a quelli che ci sono qui’.

 

Ero sempre più perplesso. Di che cosa si trattava? Il Lama aprì il libro di nuovo e disse:

 

‘In un paese lontano, oltre i mari, la facoltà generale di vedere gli Spiriti della Natura si è persa. Se una persona vede un tale Spirito, diventa oggetto di scherno, e il veggente viene addirittura accusato di ‘avere visioni’. Gli occidentali non credono in ciò che non possono fare a pezzi, tenere in mano o mettere in gabbia. Uno Spirito della Natura viene chiamato Fata in occidente — e le Favole non sono credute’.




Questo mi stupì moltissimo. Io potevo vedere gli Spiriti, sempre, e li consideravo normali. Scossi la testa per fare uscire un po’ della nebbia che vi si trovava.

 

Il Lama Mingyar Dondup parlò:

 

‘Tutta la Vita, come ti ho detto ieri sera, consiste in Materia che vibra rapidamente e che genera una carica elettrica, l’elettricità è la Vita della Materia. Nello stesso modo, in musica, vi sono varie ottave. Immagina che l’Uomo comune per Strada vibri su una certa ottava, allora uno Spirito della Natura e uno Spettro vibreranno a un’ottava superiore. Siccome l’Uomo Medio vive e pensa e crede soltanto su un’ottava, le persone delle altre ottave gli sono invisibili!’.

 

Giocherellai con la mia veste, mentre pensavo a queste cose; non le capivo. Potevo vedere sia gli spettri sia gli spiriti della natura, perciò chiunque avrebbe dovuto poterli vedere come me. Il Lama, che leggeva nella mia mente, rispose:

 

‘Tu vedi l’aura degli esseri umani. La maggior parte degli altri umani non la vede. Tu vedi gli spiriti della natura e gli spettri. La maggior parte degli altri esseri umani, no. Tutti i bambini piccoli vedono queste cose, perché i giovanissimi sono maggiormente ricettivi. Poi, man mano che crescono, le preoccupazioni per la sopravvivenza ottundono la facoltà percettiva. In occidente, i bambini che raccontano ai genitori di aver giocato con dei Compagni dello Spirito vengono puniti per la menzogna o derisi per la loro ‘fantasia troppo vivace’. Il bambino se ne risente e dopo un po’ si convince che era solo immaginazione! Tu, a causa della particolare educazione che hai ricevuto, vedi gli spettri e gli spiriti della natura e li vedrai sempre — come vedrai sempre l’aura umana’.




‘Allora perfino gli spiriti della natura che si prendono cura dei fiori sono uguali a noi?’,

 

…chiesi.

 

‘Sì’,

 

…rispose,

 

‘uguali a noi, solo che vibrano più velocemente e che hanno le particelle di materia più distanti le une dalle altre. Questo spiega anche perché riesci a far passare la mano attraverso un raggio di sole’.

 

‘Avete mai toccato — cioè afferrato — uno spirito?’,

 

 …chiesi.

 

‘Sì!’,

 

rispose,

 

‘si può fare se si aumenta la velocità delle proprie vibrazioni. Te lo racconterò’.




La mia Guida toccò il suo campanello d’argento, dono di un Alto Abate di uno dei Monasteri più conosciuti del Tibet. Il monaco–servo, che ci conosceva bene, ci portò — non della tsampa, ma del tè indiano con quei dolci che venivano portati attraverso le alte montagne specialmente per Sua Santità, il Dalai Lama, e che piacevano tanto a me, soltanto un povero novizio.

 

‘È un premio per gli sforzi particolari che fai nello studio’, come Sua Santità aveva detto spesse volte. Il Lama Mingyar Dondup aveva visitato il mondo, sia quello fisico che l’astrale. Una delle sue poche debolezze era la predilezione per il tè indiano. Una debolezza che condividevo con tutto il cuore! Ci sistemammo comodamente e appena ebbi finito i dolci, la mia Guida e Amico parlò.

 

‘Molti anni fa, quando ero un giovanotto, mi precipitavo a svoltare un angolo qui al Potala — proprio come fai tu, Lobsang! Ero in ritardo per la Funzione e, con orrore, vidi un Abate corpulento che mi bloccava la strada. Anch’egli si affrettava! Non avevo più tempo per evitarlo; stavo ripetendomi le scuse che avrei dovuto pronunciare, quando gli passai attraverso. Il suo spavento fu uguale al mio. Comunque, ero talmente stupefatto che continuai a correre e arrivai in tempo, quasi in tempo, dopotutto’.

 

Risi al pensiero del dignitoso Lama Mingyar Dondup che si precipitava! Egli mi sorrise e continuò.




‘Quella notte tardi, ci pensai. Pensai: ‘perché non dovrei poter toccare uno spettro?’. Più ci pensavo e più cresceva in me la determinazione di toccarne uno. Stesi i piani molto accuratamente e lessi tutti i Documenti antichi che parlavano di questo. Consultai anche un uomo molto saggio che viveva in una caverna, sulle montagne. Mi disse molte cose, mi mise sulla strada giusta e ti dirò le stesse cose perché conducono direttamente all’argomento di cui ci stiamo occupando: toccare uno spettro’.

 

Si versò dell’altro tè e lo sorseggiò prima di riprendere.

 

‘La vita, come ti ho detto, consiste in una massa di particelle, piccoli mondi che rotano attorno a piccoli soli. Il movimento genera una sostanza che, in mancanza di un termine più adatto, chiameremo ‘elettricità’. Se mangiamo sensatamente, possiamo aumentare la velocità delle nostre vibrazioni. Una dieta sensata, niente di quella roba fantasiosa e stramba, la star meglio, aumenta la velocità basilare delle vibrazioni. Così possiamo avvicinarci alla velocità di vibrazione di uno spettro’.

 

Si fermò e accese un nuovo bastoncino d’incenso. Quando fu soddisfatto di come ardesse la punta, rivolse la sua attenzione di nuovo a me.




‘L’unico scopo dell’incenso è di aumentare la velocità delle vibrazioni dello spazio in cui viene bruciato e di coloro che vi si trovano. Usando il tipo giusto, perché ogni tipo d’incenso è legato a un certo tipo di vibrazioni, possiamo raggiungere determinati risultati. Per una settimana seguii una dieta rigorosa che aumentò le mie vibrazioni o ‘frequenza’. Durante quella settimana bruciai anche, continuamente, nella mia stanza, l’incenso appropriato. Alla fine di quel periodo di tempo ero quasi ‘fuori’ di me; sentivo di galleggiare anziché camminare, e provavo difficoltà nel mantenere la forma astrale all’interno di quella fisica”. Mi guardò e sorrise mentre disse: “Tu non avresti apprezzato una dieta tanto limitata!”. “No!”, pensai, “preferisco toccare un vero pasto piuttosto che qualsiasi spettro!’.

 

‘Alla fine di quella settimana’,

 

disse il Lama, la mia Guida,

 

‘scesi al Santuario Interno e bruciai altro incenso mentre imploravo uno spirito di venire e di toccarmi. Improvvisamente sentii il calore di una mano amica sulla spalla. Mi girai per vedere chi fosse a disturbare la mia meditazione e feci un salto tale da uscire quasi dalla veste quando vidi che chi mi toccava era lo spirito di un lama, ‘morto’ più di un anno prima’.

 

Il Lama Mingyar Dondup si fermò improvvisamente, poi rise forte al pensiero di quell’esperienza del lontano passato.

 

‘Lobsang!’,

 

esclamò finalmente,




‘il vecchio lama ‘morto’ rise e mi chiese perché avevo faticato tanto, quando mi sarebbe bastato andare nel mondo astrale! Confesso che mi sentii mortificato oltre misura al pensiero che una soluzione così ovvia mi fosse sfuggita. Ora, come ben sai, noi andiamo nel mondo astrale e parliamo con gli spettri e la gente della natura’.

 

 ‘Certamente avete parlato per telepatia’,

 

notai,

 

‘e non conosco nessuna spiegazione per la telepatia. Ci riesco, ma cornei’.

 

‘Le domande che fai, Lobsang, sono sempre le più difficili!’,

 

rise la mia Guida.

 

‘Le cose più semplici sono le più difficili da spiegare. Dimmi, come spiegheresti tu il processo del respirare? Ci riesci, tutti ci riescono, ma come si può spiegarne il processo?’.

 

Assentii cupamente. Sapevo che facevo sempre delle domande, ma era l’unico modo per imparare. La maggior parte degli altri novizi non dimostrava interesse, a loro bastava mangiare e lavorare poco, ed erano soddisfatti. Io volevo di più, volevo sapere.

 

‘Il cervello’,

 

disse il Lama,




‘è come una radio, come il meccanismo che quel Marconi usa per mandare messaggi attraverso gli oceani. L’insieme di particelle e di cariche elettriche che compongono un essere umano è guidato dal meccanismo cerebrale elettrico, o radio. Quando un essere (compresa una scrofa...) pensa di muovere un arto, delle correnti elettriche corrono lungo i nervi giusti e stimolano il muscolo, che compie l’azione desiderata. Similmente, quando una persona pensa, il cervello emana delle onde radio o elettriche — in realtà provengono dalla parte superiore dello spettro radio. Esistono degli strumenti per individuare le radiazioni e perfino tracciarne le linee che i dottori in Occidente chiamano ‘alfa, beta, delta e gamma’.

 

Assentii lentamente con la testa, avevo già sentito parlare di cose simili dai Lama Medici.

 

‘Ora’,

 

continuò la mia Guida,

 

‘anche i sensitivi possono captare queste radiazioni e possono capirle. Io riesco a leggerti nel pensiero, e se fai uno sforzo, tu puoi leggere nel mio. Più è forte la simpatia, l’armonia che lega due persone, più è facile per loro leggere queste radiazioni cerebrali che costituiscono il pensiero. Questa è telepatia. Spesso i gemelli sono legati da un fortissimo contatto telepatico. I gemelli monozigotici, i cui cervelli sono esattamente la copia l’uno dell’altro, hanno un’intesa telepatica così forte che è sovente molto difficile stabilire in quale dei due nasca un determinato pensiero’.




‘Rispettabile Signore’,

 

dissi,

 

‘come ben sapete, io riesco a leggere nella mente della maggior parte delle persone. Perché succede questo? Esistono molte persone che abbiano le stesse facoltà?’.

 

 ‘Tu, Lobsang’,

 

replicò la mia Guida,

 

‘sei particolarmente dotato e particolarmente addestrato. Le tue facoltà vengono aumentate con tutti i mezzi a nostra disposizione, perché dovrai affrontare un compito difficile nel corso della tua Vita’.

 

Scosse la testa solennemente.

 

‘Un compito veramente molto difficile. Nei Tempi Antichi, Lobsang, il Genere Umano poteva comunicare telepaticamente col mondo animale. Negli anni a venire, dopo che il Genere Umano avrà conosciuto la follia delle guerre, questa facoltà sarà di nuovo acquisita; di nuovo l’Uomo e l’Animale cammineranno insieme, in pace, senza desiderare di nuocersi vicendevolmente’.

 

Dai piani inferiori rimbombò il suono di un gong. Udimmo lo squillo di trombe e il Lama Mingyar Dondup balzò in piedi dicendo:

 

‘Dobbiamo affrettarci, Lobsang, sta per incominciare la Funzione nel Tempio, e Sua Santità in Persona sarà presente”. Mi alzai subito, mi sistemai la veste e corsi dietro alla mia Guida, ormai lontana e quasi fuori di vista’.

 

(T. Lobsang)









 

martedì 12 luglio 2022

(il Pensiero) VIVENTE

 






















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…Non vi è alcuna differenza intrinseca tra le associazioni dei pensieri viventi che costituiscono il Sé vivente, pensante e conoscente e quelle attraverso cui i diversi Sé possono relazionarsi e formare così delle associazioni. Inoltre, visto che i Sé sono loci di pensieri viventi – tappe effimere ed emergenti in un processo dinamico – non c’è nessun sé unitario. Non si può mai “essere” una sola cosa: “[…] una persona non è un individuo nel senso pieno del termine. I suoi pensieri sono ciò che egli va ‘dicendo a se stesso’, ovvero ciò che va dicendo a quell’altro se stesso che sta appunto venendo alla vita nel flusso del tempo” (Peirce).

 

Visto che tutti i Sé, ogni esperienza e ogni pensiero sono semioticamente mediati, l’introspezione, l’intersoggettività tra esseri umani e persino la simpatia e la comunicazione trans-specie non sono categorialmente differenti. Sono tutti processi segnici. Secondo Peirce, il cogito cartesiano, l’“io penso”, non è esclusivamente umano, non è situato nella mente, e non può afferrare in maniera esclusiva e non mediata il suo oggetto piú intimo: quel sé che generalmente riteniamo l’unico responsabile dei nostri pensieri*.




[*Chi può stabilire quale sia il linguaggio consono all’essere umano e al suo sviluppo inteso come evoluzione?

 

Ma cos’è sviluppo, e cosa è evoluzione?

 

Lo sviluppo è tutto ciò che si compie grazie all’evoluzione. All’evoluzione dell’uomo che consolida grazie al progresso tutte le proprie fasi evolutive. Potrebbe essere così…, per taluni. Ma in senso antropologico avanzo riserve. Non perché padroneggio tale conoscenza e ne adopero impropriamente la sua terminologia, che in taluni punti discorsivi potrebbe apparire elegante ed erudita. Ma perché, se riconosciamo nel passato quanto nel presente, le capacità dell’uomo di produrre manufatti, non è detto che le stesse civiltà che progressivamente ne sono scaturite abbiano, per l’appunto, avuto affermazioni maggiori rispetto ad altre in apparenza arretrate.

 

Cosa distingue l’arretratezza rispetto al progresso misurato con i manufatti?

 

Dal punto di vista sociale molto. Infatti dal punto pratico è comprovato che coloro che detengono tale primato lo fanno a danno dei più arretrati. Quanto  affermato lo possiamo cogliere in pieno dagli accordi climatici appena conclusi (Copenaghen 2009 e successive conferme). I più poveri ed i più piccoli danneggiati dai più ricchi. Ma non solo, si chiede ai più poveri lo stesso onere del ricco ed ingordo inquinatore.




L’evoluzione in questo caso, intesa come fenomeno di uguaglianza e parità dove poter misurare le distanze da ciò che eravamo a quello che siamo (divenuti), rimane immutata. Il ricco ed agguerrito villaggio detiene il monopolio del rigoglioso fiume, da dove provengono le necessità al suo mantenimento. La tribù vicina pretende lo stesso diritto e non privilegio alla vita. Ma la tribù più forte e numerosa dissente ed uccide. Se sia un fiume d’acqua o petrolio la situazione ai margini dell’evoluzione decide poco. Nei confini del progresso molto.

 

Qualcuno potrebbe indicarmi il ‘comportamento’ essere una prerogativa genetica immutata. Altri, che l’essere umano è rivolto unicamente al male. Concordo con l’uno e l’altro. Infatti stiamo qui disquisendo la differenza fra progresso ed evoluzione, nel fattore umano che in sé conserva qualcosa di irrimediabilmente dèmoniaco, privilegia incontrovertibilmente l’ascesa di un ‘gene egoista’ che qualche dotto e moderno evoluzionista (della grande casa degli spiriti del villaggio) vorrebbe spiegare e legittimare come normale.

 

Giustificando abomini passati e futuri.




Anche perché alcune economie prosperano in queste ed altre guerre, altrimenti come concepire il principio di una pace difesa con lo scudo della guerra. Due opposti generare l’energia della discordia e aumentare di conseguenza e in proporzione odio e divisione. Incomprensione ed intolleranza. Tutto ciò di cui vuole essere portatore l’uno viene immediatamente rigettato dall’altro, e viceversa. Perché appunto la grande disuguaglianza della disparità.

 

L’assetato pretende anche lui il diritto alla vita, nelle medesime condizioni e principi, e ciò non viene adeguatamente valutato (così come nel capitolo precedente espresso circa la spirale nella fattispecie della comune solidarietà giacché anche questa caratteristica dovrebbe differenziarci dalle dette ‘bestie’) dal dotto e ricco evoluto giacché nel curare v’è più materia dalle case farmaceutiche nutrita nel prevenire, ed ecco così il virtuale e l’inganno assommati comporre in apparente e voluta regressione divenuta disgrazia, prendere il sopravvento se non addirittura ben motivati (così come la guerra giacché il proseguo della bellica rissosa espressione, valuta, in successivo assestamento delle medesime condizioni in economica condizione posti).

 

Chi interpreta poi questa sete o volontà di sopravvivenza, tende, come è normale (per ciò di cui si compone la normalità al senso partecipativo dell’odierna vita), a codificarli e gestirli secondo i parametri della propria evoluzione, socialità, …ed istinto, immutato nell’arco dei secoli.

 

Ecco la volontà di capire e percepire la differenza.




Questo a mio avviso lo sforzo evolutivo che consacra e distingue l’uomo progredito rispetto a ciò che era, perché i suoi istinti mutati giammai immutati,  mi sforzo di individuare detta mutazione genetica ed istintuale per il vero  riscontrabile nella propria costante frequenza (con picchi ben evidenti dalla rivoluzione industriale detta sino all’oggi posta) con delle rare eccezioni che si discostano dal comportamento generalizzato della massa. Un equilibrio ‘puntinato’ manifestare l’evoluzione nella piena regressione, con la convinzione del contrario.

 

Colui che indica lo stress (depressivo) della società sarà adoperato inconsapevolmente dalla stessa per motivare il problema, e poi, nella sua dubbia morale, manipolare tal malessere per fini puramente economici. Non individuando la fonte del problema per prevenirlo e renderlo adeguatamente prevedibile. L’economia non permetterà mai ciò, ma tenderà a ‘ricodificarlo’ in maniera vantaggiosa per adeguarlo ai propri interessi confacenti con la propria natura (disgiunta dai principi della Natura cui indistintamente apparteniamo).

 

E’ condizione necessaria e sufficiente per mantenere una economia che soddisfi tutte le esigenze dell’uomo evoluto, un progressivo e massiccio inquinamento di tutti quei paesi che al contrario necessitano di essa (economia di sviluppo). Un esempio che può rendere vagamente l’idea su quanto sto disquisendo è il ‘fumatore nell’ascensore’.




Siamo costretti a salire con lui (il fumatore) ai piani più alti perché sembra si goda di miglior visuale ‘globalizzata’ in quanto tutti gli uffici di comando  ubicati a tale livello, ma in compenso siamo costretti a respirarci tutto il fumo della sigaretta, rischiando poi, al piano attico della sala ‘aggiornamento e congressi’ di imbatterci in una nuova e ben nutrita schiera di fumatori incalliti. Ne usciremo divorati dall’intossicazione e a rischio di un probabile cancro.

 

Non fumiamo, per di più per nostra abitudine cerchiamo sfogo dallo stress di una nuova rivoluzione industriale con altri principi terapeutici. Ma sembrerebbe che nel ricco villaggio dell’uomo bianco le malattie ed il modo di prevenirle e curarle, oltre quello di innestarle per logici motivi di economico e vantaggioso progresso, appartengono al mondo del business oltre che delle case farmaceutiche. ] 

 



È molto difficile, partendo dai nostri quadri analitici contemporanei, comprendere il mondo biologico come qualcosa che è costituito da pensieri viventi. Se seguiamo la diagnosi di Max Weber (1976 [1915], 1948 [1919]) questo disincanto del mondo moderno è in parte un effetto della diffusione del razionalismo scientifico. Nella misura in cui vediamo il mondo in termini sempre più meccanicistici, perdiamo di vista il telos, la significanza, le relazioni mezzi-fini – in breve, quelle che definisco intenzioni-significati, per evidenziare la stretta relazione tra mezzi e significati – che invece un tempo avevano un posto nel mondo.

 

Il mondo perde il suo incantamento, nel senso che i fini non si trovano più nel mondo, ed esso diventa letteralmente privo di significato. I fini vengono dislocati in un regno umano o spirituale che diventa sempre più piccolo e sempre più distaccato dal mondo quotidiano, mentre la visione della scienza si espande ad ambiti sempre più numerosi. Se le moderne forme di conoscenza e i modi di manipolare il mondo non umano si caratterizzano per una comprensione del mondo come meccanismo, allora il disincanto è un’ovvia conseguenza.




Le macchine, in quanto oggetti materiali, sono mezzi per raggiungere dei fini che per definizione e progetto sono esterni a esse. Quando osserviamo una macchina – per esempio, una lavastoviglie – mettiamo tra parentesi i fini che sono di fatto intrinseci al suo essere, ovvero il fatto che è stata costruita da qualcuno per un determinato fine. Applicare questa logica al mondo vivente non umano e vedere la natura come una macchina implica la stessa operazione del mettere i fini tra parentesi, e di conseguenza la loro attribuzione agli esseri umani, agli dèi o alla Natura.

 

Il dualismo è uno dei risultati di questa messa tra parentesi.

 

Un altro è quello di iniziare a perdere completamente di vista i fini. Il disincanto si diffonde nel regno dell’umano e in quello spirituale nel momento in cui cominciamo a sospettare che forse, semplicemente, non ci sono fini, e, dunque, nessun significato – da nessuna parte. I fini non si trovano da qualche parte al di fuori del mondo, ma prosperano costantemente in esso. Sono intrinseci al regno della vita. I pensieri viventi ‘indovinano’ e, così facendo, creano futuri, in base ai quali poi modellano se stessi.

 

La logica che struttura il mondo vivente non è quella di una macchina.




A differenza delle macchine, i pensieri viventi emergono come un tutto, e non vengono costruiti parte dopo parte da qualcuno messo tra parentesi sullo sfondo. Se prestiamo attenzione alle interazioni dei Runa con altri generi di esseri, come intendo fare proponendo un’antropologia oltre l’umano, possiamo arrivare a considerare i sé (umani e non umani) come delle tappe nella vita dei segni – dei loci di incantamento – e questo può aiutarci a immaginare un diverso modo di prosperare in questo mondo oltre l’umano in cui viviamo. La tesi che propongo riguarda alcune proprietà della vita ‘in Sé’. Sebbene riconosca che la vita in quanto tale possa essere qualcosa di storicamente circoscritto – che determinati concetti diventano pensabili solo all’interno di specifici contesti storici, sociali o culturali (Foucault, 1967).

 

Il linguaggio e i relativi regimi discorsivi che condizionano fortemente il nostro pensiero e il nostro agire non sono chiusi. Anche se dobbiamo essere molto cauti sui modi in cui il linguaggio (e, per estensione, alcune modalità di pensiero e di azione stabilite socialmente) naturalizza le categorie di pensiero, possiamo spingerci a parlare di qualcosa come la vita ‘in sé’ senza essere completamente vincolati dal linguaggio che ci permette di esprimerlo. I Sé non umani, dunque, possiedono delle proprietà ontologicamente uniche associate alla loro natura costitutivamente semiotica. Tali proprietà, in una certa misura, sono per noi conoscibili, e differenziano i Sé dagli oggetti o dagli artefatti. Trattare i non umani in maniera generica – raggruppando indiscriminatamente le cose e gli esseri – non ci permette di osservare tale differenza. A mio avviso, quest’approccio dominante che mira a espandere il campo delle scienze sociali per includervi i non umani è il più grande limite degli studi di scienza e tecnologia*….




[*Sono uscito per un istante dal torre di babilonica memoria per raccontare un passo della mia e altrui storia nell’intelligibile occhio dello Spirito nutrito da una Natura risorta, una parabola o forse solo un miracolo taciuto nel quale il ‘notaio’, ora occupato per altre vicende di economica ragion di stato, non vuol certificare testimonianza d’una diversa salita per questa impervia via scrutata alla ‘parabola’ dal ‘canone’ distribuita, cui, indistintamente, dal ragazzo all’anziano affidano sicuro e ortodosso ingegno nella vista della dottrina così evoluta.

 

Miracolo non certo gradito al sentiero di codesto cammino, in quanto Eretico d’un passo antico caduto su una veloce simmetria evoluta da una spirale d’un diverso deserto e pista senza freccia e tempo comporre fiocchi e gelo: pregato esilio precipitato per taluni… divertimento per tutti assicurato nella corsa del Teschio annunciato. Là dove io ammiro Alberi e componimenti d’un Primo Ingegno altri scorgono facile diletto per il pasto d’ingorda moneta nutrito, nella quale il passo antico percorso all’alba di un mattino mi fece scorgere oltre la pecunia di un diverso belare, anche la bellezza della vita alla sua fonte appagata.




….Così come dicevo, il fanciullo che era ed è… ancora… prova terrore di quel mondo e quando la sua Anima o solo lo Spirito da una discesa risale ad un’altra avventura, lui scorge degli strani uomini in questa vita ove il ricordo affiora. Sono vestiti dal corpo materiale privato dello Spirito come dei provetti cadetti, voce della moneta a lui negata, lo calunniano e forse perseguitano, ma ora che il ricordo si fa ancora più vivo, rimembro quei cavalieri lungo il cammino, lo braccano e perseguitano in nome e per conto di una dottrina non più condivisa al porto dell’ortodossa parola pur pregando non comprende la Rima e con lei l’intera Poesia, lo aspettano in cima al passo di un’altra ed ogni salita come il male… perseguitare la vita, e lui sempre deve fuggire ugual via…

 

Ora ho trovato lo Spirito braccato e disceso per questa difficile pista.


Ora ho trovato il ricordo.


Ora ho scoperto il motivo.


Ora ho trovato Madre Natura cui affidato il grido e con lei la promessa.


Ora comprendo la vita.


Ora scorgo il motivo d’ogni rinuncia…




Così, come dicevo, fu costretto a non far trapelare la vera sua Natura unita quale solo Elemento con la neve ed il vento…, perché quando pensa è come un volare d’uccello, quando cammina con i rami ai piedi ed alle mani sembra un lupo, anche se in verità e per il vero… solo un umile viandante di cui la Natura farà retto Profeta alla disciplina della vita; e così  in vero, causa lo scellerato patto non apprende nessuna lezione alla genesi e tempio della propria ed altrui discesa…, insegnata allevata e nutrita ad ogni Adamo o viandante che sia, attraverso la ‘retta’ pista ben battuta misurare il grado di quanto guadagnato e appreso… per ogni salita e discesa entro la materia così pensata… Ed ogni fuoripista ben osservato e disprezzato come il peggiore peccato consumato ed arrecato… ed anche non pagato, e par logico di conseguenza, nell’offesa dispensata di codesta natura fuggita rimembrare in vero deserto da un tempio nato…(di certo ricordo non fui l’unico non fui il solo preferire diversa ‘dottrina’ per ogni pilone e croce …intimidire la vista… ci fu qualcun’altro con ugual amor dal Creato nato…). 




Approdato alla fine della salita, ove la  memoria diviene confessione affidata a quella Natura che ora l’accompagna quale eterna compagna,  alla vista di quei strani cavalieri o provetti atleti… imparò a lasciare la coda del somaro cui aggrappato, la tonaca del prete con cui cresciuto, il sicuro cavo a cui ‘legato’ per compiere la nuova avventura cui destinato, privato però, del libero arbitrio cui la morale insegna e presiede ogni raggiro tortura inganno scritto nella retta ‘pista’ della vita. Il fanciullo possiede un segreto Infinito condiviso ed appreso da una Natura che nella bufera insegna la promessa della vita per regalare allo Spirito rinato e smarrito il Sogno perduto e ritrovato al candore di chi mai tortura.

 

Nella salita cui l’Anima inquieta si aggrappa alla vita e nella discesa cui ogni saggezza condannata dalla loro materia, lo Spirito tornare alla  dimora di un Primo Universo invisibile al Tempo nello spazio condiviso. 




Così quando poco manca al passo, alla cima, alla vita desiderata di questa o altra via patita ed inquisita, lui, prima della difficile risalita aveva imparato nella strana sua Eresia, ad abbandonare il cavo della sicura via, cui ogni spirito aggrappato braccare altrui intento. Tutti in fila fino alla cima, poi una lenta o veloce discesa, chi maestro chi allievo chi semplice pellegrino, chi viandante, chi solo commerciante, chi scudiero, chi servo, chi padrone, chi peccatore, chi semplice inquisitore…, tutti alla coda alla disciplina dal Tempo ben distribuita.

 

Ma il fanciullo  l’inganno aveva intuito, giacché la tortura sapeva scritta ed incisa innanzitutto nella retta discesa compiuta, in quanto nella materia di ugual Tempo condiviso lo Spirito sacrificato nella morte cui si diletta il corpo così appagato con sano e veloce divertimento… e nella (ri)salita di ogni nuova vita (se quella la pista…)]

 

(E. Kohn & Giuliano, ovvero, l’Eretico Viaggio eternamente perseguitato dall’umano apostolo del Diavolo…)