giuliano

domenica 26 maggio 2019

SO' TORNATI LI LUPI (26)

































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La bellezza della Natura (25)

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Identità della Natura (27)













Dico allo Francesco frate meco che junto lo tempo mesto de farsi lupi neppur santi somari o agnelli quali deovon farsi cibare da codeste scimmie ammaecstrate et halora frate mio te raconto cotal storia tu che dallo polo opposto venisti et jiungesti per porre retta justicia in ogni loco.

Tutto se rea invertito anche lo cardine della porta dello convento tutto in questa hora accompagnata dalla danza di codesta morte, tuta trapuntata ed anco assisa come la pecora vicino lo horto che neppure la scala la finestra quanto jungemmo fu ria tanto la contemplnaza de siffatta spenticta bestia.

Alcuni frate meco dello stesso convecto volevan per lo vero signore Iddio cavargli lo latte dallo di dietro e provare lo manico della panza intignere cotale sostanza e nepure mettere allo spiedo come solea frate meco Benedetto,  io solo fedele allo motto tuo o’ fermato cotale adunanza per non fare amuchiata.

Lo sud e lo nord smarrito tanto che fin vicino all’orto delle capre l’amico e frate Francesco non potea neppure nominare li poveri compari amici suoi che dello ramo s’erano anche impadronito misurato e su sopra non più lo nido ma l’insegna della taverna dove se pole anco bene bere magnare cacare e ciarlare e lo passero meco non po’ neppure piagne’ che la rotta sera smarrita e ita…

Allora caro Francesco ce semo fatti tutti Lupi per ire su per lo bosco e neppure pensare alle capre, tu me potrai comprendere e dire che semo eretici et anco uno poco scemi o umiliati, a te dico e risponno che qui se lo monno roversato come lo poeta ce dicea… e anco cantava nell’intervallo fra una Jostra et l’altra…

Ma la neve e lo ghiaccio ce fanno bona astinenza…

Tutti quelli animali in tua lode se iti ju’ per lo fiume nero ju per lo torrente e de concerto se volevan tutti quanti atfgore pur de’ non essere magnati da codesti novi filosofi et christiani…

…Non pozzo chiamà neppure Noe’ che l’arca se ria ammutinata giu’ l’offisina piu’ mutilata de come l’havea pensata… pensavo e a te dico de poter trovargli bona locanda ove se potreino arrampicare su e ju’ per la montagna…

…Aspetto tuo jiudicio… su tutta la questio et avenctura & nuovo miracolo speramo, deto fra noialtri, che non se magnino anco lo somaro straco….

Comunque l’orsi e li lupi me fano bona compagnia con loro se parla e poco se magna… se guarda la neve invece della donzella primavera se’ tutta scolpita come lo libro della antica miniatura pare un mobile antico una panca sciancata una madia senza lo pane e lo vino della nostra sacta divina comunione…

Te saluto frate meco….

Attendo comunione…



                                          
 Si come l’Africa, e l’Egitto generano li Lupi da poco, e piccoli Lupi, coſi la fredda parte di Settentrione (ſecondo Plinio, nell’ottauo libro, cap. XXII) li produce aſpri, e crudeli. E che ciò ſia vero, lo diamoſtra la loro fierezza, e malizia, e maſſime nel tépo del coito, e nel  maggior freddo, quando fa biſogno, che li viandanti vadano armati, per guardare e ſe, e li loro cavalli da le lor forze. E maſſime le donne, che son vicine al parto, a le quali, li lupi, conoſcendole al nafo fanno grandi infidie.

La onde non ſi laſcia andare in camino niuna femina fola, anzi sempre ha feco un cuſtode armato: ſi come nela figura, qui di ſopra poſta, ſi dimoſtra.

Perche per il piu interviene, nel meſe di Gennaio, che gli huomini, che fanno viaggio ſopra le carrette da verno, eſſendo da ogni banda aſſaliti da groſſe ſchiere di Lupi, ſe vogliono reſtare in vita, biſogna che con le ſaetteli diſcaccino, e con le bombarde; onde naſce, che dovendo li viandanti andare a li loro privati  negozi, o a qualche Pieue, o Chieſa di Villa, ſono de le dette armi proveduti, ceme ſe doveſſero andare a combattere, anzi che ſpeſſo vengono queſte fiere in tanta fierezza, erab bia, ſpinti dala fame, dal freddo, e da naturale uſanza, che entrando dentro ale habitazioni de gli huomini, quivi preſtamente aſſaltando gli armenti, o cavalli, quelli devorano, o coſi lacera, ti, ſeco nele ſelue ſe li portano.

Ma non fanno cio ſenza lor danno. Perche quegli habitatori, banno a queſti mali li remedi. Perche legano certe falci di ferro al cadavero, dentro a le nevi, accioche li lupi, che qui vi vanno per devorare la preda, troncandoſi li piedi, ſiano coſi puniti, o auero da ſaette percoſſi, ſubito muoiono, overo ſprofondati in alcune foſſe ſotterranee, per la avidità, che hanno de la preda, quivi di fame ſi conſumano.

Anzi che molte altre beſtie rapaci di diverſe ſorti, come li Goloni, é le Volpi, cadendo dentro ale medeſime foſſe, hanno de la doro morte compagne, le quali prima con ſimile crudeltà, contra altrui erano si fiere, e violente.

Perche nel preſente libro al XV. cap. ſi è trattato de le divcrſe ſorti de Lupi, ho giudicato, dover far coſa convenevole, ſe nel fine di queſto libro degli animali ſelvarichi, io giugneſſe quella ſorte di Lupi, che di huomini ſono doucntati, e conuerſi.

Il che Plinio afferma confidentemente, tal coſa eſſere da giudicare falſa, e fabuloſa. Di queſti tali Lupi, ne le terre, che aſſai ſon volte al Settetrione, molte ſi ritrouano fino a hoggi,  in Pruſſia, Liuonia, e Lituania, quatunque quaſi tutto l’anno ſiano quei popoli, sforzati a prouare la rapacità de Lupi, con gran lor danno, perche andando a groſſe ſchiere, dilacerano le lor pecore, ſe punto dal gregge ſi allontanano; nondimeno queſto danno, non è da loro reputatosi grave, quanto quello che eſſi ſono sforzati patire dagli huomini conuerſi in lupi.

Perche nella feſta del Natale di Chriſto, nel tempo de la notte, in un certo ordinato luogo, che tra lor häno già determinato, tanta copia di lupi conuerſi di huomini ſi raccoglie; la quale, ſubito la medeſima notte, cò marauiglioſa fierezza, si còtra gli huomini, si ancora còtra gli altri animali, di piaceuole, e debol natura incrudeliſce, che maggior danno riceuono quelli popoli da queſti, che da li veri lupi, e naturali.

Percheſi come è manifeſto, eſſi oppugnano le caſe degli huomini, che nele ſelve riruouano, con marauiglioſa atrocità, e ſi sforzano ſpezzarele porti, e coſi gli uomini conſumano, come gli altri animali, che quivi albergano.

Dentro a la Lituania, a la Semogethia, & la Caronia, ſi truoua un certo muro, rimaſto in piedi, d’un certo Caſtello ruinato, a queſto in un certo tempo del’anno, molte migliaia di  lupi vi ragunano, e quiuvi vi fanno pruova de la lor deſtrezza nel ſaltare; e qelli che sopra queſto muro non poſſono ſaltare, come auuiene quaſi a tutti li piu graſſi, da li lor caporali ſono flagellati.

Finalmente ſi afferma coſtantemente, che tra queſta moltitudine ſi ritruouano ancora deli Baroni, e Signori di quel paeſe; li quali, come ſiano venuti in queſta pazzia, e trasformazione aſſai terribile: e tale che poi non poſſono piu diſprezzarla, e diſcacciarla, e nel cap, ſeguente ſi moſtrerà.

Imperoche quando alcuno, cupido di coſe nuoue, oltra il divino ordine, & iſtituto, o ſia Germano del paeſe, deſidera d’eſſer meſſo nel collegio di queſti maladetti huomini; li quali, qual hora lor pare, in Lupi ſi cangiano: tale che in certi tempi del’anno, ad alcuni luoghi deſtinati, tutto il tempo de la vita loro, inſieme con li loro ſeguaci ſi ragunano, & agli altri huomini danno morte, e fanno altri danni, & a le pecore, & gli armenti e parimente, in queſto modo lo fanno trasformare, e prendere figura, molto contraria a la ſua natura, Che da uno, che di tale incanteſimo è eſperto, glie data una tazza di ceruoſa a bevere (pur che colui, che in queſto conſorzio è accettato, la voglia accettare) e dicendo alcune parole, ſubito ha l’intento ſuo.

Di poi quando gli parerà il tempo opportuno, potrà la forma humana totalmente convertire in Lupo, entrando in qualche cantina, o in qualche ripoſta, occulta selva; finalmente può ancora, ſecódo il ſuo beneplacito, dopo alquato tépo laſciarla, e poi riprederla.

Ora, per venire agli eſempi, eſſendo un tratto un nobile gentil huomo, in viaggio, e caminando per una lunga ſelua, menava ſeco alcuni vili huomini, e di ſervil condizione, che di queſto incanto erano eſperti (come per il piu ſono in quelle parti). E già il giorno savvicinava al fine, e la notte veniviva, e biſognava alloggiare quella notte dentro ala ſelua, pere che non vi era luogo alcuno da alloggiare vicino; e finalmente erano molto oppreſſi da fame, e da penuria.

Finalmente uno di loro, propoſe un ſubito conſiglio, con patto, che gli altri doveſſero  acconſentirgli, e ſtar quieti, né eccitaſſero tumulto alcuno, ſe qualche nuova coſa veddeſſero, dicendo che egli vedeua di lontano un gregge di pecore paſcolare, e che voleva procurare, che almeno una di quelle haveſſero, per arroſtire a cena.

Quindi ſubito dentro ala oſcura ſelva ſe ne entrò; accioche’ da alcuno non poteſſe eſſer veduto, e quivi la forma del’huomo cangiò in Lupo. La qual trasformazione non pare, che in coſa alcuna ſia differente da quella di Licaone, ſe bene egli fu trasformato in Lupo, per le ſue ſceleranze; de la quale Ouidio fa menzione, nel primo lib. de le ſue trasformazioni, li cui verſi in qeſta lingua, in tal modo riſuonano.

,, E sforzandoſi in van parlar di rabbia,
,, Gonfia la faccia; e verſo il miſer gregge,
,, Il ſolito deſio di morte sfoga.
,, E ſi rallegra ancor di ſparger ſangue,
,, Cangia le veſti in peli, e i bracci in gambe,
,, Lupo doventa, e de l’antica forma
,, Ritiene i ſegni; e’l canuto colore
,, Gli reſta, e tien la ſua fierezza il volto,
,, Gli occhi riſplendon pure, e pur ſi moſtra
,, L’antica imagin ſua cruda, e feroce.

Patto queſto cò grande impeto, nel gregge de le pecore ſi fogò, & una rapitane, a dietro voltoſſi, e nella  la ſelva ſi fuggì; e quella non dopo molto tepo, in forma di Lupo al carro del Signore portò. Li compagni, che di queſta preda erano conſapevoli, con grato animo, lo ricevettero, e nel carro lo aſcoſero; e colui, che in Lupo sera cangiato, di nuovo ne la ſelva rientrò, e di nuovo ne la forma humana ritornò.

Ancora accadde in Livonia, non ſono molti anni, che la moglie d’un nobile huomo ,& un ſuo ſervo, tra loro vennero a parole: perche quivi è di queſti maggior copia in quel paeſe, che in altro luogo de’ Chriſtiani, e quitvianano tra loro, ſe gli huomini ſi poſſono convertire in lupi: finalmente quel ſervo le diſſe che ſubito le voleva moſtrare l’eſempio vivo di cotal coſa, pur che gli fuſſe data facultà di poterlo fare.

E coſi ſolo ſe ne entrò in cantina, onde poco dopo, uſcendo informa di Lupo, da li cani fu fatto fuggire, mentre che per il capo verſo la ſelva ſe ne andava, li quali gli cavarono un’occhio (quantunque aſſai valoroſamente ſi  difendeſſe) e l’altro giorno ritornò a la ſua padrona, con un’occhio ſolo.


(Aloa Magno) 










GLI ORRORI DEI GHIACCI E DELLE TENEBRE (23)















































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Gli orrori dei ghiacci e delle tenebre (22)

Prosegue...

Nell'eterna fuga (24)

...Della bellezza della (vera) Natura (25)














Ora hanno un pazzo a bordo!

Alexander Klotz resterà impietrito per intere settimane. Talvolta, quando le spinte glaciali dell’inverno li colpiscono, quando i malati di scorbuto gemono nella febbre e una tormenta di ghiaccio ricorda loro la fine dei tempi, essi giungeranno a invidiare il cacciatore che è così assorto in se stesso e sembra non riconoscere più nulla della loro realtà. Eppure quest’inverno sarà meno impetuoso e crudele del precedente.

Qui, vicino a terra, al riparo della loro terra, le spinte glaciali sono meno violente, il vuoto non è così immenso e inoltre essi sono sorretti dalla speranza di esplorare la terra nella prossima primavera per poi tornare a casa e, se dovesse essere, torneranno anche a piedi marciando sul ghiaccio. Torneranno, anche se ora diciannove di loro recano i segni dello scorbuto.




Marciare marcire morire resistere pregare parlare giammai recitare solo unire ciò che rimane dal passo inquieto dimenticato… i venti ululano spargano sangue spargano urla disperate membra fratturate come sassi sparsi lungo il cammino… concimano peggio del letame… una baracca ove ripararsi poi proseguire senza capire solo obbedire sperare che l’amico di ieri non sia il nemico di domani pochi anni son passati da quando ci scorgevano entro fienili assaporare la primavera benedire  parlare con la neve ed il ghiaccio ora la mira si fa confusa scorgo solo il lamento della pioggia…

…Vegliare e restare il turno di guardia reclama dovuta mira, al di là un’altro Spirito assorto recita ugual Memoria…

Sì, torneranno queste Anime questi Spiriti questi volti smarriti impietriti più duri del sasso e della neve…

Ricordi che pensiamo morti.

…Li vedo li scorgo ne odo le voci frusciare fra chiome di Alberi inquieti mentre l’agonia del lungo Inverno stenta a cedere ed abdicare il passo smarrito d’un tempo mutato…

Una nuova conquista, una nuova Guerra, un cimitero da difendere, una casa divisa. Una famiglia distrutta. Una Genesi contorta fondare oscuri confini della Storia.

Un Tempo malato senza Memoria s’arrampica conquista la cima non udendo lo strato della crosta volgere come un terremoto mutarne il clima…

Due i Sentieri che lenti si diramano lungo la Via…

…Due i Passi contesi dalla Storia per chi il dono dello Spirito resuscitarne la Memoria.

Ravvivarne la linfa come una eterna Primavera… scorgerne i pensieri soffocati d’un futuro destino più duro del ferro…

‘Mutare il Destino!’, reclama forte un ramo contorto, mentre un canto, un inno alla gioia recita antica preghiera.

…Un Lupo mi fa compagnia in questa strana predica…

Due i Sentieri lungo questa Via…

Odo i ricordi, odo i fucili, rimembro i confini mutare le Stagioni d’un futuro boato al rumore sordo d’un cannone soffocare e sommergere i flutti d’un torrente che sgorga da vene colme di vita, non s’ode la sua preghiera…

Un fucile tacita il Ricordo lo Spirito risorto, il suo inquieto assurdo rumore penetra le vene, il sangue lento scorre come e più del torrente.

Precipita a valle per colmare e fondare la Vita…

Ma il ricordare confonde le menti: risolute conquistano la vetta al motto d’una nuova antica dottrina…   

Difendere i confini.

Gente che fugge.

Trincee scavate lungo il monte, ululati di Lupi, lingue taciute nel silenzio rotto da un lampo neppure un fulmine solo acciaio brillare e tingere il giorno così come la notte.

La guerra ferisce ogni monte e collina ove un tempo si beveva buon vino ora sgorga un fiume di sangue…

Avanzare e ritritarsi….

…E il Tempo consuma ciò che rimane…  




All’epoca mi ero già così familiarizzato con i diari di Mazzini, che questa macchia di vino rosso mi catapultò su un lastrone di ghiaccio: Mazzini aveva descritto gli orsi polari cacciati dall’elicottero con fucili anestetizzati. È un movimento inimitabile, quasi aggraziato, quello con il quale questi animali si rizzano, allungano il muso verso l’alto fiutando qualcosa (poi... talvolta nonostante l'enorme ‘mole’ corrono a perdifiato sul ghiaccio...). L’elicottero si avvicina e allora accade ciò che nell’Artico non accade quasi mai: gli orsi si danno alla fuga, si allontanano trottando, sempre più veloci; infine non è più un trotto, ma una corsa elastica e possente.

Le bestie superano le ampie crepe che solcano le placche, attraversano i  canali a nuoto e mutano improvvisamente e inaspettatamente direzione.

Ma poi l’elicottero è sopra di loro, vengono colpiti dalle frecce e la corsa si trasforma in un malfermo barcollio. Infine giacciono sul ghiaccio; lontani tra loro. Sono tre. Viene loro strappato un dente dalla bocca. Una macchia di sangue stilla sul ghiaccio accanto al cranio. Con una pinza si applica loro un marchio metallico all’orecchio, un sottile rivolo rosso cola lungo la pelliccia sulla quale viene infine spruzzato anche un grande contrassegno colorato. Così si potranno seguire i percorsi degli orsi per centinaia di chilometri di ghiaccio. La macchia di sangue, sulla quale si formano rapidamente cristalli di ghiaccio, impallidisce.

(Anche a questa macchia si riallaccia un ricordo: nel corso della sua avventura, l’equipaggio della ‘Admiral Tegetthoff’ abbatté 67 orsi polari, con fucili Lefaucheaux e carabine Werndl. I cadaveri venivano smembrati con scuri e seghe da ghiaccio sempre secondo il medesimo schema: il cervello agli ufficiali, la lingua a Kepes, medico della spedizione, il cuore a Orasch, il cuoco, il sangue ai malati di scorbuto... l’arrosto di polmoni e le cosce alla mensa comune, il cranio, la spina dorsale e le costole ai cani da slitta, la pelliccia in un barile e il fegato... ai rifiuti...).

Nell’oscurità cominciò a nevicare...




Siamo peggio di ciò che cacciamo.

Siamo peggio di ciò che pensiamo nutrirci.

Siamo peggio del ghiaccio e della neve.

Siamo peggio della tormenta che gonfia il torrente.

Siamo peggio di questi ululati disperati: odono il domani affacciarsi all’oscuro presente.

Siamo peggio dei latrati rubati alle urla soffocate divenire tormento per ciò che nella piazza viene difeso come cani aggirarsi con musi segnati dall’odio…

Non sono ululati neppure latrati rette parole udite con orrore, abbiamo salutato ciò che rimane della loro ‘Compagnia’, ad ognuno abbiamo stretto le mani e neppure fatto il segnale convenuto digitato alla parabola di turno solo una parola per la trama della storia giacché ora sono il tirolese: saluto ognuno!

Addio amici futuri camerati e compagni, mi dissolvo nel vento evaporo lento fino ad una nuvola precipito da quella come un Dio cavalco il Fiume risalgo il Torrente rosso sangue l’Elemento si sposa e congiunge con il ghiaccio e la neve precipito a valle muovo una turbina la Terra mi ispira semino il fiore ne odo il profumo appassito la Stagione muta non recita Poesia ravviva il ricordo lento procedo lento non penso tornato dalla guerra diverrò più duro della pietra del ferro e non certo per forgiare la strana loro armatura la stretta feritoia ove un tempo prendevamo la mira rima nuovi ricordi il viso scuro come e più del carbone qualcuno mi addita come una bestia malata del proprio dolore di vita dura per questa nuova cima per questo Sentiero fin dentro l’antica grotta scavata nelle viscere della Memoria… Tre centesimi e una crosta di pane neppure il sale per la minestra ed il futuro che avanza e marcia a passo d’una nuova guerra…. Sì lascerò anche questa miniera dovrò fuggire disertare salutare ognuno lontano s’odono di nuovo i fucili come fuggire dal sentiero come fuggire questo passo come dar linfa ad una nuova primavera che non sia una Storia già vista e nata morta…?!

Addio amici compagni futuri camerati…


(C. Ransmayr, Gli orrori dei ghiacci e delle tenebre; accompagnato dal coro di voci, Sinfonia 1/2) )
















sabato 25 maggio 2019

'SINFONIE' & 'MOVIMENTI' (21)



















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'Sinfonie' & 'Movimenti' (20)

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Orrori dei ghiacci e delle tenebre (22/3)













La pretesa di essere ‘al di sopra dei partiti’, di fare appello agli ‘uomini di tutti i partiti’, di ‘rappresentare gli interessi puramente nazionali rimanendo estranei alle contese dei partiti’ caratterizzò tutti i gruppi imperialisti (in Russia i panslavisti si sottraevano alla competizione coi partiti sostenendo semplicemente di non rappresentare altro che l’appoggio popolare dato al governo, giacché questo in quanto ‘potere supremo in azione… non può esser legato a partiti) caratterizzò tutti i gruppi imperialisti, essendo una conseguenza naturale della loro predilezione esclusiva per la politica estera, in cui si supponeva che la nazione agisse come un tutto unico in ogni circostanza, indipendentemente dalle classi e dalle fazioni.

Inoltre, poiché nei sistemi continentali tale rappresentanza della nazione nel suo insieme era stata ‘monopolio’ dello stato, poté sembrare che gli imperialisti ponessero le esigenze di quest’ultimo al di sopra di qualsiasi altra cosa e che gli interessi generali della nazione avessero finalmente trovato in essi il tanto atteso appoggio popolare.




Ma, a dispetto delle pretese di genuina rappresentazione nazionale, i ‘partiti al di sopra dei partiti’ rimasero piccole associazioni d’intellettuali e di persone agiate e, come la Lega pangermanica, riuscirono ad avere un seguito più largo soltanto in periodi di emergenza.

La trovata decisiva dei pan-movimenti o Leghe, non fu dunque quella di porsi al di fuori e al di sopra della partitocrazia bensì quella di chiamarsi ‘movimenti’, alludendo alla profonda sfiducia nei confronti di tutti i partiti, già diffusa in Europa al passaggio del secolo e diventata alla fine così radicale che, ai tempi della Repubblica di Weimar, ogni nuovo gruppo riteneva di non poter trovare di fronte alle masse corteggiate una legittimazione migliore della marcata ostentazione del fatto di non essere un ‘partito’ ma una lega o un ‘movimento’.




Successivamente l’effettiva disintegrazione del sistema europeo dei partiti non venne certo provocata dai pan-movimenti o leghe, bensì dai movimenti totalitari precursori del detto fenomeno (va riconosciuta, come del resto anche l’autrice, l’indubbio 'movimento' nella successiva ‘opera’). Tuttavia i pan-movimenti furono i precursori di questi, dato che eliminarono l’elemento dello snobismo, così vistoso in tutte le leghe imperialiste, e poterono quindi trarre vantaggio dall’odio popolare contro le istituzioni che pretendevano di rappresentare il popolo....




(Tutt’oggi abbiamo una ulteriore ‘evoluzione’ di quanto affermato, giacché si riesce a coniugare ‘opposti’ in medesima volontà di comando e conquista, quindi rileviamo e riveliamo una ‘paradossale’ condizione in cui la Storia, e non solo la ‘politica’ che ne coniuga il corso, posta. Chiamarla nell’‘involuto atto ‘evoluzione’, mi sembra di interpretare la verità affine allo scenario odierno dove il terreno in cui precipitata la ‘conquista’ affine al potere, si scontra e coniuga con due opposti modi di comporre ugual singolo ‘movimento’ o ‘lega’. Lo scontro con tutti i ‘naturali’ ‘elementi’ contrari al viaggio detto, incarnato nella volontà di conquista ‘al di sopra’ della Storia ‘navigata’ e coniugata con altrettanti ‘elementi’ evoluti dagli stessi (come l’uomo e la natura), produce quella distaccata naufragata se pur concreta ‘ascesa e/o discesa’ in cui l’aerostato tenderà a concludere la propria industriosa incompatibile ‘conquista’ ai venti esposta, sia i naturali moti di cui la Natura, sia i venti (popolari) di cui si nutre l’aerostato della Storia. Se pur sfidando o appagando nella duplice natura ciò di cui l’aspirazione dell’uomo o sete di conquista. Duplice Natura ai venti posta, in cui se pur l’Opera di elevato ingegno, difettevole alla latitudine in cui posta. Così come un altro valente militare e ugual conquistatore (polare) provò medesimo limite nella ‘imperiale’ volontà di conquista traducendo una disfatta in tragico teatro di vittoria. Un po’ ciò che potremmo rimproverare alla nostra Hannah miope circa i vari modi della imperiale dottrina economica ‘innestati’ nella politica i quali hanno conseguito e partorito sempre e solo danni alla Storia detta. Così e  per concludere, possiamo assistere ad ogni impropria ‘conquista’ e ‘movimento’ certamente espressione della Storia incarnata e ‘al di sopra’ della stessa, in cui, però, il vero Elemento del Diritto derivato dalla Natura maturato nei secoli, negato, oppure e ancor peggio, sottratto alla vera ‘esperienza’ storica [e naturale] dell’uomo…).




A partire dalla fine del secolo scorso la reputazione del sistema parlamentare andò costantemente declinando, finendo per apparire, agli occhi della massa, un’istituzione costosa e superflua. Perciò ogni gruppo che cominciava la sua attività fuori dal parlamento con un programma ‘al di sopra degli interessi di partito e di classe’ aveva buone probabilità di diventar popolare.

I gruppi del genere sembravano più competenti, più sinceri, più solleciti del bene pubblico. Era naturalmente così solo in apparenza, perché il loro vero fine era quello di tutelare un interesse particolare a scapito di tutti gli altri e di impadronirsi dell’apparato statale.

È ciò che avvenne in Italia col fascismo, che fino al 1938 non fu un vero regime totalitario, bensì una comune dittatura ( a cui il popolo sovrano unito ancor aspira) nazionalistica, nata dalle difficoltà di una democrazia multipartitica.

(H. Arendt, Le origini del totalitarismo)














giovedì 23 maggio 2019

LA MOLTITUDINE (17)




















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La Moltitudine (16)

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...L'Italia (18/9)














Brutte notizie per l’economia italiana: nelle prospettive delineate oggi dall’Istat «nel 2019 il prodotto interno lordo (Pil) è previsto crescere dello 0,3% in termini reali, in deciso rallentamento rispetto all’anno precedente. I consumi delle famiglie, seppure in marginale rallentamento rispetto all’anno precedente, costituiranno la principale componente a sostegno della crescita mentre la spesa per gli investimenti segnerà una decisa decelerazione».

Neanche il reddito di cittadinanza sarà di grande aiuto sotto questo profilo, in quanto l’Istat prevede che questa misura sosterrà i consumi delle famiglie solo «in misura limitata»; in compenso «l’attuale fase di incertezza porterebbe le famiglie ad assumere comportamenti precauzionali, determinando un aumento della propensione al risparmio».

La debolezza dell’economia nazionale, dei consumi e degli investimenti non potrà dunque che riflettersi anche sul mercato del lavoro: «Nel 2019 – osserva l’Istat – si prevede che l’occupazione rimanga sui livelli dell’anno precedente (+0,1%) mentre si registrerebbe un lieve aumento del tasso di disoccupazione (10,8%)».

Se questo è il quadro fornito dall’Istat a un anno dall’insediamento del “Governo del cambiamento” è importante osservare che incrociando le criticità economiche con quelle ambientali la situazione non migliora.

Intervenendo al lancio del Festival dello sviluppo sostenibile organizzato dall’ASviS, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha posto l’accento sul fatto che in «Europa gli effetti attesi dei cambiamenti climatici interessano soprattutto i paesi collocati nella fascia meridionale come l’Italia», e che «questi mutamenti pongono nuovi rischi per l’economia reale e per la stabilità del settore finanziario». Non si tratta in questo caso di previsioni, ma di dati di fatto: «In Italia lo scorso anno è stato quello più caldo da due secoli, ma già il 2017 si era caratterizzato per un forte inasprimento delle condizioni climatiche, con significativi fenomeni di siccità su gran parte del territorio nazionale e gravi ripercussioni sulle risorse idriche»; ad esempio, secondo «tutti i principali scenari climatologici, l’Italia sarà la nazione europea più esposta ai danni legati all’esondazione dei fiumi».

Tutto questo significa che l’avanzata dei cambiamenti climatici espone l’economia italiana a molteplici rischi. Visco osserva che si tratta di fenomeni in grado di «causare gravissimi costi in termini di vite umane e di distruzione di infrastrutture pubbliche e private», fino a «influire in modo permanente sulle capacità produttive del Paese». Inoltre «gli effetti dei cambiamenti climatici sull’economia reale possono propagarsi al settore finanziario», in molti modi: ad esempio restrizioni al credito nei confronti dei soggetti localizzati nelle aree più a rischio (già oggi il 20% dei prestiti al settore produttivo viene erogato a residenti di aree ad elevato rischio alluvionale), o rischi di transizione dati dalla «possibilità che il necessario passaggio verso un’economia a bassa emissione di carbonio (low carbon) avvenga in modo disordinato». Complessivamente, «qualora la scala di questi effetti divenisse rilevante, potrebbe risentirne la stessa stabilità del sistema finanziario».

Per evitare scenari apocalittici è dunque indispensabile mettere da subito in campo adeguate politiche di sviluppo sostenibile. E se «una crescita economica stabile, equa e inclusiva, che non comprometta gli equilibri ambientali non può essere solo responsabilità del settore pubblico», a quest’ultimo spetta comunque il compito «di creare una cornice regolamentare stabile e moderna, di definire e attuare interventi efficaci – di natura economica, ambientale, energetica e sociale – mirati anche a fornire incentivi appropriati per stimolare nuovi investimenti».

Una necessità che è stata sottolineata oggi anche dal  Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, nel corso dell’assemblea annuale della confederazione: «Accettiamo la sfida della sostenibilità, investendo ancora di più sull’economia circolare e sull’efficienza energetica, mobilitando risorse pubbliche e private e puntando su una tassazione premiale a sostegno di questi investimenti. Per realizzare una crescita soddisfacente, servono politiche economiche decise, coerenti e lungimiranti. E, soprattutto, serve continuità di azione e il rispetto di un fattore troppe volte ignorato e invece cruciale: il tempo di realizzazione delle cose che decidiamo di fare».

(Luca Aterini; Green Report)

E per concludere in ciò in cui non detto: investiamo su detta crescita saggiamente giacché ancora ne abbiamo le possibilità manifeste.

Un domani potrebbe essere tardi!










      


domenica 19 maggio 2019

LA MOLTITUDINE (15)
































































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La Moltitudine (14)

Prosegue nella...

Moltitudine (16)













Accennavamo ad un innesto strano, un altrui seme(nza) fors’anche ennesima scemenza, neppure importata da remoti paesi in perigliosi Viaggi in cerca della Terra promessa o del prete Gianni, quest’ultimo braccato nonché privato, in pubblico ‘appalto’, della propria Dottrina non meno che Teologia, non men, del Dio il quale, a parte le divergenze fra un Primo ed un Secondo Universale Astrale candidato, dovrebbe presiedere l’intero Creato, appaltato però ad uno strano ‘sovrano’ il quale preferisce ciarlare circa la propria ed altrui ‘opera’ abdicata confusa e edificata ad una grande pubblica piazza divenuta per l’occasione il ‘cantiere’ ove promettere l’‘amnistia’ o il ‘condono’ per ogni vera bestemmia eretta in nome d’un falso Dio… scambiato per ‘moneta’…




Così come un remoto attuale corrotto Tempo, predico ed indico un dèmone antico non men che lo sterco del diavolo, addito, anzi, pubblicamente il ‘pericolo’ di chi, pur il ‘potere’ la ‘gloria’ la ‘potenza’ in nome del Dio apostrofato, in verità e per il vero, il più grande nemico della sua Opera.

E da questa Cattedrale ed in sua difesa permettetemi un appello ed un dovuto distinguo fra chi Eretico, e chi, invece, recita pubblica ‘commessa’ per l’altrui ‘materia’, confondendo e tradendo ogni Elemento ogni vera superiore Opera.




Dal mio pulpito reclamo e indico, non men e come il dovuto Tempo antico, un falso sovrano incarnare non men che cavalcare e seminare la morte. L’Apocalittica Visione non certo alla parabola distribuita e a reti unificate ciarlata, scorgere il catastrofico profondo abisso ove precipitato ed affogato il Principio e con esso la Ragione, ed ancora, il Diritto la Fede la Verità la Comprensione e la Carità.




Non voglio adoperare l’altrui sofferenza per un impropria politica, giacché sappiamo bene che l’altrui e proprio patire un ottima moneta di scambio non men che fragile breve politica.

Non voglio adoperare il nero ed ogni esiliato oppure umiliato per ciò che nutre il salvadanaio della politica, ma vigilare affinché l’intera Comunità sia rettamente e saggiamente disciplinata in codesta difficile ‘dottrina’ e non più ‘materia’.

Giacché il ‘male’ di cui accennavo tende ad allargare il proprio dominio e non solo un problema ‘isolato’, perché l’intento proprio quello di ‘isolare’ per meglio usurare i ‘tessuti’ e l’intero apparato qual unico corpo infettato.




Non voglio confondere ‘morale’ ‘etica’ e ‘principio’, non possiedo né presiedo questo dono, ma con tutta l’umiltà che Dio comanda confusa per altro, con codesti principi possiamo fondare un corpo sano e non certo malato come già ‘curato’ da precedenti frutti avariati ed appestati.

Non voglio contare i morti alla ‘terza pagina’ affissi ed  ad ogni ‘appendice’ pubblicamente avversati, giacché sappiamo bene che il ‘passo’ nutre breve ‘materia’ e non compone nessun ‘gioco’ per più elevata disciplina.

Non voglio scorgere corpi appestati nutrire pagine disordinate per ciò che è Stato ed Impero divenuto, giacché le mura ovunque proteggono e cingono l’araldo d’una antica genetica fierezza non dovutamente e sufficientemente coltivate in ciò che differenzia ed accomuna il singolo dall’universale.

L’Uno scisso nel molteplice ed il molteplice Uno!




Non voglio nutrire divisioni per l’appetito di qualcuno, giacché l’astinenza e il digiuno non osservati qual araldi di elevata morale e crescita.

Non voglio saziare cotal corpo con questo pane, la dovuta comunione pretende diverso nutrimento per lo Spirito giacché ognuno abbisogna di sano intendimento e non cibo avariato non men che avvelenato.

Non voglio e posso correre inutilmente per ciò cui difetta l’intera Ragione non men che Regione, preferisco nutrire e saziare l’Anima con le radici d’un antico superiore Principio!




Non voglio osservare morire ogni Stagione dello Spirito specchio d’un Dio, e cercare le parole giuste per le dovute ‘terze pagine’ assise piangere del proprio ed altrui letame…. E ad una prossima appendicite abdicate, giacché l’intera ‘morale’ non men che ‘etica’ corrotta ed appestata e non certo dovutamente e rettamente ‘concimata’.

Non voglio reclamare un ‘falso motivo’ ed essere servo d’un Impero assiso, preferisco pregare il mio Dio il quale vedo ogni mattino, giacché lui comprende chi in buona e malafede.




Non posso assistere alla lenta Apocalisse che irreversibile cavalca sovrana ed impera, appare uno scheletro senza ‘materia’ in cui scorgere un corpo negato ricolmo di Vita.

Non posso ammirare tanto meno pregare cotal scheletri lungo la Via qual evoluti corpi in libera conquista: lenta la morte si avvicina muta le Stagioni della Vita.

Muta penetra ogni Elemento nella propria ed altrui conquista, la ‘peste’ si avvicina non morde non urla non striscia, non muta la propria deleteria ‘dottrina’ divora ogni cosa nella inesorabile falsa conquista.




Non indico la Via. Saggia retta Parola. Giacché non conteremo più cicatrici solo corpi mutilati in cerca dell’ultima Stagione morta.

Non predico ‘dottrina’ solo un monito e che un Santo mi assista, e con Lui, il Lupo compagno del difficile cammino, solo il Dio che dalla Natura come fu per il suo profeta mi indica la Chiesa malata precipitare ed implorare.

Dal suo ramo dalla sua foglia dall’onda da ogni Elemento ricostruire quanto stanno distruggendo!