giuliano

lunedì 5 aprile 2021

UN ESEMPIO DI 'STABILITA' (adottata dall'industria anarchica) (16)

 











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Circa il comune Viaggio 


& l'industria anarchica (14-15/1)


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La risposta (17) 


& Amiamo il Pianeta






 

 

Un caso di congenita ‘stabilità’ applicata alla cura della montagna, e per essere ancora più precisi, affidata all’incuria della presidente dell’associazione (degli anarchici) industriali dott.ssa Valeria Ghezzi apparsa sul numero di maggio 2019 della Rivista ‘Sciare Magazine’.

 

 

C’è chi, tra boschi, pascoli e monti, ha la fortuna di vivere tutti i giorni, sette giorni su sette: siamo noi esercenti funiviari.

 

Cresciuti ed educati ai valori della montagna, a un lavoro faticoso, sul e nel territorio, con l’obiettivo di renderlo accessibile e fruibile a tutti.

 

Lavoro di grande responsabilità, perché tecnologia, infrastrutture, natura e bellezza del paesaggio devono trovare il giusto equilibrio: quello della sostenibilità vera, ambientale e socio-economica.

 

Abbiamo consapevolezza del valore e della delicatezza del nostro patrimonio ambientale, ma sappiamo che la tutela del nostro prezioso ecosistema non può essere alternativa alla realizzazione di opere e infrastrutture indispensabili per vivere e valorizzare l’ambiente, per i turisti ma prima di tutto per noi residenti.

 

Che cosa significa ‘fare turismo’ per i funiviari?

 

Significa mostrare e far godere la bellezza del nostro territorio agli ospiti. Ma anche permettere alla popolazione di restare nelle proprie valli di origine, disponendo di una fonte di reddito adeguata. Inoltre, significa generare, sul territorio e in modo non meramente assistenziale, le risorse indispensabili a garantire servizi quali scuole, presidio sanitario, servizi pubblici e commerciali essenziali, spazi di vita sociale.

 

Infine significa dare ai nostri figli la prospettiva di rimanere nelle terre alte, senza sentirsi confinati in un’area protetta. I gestori delle aree sciabili vengono troppo spesso additati come devastatori del territorio, che invece presidiano e curano, con amore e passione.

 

L’area sciabile è l’unica risorsa che ad oggi garantisce occupazione e reddito sufficienti a contrastare lo spopolamento e le piste da sci occupano appena lo 0,05% del territorio montano italiano.

 

L’estate punta su trekking e bike. Bike che, osserviamo, ha riportato in montagna d’estate i giovani. Non possiamo dimenticare che l’ambiente naturale è il nostro (della gente di montagna) vero patrimonio: il prodotto che vendiamo al turismo, ma che ci garantisce una qualità di vita straordinaria, ben diversa dalla vita nelle città.

 

Solo un territorio abitato è anche curato, presidiato, valorizzato e noi siamo i primi ambasciatori della sua bellezza e anche della sua fragilità.

 

Nessuno lo conosce meglio di noi. Ma abbiamo il diritto di viverci con la stessa dignità e livello di sviluppo di chi vive in tutto il resto del nostro Belpaese.

 

Non con le stesse comodità. La logistica non lo permette, né lo chiediamo.  Per questo motivo non capiamo i sedicenti ambientalisti che rifiutano un confronto costruttivo, fanno polemiche strumentali e spesso vivono lontano dalla montagna.

 

Non dimentichiamo che gli ambientalisti sul territorio di montagna sono in realtà pochi. Tanto che i censimenti li fanno i cacciatori, i guardiaparco ormai non riescono più a sorvegliare il territorio e la forestale percorre il territorio in auto perché a piedi non riuscirebbe a ricoprire lo spazio ‘assegnato’.

 

Questi presunti ambientalisti sanno quanti chilometri a piedi sul territorio dell’area sciabile facciamo noi e i nostri collaboratori? E non è un caso che frane e rischio idrogeologico su queste aree siano quasi sempre sotto controllo.

 

Tenere le strade forestali in ordine, pulire i boschi, regimare le acque, curare gli inerbimenti, lavorare fianco a fianco a tutti quegli animali che gli ambientalisti vogliono difendere, ma spesso non sono nemmeno in grado di contare.

 

Tutte attività e fatiche che svolgiamo quotidianamente senza far rumore, senza metterle in piazza. Dopo la tempesta Vaia del 29 ottobre 2018, chi ha ripulito le strade forestali sulle aree sciabili e ha permesso di partire nei tempi corretti per la stagione invernale?

 

Tutto questo è stato reso possibile dal duro lavoro degli esercenti funiviari e dei loro collaboratori.

 

Non dimentichiamo che oggi molte strade fuori dalle aree sciabili sono ancora inagibili e non certo per inerzia o incapacità degli enti preposti, ma semplicemente perché nessuno è in grado di presidiare e curare il territorio come facciamo noi.

 

Certo, si dirà, le aree sciabili hanno un’estensione limitata e io rispondo: appunto!

 

Proprio per questo chiediamo di poter lavorare, di poterle sviluppare con l’ausilio delle tecnologie che aiutano sia il risparmio energetico che la tutela ambientale, di poter realizzare quelle iniziative necessarie per stare al passo coi tempi e col mercato, in cui ogni imprenditore mette cuore e passione.

 

È inutile parlare di sviluppo sostenibile se si dice di no a tutti e a tutto. L’obiettivo della sostenibilità non è e non può essere la cacciata dell’uomo dalla montagna.

 

L’ambientalismo troppo spesso è di facciata, di penna o di parola, perché sul territorio ci siamo noi, non chi si schiera sempre contro. Non possiamo costruire, investire, organizzare eventi, perché veniamo demonizzati da chi spesso sta comodamente in città tutta la settimana, ha mezzi pubblici a disposizione, servizi essenziali a portata di mano, supermercato sotto casa, riscaldamento ad energia fossile (o magari anche ad energia nucleare che, con una buona dose di ipocrisia, importiamo da altri paesi europei). Ma il fine settimana, se il tempo è bello, queste persone vogliono andare in montagna, pretendendo di averne l’esclusiva.

 

L’obiettivo di chi dice di tutelare l’ambiente sembra essere lo scoraggiare la presenza dell’uomo sul territorio, come se l’uomo non facesse parte dell’ambiente.

 

Il prezzo è la perdita di posti di lavoro, il blocco di attività imprenditoriali e investimenti produttivi, sia pubblici che privati, l’abbandono del territorio.

 

Il problema è concreto e non va trascurato, in quanto dopo sarà troppo tardi. Questo fenomeno è tangibile in molte località dell’Appennino, ma anche sulle Alpi inizia a manifestarsi: vogliamo ridurci a sovvenzionare economicamente le persone purché (ovviamente in piccoli numeri) stiano sul territorio?

 

Succede, ad esempio, in alcuni piccoli borghi svizzeri.

 

Per non parlare di quando la bandiera ambientalista è sventolata con fini politici, che nulla hanno a che vedere con il rispetto di territorio e ambiente: no ai concerti pop su aree sciabili, ma sì ad affollatissimi concerti in aree incontaminate, sì ad un museo in cemento armato, ma mille difficoltà ad una manifestazione di orienteering, no al mini idroelettrico.

 

Per fortuna i collegamenti funiviari verso Austria e Svizzera si realizzano, ma in Italia un territorio come il Comelico deve restare isolato e sempre più povero e disabitato.

 

Non è così che si fa l’interesse di territorio e ambiente. Così si difende un’ideologia, ci si mette alla stregua dei peggiori populisti, che sanno di poter contare su un pubblico disinformato che (anche per colpa nostra) non conosce il nostro lavoro ed il nostro quotidiano e faticoso impegno sui territori di montagna.

 

Non ho la pretesa di dire che noi imprenditori non commettiamo errori, anche sul fronte ambientale, ma le contraddizioni nel mondo ambientalista sono tante e troppo spesso gli atteggiamenti sono dettati da opportunismo e facili slogan: criticare le aree sciabili è facile, perché sono comodamente accessibili (a tutti, quindi anche a chi vuol solo criticare).

 

Venite a vederle dopo quasi 70 anni di sci: possiamo solo essere orgogliosi!


(Prosegue con la risposta...)







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