giuliano

lunedì 15 febbraio 2021

(i viaggi dell'Anima) NELL'ORRORE (10)

 










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dei Viaggi dell'Anima... (9)


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Orrori delle Tenebre (12)








La schiavitù sarà il concetto dominante delle nascenti masse asservite alla rivoluzione industriale, la peggiore degenerazione di tal concetto la possiamo riscontrare in questo secolo, ove l’asservimento totale alla meccanicistica condizione lo conduce alla irreversibile e definitiva deriva evolutiva.

 

L’economia e quindi la nuova mitologia con tutta la tecnologia che ciò comporta proiettata nella disgiunta sfera di ricchezza non per tutti, seppur l’inganno dell’occidente regna incontrastato, al di sopra della sufficienza con il proprio vangelo dell’inutile, andò a raffigurare nuovi parametri e misure scritti di comune accordo nell’Economia dominata dalla meccanicistica (ed evangelica) pretesa di asservire l’uomo.




Bergson ebbe a sostenere l’uomo l’essere cogitante e mai può esserlo la macchina da lui creata. Certamente anche Leonardo avrebbe posto il prodigioso suo pensiero in questa prospettiva…

 

Quindi l’odierno Leonardo (ex Finmeccanica come abbiamo letto) riclassificato e dedotto da un Golem meccanizzato, non può dettare la rinascita dell’uomo conteso - con l’ausilio e principio della macchina - e riscattarlo dal vincolo della derubata libertà ove ogni pretesa di ricchezza viene riqualificata in nome e per conto della finalità scritta d’una medesima Natura deturpata da una macchina; l’intera operazione sa’ di Sindone e scorgo un principio di falsità, assoggettando di nuovo l’uomo e ciò di cui rimasto dell’umano ai vincoli di un più velato occultato e stretto controllo orwelliano…




Ecologia, ma prima ancora di questa nuova dottrina regnava la Filosofia, e la filosofia economica che arricchisce l’odierno pensiero erroneamente incarnato dal novello Leonardo uccide e confonde Arte e Genio, scritti entro i falsati termini d’una incompresa programmata mitologia del calcolato e quotato profitto (che di naturale poco s’intende) così come del superfluo; ed ove ogni immeritato epitaffio scolpito sulle morti ceneri da chi, in nome del genio perso (o Leonardo), vorrebbe risollevarne - o peggio risolverne - paradossalmente le sorti indistintamente scritte nella genetica d’una comune Natura abdicata alla meccanicistica convergenza d’una macchina. Ed ove il Genio viene barattato e confuso dall’ignoranza di chi poco conosce la vera Dottrina compresa quella dell’umano progresso ma molto s’intende d’Economia, da chi poco riconosce la moneta scritta nella povertà o cattiva sorte o al contrario nobilitata fortuna del genio, confuso  barattato e manipolato dall’innestata nuova mitologia…




La paradossale operazione, come direbbe il buon Guenon classica della civiltà occidentale, anzi ne stabilisce il metro di misura il linguaggio, conferendo all’ortodosso e distaccato scrittore i meriti di aver per primo indicato l’inganno in cui precipitata l’intera civiltà (compreso il genio detto).  

 

Le regole dell’Arte sia in pittura che in letteratura molte, con tinte e grammatiche imprescindibili, Rime di un Tempo ove la Poesia non ‘potea’ conoscere Alba senza la dovuta metrica stabilita; così come per la Sinfonia udita e scritta entro un ugual grammatica di uno spartito; non meno della pittura, la quale ‘potea’ anch’essa essere colta ammirata e celebrata solo entro i canoni stabiliti d’una determinata iconografia.




Il tutto qual comune denominatore d’una determinata mitologia, con la quale l’occhio colto ed istruito può ancora leggere simboli che ai più sfuggono, e là ove l’orecchio attento riesce a distinguerne le dovute simmetriche note. Così come l’architettura ove rintracciarne la segreta indecifrabile simbologia celata se pur ben incisa o dipinta all’occhio dell’osservatore per contraddistinguerne e conservarne il segreto dettato (e non certo ‘programmato’) da Madre Natura, la quale attenta osserva quanto di immortale (dall’alto cielo calato) ancora esiste al suo capezzale degno d’esser creato a sua immagine qual araldo ispirato e da un Dio comandato per interposta opera, e per mano dell’uomo in ultimo compiuta…




Stabilita la Regola (di codesto invisibile ‘programma’ nei geni ben scritto e mai sia detto calcolato per onor del profitto), qual denominatore comune di siffatta antica Arte e Dottrina, il progresso si è modellato (compreso quello industriale) ed adeguato verso la manifestazione o il finale deterioramento di siffatta connessione dell’uomo con ogni Elemento della Natura; le regole mutate ed evolute verso inimmaginabili prospettive nuove, manifestando ed innestando la mitologica socialità affine al proprio Tempo; va da se che ciò che valeva un Tempo di Secoli trascorsi ed apparentemente immutati (per taluni solo andati), nel volgere di poco più d’una frazione rispetto al valore dato di una eredità indiscutibilmente piantata quale secolare arbusto entro una fitta Foresta, reciso, manifestando e confermando che il nuovo mai è riuscito (soprattutto in nome del genio) in ciò di cui la capacità persa o abdicata rispetto all’odierno.




Si è passati dalla umana capacità interpretativa e creativa all’artifizio d’una nuova disumana prometeica artificiosa prospettiva. Il Genio - e ciò in cui misurato colto riconosciuto ed ammirato - certamente molto ha perso, sia nel linguaggio quanto nella grammatica che al meglio lo ha contraddistinto, soprattutto nelle regole ‘in cui e per cui’ classificato colto letto udito e contemplato, qual indistinguibile frutto dell’elevato Intelletto all’Albero (genealogico) nella vasta Selva ove indistintamente nati, sia il Genio della Foresta detta, sia il Genio a Lei ispirato e nondimeno derivato.




Taluni odierni addetti ai lavori - accreditati scienziati - hanno decretato e dimostrato che addirittura la capacità neurologica compresa la struttura evolutiva regredita e mutata, così non possiamo e dobbiamo stupirci se taluni politicanti e regnanti (se pur dicono elevati anch’essi, rimane da stabilire la moneta di cambio…) sono altrettanto ignorati circa le frazioni evolutive accertate, sia da parte della graduale regressione (o aggressione per l’offesa ricevuta) di Madre Natura, sia la relativa e simmetrica connessione e degradata sfera neurologica letta nella ‘corteccia’ dell’uomo; il quale se pur padroneggia conquista contempla ammira scrive legge e fa di conto con il dovuto genio programmato, ma in qual tempo ignorato misurato e ben posto nella propria ed altrui riflessa degradata condizione neurologica.




Ed in cui la ‘macchina’ detta svolge ogni beneficio come una cosa viva, anche ciò per cui odiernamente incaricata, e cioè di provvedere al dovuto necessario ‘riparo’, dote in cui ogni essere animato ha sempre provveduto per proprio conto, senza il dovuto tornaconto del Leonardo di turno ed impropriamente nominato… per la paradossale ‘autoriparazione’ incaricata…

 

Comprovato e dimostrato che per sopravvivere ci siamo dovuti adattare e gradualmente, come l’intero Universo da cui nati, rimodellare, ma mai è successo il contrario scritto nel presunto traguardo dell’opposto, e cioè la paradossale condizione involutiva seminata e raccolta. Così anche la relativa dovuta evoluzione qual millenaria condizione in cui e per cui nati, dismessa a beneficio del progresso e la relativa moneta.

 

Il formicaio o l’alveare nato…




Oggi molti hanno difficoltà nel riconoscere il Genio della Natura, lo stimolo e con lui l’istinto abdicato all’artifizio, alla regola ‘programmata’ con la propria numerata via, o meglio il sentiero più breve per arrivare e procedere verso l’Abisso confuso e barattato per la Cima.

 

Il Genio vien odiernamente riconosciuto ed ammirato da quanti riescono di fretta a far soldo e tenerne da tornaconto, ovvero contare l’eletta schiera di genti che lo seguono per l'artificiosa selva scritta nel silicio d’una nuova prospettiva, va da se che i veri Maestri nell’arte dimorano non affini all’opera costante di Madre Natura, e mai potrebbero giacché i loro fini scritti nell’Economia che per prima, nonostante i buoni propositi, l’avversa e da cui traggano e per sempre hanno tratto costante linfa in nome dell’indiscriminato profitto per ciò di cui il vero Genio vittima…




Dacché se qualcuno parla di transizione verso una nuova fase di economia verde abdicata ad un indiscusso apostolo del progresso tratto da una indubbia economia bellica, nulla comprende e mai ha compreso circa Madre Natura. Certamente un esperto apostolo nel penetrare e confondere con l’artifizio ciò che Orwell ha definito il comune destino da quando maturato l’anno 1984 del profetico avvento scritto nel comune destino.

 

Sicché il Ministero della Verità come quello della Guerra in cui rivendere, o meglio, per essere affini all’improprio linguaggio economico adottato: ‘veicolare’ al miglior offerente l’ora dell’odio tele-trasmessa (nonché rivenduta per la cospicua somma dell’arma a difesa o offesa per principiare ogni guerra) ed ora divenuta incomprensibilmente amor di Natura, mi pare un’opera di Genio e altrettanta Verità ministeriale comandata in cui ammirare il Genio così tradotto e ben descritto… da una macchina da guerra incaricato! 



  

Ricollocato su un vasto profilo in cui nulla dell’umano Genio dalla Natura tratto può essere così nominato, dacché le regole in ciò che un Tempo lo riconoscevamo non valgano più. Oggi chi provvisto dell’antico lume della Ragione non avrebbe futuro per proprio o altrui riguardo in nome del Genio, per l’appunto. Sarebbe deriso ed umiliato. Braccato e derubato! Perché l’uomo di Genio come fu Leonardo ha visto mutare il metro di misura della capacità neurologica, trasferita al genio di ben altro (palmare) formato e natura. Abdicando o solo trasferendo all’artifizio d’un Golem quanto da Dio donato per cantarne le sue Opere.         

 

Sicuramente una nota dolente e non certo marginale dell’Orrore.


(Giuliano)








venerdì 12 febbraio 2021

ALLE ORIGINI DELL'ORRORE (8)

 










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Circa l'orrore (7)  (& capitolo completo... sono sempre al completo...)


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I Viaggi dell'Anima (9/10)



N.B. Per i più fedeli anche quelli di Comunione & Liberazione


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Nel 1452 era pervenuta ai Savoia, al termine di una catena di eredità e donazioni, la Sindone, il sudario di Cristo, ma al momento del viaggio degli armorari di Milano non era ancora ultimata la Sainte Chapelle, al suo trasferimento a Torino.

 

La Loira è il più lungo fiume di Francia (1020 Km). Scende dal Massiccio Centrale scorrendo sinuosamente verso settentrione; molto a valle di Roanne, a Nevers, riceve il suo principale affluente, l’Allier; poi per oltre 500 chilometri, bagnando Berry, Orleanese e Angiò, descrive un grande arco verso occidente, con l’apice settentrionale a Orleans, per allargarsi infine nell’estuario sull’Atlantico. Il tratto da Gien ad Aners e le plaghe ai due lati del fiume, il ‘paese della Loira’, che Rabelais amerà è considerato il giardino di Francia, quanto di più francese si possa immaginare. Probabilmente si pensava già così quando i mercanti di Milano scendevano il fiume: vigneti al bordo delle colline, pioppi e salici nella larga valle dell’Orleanese, scorrere lento di acque azzurre tra banchi di sabbia dorata nella luce della Turenna.




Era il paesaggio amato dai re, che in quest’epoca soggiornano sulla Loira: Carlo VII a Chinon, Luigi XI a Plessis-les-Tours, Carlo VIII ad Amboise.

 

Re e principi che prediligevano i cani e la caccia, la falconeria e gli uccelli esotici, che tenevano scimmie e leoni nei fossati dei castelli, pappagalli in camera da letto; rinnovavano col meglio del garbo gotico arcigne dimore, cominciavano a impiantare piacevoli giardini con pergole, fresche fontane e tappeti fioriti, anche prima che il religioso napoletano don Pacello di Mercogliano, portato da Carlo VIII dal suo nuovo regno mediterraneo, sistemasse ‘all’italiana’ i giardini di Amboise e Blois. Le aiuole fitte di fiori, che allietavano il duca Jean de Berry e il re Renato d’Angiò, passano negli sfondi turchini o rosa degli arazzi delle manifatture della Loira denominati ‘mille-fleurs’, nei quali le idilliche scene di vita cortigianesca o pastorale si svolgono contro un tappeto di fiori frammischiati a scoiattoli, pavoni, pernici e leprotti.




Per recuperare l’immagine del ‘giardino di Francia’ nell’ultimo scorcio del XV secolo, occorre ricordare che la ‘Renaissance’ non era ancora cominciata. La regione della Loira era piena di castelli, ma i più celebri dei ‘castelli della Loira’ – espressione in cui la parola castello ha un’eccezione particolarissima – non esistevano: Chenonceaux di Diana di Poiters, che è sulla Cher e si allunga tra le due rive del fiume, non era stato ancora cominciato; Azay-le-Rideau si chiamava Azay-le-Brulé, poiché il delfino che era passato di lì, nel 1418, era stato insultato dalla guarnigione e allora aveva assaltato il luogo, fatto giustiziare il capitano e i suoi 350.000 uomini, bruciato il villaggio; nella foresta a qualche miglio da Blois, dove Francesco I farà costruire l’immaginoso castello di Chambord, dalle candide pareti e la fantasmagorica terrazza con gli infiniti pinnacoli, comignoli e frecce intorno alla lanterna, c’era solo una rocchetta per le caccie del signore di Blois.




C’era il pericolo dei banchi di sabbia e delle piene, il disturbo delle derivazioni per le ruote ad acqua e dei pedaggi, tuttavia la navigazione sulla Loira era ben organizzata e veloce; si andava in sei giorni da Orléans a Nantes e ne potevano bastare da 15 a 20, con po’ di fortuna per tornare controcorrente, i venti regolari dall’Atlantico soffiavano nelle vele e nelle pale dei mulini sulle creste delle colline. Dal 300 una Communauté des marchands, con sede a Orléans, provvedeva a certe necessarie manutenzioni lungo la via d’acqua e percepiva un obolo, che si doveva deporre in cassette speciali lungo le rive del fiume. I marinai fiumaroli erano tipi robusti, eccessivi nei modi, turbolenti nelle osterie.




Il castello di Blois su un costone dirupato a dominio della città, era ben diverso da quello attuale, che è uno dei luoghi classici della Renaissance. Già Carlo d’Orleans, il poeta, l’aveva tuttavia illeggiadrito e vi aveva tenuto corte, dopo il ritorno dai venticinque anni di prigionia e fino alla morte (1465), fra eleganti dame, letterati col vizio dell’allegoria e contese poetiche. A una giostra di poesia aveva preso parte Francois Villon e aveva vinto (1457) con la ballata ‘Je meurs de soif auprès de la fontaine’. Oltre che in quello del titolo, c’erano altri conturbanti aforismi, giochi d’intelligenza in cui l’accorato sconforto d’amore sprizza dall’accostamento di contradditori concetti, nei versi del celebre componimento poetico, ‘Je ris en pleurs et attends sans espoir’ e ‘Rien ne m’est sur que la chose incertaine’.




Il principe Carlo, due volte vedovo, a cinquant’anni si era sposato con una quattordicenne e a settantuno aveva avuto un figlio, il ribelle che sarà battuto nella guerra a cui i milanesi correvano per vendere armature, il prossimo re Luigi XII. Francois Villon, invece, sulle rive della Loira era poi finito per un periodo in prigione, a Meung-sur-Loire nel castello del vescovo di Orléans. Il castello di Amboise aveva in comune solo la sua posizione sopra i tetti del borgo con la fastosa residenza reale che faranno costruire Carlo VIII di ritorno dall’Italia, Luigi XII e Francesco I, che sulla terrazza faceva combattere cinghiali, mastini e leoni.

 

Carlo VIII vi morirà per aver battuto la testa in una delle gallerie che stava facendo costruire. Suo padre, Luigi XI, ci aveva sistemato la moglie a cui fu fedele, almeno a partire da un certo anno, ma che visitava di rado. Carlo VIII era nato e cresciuto ad Amboise, vi era diventato re bambino, sotto la reggenza della sorella Anna di Beaujeu e qui era stato fidanzato a Margherita d’Austria, che però non sposerà mai; alla cerimonia che si era svolta in gran pompa lui aveva tredici anni, la promessa tre. Nella chiesa di Saint-Denis facevano vedere una gabbia di legno in cui rinchiudevano i pazzi: in undici giorni ritornavano sani.




Ancora ad Amboise era già stato costruito il Clos-Lucé, la garbata dimora gotica in cui vivrà gli ultimi anni Leonardo. Il cardinale d’Aragona che visiterà in casa il vecchio artista, due anni prima della fine, vi vedrà tra gli altri quadri ‘tucti perfectissimi’, il ritratto di ‘certa donna firentina, facta di naturale’; è la Gioconda.

 

A Tours affacciata alla Loira e vicina alla Cher, si lavoravano i drappi di seta intessuti d’oro. Oltre alla non finita cattedrale di Saint-Gatien dalle meravigliose vetrate, si vedeva ancora in piedi la basilica di Saint-Martin, poi saccheggiata dagli ugonotti e lasciata in abbandono fino al crollo delle volte durante la rivoluzione. Conteneva la tomba di Martino di Tours, il legionario che divise il mantello col povero e che poi fu vescovo di Gallia. Più a valle si passava da Langeais.




Luigi XI aveva fatto costruire il castello, proprio in questo castello Carlo VIII (1491) sposerà Anna di Bretagna, la signora del prezioso ducato, la cui potenza era stata umiliata nella battaglia di Saint-Au-bin-du-Cormier. Probabilmente i mercanti di armature saranno sbarcati alla confluenza della Maine, per recarsi alla vicina Angers e poi avviarsi verso la Bretagna seguendo la valle della Mayenne, in cui il fiume scorre tra pendii ripidi coperti di castagni e ginestre. Nell’Angers che si lasciavano alle spalle, il castello rinnovato da san Luigi, tutto a bande di ardesia e di pietra bianche, aveva le diciassette torri che ancora finivano con merli, caditoie a cono. I mercanti di armature si spinsero fino al Mont-Saint-Michel. Forse si unirono ai pellegrini che rischiavano di finire annegati nel traversare la baia fino allo scoglio roccioso per venerare il santo, e compravano come ricordo ampolle di piombo da riempire della sabbia della riva.

 

Anche i mercanti d’armi credevano negli arcangeli.


(Prosegue con la visita completa presso i cantieri dell'orrore...)







mercoledì 10 febbraio 2021

LA POLVERE GIALLA (4)

 










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Circa la polvere gialla (3/1)  


&  il Capitolo quasi completo...


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L'orrore (6/8)








...Ma per quanto tristi fossero le condizioni di vita e di lavoro, Nain Singh trovò che i minatori tibetani erano una comunità allegra, dove si scavava cantando accompagnati dalle famiglie che si univano ai cori da lontano. Su questo plateau senza alberi, l’unico combustibile per cucinare e riscaldarsi erano gli escrementi secchi di yak, pony e pecore. Di notte, essi dormivano nella strana posizione tibetana: rannicchiati sulle ginocchia e i gomiti, con la testa ripiegata all’indentro, e ogni capo d’abbigliamento che possedevano ammassato sopra di loro. In questa terra di freddo perpetuo, tale curiosa abitudine aveva presumibilmente la funzione di tenere le parti più vulnerabili del corpo lontano dal terreno congelato.




Nain Singh poté fermarsi solo quattro giorni in quel bizzarro Klondike dell’Asia centrale, poiché il capo della miniera, malgrado le suppliche della moglie con un debole per i coralli, rifiutò di farlo stare più a lungo. Ma in quel breve periodo, il pandit riuscì a raccogliere per Montgomerie un’incredibile quantità di informazioni. Apprese che il prezzo pagato agli scavatori per l’oro era basso - meno di cento rupie indiane l’etto. Era pagato in argento, e il suo principale mercato fuori del Tibet era la Cina. In cambio i cinesi vendevano grandi quantità di tè, del quale in Tibet c’era molta richiesta. Nain Singh scoprì che i tibetani preferivano di gran lunga il tè cinese in mattonelle alla varietà indiana, anche se quest’ultima era considerevolmente più economica, giungendo da meno lontano. I minatori dicevano di trovare il tè indiano troppo riscaldante, non è chiaro in che senso, e lo consideravano adatto solo a chi era molto povero. Era una notizia ben poco incoraggiante per i coltivatori di tè inglesi a Darjeeling, che da tempo nutrivano la speranza di sostituirsi alla Cina quale principale fonte di tè per un popolo che ne beveva anche cinquanta o sessanta tazze al giorno - seppur mischiato con burro di yak.




In realtà c’era un altro ostacolo da superare prima di poter mettere le mani su questo commercio. I potenti monasteri tibetani esercitavano un monopolio virtuale su tutto il tè importato dalla Cina, e né loro né i cinesi avrebbero rinunciato al controllo congiunto di questo mercato altamente lucrativo senza combattere una dura battaglia. Il 31 agosto 1867 Nain Singh partì da quell’accampamento desolato per dirigersi verso ovest e ricongiungersi ai suoi colleghi, come sempre contando attentamente i propri passi. In tutto questo tempo, Mani Singh era stato tenuto ostaggio in attesa del ritorno degli altri due, mentre il nuovo pandit, Kalian, aveva proseguito i rilievi risalendo il corso dell’Indo. Pur sapendo di essere molto vicino alla sua sorgente, era stato costretto a interrompere i rilievi per via dei banditi. Il problema era sorto quando due briganti armati avevano attaccato il suo servitore. Udendone le grida, Kalian si era precipitato a soccorrerlo. Avendo un fisico imponente, aveva afferrato per il codino uno degli aggressori, per poi farlo roteare all’intorno. I due briganti avevano subito iniziato a fingere che si trattasse di uno scherzo, prima di darsela a gambe. Kalian, pur così vicino al suo obiettivo, temette che in quella regione infesta dai banditi i due potessero ricomparire con dei rinforzi, e decise di tornare al luogo dove avrebbe dovuto incontrare gli altri.




La missione segreta era ormai quasi giunta al termine e dopo che Mani Singh si ricongiunse ai suoi colleghi i tre pandit e i loro servitori si diressero verso casa Tuttavia ognuno seguì una via diversa, poiché Montgomerie aveva chiesto loro di coprire la maggior quantità possibile di terreno quando ancora erano entro le frontiere proibite del Tibet. Nain Singh ritornò passando per la città di Gartok, che nel viaggio di andata avevano deliberatamente evitato. Qui fece una scoperta allarmante, che lo indusse a lasciare la città in gran fretta: qualcuno stava spargendo la voce che era una spia britannica. Alla fine, comunque, tutti e tre si riunirono, e percorsero insieme l’ultimo tratto attraverso l’Himalaya fino all’India e alla salvezza.




I risultati ottenuti dai tre, quando furono valutati a Dehra Dun, si rivelarono di considerevole importanza. Al di là della messe di informazioni che Nain Singh aveva riportato sui bacini auriferi di Thok Jalung e l’industria dell’oro tibetana in generale, avevano realizzato i rilievi del tracciato per un totale di milletrecento chilometri. Ciò consenti a Montgomerie e ai suoi cartografi di colmare molti vuoti in un’area di oltre quarantacinquemila chilometri quadrati, nonché di unire la mappa di questa regione poco nota del Tibet a quella del Kashmir. Avevano preso centonovanta misurazioni della latitudine m settantacinque diversi punti e calcolato un'ottantina di altitudini. Avendola trovata avvolta dalle nuvole non erano stati in grado di misurare l’altitudine del Kailas, montagna sacra per tutti i buddhisti.




Ma Montgomerie e il colonnello Walker erano molto soddisfatti dei tre pandit, anche se Mani Singh ancora una volta non era riuscito a conseguire i brillanti risultati del suo più giovane cugino. Tale era stato il successo di queste esplorazioni clandestine, che con l’aiuto e il consiglio di Nain Singh Montgomerie reclutò e addestrò altri pandit, tutti uomini delle tribù delle colline capaci di leggere e scrivere, con un’intelligenza fuori del comune, e spesso parenti tra loro. Ma poi Walker e Montgomerie fecero una cosa sbalorditiva. Sebbene, come abbiamo visto, la segretezza più assoluta fosse ovviamente essenziale al successo di queste infiltrazioni illecite e politicamente delicate, nel gennaio 1868 Walker inviò alla Royal Geographical Society, affinché lo pubblicassero nella loro rivista, un resoconto dettagliato della prima grande spedizione di Nain Singh.




 Il documento che inviò, e che si trova oggi negli archivi della società, era nientemeno che il rapporto ufficiale di Montgomerie sul viaggio clandestino di Nain. Naturalmente Montgomerie era al corrente della cosa e aveva dato la sua approvazione, come conferma il fatto che alla lettera di Walker ne seguì una dello stesso Montgomerie in cui non compariva alcuna richiesta di censurare o sopprimere qualche parte del rapporto. Fu così che il numero successivo del Journal of the Royal Geographical Society rivelò a tutti quanti i segreti dei pandit, compresi la finta ruota della preghiera, i rosari manipolati, i sestanti nascosti, l’uso dei passi per misurare le distanze e il ricorso a travestimenti e coperture. Alla luce dell’ingegnosità, del tempo e della pazienza dedicati alla formazione dei pandit, per non parlare del genio inventivo dei laboratori di Dehra Dun, questa elementare ma enorme violazione della sicurezza è difficile da capire Non solo le vite stesse dei pandit erano messe in pericolo, ma anche tutte le future operazioni.




Che dire?

 

Altri viaggi segreti, fra cui la visita di Nam Singh ai bacini auriferi di Thok Jalung, sarebbero stati ben presto pubblicizzati allo stesso modo. Per quanto sia impossibile conoscere i ragionamenti di Montgomerie, si possono avanzare alcune argomentazioni per giustificare questa politica apparentemente così avventata. La prima è che i nomi e le identità dei pandit non furono mai rivelati, solo i loro nomi in codice (e a volte ne avevano più di uno). In secondo luogo, centinaia se non migliaia di pellegrini e mercanti andavano e venivano attraverso i passi dell’Himalaya ogni mese, rendendo poco probabile l’individuazione di un singolo pandit. Inoltre il Journal of the Royal Geographical Society non veniva venduto al pubblico, ma distribuito esclusivamente ai soci. È pur vero che questi ultimi erano sparsi in tutto il mondo. Soldati, esploratori e geografi russi leggevano avidamente il Journal - almeno un viaggiatore zarista nel Tibet sarebbe stato premiato con la medaglia d’oro della società -, così come i loro confrères britannici seguivano la letteratura specialistica russa.




Malgrado la loro rivalità in Asia centrale, del resto, non era interesse degli zaristi allertare i tibetani o i cinesi su quello che stavano facendo gli inglesi. Anche San Pietroburgo, infatti, stava cercando di penetrare questa terra chiusa al mondo e scoprirne i segreti. Per i russi, il Journal era una fonte preziosissima di informazioni sul Tibet e sull’Asia in generale. Fintante che continuava a pubblicare i particolari di questi viaggi clandestini insieme alle mappe ricavate dagli sforzi dei pandit, San Pietroburgo era ben contenta. I cinesi, al contrario, avrebbero avuto ogni buona ragione per cercare di impedire agli agenti di Montgomerie di portare avanti un lavoro di spionaggio in un paese che essi consideravano parte del loro impero. Ma a quanto pare non ne seppero mai nulla. Pur avendo una legazione a Londra, si direbbe che non leggessero il Journal, o addirittura ne ignorassero l’esistenza. Tuttavia sarebbe bastato che un ficcanaso attirasse la loro attenzione su quelle attività…

 

(Montgomerie)


(& il Capitolo quasi completo...)








lunedì 8 febbraio 2021

ODE DEL CARBONARO DIMENTICATO (2)

 










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Sul Tetto del Mondo...


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La polvere gialla (3)








Ciò che ci stupisce (parlo al plurale giacché non mi sento solo ma accompagnato dallo Fede che manca all’uomo, sì è vero! ho un basso indice di ascolto e gradimento, mi odono solo quando rispondo ad ogni loro infamia e calunnia; parlo al plurale mio buon Signore che mi ode e ascolta, accompagnato al vero Ideale di come intendere le cose per ciò che mi hai insegnato, superiori alle materiali - dicono e ciarlano più ‘concrete’ -, anche Spirituali - oltre quelle - che danno come altrettanto scontate, - Filosofi Dotti e Saccenti - fuori o dentro la Chiesa…, come e per l’appunto la Fede che li unisce e sostiene, oltre mi par chiaro, circa il buon Dio tanto pregato di cui ognuno al meglio s’intende… soprattutto dall’italiano… dall’italiano verro si intende!…) è scorgere dinnanzi alla quotidiana Danza Macabra della Morte che compie e mantiene risoluta, nel bene o nel male, il proprio secolar passo, ci siano ad attenderla e vegliarla aspiranti cadaveri danzanti di serie A e B, per non accennare quelli che occupano la più disagiata classe C o comune stiva senza nome né motto!




Dicevo… e parlo con me medesimo si intende, circa questo ed ogni Impero e picciolo paese, ove regna l’amore per il Dio denaro e la poltrona per meglio rubarlo, come non si possa provare dovuta attenzione per un episodio seppur molto lontano, per chi accecato da ugual Dio o Lucifero (pregato!), ma vicino, troppo vicino… di una Montagna che accenna un sofferente collasso per oscure Ragioni ancora da capire e stabilire (riflesse nella stessa capacità d'intendere e volere), da esser appena nominato,… senza prima aver udito il Grande Capo!

 

Oscure ad ogni Dio dell’Olimpo!

 

Forse più 'distinte' per il loro Dio pregato!




O Grande Capo appena detto e mai da me nominato, non vorrei finire nelle ire Tridimensionali ove osservato e poi confinato ad ugual medesimo Teschio.

 

Mi dicono dal geometra Triangolato che ancor disgiunta la Primavera.

 

Per cui attendiamo soccorso Divino, o per Bacco! 




 Ma ancor di più ciò che mi stupisce, dicevo mio Dio che sempre m’ode e m’ascolta!

 

Che la chiara lucida pronta Informazione digitalizzata o su pregiata carta stampata, (ove furono coniate anche le più famose Tavole di Dio ora in attesa dell’Olimpo oltre Cortina) accorta ed attenta per il mignolo del nuovo primo ministro, per le mutandine alla moda della valletta, per il pettegolezzo più basso e meschino, per il Sovrano e chi al meglio o al peggio lo avversa, per le splendide pagine lette con ardore, per Vecchi e nuovi Testamenti di potere riunito, per tutto l’intero palcoscenico della Scala posta alla più famosa (oltre) Cortina, non si sia presa la briga per una comune Tragedia Olimpica!




I morti evidentemente non sono tutti uguali: ovvero quando viene il nostro e loro turno, si badi bene c’è sempre un turno e doppio turno da attendere e non solo dall’Ospataliere giacché chi parla vien detto Carbonaro, per chi raccomandato e se pur ha peccato, come le dolenti note del Poeta rimembrano, può contare sull’eterno perdono terreno sempre che abbia lasciato, prima di entravi generosa offerta, e mai sia detta bustarella.

 

Così il Pater semper Eterno, cioè il Padre pregato da Cortina da un bel Pezzo, fino allo mare della più famosa Genova (la qual ha affogato lo proprio capitano), può dispensare all’Europeo non ancor imbarcato o approdato, nell’Oceano di un cielo naufragato, terreno paradiso, purgato dell’Inferno ove i morti di tanti troppi Dèi assisi ed albergati in più alte Valli e Cime, vengono ammucchiati alla distrazione fors’anche non curanza non affine alla Cima congiunta cui l’intero popolo legato alla corda sull’Orto…




Che sia perdonato poverino il Dio innominato ed ancora risentito, potrebbe compiere una strage senza clemenza alcuna, mi par il caso quindi che in queste Valli e Cime che non sia neppur nominato…

 

Quindi dicevo, almeno che non siamo tutti alpinisti per andar a cantare Lodi Eterne ad eterno suffragio del Dio denaro, parlando di spigoli, torri, vie, crepacci e punti con annessi Cardinali, chiodi e armenti, e putti in composta fila, in questo delirio non del tutto affogato per sperare di venir salvati dalla Compagnia, la quale vigila dopo averlo pregato  e raccolto per ogni Cima, ed ogni attento lettore seguirne la grande acrobazia la grande evoluzione… dell’alpinista ispirato in lode al Denaro!




Il povero portatore da basso, il povero contadino, il credente, colui non ancor naufragato bensì salvato  tradotto e convertito dal Verbo dato della somma del chiodo posto, in attesa anche lui della morte e non del tutto e sufficientemente illuminato, giacché circa la Luce della Ragione regna fitto mistero terreno, al buio della meschina esistenza, non può neppur sperare di essere ricordato, come i tanti eroi inciampati su uno spigolo su una piccozza su un assegno … in bianco…

 

Non può esser rimembrato - neppure se per questo - salvato o accennato mentre precipitato nel fondo della grotta, ove il Dio congiuntamente pregato non conosce né perdono né la dovuta attenzione, il futuro pargolo  cristiano di nome non sappiamo per qual fatto, sta ammirando le acrobazie della Dea: si avvinghia su ugual identico monte, contempla la più bella discesa, il trampolino ove dispenserà Verbo, e poi quando stufo di tutto questo, il Pargolo ex putto di Ave e Maria associati, entra in amletico mistico conflitto parte per la Cima di un diverso Dio.




Lo vediamo ancora, non più danzante con la Dea Cibele, ma incamminato verso l’onore della propria Via Crucis per il più famoso spigolo, giacché da uno spigolo terreno e accatastato proviene, con l’utilizzo dell’eterno chiodo in nome e per conto del Dio denaro.

 

Noi che viviamo in palafitte e caverne senza spigoli alcuni ogni tanto il Fiume ci passa ed attraversa talvolta di traverso da parte a parte, siamo una sol cosa con Madre Natura.

 

Così come ebbi a meditare in attesa che in codesta mia confessione offerta al maresciallo neppure carbonaro, in attesa che l’inoltri, e di venir rinchiuso nel Girone dei dannati, di quelli cioè senza Dio alcuno, Esiliato oltretutto dal loro Pater senza neppur nuovo o antico testamento ove attingere risorsa per l’inverno; in attesa dicevo, di esser arrestato.




Io che non ebbi a cantare - testimone Santo Remo - le gesta e prodezza di santa Cortina giacché non ho più il potere divino della Parabola. Al contrario di Cortina troppo piccolina e meschina, che da un bel Pezzo  ci osserva e medita punizione olimpica o olimpica condizione, sono stordito la vista si annebbia scorgo Dei sul vasto altopiano ove non ancor risucchiato.  

 

Mentre giù da basso urlano ed imprecano, sono quelli dimenticati da ogni Dio, dimorano dalle alte Cime e Vette, fino all’Africa equatoriale, muoiono senza esser pregati neppure contati. Formano il prefisso con solo lo zero! Dimorano dall'alto al medio oriente vengono uditi ed intercettati, per chi distingue rette e parallele, per chi meglio di me sa fare di numero e moltiplicare i denari, ed Io che sono poco in uso con barometri e giusti orientamenti, dacché come la Bestia con cui mi accompagno ed insegna, riesco ad orientarmi meglio di costoro, giacché sono un tutt’Uno con il mio Dio umiliato.




Ogni tanto, sì è vero, ci perdiamo, imprechiamo e malediciamo il mondo intero, solo per ricordare che non fummo e siamo i soli in queste spiacevoli e non gradite Eresie.

 

Attendiamo la nostra Primavera da Carbonari vestiti e non certo mascherati, se per Carbonaro intendono colui che sa’ apostrofare al muso di tanta arroganza la qual fuggiamo, la Verità del nostro Dio perseguitato…