giuliano

martedì 30 luglio 2013

LA SUA ANIMA (36)




































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La sua rima (35)

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Lo sterco del diavolo & i segreti del mestiere (37)









Sotto un promontorio dalla base scoscesa, dalla cima arrotondata e ri-
vestita di grandi alberi, il torrente di montagna viene a scontrarsi con
un altro ruscello, quasi altrettanto abbondante e come lui lanciato da
un pendio molto inclinato.
Le acque dell'affluente, che si mescolano a quelle della corrente princi-
pale in larghi vortici orlati di schiuma, sono di una purezza cristallina:
nessuna molecola di argilla ne turba la trasparenza e sul fondo di roc-
cia nuda non scivola nemmeno un granellino di sabbia.




I flutti non hanno ancora avuto il tempo di sporcarsi (dell'immane imm..)
demolendo le rive e mescolandosi con il fango che trasuda dal suolo; è
sgorgato dal seno stesso della collina, e come prima scorreva nel suo
letto tenebroso di rocce, così ora rimbalza sotto la luce festosa.
La grotta da cui scaturisce (o scava) il ruscello non è lontana dal con-
fluente: fatti pochi passi si vede subito, attraverso la ramaglia intrec-
ciata, la grande porta nera che dà accesso al Tempio sotterraneo.




La soglia è ricoperta dall'acqua che si getta impetuosa fra i mucchi di
sassi; ma saltando di pietra in pietra si può entrare nella caverna e rag-
giungere una stretta e scivolosa cornice lungo la quale, non senza peri-
colo, ci si può avventurare.
Basta qualche passo per essere trasportati in un altro mondo.
Improvvisamente si è colti dal freddo, e da un freddo umido; l'aria sta-
gnante, in cui i preziosi raggi del sole non penetrano mai, ha qualcosa
di acre, come se non dovesse essere respirata da polmoni umani; la




voce dell'acqua si ripercuote in lunghi echi nelle cavità sonore e sem-
bra che siano le rocce stesse a emettere grida: alcune rimbombanti in
lontananza, altre fioche e fuggevoli come sospiri nelle gallerie.
Tutti gli oggetti assumono proporzioni fantastiche: un piccolo buco che
si apre nella pietra sembra un abisso, una roccia che scende dalla vol-
ta sembra una montagna rovesciata, le concrezioni calcaree intraviste
qua e là assumono l'aspetto di mostri enormi, un pipistrello che si alza
in volo suscita un brivido di orrore.




Non è il palazzo fantastico e splendido che ci scrive il poeta arabo del-
le Mille e una notte, ma un antro buio e tetro, un luogo terribile. Lo sen-
tiremo soprattutto se, per godere esteticamente della sensazione di spa-
vento che colpisce anche l'uomo coraggioso al suo ingresso nelle caverne
ne, osiamo addentrarci senza guida e senza compagni: privi dell'emula-
zione che dà il gruppo di amici, dell'amor proprio che costringe ad assu-
mere un atteggiamento audace, dell'esaltazione fittizia che producono le




esclamazioni, gli echi delle voci, i bagliori delle varie torce, non abbiamo
più il coraggio di procedere, se non con il sacro terrore del greco che scen-
de negli Inferi.
Ogni tanto ci voltiamo indietro per rivedere la dolce luce del giorno.
Come in un quadro, il paesaggio sfumato e ridente della luce appare fra
le pareti buie, incorniciate all'ingresso di edera e vite del Canada.
Ma il fascio luminoso diminuisce gradualmente man mano che avanziamo:
improvvisamente una sporgenza della roccia ce lo nasconde e solo qual-
che bagliore livido erra ancora sui pilastri e sui muri della caverna; e po-
co dopo entriamo nel buio senza fondo delle tenebre e per guidarci abbia-




mo solo il luccichio incerto e capriccioso delle torce.
Il Viaggio è difficile e sembra lungo per il terrore che riempe i baratri e le
gallerie. Ogni tanto si può andare avanti solo con grandissima difficoltà:
bisogna entrare nel letto del ruscello e tenersi in equilibrio sulle pietre vi-
schiose; più in là si abbassa per una curva e lascia solo un angusto passag-
gio in cui bisogna infilarsi strisciando; se ne esce sporchi di fango e si va
 a sbattere contro rocce con stretti rilievi sui quali ci si arrampica.




La grotta si ramifica all'infinito nelle profondità della montagna.
Dovunque si aprono come gole di mostri i neri accessi alle gallerie latera-
li. Mentre nella libera valle il ruscello, scorrendo ininterrottamente alla lu-
ce, ha corroso e poi esportato gli strati di pietra che riempivano un tempo
l'enorme spazio lasciato vuoto fra i due crinali paralleli dei monti, l'acqua
delle caverne che nel suo cammino diverrà......
(E. Reclus, Storia di un ruscello)
(dello stesso autore puoi leggere anche:  Natura e società) 


















lunedì 22 luglio 2013

E MORI' COME VISSE: URLANDO E BESTEMMIANDO (30)








































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E morì come visse: urlando e bestemmiando (29)

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Ogni infamia sarà cancellata (e donata a chi neppur l'ha pensata) (31)













Era un papa del Rinascimento un po' in anticipo sui tempi, un Borgia avanti lettera....,
cinico e gagliardo, dispotico, teatrale e terrestre.
Coltivava  scrupolosamente tutti i peccati (non ne dimenticava uno...).
Era ingordo (e non solo di potere...): un giorno di digiuno matrattò il cuoco perché
gli aveva servito solo sei pietanze (rispetto alle quindici di cui era abituato...).
Era avido di ricchezza: si faceva trapungere le vesti di gemme, e la sua tavola era ad-
dobbata con quindici alberelli d'oro: uno per portata....
Era superstizioso e dedito ai sortilegi, agli inganni, alla calunnia: i suoi coltelli aveva-
no per manico corna di serpente, in tasca portava una piastrella d'oro egiziana, e al
dito un anello strappato al cadavere di re Manfredi: tutti amuleti contro il malocchio.
Era un giocatore arrabbiato: si era fatto fare dei dadi d'oro, ma guai all'avversario
che osava batterlo.
Ed era soprattutto assetato di dominio (per quello si sarebbe alleato con il suo più
feroce nemico... era romano in tutto e per tutto....).




Il giorno dell'elezione al Soglio Pontificio indossò la tiara e chiese agli astanti se lo
consideravano rappresentante di Dio in terra. Avutene conferma, si mise in testa una
corona (e per il bene della nazione cui pretendeva servire.....), brandì una spada, e
chiese se lo consideravano anche Imperatore. Dato il tipo, nessuno osò negarlo.
La sua politica prese avvio da quel gesto.
Questo papa miscredente e blasfemo incarnava la maestà della Chiesa e non ammet-
teva che il suo primato terreno fosse revocato in dubbio. Essa era, secondo lui, pa-
drona e proprietaria non solo delle anime, ma di tutto (compreso il potere giudiziario)
con cui soleva giudicarle....
Quindi anche i troni le appartenevano: i re ne erano che momentanei appaltatori.
Figuriamoci se poteva tollerare dissidenze dentro gli.... Stati pontifici.




I Colonna, che ne tentarono una, furono scomunicati e costretti alla fuga. Bonifacio ne
confiscò le terre, fece radere al suolo la loro roccaforte, Palestrina, e ne cosparse di sa-
le le rovine in segno di purificazione.
Quando l'imperatore Alberto d'Austria gli mandò come ambasciatore un semplice frate,
Bonifacio gli ruppe il naso con un calcio procurandogli una grave emorragia. Ma natural-
mente non tutti erano disposti a subire simili prepotenze, e re Filippo, per esempio, vi
rispose a tono proibendo al clero d'inviare a Roma le decime raccolte nei suoi Stati.
Era un colpo grave per le finanze della Chiesa perché la Francia era la loro fonte più gras-
sa. Ma lo era anche per il prestigio del Papato.
Fu allora che Bonifacio indisse il Giubileo: un po' per rivalersi dallo smacco politico, un
po' per colmare i vuoti in cassaforte. E l'iniziativa non poteva essere più congeniale al
carattere teatrale dell'uomo e alla vocazione di un grande regista.
Il lancio pubblicitario fu perfetto.




Per mesi e mesi, dai pulpiti di tutta Europa, i predicatori bandirono il pellegrinaggio van-
tando benefici che c'era da aspettarsene: la salvezza dell'anima e i diletti turistici. Allo
stambureggiare richiamo, si mossero centinai di migliaia di persone, chi a piedi, chi sui
carri, chi a cavallo. I più, data la lunghezza e i rischi del viaggio, fecero prima testamen-
to.
E parecchi infatti morirono per strada, ma sicuri di volare in paradiso. Da un capo al-
l'altro del mondo, l'Urbe registrò un movimento di 30.000 pellegrini al giorno. Andava-
no e venivano in colonna a prostenarsi sulle tombe degli Apostoli, dove ricevevano l'-
indulgenza plenaria e lasciavano cadere il loro obolo, che due diaconi armati di pala
si affrettavano a rastrellare.
La media giornaliera degl'introiti del grande affare fu di mille libbre al giorno: cifra,
per quei tempi, colossale.
Dove gli ospiti alloggiassero e dormissero, non si sa. Ma a quanto pare i romani ci ....
fecero affari d'oro. Finalmente la città tornò a sedersi 'caput mundi', la capitale del
mondo, e ad assaporare il gusto delle folle poliglotte e multicolori, dell'abbondanza
e della gozzoviglia (quella che per il vero ha sempre amato...).
(I. Montanelli, Storia d'Italia....)














martedì 16 luglio 2013

IL RITORNO DEI PAPI: il recinto (24)














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il ritorno dei papi: il recinto (23)

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fuori dal recinto (25)










Il proliferare delle innumerevoli rocche, fondate ricostruite
o riadattate nel periodo Albornoziano, diventa il simbolo del
nuovo stato e segna anche una lacerazione insanabile nelle
città.
Pochi anni dopo la morte dell'Albornoz, quando la situazione
politica mutò nuovamente, l'ostlità dei cittadini verso quelle
 fortezze si manifesterà con inevitabili fenomeni di rigetto e,
infatti, nell'ultimo quarto del XIV secolo molte di esse saran-
no semidistrutte e resteranno abbandonate.




Saranno gli stessi papi, dopo circa un secolo e forti ormai di
un potere consolidato nello Stato Pontificio, a ricostruire le
rocche dell'Albornoz, riproponendole con funzioni e forme
architettoniche adeguate ai tempi nuovi.
A tale proposito è significativo il testamento più che spiri-
tuale, di Nicolò V:




"Udite le ragioni, venerabili Fratelli, e considerate i moti-
vi che ci hanno indotto a dedicarci con tanto impegno a co-
struire e ad edificare, chè vogliamo che anche le Vostre 
Venerazioni comprendano quali sono i motivi che princi-
palmente ci hanno spinto a far ciò.
La grandissima somma autorità della Chiesa Romana, in-
nanzitutto, può essere compresa soltanto da coloro che 
ne abbiano appreso le origini e gli sviluppi attraverso lo 
studio delle lettere. 
Ma la massa della popolazione è ignara di cose lettera-
rie e priva di qualsiasi cultura; e sebbene senta spesso 
affermare dai dotti e dagli eruditi che grandissima è l'-
autorità della Chiesa e a questa loro assersione presti 
fede, reputandola vera e indiscutibile, ha bisogno tutta-
via di essere colpita da spettacoli grandiosi, chè altri-
menti, poggiata com'è su basi deboli ed instabili, la sua
convinzione finirebbe col passare del tempo, per ridur-
si a niente. 
Con la grandiosità degli edifici invece, di monumenti in
qualche guisa perpetui, testimonianze che sembrino qua-
si opera dello stesso Dio, si può rafforzare e confermare
la stessa convinzione popolare che ha il fondamento nel-
le affermazioni dei dotti, così che si propaghi fra i vivi e 
si tramandi, nel tempo, a tutti coloro che tanto meravi-
gliose costruzioni avranno modo di ammirare.
E' questo il solo modo di mantenere ed accrescere la con-
vinzione stessa perché, così conservata ed accresciuta
possa perpetuarsi con l'ammirevole devozione (fonda-
mento degli ignoranti).
In secondo luogo occorrono, come testimonianze della
devozione dei popoli cristiani verso la Chiesa e la Sede
Apostolica e insieme come difesa sicura per gli abitanti
e minaccia per i nemici, le fortificazioni delle città e dei 
villaggi, che si possono rendere più salde con la costru-
zione di grandi nuove opere di difesa nonché di solo 
prestigio, ideate per resistere agli attacchi dei nemici 
esterni e dei sovversivi interni (come gli eretici...) sem-
pre animati codesti da volontà di distruzione".
(.......)













sabato 13 luglio 2013

DESIDERIO DI CARNE (22)














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desiderio di carne (21)

Prosegue in:

il ritorno dei papi: il recinto (23)










Si osservi che nel linguaggio ecclesiastico, così come nel linguaggio comune,
la dieta quaresimale è definita 'mangiare di magro', mentre il 'mangiare di
grasso' equivale al mangiar carne.
Dunque la cultura medievale - rimasta, in questo caso, fino ai giorni nostri -
identifica la carne con il grasso, o perlomeno li accomuna nella stessa corni-
ce di valori, proiettando anche sul grasso l'immagine fortemente positiva che
annota la carne.




La cosa si conferma sia sul piano economico sia sul piano simbolico: se i ta-
gli di carne erano tanto più apprezzati commercialmente quanto più erano
grassi, l'aggettivo 'grasso' per lo più denotava caratteri di benessere e felici-
tà, spensieratezza e disinteresse per l'altrui condizione.
Per Bologna, l'apiteto 'grassa' (moglie del grasso) non fu certo coniato per
dileggio, e l'alta borghesia fiorentina non trovò migliore espressione di 'po-
polo grasso' per definire il proprio statuto sociale nel momento del massimo
(e talvolta illusorio) potere economico e politico....




I canoni di valutazione erano opposti a quelli attuali, e l'affannosa richiesta
di 'carne magra', oggi così di moda, sarebbe apparsa ai nostri progenitori
quantomeno bizzarra.
In questa complessa vicenda alimentare (materiale e simbolica a un tempo)
gioca un ruolo importante anche l'immagine sociale - e in senso lato politica -
che la cultura medievale associa al consumo di carne.
Se la carne è per eccellenza l'alimento che dà forza, esso sarà per eccellen-
za il cibo del potere, in virtù di un implicito passaggio intermedio (la forza
.. della carne... come elemento primario del potere) che la cultura medieva-
le dà in qualche modo per scontato.




Il potente è il guerriero( il re, il monarca, poi il politico), è colui che combatte
meglio degli altri ed è in grado di batterli. La forza si costruisce in primo luo-
go con la carne.
La carne è il cibo del guerriero, che costruisce la sua forza legittimandolo a
comandare.....
La crescita della popolazione, dal IX secolo in poi, spinge molti contadini a
erodere la foresta per ricavarne spazi coltivabili: un campo a cereali produce
più cibo di un terreno boschivo. Anche i signori spingono in questa direzione,
sollecitano i contadini ad allargare le coltivazioni: i profitti che se ne ricavano,
attraverso canoni e decime sui raccolti, sono più abbondanti e meglio spendi-
bili sui mercati alimentari.




Infine, cosa importante..., i signori tengono a riservare a se stessi la pratica
della caccia, che ha un ruolo essenziale nella definizione e nella rappresenta-
zione dell'identità nobiliare. Un po' alla volta, il consumo di carne si diversifi-
ca socialmente.
Sul piano quantitativo, anzitutto: i contadini ne mangeranno sempre meno e
la carne diventerà sempre più uno 'status symbol' dello stile di vita nobiliare.
Il carattere elitario dei consumi carnei si definirà anche in termini qualitativi:
la selvaggina, in modi più o meno accentuati a seconda delle regioni, sarà ri-
servata alle tavole 'alte' della società.
In seguito rileveremo l'uso del 'potere feudale' inteso in questo ed altri termi-
ni ed il suo riflesso nell'attuale società.....
(M. Montanari, Gusti del Medioevo)













 

martedì 9 luglio 2013

'NUMMUS NON PARIT NUMMOS' (18)















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'nummus non parit nummos' (17)

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Fra Ubertino Da Casale (20/19)













Possediamo pochi documenti medievali che ci informano su concrete resti-
tuzioni di somme guadagnate con l'usura.
Gli storici che non credono troppo al potere di condizionamento della reli-
gione sugli uomini ritengono che il loro numero sia stato limitato. Io credo,
invece, almeno per il XIII secolo, che l'ascendente della Chiesa sulle cosci-
enze e il terrore delle fiamme infernali abbiano incoraggiato molte restitu-
zioni; non a caso autori ecclesiastici hanno scritto trattati intitolati 'De Re-
stitutionibus', per illustrarne le procedure.




Certo è che l'atto della restituzione era considerato uno dei più faticosi da
compiere. Ne è inattesa testimonianza una frase di Luigi IX il Santo ripor-
tata da Joinville:
'Il re diceva che era una pessima cosa appropriarsi dei beni altrui perché
restituirli era così arduo che la sola pronuncia della parola 'rendere' stroz-
zava la gola a causa delle 'r' che contiene, le quali rappresentano i rastrelli
del diavolo che sempre trascinano indietro coloro che hanno deciso di re-
stituire i beni altrui. E con astuzia il Maligno inganna ladri e usurai in mo-
do che essi si portano ciò che dovrebbero restituire'.




La Chiesa del secolo XIII non si accontenta di condannare l'usura all'Infer-
no, ma la espone alla riprovazione e al disprezzo degli uomini. Un cele-
bre predicatore del XIII secolo, Giacomo di Vitry, racconta quanto segue:
'Un predicatore voleva dimostrare a tutti che il mestiere di usuraio era tal-
mente odioso che nessuno osava confessare di praticarlo; così durante un
sermone disse: "io voglio darvi l'assoluzione secondo le vostre professioni:
si alzino i fabbri". E si alzarono. Dopo aver dato loro l'assoluzione, disse:
"Si alzino e pellicciai!". E si alzarono. E così proseguì i diversi artigiani, che
via via si alzavano. Infine gridò: "Si alzino gli usurai per ricevere l'assoluzio-
ne!". Gli usurai erano i più numerosi, ma si nascondevano per la vergogna.
Essi si ritirarono pieni di imbarazzo tra le risate e gli scherni'.




La Chiesa medievale ha classificato la società in tre categorie: uomini di
preghiera, guerrieri e lavoratori. Giacomo di Vitry, però, ne aggiunge una
quarta:
'Il Maligno ha inserito un quarto genere di uomini, gli usurai. Essi non par-
tecipano al lavoro degli altri e perciò non subiranno il castigo degli uomini,
ma quello dei diavoli. La quantità di denaro che hanno guadagnato con l'-
usura corrisponde alla quantità di legna inviata agli Inferi per bruciarli'.
(J. Le Goff, Lo sterco del diavolo)













lunedì 8 luglio 2013

L'ERESIA DEL LETTORE (ed i limiti della cultura) (14)













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l'eresia del lettore (ed i limiti della cultura) (13)

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tra eresia e ortodossia (15) &

tra eresia e ortodossia (16)










La quale cosa fatta, né più né meno, come se il detto lettore
avesse affermata eresia, il predetto inquisitore comandò a
questo medesimo lettore che il detto suo immantanente, in
presenza di tutti, rivocasse.
Il quale lettore non volse rivocare per niuno modo, ma impe-
rò ch'era costretto a rivocare quella cosa che era sana et cat-
tolica.




Et come cosa sana e cattolica diffinita per la chiesa et anche
per li suoi credenti. E temendo per questo d'essere aggrava-
to per molti modi contro la giustizia, alla sedia appostolica
solennemente appellò, e colla sua appellazione venne a Vigno-
ne, dove il predetto papa Giovanni usufruttuario della 'vera
fede' godea regno, allora colla sua corte risedeva.




E nel Concistoro, inanzi a lui, già informato dello contrario,
personalmente comparì et propuose il detto lettore la cagio-
ne della sua ventura.
Il quale papa Giovanni detto fece arestare nonché pagare lo
tributo cagione della detta resia, et inoltre propuose pubbli-
camente (oltre pubblica umiliazione...) questa et precisa que-
stione: cioè, se pertinacemente affermare, il nostro Signore




Gesù Cristo e gli appostoli suoi non avere avute alcune cose
  in speziale, né eziando in comune, fosse da giudicare per
cosa eretica.
E la forma di questa quistione, in iscritte a tutti i prelati et
in Primissima cosa ai maestri in teologia, che erano nella
sua  corte, fece dare.
(La questione della povertà di Cristo in Storia di fra'.....
Michele Minorita)









domenica 7 luglio 2013

SOSTA AD AVIGNONE (denaro & guerra) (10)














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sosta ad Avignone (denaro & guerra) (9)

Prosegue in:

sosta ad Avignone (11)










Se, come è noto, la Chiesa ha cominciato almeno da Innocenzo
III (1196-1226) a formalizzare i prelievi dovuti dalla società cri-
stiana alla Santa Sede, l'organizzazione della corte pontificia ha
richiesto più tempo.
Un passo decisivo è la scelta compiuta da Giovanni XXII (1316-
1334), di assoggettare tutti i benefici ecclesiastici al sistema
fiscale centrale.




Le necessità finanziarie della corte papale sono sensibilmente ag-
gravate da due circostanze: l'edificazione del palazzo dei papi ad
Avignone, dal 1345 al 1360, e le guerre condotte in Italia (ma non
 solo) contro gli aggressori dei possedimenti pontifici.
Incontriamo qui due dei settori principali che nel Medioevo hanno
accelerato e incrementato il ricorso al denaro (lo sterco del diavo-
lo): l'edilizia e la guerra.
Dal pontificato di Clemente VI (1342-1352) la Santa Sede avigno-
nese si trova pertanto costretta a incrementare le entrate fiscali.
 Il primo passo è l'approvazione dei benefici, conseguita




grazie a due iniziative: la nomina diretta ad opera del papa dei
titolari di un beneficio in cambio di una parte delle rendite che
ne derivano; la confisca da parte della Santa Sede delle rendi-
te dei benefici vacanti.
Il fisco pontificio si scopre peraltro inaspettatamente arricchi-
to dalle conseguenze della Peste nera che si abbatté sull'Europa
dal 1348.
I benefici di molti titolari morti durante l'epidemia vanno infatti
ad alimentare direttamente le finanze della Chiesa. Per contro,
l'avidità pontificia suscita, soprattutto in Germania e Inghilterra,
nuovi aspri conflitti tra Santa Sede, Chiese nazionali e principi.
E' stato perfino ipotizzato che l'ingordigia fiscale dei papi avigno-
nesi sia stata una delle lontane cause della Riforma protestante.
(Prosegue....)
(Jacques Le Goff, Lo sterco del diavolo)










 

venerdì 5 luglio 2013

UNA 'BOLLA' PER IL PARADISO (6)















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una 'bolla' per il paradiso (5)

Prosegue in:

una 'bolla' per il paradiso (7)









Tutti abbiam visto la lacrima
della bella pargoletta,
vergine benedetta della mia
santa visione,
donare la vista chi ha smarrito
la speranza di un mondo migliore,
ci inchiniamo a lei madonna
d'amore.
Per questo non scordiamo
i calzari di Sant'Antonio,
perché conducono dritti al perdono.
Il bastone di San Pietro
porta dritto al convento,
l'unghia di San Filippo
cura anche la peste.
La vista della Gerusalemme
per sempre liberata,
dona a noi tutti...,
la salvezza sperata.
(G. Lazzari, Frammenti in Rima,
Dialogo In-Crociato - Per conto 
del Dio del soldato - Fr. 16/8) 









Al rumore e alle grida che tutti levammo, accorrono avventori e vicini e vanno
a interporsi fra i due litiganti, che, fieramente sdegnati, cercavano di liberarsi
per ammazzarsi; ma siccome la calca al gran baccano cresceva, al punto che
la casa era tutta piena di gente, vedendo che non riuscivano ad affrontarsi con
le armi, i due si coprivano d'ingiurie; fra le quali il bargello disse al mio padrone
che era un falsario in quanto le bolle che metteva in vendita erano false.
Infine, quelli del paese, vista l'impossibilità di rappattumarli, decisero di trasci-
nar via dalla locanda il bargello.
E così il mio padrone restò solo e pieno di corruccio, finché avendolo gli avven-
tori e i vicini pregato di calmarsi e di andarsene a dormire, prese la via del let-
to e tutti facemmo altrettanto.




La mattina dopo il mio padrone si recò in chiesa e fece sonare la messa e il
sermone per esitare la bolla. Il popolo si riunì nella chiesa, ma andava mormo-
rando che le bolle erano false e che lo stesso bargello l'aveva rivelato durante
la lite, onde quei fedeli, già poco vogliosi di comprarle, con quelle chiacchiere
le avevano in odio assolutamente.
Il signor commissario salì sul pulpito e cominciò il suo sermone incitando la gen-
te a non volersi privare d'un tanto bene come la santa bolla, né dell'indulgenza
ch'essa largiva.
Era nel meglio della sua predica, quando entra nella chiesa il bargello: va a rac-
cogliersi, poi si alza e, con voce alta e ben calcolata, comincia a dire:




"Buona gente, state a sentire una parola, e poi ascolterete chi più vi piacerà.
Io sono venuto qui con questo gabbasanti che vi sta facendo la predica. Ha sor-
preso la mia buona fede dicendomi che, se lo avessi favorito in questa faccenda,
avremmo poi spartito il guadagno.
Ma ora, accortomi del male che cagionerei alla mia coscienza e alla vostra, so-
no pentito di ciò che ho fatto e vi dichiaro apertamente che le bolle di quest'-
uomo sono false, e che perciò non dovete credergli né comprargli nulla, e che
io non ho alcuna parte diretta o indiretta in questa cabala e da questo momento
rinuncio alla mia mazza e la butto per terra.
E se un giorno costui ricevesse il castigo della sua immane falsità, siatemi testi-
moni che io non sto con lui e non gli dò alcun aiuto, ma che anzi vi sto aprendo
gli occhi scoprendovi la sua iniquità".




Così concluse la sua arringa.
Alcune brave persone lì per lì sentito così dire fecero l'atto di volersi levare e get-
tar fuori dalla chiesa il bargello onde evitare una chiassata. Ma il mio padrone li
rattenne e ordinò a tutti, sotto pena di scomunica, di non disturbarlo e di lasciargli
dire tutto quello che volesse: anche lui non aveva proferito parole durante la con-
cione del bargello.
Quando costui si fu taciuto, il mio padrone gli disse che se aveva qualche altra co-
sa da dire la dicesse. Rispose il bargello:
"Troppo di più ci sarebbe da dire su di voi e sulle vostre imposture; ma per questa
volta basta".




Il signor commissario s'inginocchiò nel pulpito e, a mani giunte e con gli occhi al
cielo, parlò così che tutto il popolo lo udisse....:
"Signor Iddio, a cui nessuna cosa è nascosta, anzi tutte sono manifeste, e a cui nul-
la è impossibile, anzi è possibile tutto: tu conosci la verità e sai quanto ingiustamen-
te io sia offeso. Per quel che mi tocca, io gli perdono, affinché, Signore, tu perdoni ...
me. Non guardare a costui, che non sa quel che si fa né quel che si dice; ma l'ingiusti-
zia fatta a te, ti supplico, e per giustizia ti chiedo, di non volerla ignorare; ché, fra
le persone qui presenti, qualcuno che avesse avuto in animo di comprare questa san-
 ta bolla, dando credito alle mentite parole di quell'uomo, potrebbe ora mutar d'in-
tenzione. E siccome questo sarebbe in grave pregiudizio del prossimo, io ti suppli-
co, o Signore, di non tener nascosta la verità, ma di mostrarla qui subito con un mira-
colo; e sia in questa forma. Se è vero ciò che colui dice, e in me c'è malizia e falsità,
si sprofondi questo pulpito con la mia persona trenta braccia sotto terra, donde né
io né il pulpito possiamo mai più ricomparire; se invece è vero quel che io dico, e que-
st'uomo, indottovi dal demonio, afferma il falso per privare i qui presenti del gran-
dissimo beneficio della bolla, sia allora punito lui e la sua malizia appaia agli occhi
di tutti".
(Prosegue....)
(Anonimo, Lazzarino Del Tormes)