giuliano

mercoledì 28 aprile 2021

UNA (eterna) FAME DI LUCE (13)

 










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D'un passo rallentato... (12/1)


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Una eterna fame di luce (Seconda parte) (14)  &  (15)


& Il capitolo - quasi - completo (16)








Gustav Theodor Fechner (1801-1887) è uno dei pensatori più enigmatici della filosofia tedesca del diciannovesimo secolo. La sua anima intellettuale era fratturata, lacerata in due metà profondamente divise tra loro, ciascuna delle quali rivendicava il dominio sull'altra. La sua intera carriera è stata un tentativo di unire queste parti in guerra tra loro. Ma, nonostante i suoi migliori sforzi, non ci è mai riuscito.

 

Quali erano queste metà?

 

Da un lato, Fechner aveva profonde inclinazioni positiviste, che lo portarono a sostenere i più severi standard di osservazione e misurazione nella scienza, e che lo portarono ad adottare le prime versioni del fenomenismo e del verificazionismo in filosofia. D'altra parte, Fechner aveva anche un disperato desiderio di metafisica, e cioè di una visione completa dell'intero cosmo, che il suo lavoro scientifico frammentario non avrebbe mai potuto soddisfare. Il problema che aveva di fronte era scoraggiante: come essere sia uno scienziato cauto e sobrio che un metafisico audace e fantasioso?




 Questi due aspetti di Fechner rappresentano tipiche correnti contrastanti della sua epoca. Cresciuto all'inizio del diciannovesimo secolo, Fechner fu esposto all'ascesa del romanticismo e alla crescita delle scienze empiriche. Fu uno dei primi studenti di Naturphilosophie romantica, gli scritti di Schelling, Oken e Steffans, che erano tentativi faustiani di cogliere la natura nel suo insieme. Ma era anche un’ottimo studente di fisica e fisiologia all'Università di Lipsia, dove i suoi mentori, Alfred Volkmann ed Ernst Weber, erano in prima linea nel lavoro sperimentale sulla psicologia della percezione. Fechner imparò presto che i metodi speculativi di Naturphilosophie erano insufficienti per produrre risultati attenti e sostanziali nella scienza; nonostante ciò, non perse mai il desiderio di unità, cioè il desiderio di una visione completa delle cose, che è caratteristico di Naturphilosophie.

 

Ogni lato della personalità di Fechner portava i suoi frutti caratteristici. Il prodotto della convergenza positivista fu il suo primo lavoro scientifico sulla psicologia della percezione, con l’imponente opera in due volumi Elemente der Psychophysik (1860), che tenta di descrivere in leggi precise il rapporto tra psichico e fisico. Poiché ha sottolineato la dipendenza della menta dalla propria espressione fisica e incarnata, la filosofia della mente di Fechner è stata descritta come una forma di materialismo. Il prodotto del versante metafisico è il cosiddetto panpsichismo, la dottrina circa un cosmo psichico, il quale è un'incarnazione dello psichico.




Fechner sostenne questa dottrina nelle sue due opere più famose: Nanna oder über das Seelenleben der Pflanzen (1848a) e Zend-Avesta oder über die Dinge des Himmels und des Jenseits (1851).

 

Lo sforzo di Fechner per armonizzare i due lati della propria conflittuale natura è maturato con la sua metafisica induttiva, vale a dire, il tentativo di raggiungere conclusioni metafisiche generali sulla base dei metodi e dei risultati delle scienze empiriche. Come altri filosofi della sua generazione, vale a dire Lotze, Trendelenburg e Hartmann, Fechner rifiutò i metodi sintetici degli idealisti tedeschi (Fichte, Schelling, Hegel), che tentarono di trarre le loro conclusioni con metodi a priori. A suo avviso, la metafisica dovrebbe seguire, non guidare le scienze empiriche, che sono autonome e poggiano su proprie basi indipendenti dalla filosofia.

 

La questione cruciale era se i principi metafisici generali potessero davvero essere basati sulle scienze empiriche, i cui risultati sono sempre frammentari e provvisori.




 Qualsiasi tentativo di capire Fechner deve fare i conti con entrambi gli aspetti della conflittuale personalità. Dobbiamo rendere giustizia al suo panpsichismo oltre che al suo positivismo. Possiamo liquidare il panpsichismo su basi positiviste, come molti hanno fatto; ma se lo facciamo, chiediamo argomentazioni a Fechner. Ha insistito sul fatto che le sue conclusioni si basano su inferenze ben fondate da fatti di esperienza, e ha sottolineato (giustamente) che la resistenza alle sue opinioni era spesso basata su poco più che pregiudizio. Lungi dall'essere un metafisico sconsiderato, lo stesso Fechner applicò standard positivisti alla propria metafisica.

 

Possiamo contestare se ha soddisfatto quegli standard; ma possiamo farlo solo dopo un attento esame della sua argomentazione. Anche laddove le sue conclusioni si estendono oltre l'evidenza empirica per loro natura, sollevano almeno domande e possibilità interessanti. Il panpsichismo di Fechner solleva l'importante questione dei limiti della coscienza:

 

la coscienza è limitata agli esseri umani e agli animali?




O dovremmo estenderlo alle piante e in effetti a tutti gli esseri organici?

 

Molti studi di Fechner sono unilaterali, sottolineando un lato di lui a scapito dell'altro. Gli studiosi più anziani tendevano a concentrarsi sul suo lato metafisico, in particolare il suo panpsichismo. In reazione a tale lavoro, un libro più recente di Michael Heidelberger trova il cuore della filosofia di Fechner nel suo aspetto non metafisico, e sottolinea il suo materialismo non riduttivo come il principale risultato della sua filosofia.

 

Anche se strano per gli standard contemporanei, il panpsichismo fu la visione generale del mondo di Fechner, e la sua esposizione e difesa lo avrebbero preoccupato per gran parte della sua vita. È anche profondamente fuorviante descrivere il cuore della filosofia di Fechner come una qualsiasi forma di materialismo, anche se di tipo non riduttivo. Fechner non solo aveva una profonda avversione per il materialismo, ma insisteva anche sul fatto che credere nell'esistenza della materia è solo la reificazione di un'astrazione. Ci sono infatti dei passaggi, che Heidelberger cita debitamente, in cui Fechner descrive la sua filosofia come “materialista”; ma in quegli stessi passaggi descrive anche la sua filosofia come “idealista” anche se di tipo “non riduttivo”.




 Gli scritti filosofici più importanti di Fechner sono, a mio avviso, Nanna, Zend-Avesta e Ueber die physikalische und Philosophische Atomlehre.

 

Questi scritti rappresentano i due lati della filosofia di Fechner, il metafisico e il positivista. Non c'è nemmeno alcun tentativo di fornire un resoconto di Elemente der Psychophysik di Fechner anche se alcuni contemporanei lo consideravano il suo lavoro più importante - poiché i risultati sono essenzialmente empirici e hanno, secondo la stessa lettura di Fechner, poca rilevanza filosofica. Poiché la filosofia di Fechner è incomprensibile senza conoscere la sua vita, questo breve articolo include anche due sezioni biografiche, una sui suoi primi anni di vita e un'altra sul suo esaurimento mentale e nervoso.

 

Gustav Theodor Fechner nacque il 19 aprile 1801 nell'allora villaggio sassone di Großsärchen. Suo padre, Samuel Traugott Fischer (1765-1806), e in effetti il ​​nonno, erano pastori del villaggio; e sua madre, Dorothea Fechner (17441806), proveniva anche lei da una famiglia pastorale. Questo background religioso ha avuto un profondo effetto su Fechner, che avrebbe tentato di razionalizzarlo nella sua filosofia.




 Gustav era il secondo di cinque figli. Aveva un fratello maggiore, Eduard Clemens (1799–1861), che era un artista, e si trasferì a Parigi nel 1825; aveva tre sorelle più giovani, Emilie, Clementine e Mathilde. Sebbene fosse solo un pastore del villaggio, Samuel Fechner era un uomo dell'Illuminismo: fu il primo nel suo villaggio a vaccinare i suoi figli; a porre un parafulmine sulla chiesa del villaggio; e fu il primo a fare prediche senza indossare una parrucca. A detta di tutti era un padre caro; ma morì quando Gustav aveva solo cinque anni. La sua morte lasciò la famiglia indigente.

 

Fechner si dimostrò una grande promessa fin dalla tenera età. Poteva parlare latino e greco in giovanissima età adolescenziale. Imparò velocemente e studiò avidamente. Quando aveva solo quindici anni, il Rektor del suo ginnasio gli disse: “Fechner, sei ancora molto giovane; devi andartene perché non c'è più niente che possiamo insegnarti”. Ma, semplicemente perché era troppo giovane per l'università, dovette rimanere un anno in più in panchina. Quando aveva solo sedici anni, andò all'Università di Lipsia. Poiché poteva ricevere poco aiuto dalla sua famiglia, doveva fare affidamento su stipendi e piccole borse di studio. Più tardi Fechner si sarebbe sostenuto attraverso traduzioni e lavori letterari. Questa dipendenza dal lavoro letterario, come vedremo presto, si sarebbe rivelata fatale.




 Fechner era, nel vero senso della parola, ein Leipziger. Sebbene trascorse la sua infanzia a Großsärchen e Dresda, visse quasi tutta la sua vita a Lipsia, dal 1817 al 1887. Viaggiò fuori solo per le vacanze, e solo una volta per un breve soggiorno, tre mesi a Parigi nel 1827. Lipsia non era intellettualmente restrittiva, tuttavia, poiché, nella prima metà del diciannovesimo secolo, era per molti aspetti il ​​centro culturale della Germania. Era famoso per la sua vita musicale, per il suo commercio di libri e per i suoi salotti letterari. Si chiamava la Parigi della Germania. Fechner ha goduto di questa vita culturale ed è stato pienamente integrato in essa.

 

Fechner studiò per la prima volta medicina, conseguendo il diploma di maturità e il dottorato nel 1822. Ma divenne presto insoddisfatto dell'argomento. Sebbene avesse il diritto di praticare la medicina, confessò di non avere la minima idea di come sanguina un'arteria, o partorire e applicare una benda. Anche la medicina non lo soddisfaceva come disciplina intellettuale perché le sue teorie erano basate più sull'autorità e sulla tradizione piuttosto che sull'osservazione e sulla sperimentazione.




A causa dei suoi interessi intellettuali, Fechner presto gravitò verso la fisica, che applicava standard più elevati e metodi più rigorosi della medicina. Abbandonò la maggior parte delle sue lezioni di medicina e frequentò solo le lezioni del fisiologo Ernst Heinrich Weber (1795–1878) e del matematico Karl Mollweide (1774 –1825). Per un po’ Fechner divenne l'assistente di Mollweide, ma confessò di avere poco talento per la matematica. Il lavoro di Weber e Mollweide sulla percezione si sarebbe rivelato una profonda influenza sulla psicofisica successiva di Fechner.

 

Un evento cruciale nello sviluppo intellettuale di Fechner avvenne nel 1820 con la sua lettura del Lehrbuch zur Naturphilosophie di Lorenz Oken (1809). Oken era un ammiratore della Naturphilosophie di Schelling e nel suo Lehrbuch si proponeva di fornire un'esposizione sistematica delle sue idee di base e di riconciliare i suoi numerosi oppositori. Fechner era eccitato dalle speculazioni ‘mozzafiato’ di Oken sull'intera natura. Dai suoi studi di medicina si era abituati a vedere la natura come un meccanismo; ma Oken gli diede un nuovo modo entusiasmante di concepire la natura come un tutto organico. Fechner in seguito disse della sua prima lettura del libro di Oken: “Mi sembrava che una nuova luce illuminasse il mondo intero e le scienze del mondo; Ne fui abbagliato”.




Per i successivi quattro anni, Fechner si dedicò alla Naturphilosophie. Anche se ha detto di aver capito poco il libro di Oken, di cui ha letto solo il primo capitolo, ha continuato a leggere altri Naturphilosophen, in particolare Schelling e Steffens. Era davvero così coinvolto nella Naturphilosophie che nel 1823 scrisse la sua tesi di dottorato su di essa, Praemissae ad Theoriam organismi generalem, che era una teoria generale degli organismi. Nel 1824, in una raccolta di saggi, Stapelia mixta, fece le proprie proposte per il metodo della Naturphilosophie.

 

Nel bel mezzo del suo fascino per Naturphilosophie, Fechner iniziò a scrivere satire sotto lo pseudonimo di Dr. Mises. Le sue prime due pubblicazioni erano una parodia delle pretese e delle pratiche della medicina del suo tempo: Beweis, daß der Mond aus Jodine bestehe (1821) e Panegyrikus der jezigen Medicin und Naturgeschichte (1822). Queste satire contengono anche una critica dei metodi di Naturphilosophie, che il dottor Mises rimproverò per le sue frettolose analogie e la sua mancanza di attenta sperimentazione.




 Nonostante la propria consapevolezza dei suoi difetti, Fechner non perse il suo entusiasmo per Naturphilosophie. Credeva che i suoi problemi potessero essere superati trovando e impiegando la metodologia appropriata. Da qui le proposte in Stapelia mixta, che sono stati progettati per mettere Naturphilosophie su una base metodologica più solida.

 

Tuttavia, nel 1824, lo stesso anno in cui apparve la Stapelia mixta, Fechner sembrava aver perso ulteriore fiducia nella Naturphilosophie. In quell'anno aveva iniziato a tradurre i fisici francesi Louis Jacques Thénard (1777–1857) e Jena Baptiste Biot (1774–1862), il cui lavoro lo impressionò profondamente. Seguendo metodi accurati di sperimentazione e osservazione, i fisici francesi sembravano produrre risultati definiti. Fechner si chiese se Oken e Schelling avrebbero mai potuto produrre le precise leggi dell'ottica che si trovano nell'opera di Biot?




 Nonostante tale disillusione, Naturphilosophie rimarcherebbe una profonda influenza su Fechner. Ci sono due ideali fondamentali di Naturphilosophie che ebbero un effetto duraturo: il primo, il suo ideale di una visione del mondo unificata; e, il secondo, il suo concetto organico di natura. Per quanto Fechner rifiutasse i metodi della Naturphilosophie, era comunque eccitato da questi ideali, ai quali non avrebbe mai rinunciato. Già nel 1824, quindi, esiste una tensione fondamentale nella vita intellettuale di Fechner: il desiderio di Naturphilosophie speculativa e la necessità di una scienza esatta.

 

Nel semestre invernale 1823-1824, alla giovane età di ventidue anni, Fechner iniziò la carriera accademica tenendo lezioni di fisiologia per la facoltà di medicina. Dopo la morte di Ludwig Gilbert (1769-1824), il professore di fisica di Lipsia, nel 1824, Fechner servì come suo sostituto temporaneo. Poiché era ancora così giovane, la posizione non poteva essere resa permanente. Fu solo nel 1834 che Fechner divenne finalmente professore di fisica a Lipsia.




Durante gli anni venti dell'Ottocento, Fechner iniziò il suo primo lavoro sperimentale, prendendo come soggetto il nuovo ed entusiasmante campo dell'elettricità. Condusse esperimenti per testare e perfezionare le misurazioni per la legge di Ohm, che era stata scoperta nel 1826, ma che all'inizio era molto controversa. Le esatte osservazioni e gli esperimenti di Fechner furono molto apprezzati e contribuirono all'accettazione generale della legge di Ohm. Gli esperimenti furono raccolti sotto il titolo Maßbestimmungen über die galvanische Kette (Leipzig: Brockhaus, 1831).

 

Nel 1827 Fechner intraprese un lungo viaggio attraverso la Baviera, Salisburgo, il Tirolo e la Svizzera, che alla fine si concluse con il suo soggiorno di tre mesi a Parigi. Lì incontrò finalmente Biot e Thénard nonché André Marie Ampère (1775–1836); il loro impegnativo lavoro sperimentale gli servì da modello. Le traduzioni di Biot e Thénard di Fechner svolsero un ruolo importante nella diffusione della scienza matematica francese in Germania.




Dal 1838 al 1840 Fechner intraprese esperimenti sulla psicologia della percezione sensoriale. In tal modo entrò a far parte di una tradizione di Lipsia: negli anni Trenta dell'Ottocento Alfred Volkmann (1801–1877), Ernst Heinrich Weber (1795–1878) ed Eduard Friedrich Weber (1806–1871) condussero esperimenti sulla psicologia e fisiologia dei sensi percezione. Fechner continuò in quella tradizione conducendo a sua volta esperimenti sulla percezione del colore. Voleva indagare la connessione tra il fenomeno oggettivo della luce e la sua percezione soggettiva. Scoprì che la comparsa di molti fenomeni di colore è dovuta più all'affaticamento della retina piuttosto che a qualsiasi proprietà della luce stessa. I risultati di Fechner si rivelarono fruttuosi e furono successivamente ripresi da Helmholtz.

 

Sebbene Fechner si stesse facendo un nome, era ancora quasi indigente. I suoi posti di docente erano o mal pagati o non pagati affatto, quindi in qualche modo dovette compensare la mancanza di reddito. Per tenere il lupo lontano dalla porta, si impegnò in vari progetti di traduzione e scrittura. Il più discutibile di questi progetti fu la messa in opera editoriale di Breitkopf e Hauslexikon di Härtel, una guida domestica. Questo lavoro consisteva in otto volumi, ciascuno contenente da otto a novecento pagine; un terzo degli articoli doveva essere scritto dallo stesso Fechner. Così il nostro filosofo si trovò a scrivere sul modo migliore per apparecchiare la tavola e su come tagliare la carne. Il motivo di Fechner che lo convinse ad intraprendere questo lavoro era totalmente finanziario: le precedenti edizioni dell'Hauslexikonera furono molto redditizie. Ma, per fortuna, questa edizione si rivelò un fallimento. Le poderose fatiche di Fechner non servirono a nulla e lo esaurirono così tanto che lo precipitarono verso un esaurimento nervoso nel 1840.


(Prosegue)







domenica 25 aprile 2021

RACCONTI DELLA DOMENICA ovvero: 'FAME' (17)

 










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Della Domenica (16/1)


Prosegue con il...:


Racconto quasi 'completo' (18)  &  (19)


Dal passo rallentato al riavvolgimento veloce (12)








Essere capaci di vedere lontano, e al tempo stesso guardare vicino, ecco l’alternativa. Non è facile. Ma chi ha mai detto che dovrebbe esserlo. E questa difficoltà è alla fine l’unica cosa che ci rimane. 

 

Sempre lo stesso giorno. Non finirà mai, questo interminabile giorno?




E’ il crepuscolo, ma fuori dal cancello si muovono delle figure. Hanno in mano dei libri, li gettano oltre la recinzione.

 

“Il risveglio della terra”.

 

“Fame”.

 

“Pan”.

 

“Il villaggio di Segelfoss”.




Si tratta di gente comune, che ha amato quei libri. Al di qua della recinzione, Marie. Raccoglie con disperazione i libri. Knut non deve vedere. Nessuno deve vedere. La storia non deve poter dire che gli hanno rigettato i suoi libri. Li raccoglie nel grembiule. Poi è sera, fa molto caldo, una serata magnifica. Fuori dallo steccato si muovono ombre. Knut esce sul porticato, scende lentamente il viale. Marie sta risalendo, le braccia cariche. Si ferma di colpo, lo guarda, si fissano in assoluto silenzio. Poi lui dice:

 

Mi restituiscono i miei libri?

 

Lei non risponde, gli passa accanto, entra in casa. Hamsun rimane immobile. Scende fino al cancello. Una ragazza, con in mano Pan. Guarda la leggenda.

 

Siete voi, Knut Hamsun?

 

Lui non la sente, è sordo.




 Siete voi quello che chiamano il traditore della patria?

 

La mano si avvicina piano fino alla sua guancia, le fa una carezza.

 

Mamma mi ha detto di ributtarvi i vostri libri.

 

Gli dà il libro, e dice impacciata:

 

Perché lo siete diventato?




Lui sorride ancora, perché non dovrebbe sorridere? il viso della fanciulla è così grazioso, gli occhi così chiari, la voce così dolce, la bocca si muove così gentilmente, anche se lui non sente nulla. E lei ripete:

 

Perché?




 …Io tornai indietro e mi sedetti sulla panchina. Ero molto inquieto e l'organetto che sonava poco distante mi rendeva ancor più insofferente. Era una musica metallica ritmata, non so che cosa di Weber, e una ragazzina vi accompagnava una canzone malinconica. La cantilena lamentosa dell'organetto mi entrava nel sangue, mi dava ai nervi, li faceva vibrare tutti insieme, e dopo un po' mi appoggiai alla spalliera accompagnando anch'io quel canto a bocca chiusa.

 

A che punto si arriva quando si ha fame!

 

Mi sentii leggero, come dissolto in quelle note e sentivo chiaramente che scivolavo via librandomi sopra i monti, danzando sopra zone di luce...

 

‘Un centesimo!’

 

…disse la piccola dell'organetto tendendo il piattino di latta

 

‘un centesimo solo!’

 

‘Subito’

 

….dissi istintivamente, e alzatomi in piedi mi frugai nelle tasche. La piccola credette che la pigliassi in giro e si allontanò subito senza dire una parola. Quella muta indulgenza era troppo, era troppo per me. Se mi avesse insultato, mi avrebbe fatto un piacere.




E il presidente della corte dice:

 

La parola a Knut Hamsun.

 

L’arringa arriva a ondate. All’inizio si dimentica, poi non riesce a leggere gli appunti che ha scritto con la sua penna da carpentiere, perché non c’è abbastanza luce.

 

Il primo momento è imbarazzante. Parla come gli viene, nella semioscurità che gli danno i suoi occhi.




Ecco arrivata l’occasione. Adesso la lista dei miei peccati verrà srotolata con metodo e moralità. Devo chiedere scusa per la mia afasia, che fa sì che le mie parole… facilmente… le espressioni alle quali nella fretta devo ricorrere… facilmente vadano al di là del loro significato.

 

Pausa.

 

Tace.

 

Del resto ho già risposto in precedenza a tutte le domande. A due poliziotti di Grimstad. E’ stato un due… tre… cinque anni fa. Poi c’è stato il lungo periodo in cui sono rimasto rinchiuso all’istituto perché dovevano verificare se ero malato di mente. O forse verificare che ero malato di mente.

 

Risate incerte in aula.




 Non vede.

 

Annaspa fra le carte. E’ molto penoso. In un improvviso attacco d’ira le getta via.

 

Ed è con ben diverso vigore che si mette a parlare.

 

Io non ho mai dato niente agli attivisti del N.S., non sono mai stato membro del Nasjonal Samling, ho cercato di capire cosa fosse, è possibile che a quell’epoca abbia scritto nello spirito del N.S. Non so, perché non so quale fosse lo spirito del N.S. Ma può benissimo essere che si fosse infiltrato. Ad ogni modo i miei articoli sono davanti agli occhi di tutti. Non voglio cercare di sminuirli, di minimizzarli, è già abbastanza pazzesco così.

 

Pausa.

 

Al contrario. Rispondo di essi adesso come allora. L’ho sempre fatto.

 

Pausa. Silenzio mortale in aula.




Ci avevano prospettato che la Norvegia avrebbe avuto una posizione importante nella società mondiale sotto l’egemonia germanica che stava per diventare realtà e alla quale noi tutti credevamo, chi più chi meno, ma tutti ci credevano. Io ad ogni modo ci credevo. Per questo ho scritto quel che ho scritto. Ho scritto della Norvegia, che avrebbe occupato una posizione elevata fra le nazioni germaniche d’Europa. Che in qualche misura dovessi anche scrivere della potenza occupante, dovrebbe essere facilmente comprensibile. Ero costantemente circondato da ufficiali tedeschi, come da soldati semplici, in casa mia, sì perfino di notte… ci si aspettava da me più di quanto non potessi dare. Stavo lì e quel che scrivevo dovevo misurarlo… scrivevo…

 

E ancora una volta, con grande forza:

 

Non dico questo per discolparmi, per difendermi. In linea generale non voglio affatto difendermi. Lo dico come spiegazione, lo dico come chiarimento per l’onorata corte. E nessuno è venuto a dirmi che quel che scrivevo era folle, nessuno in tutto il paese. Io me ne stavo solo nella mia stanza, e dipendevo unicamente da me stesso. Non sentivo, per via della mia sordità, era impossibile avere a che fare con me. Picchiavano sul tubo della stufa dal piano di sotto quando era ora di scendere a mangiare, e quel suono riuscivo a sentirlo.

 

Confuso, fa un passo verso il giudice, gli occhi pieni di lacrime.




Io scendevo, mangiavo e poi risalivo in camera mia e mi sedevo. Per mesi, per anni, per tutti quegli anni è stato così. E mai che mi sia stato dato il minimo avvertimento. Non ero un fuggiasco e avevo un nome abbastanza conosciuto nel paese. Credevo di avere amici da entrambe le parti, sia fra i sostenitori di Quisling che fra gli oppositori. Ma non mi è mai arrivato neanche un minimo avvertimento, nessun buon consiglio dal mondo circostante. No, il mondo circostante se n’è ben guardato. E dalla mia casa e dalla mia famiglia capitava di rado o mai che potessi ricevere qualche delucidazione o aiuto. Tutto doveva naturalmente essere fatto per iscritto. E diventava troppo complicato. Io me ne stavo seduto lassù. Potevo solo seguire i miei due giornali, l’Aftenposten e il Fritt Folk. E lì! lì ovviamente non si diceva mai che quello che scrivevo fosse sbagliato. Era giusto! Quel che scrivevo era giusto.

 

Ha un attimo di esitazione, poi riprende lo slancio.




Perché scrivevo e scrivo ancora? Scrivo per impedire ai giovani di essere posseduti dal Diavolo! Dal demoniaco inganno e demone di mammona. Scrivo per la mia Terra! Per le Selve che ho sempre amato. Per impedire al Diavolo di commettere ogni peccato in nome di un falso Dio narrato. Ogni insensato peccato. Per impedire di rovinare ogni Fiore e Frutto, per impedire di violarne il Pensiero per sempre maturo. Per impedire che la nostra comune ricchezza vada per sempre persa. Scrivo perché la mia antica Madonna, Beatrice della Natura, mi comanda di svelare e narrare segreta Preghiera in nome d’ogni Profeta. Scrivo perché scorgo l’immane peccato dell’uomo (qual profetica Visione) naufragato nell’orgoglio inciso nello scempio dell’intero Creato delegato al compito di subordinarlo (in un Sogno opposto e contrario). Negando Parola Pensiero Intelletto e Volontà del Dio Straniero a questa Terra. Scrivo perché odo e scorgo il volto di Dio in ogni lamento divenuto Preghiera abdicata ad ogni Angelo. E non certo un grasso putto dipinto e cresciuto nei fasti della ricchezza spacciata per credenza. Scrivo perché la Sua Parola la Sua Rima tramandata e narrata qual infinita Linfa da ogni sua creatura libera come Pan sotto questo Cielo d’Autunno! Scrivo perché il mio Dio Straniero mi insegna la Regola nel tradurre la Sua lingua per tutto ciò che in suo nome deve essere osservato e conservato. Come il suono di quell’armonia (della bambina) incontrata una mattina mai svanita. Scrivo in nome e per conto dell’Armonia udita per ogni Selva incontaminata. Scrivo sulle note dettate da tanti troppi angeli (e dèi della Natura) per ogni Primavera, ed ogni Foglia d’autunno, incise nell’antica composta simmetrica bellezza del gelo scendere come Neve ad annunziare il Fiore dell’Universo che mi attende vicino al tugurio dell’Inverno. Annunziare il Profeta dell’intera Rima, Dio Straniero di questa ed ogni Terra! Scrivo perché ogni cosa da Lui creata (come nata ed evoluta) un inno alla Vita. Ripetersi Infinita. Scrivo perché l’orrore dell’Apocalisse mi impedisce di tradurre il vero peccato consumato in nome d’un falso Dio adorato. Scrivo perché il Creatore mi comanda la Parola Segreta, non letta tantomeno intuita. Scrivo perché quella bambina, Greta, la vedo ancora. Scrivo per narrare come la mente del Creato si svela e rileva. Scrivo per il Sogno d’ognuno e non solo della Norvegia. Non so se sono un traditore della patria, amo la Terra. La Terra e con lei la Natura! Sì è vero forse sono uno Straniero! 



Tace, fissa lo sguardo vuoto davanti a sé.

 

Ha finito?

 

No, non ho finito…

 

(P. O. Enquist; Processo a Hamsun)


[Prosegue con il racconto 'quasi completo' ]








mercoledì 21 aprile 2021

(mani sporche) IN TERRA PULITA (10)

 










Precedenti capitoli:


Di mani sporche... (9/1)


Prosegue con...:


L'antologia del fu spugna senza più River (11)








Quanto alla tesi del golpe, un briciolo di buon senso sarebbe sufficiente a ricordare che chi fa affermazioni così devastanti dovrebbe adempiere all’onore di supportarle con fatti. Rimane il fatto che in quella vicenda gli esiti delle indagini furono diversi da quelli di procedimenti anteriori e successivi, pur talvolta condotti dalle stesse persone fisiche, con uguale determinazione.

 

 

La restaurazione:

 

 

In realtà il sistema politico (della pratica circa la diffusa istituzionalizzata corruzione di stato) si è rapidamente ricomposto in forme nuove, continuando tuttavia a calpestare sia la volontà dell’opinione pubblica (ad esempio aggirando l’esito del referendum sull’abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti politici, che oggi ottengono dallo Stato più denaro di prima del referendum, giustificato come rimborsi per spese elettorali) che le esigenze, imposte anche da istanze internazionali (Onu, Consiglio d’Europa, Unione europea, Fondo monetario internazionale, Ocse), di ridare legalità e trasparenza alle istituzioni e al mercato.

 

Da allora (e fino a non molto tempo fa) è invece stato avviato un tentativo di restaurazione, che ha ottenuto il duplice risultato di far crollare il numero delle condanne per corruzione e di far precipitare l’Italia, negli indici della corruzione percepita, al penultimo posto (nel senso degli ultimi della classe) nel mondo occidentale, dietro molti paesi africani e asiatici.




Il numero di condanne per corruzione, ridotto a un decimo di quello dei primi anni Duemila, non appare dunque frutto di una riduzione della corruzione, ma della difficoltà a fronteggiarla. Il clima in cui da anni operano i magistrati (attaccati da ogni parte e perennemente minacciati di riforme volte a ridurre la loro indipendenza e la loro possibilità di azione) e lo sfascio della giustizia non impedito e talora accentuato da parte delle maggioranze parlamentari che si sono trasversalmente avvicendate in questi cinque lustri, spiegano sia le maggiori difficoltà delle indagini che l’esito negativo dei processi, sempre più spesso conclusi con pronunzie di prescrizione.

 

Non ci si deve quindi stupire se la corruzione è probabilmente aumentata e, se mai, ci si deve domandare perché questi reati dovrebbero emergere in procedimenti giudiziari. La normativa sulla corruzione, per il numero e la frammentazione delle fattispecie, consente di inquinare agevolmente le prove: basta un’occhiata d’intesa fra due soggetti per passare, con lievi modifiche delle dichiarazioni, dalla concussione alla corruzione, dalla corruzione propria a quella impropria, con rilevanti effetti sia sulla pena che sulla prescrizione.




 Perciò non si può indagare su un caso di corruzione se i protagonisti possono comunicare fra loro.

 

Inoltre la serialità e diffusività di questi reati integra pressoché sempre il pericolo di reiterazione dei reati. L’esperienza insegna anche che questo pericolo non viene meno neppure con l’allontanamento dei corrotti da incarichi pubblici, perché li si ritrova di lì a poco a svolgere il ruolo di intermediari fra i vecchi complici non scoperti.

 

In un interrogatorio reso nel 1992, una persona sottoposta a indagini, riferendo di appalti relativi a un importante ente pubblico a livello nazionale, dichiarò che esisteva un cartello di circa duecento imprese che si spartivano tali appalti, che si pagava praticamente chiunque, sia con riferimento alla struttura dell’ente sia ai segretari amministrativi dei partiti di maggioranza e dei principali partiti di opposizione, e che ciò è standardizzato da almeno vent’anni.




Essendo questo il quadro, secondo le regole del codice di procedura penale, nessuno dei soggetti che delinquono da anni, inseriti in un contesto criminale e criminogeno, dovrebbe essere in stato di libertà.

 

Ma le campagne mediatiche contro le presunte manette facili (chissà perché riferite solo ai crimini dei colletti bianchi e non, ad esempio, agli scippatori) hanno sortito effetto: oggi i magistrati arrestano molto meno per questi reati e comunque si ricorre la maggior parte delle volte agli arresti domiciliari, anziché alla custodia in carcere, con il risultato che molte indagini vengono irrimediabilmente inquinate.

 

Gli indagati, anche quando fingono di collaborare, confessano solo quel che non possono negare o che immaginano sarà comunque provato e lo raccontano a modo loro, spesso dopo aver concordato versioni di comodo con i complici e ritagliando spazi di omertà da far valere per assicurarsi un futuro politico ed economico basato sulla capacità di ricatto acquisita con il silenzio mantenuto.




 Nel sistema ci sono meno smagliature in cui gli inquirenti possono infilarsi per scoprire la verità. La legge elettorale vigente fa dipendere l’elezione dalla collocazione in lista, sicché i vincoli verso coloro che formano le liste elettorali si sono rinsaldati e la tendenza a fare quadrato prevale su ogni altra considerazione. D’altro canto a rapporti diretti di corruzione sembrano essersi affiancati comitati d’affari che rendono ancora più difficile ricondurre le relazioni a fattispecie penali, non essendo stato inserito nel codice penale il delitto di traffico d’influenza, alla cui introduzione pure le convenzioni internazionali obbligano l’Italia.

 

L’unica spinta di segno contrario alla protezione della corruzione proviene infatti dalle istanze internazionali.

 

 

Oggi, come nel 1992:

 

 

Per l’insipienza di chi li sferrava, gli attacchi hanno investito non solo i magistrati del pubblico ministero, ma anche tutti i giudici di ogni grado, fino alle Sezioni unite della Corte suprema di cassazione, così ottenendo il risultato di tenere uniti i magistrati.




Il fatto che in tutta Italia ci siano ancora inchieste e processi sui reati della classe dirigente, nati quasi sempre da iniziative giudiziarie e quasi mai dalle forze di polizia (che non hanno le guarentigie di indipendenza dal potere politico che tutelano i magistrati, sicché tale iniziativa non è da loro esigibile), è segno che la magistratura è riuscita a conservare la sua indipendenza.

 

La crisi economica che oggi, come nel 1992, grava sul paese probabilmente ridarà slancio a iniziative serie per ridurre la corruzione e di conseguenza a una repressione più incisiva. Tuttavia tanti anni sono passati invano ed è necessario ricominciare dall’inizio a fronteggiare questi fenomeni, che contribuiscono a rendere l’Italia poco efficiente e poco credibile sul piano internazionale, per l’ingente sperpero di risorse pubbliche, i tempi biblici per la realizzazione di opere pubbliche e la scarsa qualità dei beni e servizi acquistati dalle pubbliche amministrazioni, quantomeno sotto il profilo qualità-prezzo.




 Allora è necessario ricordare i fatti accaduti venticinque anni or sono perché quello è stato il momento in cui le reali dimensioni della corruzione in Italia sono cominciate a emergere e dai fatti accertati possono essere tratti elementi utili per fronteggiare seriamente queste attività delittuose.

 

Oggi peggio di allora, infatti, accanto ai delitti commessi emerge con nitore l’incapacità (se non peggio) della classe dirigente di questo paese di creare le condizioni perché si possa vivere secondo le regole comunemente accettate del mondo occidentale, del quale dichiariamo di voler far parte. 


(P. Davigo)