giuliano

martedì 25 settembre 2018

....NON SIA UNA GRANDE NUVOLA PURPUREA (15)


















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Sei sicuro...? (14/1)

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Il viaggio della Speranza (16/7)

...Giacché è l'ultima a morire (18)











Sei sicuro che in fondo all’estremo nord o sud a fatica conquistato non regni una grande nube purpurea di ingannevole materia artefatta?

Sei sicuro di aver riposto la tua e altrui coscienza al riparo d’ogni prevedibile e imprevedibile bufera e di non esserne in alcun modo coinvolto credendoti immune o come disse il poeta… ‘assolto’?

Sei sicuro dell’equipaggio della slitta da una nave approdata essere estranea da qual si voglia antica tentazione avversa al sano elemento così (mal)conquistato?

Sei sicuro di aver sconfitto l’invisibile Straniero come un nero pinguino animale avvistato riaffiorare da un iceberg di storia o in realtà non sei altro che il miope  suo cacciatore proteso verso la più cieca antica e nuova memoria braccata?

Sei sicuro ‘molestator-molestato’ del libero arbitrio  non essere su una antica rotta ove non regna il calore della Terra?

Sei sicuro della scelta e con essa della presunta antica potenza quale corsa della perenne conquista ove molti e troppi seguiranno il fiero passo rubato a madre Natura per ognun che viola il diritto e non solo alla Vita?

Sei sicuro di aver acquisito nella marcia accompagnata passo dell’oca agognata  il dovuto senso della disciplina e con essa saggia coscienza?

Sei sicuro che questa sia ‘rotta’ e giusto ‘mezzo’ per assicurare onore e gloria donde la Terra se non fosse solo termometro bussola e barometro ove una nube di insana natura misurare distanza e gelo dell’antica conquista e successivo degrado fondato nella natura dell’inutile conquista?

Sei sicuro con gli altri accompagnare la corsa non più cammino immuni nel compiere medesimo strazio della caccia dovuta e non certo sopravvivenza?

Sei sicuro che ciò che ai accumulato possa soddisfare le esigenze del ritorno della difficile conquista tonnellata di materia imprevista?

Ma ciò di cui prendere atto dopo il ritorno dalla base ‘Scott-Amundsen’ lo svolgere di strani inequivocabili eventi estremi d’un tempo che pensavano superato: una ‘nube purpurea’ avvolgere una fiorente chiesa per poi approdare al fitto d’un bosco unita dalla costante minaccia di chi avverso al sano Elemento, fondare morte ed invisibile silenzioso agguato per ciò che non può dirsi una strana (m)afa…



  
…SEI SICURO IMMOBILE (se pur) PARTITO (ed anche tornato) AVVOLTO DA SIMMETRICO PENSIERO QUAL NUBE PURPUREA AVVOLGERE L’INTELLETTO D’OGNUNO DALLA TERRA FINO ALLA STROTESFERA PRECIPITATO IN ALIENO AVVERSO ELEMENTO… DECIFRARE LA MORTE PREMATURA?  




Per poi avvolgere ancor più invisibile immobile morto pensiero per ogni cosa che si muove in una Terra divenuta nuovo deserto ove la strana nube in odore acre e pungente paralizzare ogni tentativo nell’insana conquista milioni d’ettari di Terra ove giacciono morti supini privi di Vita e Idea su come in verità e per il vero si può fondare la Vita e non trovare pace in Terra riversi dormienti vivi ma pur morti nell’atto d’ogni giorno che li ha contraddistinti...



chi camminando chi lavorando chi in chiesa pregando chi pranzando o chi invece cenando e chi  fumando una sigaretta chi attraversava la terra chi curando un bambino e chi un paziente nell’ultimo difficile respiro chi faceva benzina non riuscendo a capire bene nell’atto finale da dove il gas proveniva chi seduto per catturare l’ultimo sole d’autunno mentre lo sguardo fisso immobile al cielo e la radio rimasta a vegliare l’ultimo alito di veleno fagocitato chi sfornava un po’ di pane bevendo vino riverso supino in questo strano imprevisto cammino divenuto futura cenere del camino la nube approdata dalla finestra ha apparecchiato anch’essa la propria mensa quando hai pensato di nutrirla chi invece lento lungo la via pensando di esser mamma e riparare al giardino il bianco fanciullo da qualsiasi calamità la nube li ha lasciati uniti nell’ultimo passeggino privati del respiro chi nella scuola esponeva l’ultima teoria sul diritto l’hanno trovato dritto con lo sguardo fisso rivolto al cielo chi nello stesso tempo si trovava al magazzino a fronte dell’ultimo acquisto l’hanno trovato sdraiato al bancone come fosse carne da macello un foulard appeso ad uno strano sorriso come fosse un uncino d’una nube transitata sogno seta-purpureo ultimo modello chi invece studiava l’ultima strategica linea di difesa accasciato alla cartina non riuscendo a scorgere da dove lo strano odore in vero proveniva chi in attesa alla stazione chi in piedi e chi seduto sull’aereo collassato fors’anche mai decollato offuscare la rotta del treno su cui precipitato quando entrambe pensavano  all’intero carico trasportato ma ad una prima nuvola d’autunno approdato uniti  nell’ultimo sogno purpureo d’un incompreso sguardo sulfureo avvolgere lo strazio senza passeggero alcuno ad ammirarne l’attesa chi alla corsa del primo mattino l’ultimo jogging travestito riverso ed anche lui supino vicino ad una siepe frugare nel purpureo sogno accresciuto non scorgendo alta la nube avvolgere l’ultima corsa verso il traguardo chi alla manovra convenuta manovrato dalla nuvola nell’ultimo gesto disperato l’hanno trovato ucciso dalla stessa sua arma nell'ultimo tentativo d’intuire da dove provenisse la nuvola dello strano unanime destino…




….L’idea di orientarmi in terra con gli stessi mezzi che mi erano serviti per orientarmi in mare, per quanto naturale, non mi era ancora venuta in mente; ma non appena vidi una bussola in mostra in un negozio vicino al fiume, tutte le mie difficoltà scomparvero: perché una carta o una mappa, una bussola, un compasso e, trattandosi di lunghe distanze, anche un quadrante, erano tutto quel che occorreva per mutare la locomotiva in nave terrestre: bastava sce-gliere quelle linee il cui tracciato passasse più vicino alla rotta prestabilita,anche se non la seguivano esattamente. Così attrezzato, lasciai Reading verso sera, prima che si facesse buio.

A un angolo vicino alla fabbrica di biscotti vidi un ragazzo, che mi sembrò fosse cieco: stava, come incastrato, in piedi, aveva una catena al polso, e legato alla catena un cane, e il ragazzo si trovava in una posizione tanto arbitraria da farmi pensare fosse stato sollevato, con catena e cane, e piantato lì dalla tempesta del giorno; ma la cosa più strana era il suo braccio, rimasto proteso sopra il cane, così che nell’attimo in cui lo scorsi mi sembrò un ubriaco che stesse aizzando contro di me il suo cane; infatti, tutti i cadaveri che vidi erano molto malconci, svestiti e stravolti dalla tempesta; si sarebbe detto che la terra facesse ogni sorta di vani sforzi per ripulire le sue strade.

Non molto lontano da Reading scorsi il vivaio di un floricultore: alcune aiuole sembravano morte, altre fiorivano con rigogliosa esuberanza; e qui, di nuovo vidi aleggiare intorno alla locomotiva nell’aria della sera, tre farfalline appena uscite dalla crisalide; poi passai accanto a una quantità di treni, pieni zeppi di gente, tutti sull’altro binario, due dei quali distrutti in uno scontro e una locomotiva esplosa; perfino i campi e i terrapieni ai due lati della ferrovia apparivano insolitamente popolati, come se i viaggiatori,non potendo più fidarsi di treni né di altri veicoli, avessero deciso di raggiungere la costa occidentale a piedi, schierati in colonne e carovane.

Prima di arrivare a Slough, stavo per entrare in una galleria, quando osservai sotto l’arco di ingresso una quantità di legni spezzati; mentre percorrevo il tunnel, mi allarmarono i salti che faceva la locomotiva, per via dei cadaveri che ingombravano le rotaie; all’uscita, un altro ammasso di legni rotti. Immaginai che un gruppo di disperati avesse deciso di chiudere ermeticamente le due uscite della galleria dopo essersi introdotti, con varie provviste, nella speranza di poter sopravvivere, finché il giorno del giudizio fosse passato; a un certo punto un treno diretto a Londra aveva infranto le barricate, probabilmente schiacciandoli; oppure altre folle, pazzamente desiderose di condividere il loro rifugio cavernicolo, avevano forse buttato giù le palizzate; essendo questi incidenti, come poi scoprii, divenuti quotidiani.

Non mi mancava molto per arrivare a Londra, ormai, ma la cattiva sorte volle farmi trovare sul mio stesso binario un treno, anch’esso diretto alla capitale, completamente vuoto: altro non potevo fare che trasferirmi con tutte le mie cose sulla locomotiva di questo treno, che trovai in buone condizioni, fornita perfino di carbone e di acqua; dovetti però farla partire, una fatica abominevole: ormai ero nero dalla testa ai piedi. Verso le dieci e mezzo un altro treno mi sbarrò la strada; ma mi trovavo a 400 metri soltanto da Paddington. Scesi e mi avviai a piedi verso la stazione,tre carrozze piene di cadaveri che si reggevano ancora in piedi, per via della calca, sopra rotaie dove i cadaveri erano così abbondanti e trascurabili quanto le onde nel mare o i rami nel bosco: perché intere moltitudini avevano inseguito i treni in movimento, cercando di raggiungerli, oppure li avevano preceduti, di corsa, nella folle speranza di poterli fermare.

Arrivai a quel gran capannone di vetri e travature che è la stazione; la notte era perfettamente silenziosa, senza luna, senza stelle; erano quasi le undici; impossibile non accorgersi che a un certo punto i treni, per potersi muovere, si erano dovuti per forza aprire la strada sguazzando sopra un pantano di corpi, spingendoli da dietro, e questi avevano formato una massa compatta sulle rotaie; certamente lo avevano fatto, si vedeva, e lo stesso dovevo fare io adesso, dovevo decidermi a guadare quel pantano, perché carne umana ce n’era dappertutto, sui tetti delle carrozze, negli spazi tra un vagone e l’altro, sulle piattaforme, spruzzata sulle colonne di sostegno come una schiuma ammucchiata sui vagoni merci aperti; una palude di carne, e la stessa sostanza, davanti alla stazione, riempiva gli interstizi lasciati dal vero e proprio esercito di veicoli che copriva a tappeto quel quartiere.

E tutto quel profumo di fiori, che in nessun luogo, tranne quella nauseante nave, era mai mancato, qui veniva finalmente e completamente sopraffatto da un altro odore; e mi venne in mente il pensiero, santo cielo, che se l’anima degli uomini aveva ruttato al cielo lo stesso odore che adesso i loro corpi mi offrivano, non era da stupirsi, no, che le cose stessero come stavano. Uscii dalla stazione; i miei orecchi, ne è testimone il cielo, si aspettavano ancora il solito rumore cittadino, per quanto fossi abituato ormai a quel muto e assente vuoto del silenzio; e fui sopraffatto da un nuovo terrore, e mi smarrii in una nuova disperazione ancor più sconfinata, quando invece di lampioni e di ruote in movimento, vidi davanti a me la lunga strada che conoscevo bene, immersa in un mutismo lugubre, come fossi in una Babilonia secolare invasa dall’erba; quando invece della consueta confusione, non udii che un silenzio sconvolgente, un silenzio che si innalzava al cielo, fino ad altezze dame finora mai sentite, per congiungersi lassù al silenzio di quelle luci di... eternità...


(Socialmente ispirato dalla Nube Purpurea)
















domenica 23 settembre 2018

L'ORRORE DELLA REALTA' (13)



















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L'orrore della realtà (12)

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Sei sicuro? (14)














In altre parole, costoro non tengono in nessun conto i progressi compiuti dall’ ‘Umanesimo rinascimentale dell’evoluzione umana’, anzi guardano con nostalgia all’organizzazione sociale dell’uomo primitivo e delle specie animali elevate e organizzate in un complesso apparato ‘meccanicistico’ dove i tanti animali ne compongono uno apparentemente evoluto e organizzato del misero suo stile di vita; e quindi, il ‘progresso’ deriva dalla preservazione dell’individuo più forte (o socialmente più violento…) e dalla sottomissione e morte di quello debole.
La possibilità che esistano forme di eccellenza in campi diversi è del tutto ignorata: infatti, quando parlano di favorire il ‘più forte ed efficiente’, costoro intendono unicamente colui che è economicamente forte ed efficiente. L’artista, lo scrittore, il ricercatore, il poeta (e tutti i loro consimili…) che non sono abili a far soldi (e a cui i soldi non sono destinati né assegnati d’ufficio… nel ruolo sociale di cui la ‘macchina’ abbisogna…) vengono classificati tra gli incapaci, tra gli stupidi, e costretti a soffrire ed estinguersi.
In poche parole oggigiorno contano solo i valori materiali!




Bene – mi sembra di aver già chiaramente espresso il mio totale rifiuto per questo modo ‘primitivo’ ‘arrogante’ nonché ‘illegale’ … modo di pensare.
Ammiro le tradizioni – sono infatti innanzitutto un amante delle cose antiche – ma non capisco perché proprio gli aspetti più rozzi e crudeli della società dei pionieri debbano essere isolati e idolatrati come essenziali per lo ‘spirito di una nazione’. Inoltre, non amo la furbizia – ma non capisco perché una selvaggia, febbrile lotta per il soddisfacimento dei bisogni materiale, complicata artificialmente, dal momento che la meccanizzazione ha semplificato il lavoro, debba essere considerata un ideale superiore a quello che esalta l’attività intellettuale unita a un programma, stilato con oculatezza, di sviluppo culturale. La mia riluttanza a soffrire la fame e a eliminare il più debole non significa che io sia un sostenitore della debolezza in sé. Sono a favore di un programma che migliori le condizioni dei gruppi più arretrati per mezzo dell’istruzione, e disdegno in assoluto quei metodo detti scientifici, introdotti consapevolmente, ai metodi irrazionali, violenti e accidentali di un mondo primitivo, in cui il vero ed unico progresso deriva soltanto da causali ‘effetti collaterali indotti’ da forze cieche e senza scopo, convinti del dono ‘superiore’ della vista intellettuale e divina, opposta ad una 'invisibile' forza terrena materiale o immateriale di un’anima ‘Superiore’….




La questione della ‘libertà’, sollevata astutamente ma slealmente dai reazionari, ovviamente è soltanto uno specchio per le allodole. Nessuno vuol limitare la libertà del cittadino americano, se non nelle attività economiche d’interesse nazionale – e chiunque scambi questo isolato aspetto economico per il sinonimo dell’intera esistenza del cittadino, si dimostra molto rozzo sul piano concettuale. Non solo: questa stessa libertà economica non è prerogativa del vecchio sistema più di quanto non lo sarebbe di quello nuovo. Infatti, nel sistema attuale, i grandi gruppi industriali schiacciano quelli piccoli. La riforma mirerebbe semplicemente a trasferire le restrizioni da un gruppo all’altro: le limitazioni imposte ai grandi interessi economici comporteranno per il tessuto sociale disagi minori a quelli provocati dalle presenti e passate restrizioni imposte ai gruppi più piccoli.  
… Ad ogni modo il difetto principale del capitalismo è forse qualcosa di più profondo del rifiuto della solidarietà: qualcosa che ha a che fare con la sottile, radicata ostilità del capitalismo e dell’intero spirito mercantilista, contro tutto ciò che lo Spirito umano ha di più raffinato e creativo. Come ho ricordato in precedenza, l’affarismo e il culto del denaro sono i principali nemici della persona umana, perché celebrano e premiamo l’individuo avido e scaltro a scapito di quello intrinsecamente superiore e più creativo.




I sostenitori del capitalismo si struggono per il principio della ‘libera concorrenza’ economica che ‘premia i più meritevoli e punisce gli incapaci’.
Molto bene!
Verifichiamo come i migliori vengono premiati….
Facciamo un elenco delle menti e delle personalità unanimemente riconosciute come le più illustri della moderna società capitalistica, e vediamo se è proprio vero che il capitalismo le abbia premiate secondo i loro meriti. Albert Einstein, Romani Rolland, Bertrand Russell, H. G. Wells, Gorge Santayana, Thomas Mann, John Dewey, W.B. Yeats, George Bernard Shaw, M. e M.me Curie-joliot, Heisenberg, Planck, Eddington, Jeans… e molti altri ancora: sono forse costoro, oggi, le persone più ricche del mondo?
E in passato il sistema capitalista ha forse premiato personalità indiscutibilmente superiori come quelle di Poe, Spinosa, Baudelaire, Shakespeare, Keats e così via? O forse sarà che i veri beneficiari del capitalismo non sono gli individui veramente migliori, ma semplicemente coloro che decidono di dedicare ogni loro sforzo al solo arricchimento personale, anziché al servizio della collettività in campo intellettuale o estetico… questi, e quei fortunati parassiti che dividono con loro o ereditano i frutti del loro talento e genio, indirizzato verso obiettivi così ristretti?




‘Il capitalismo favorisce il progresso tecnologico &cc. &cc. &cc.’: molto bene, Mr Hoover, ma risponda solo a tre domande di un onest’uomo: (a) nel lungo periodo, il progresso tecnologico è poi così importante? (b) chi realizza il progresso tecnologico: i capitalisti, o piuttosto i loro tecnici, ingegneri, scienziati e ricercatori, tutti sottopagati? (c) come mai negli ultimi anni il progresso tecnologico avvenuto nella non-capitalista Russia sovietica ha sopravanzato quello della maggior parte dei paesi capitalisti? Qual è la risposta a queste domande? ‘Oh, taci, dannato bolscevico, e non fare il contestatore sovversivo!’.
Molto bene – lasceremo che sia la storia a risolvere la questione, a modo proprio. Ma che esista qualcosa di realmente giusto o benefico nel capitalismo… Puah! Tutte fandonie!
Di recente ho discusso di un aspetto di questo problema – le conseguenze della mercificazione dell’arte – con il giovane Virgil Finlay, il nuovo, brillante illustratore di WT, che riteneva che il Nonno fosse troppo severo nei confronti di quegli editori incapaci che hanno spogliato gli scrittori di nuova generazione di gran parte del loro talento. Finlay sosteneva che ostacolare la buona scrittura finirebbe per stimolarla, perché la porrebbe di fronte a una sfida…. Oh Gesù! Come se ci fosse davvero qualcosa di positivo nella spietata umiliazione del vero talento e nel sistematico incoraggiamento di un’incompetenza insulsa e ciarlatanesca! Come ho detto a Finlay, la sfida della mercificazione non va fraintesa col salutare stimolo che di norma le difficoltà pongono al progresso: chi mercifica l’arte impone deviazioni, esteticamente dannose, del cammino che conduce al progresso artistico.




Gli elementi stilistici che gli editori ‘commerciali’ apprezzano e promuovono sono precisamente quelli che la vera letteratura dovrebbe evitare. Chiunque acconsenta a realizzare i prodotti scadenti richiesti dal mercato, sta deliberatamente frenando e danneggiando, in modo forse permanente, il proprio talento, nello sforzo di ottenere quei risultati modesti che sono estranei e opposti alla vera letteratura.
Le prove offerte in tal senso di figure pur brillanti come Long, Quinn, Price, Merritt e Wandrei parlano da sole. Di questi tempi nessun racconto, per quanto valido, verebbe accettato dall’editore di una rivista pulp, se non portasse la firma di un autore famoso. Non ho dubbi che se The Willows fosse opera di uno scrittore sconosciuto, non troverebbe un solo editore di riviste del terrore disposto a pubblicarlo, in Inghilterra come in America.
Quando una storia appena decente ottiene la pubblicazione su una rivista pulp, di solito è per via di qualche elemento secondario, che ha poco a che fare con i suoi reali meriti. I racconti migliori dello stesso autore verrebbero immediatamente respinti – come il caso di Klarkash-Ton chiaramente dimostra.




L’unico effetto della mercificazione del prodotto artistico è quello di far interrompere allo scrittore i suoi sforzi in direzione della buona letteratura, e di non fargli produrre spazzatura su commissione, uniformandosi così a formule rozze e non-artistiche.
Ecco perché non possiamo parlare di una vera e propria sfida. Le vere sfide sono quelle poste dai problemi dell’espressione artistica, dal tentativo di realizzare un determinato effetto estetico usando gli strumenti di un’arte autentica. Manifestazioni concrete di queste vere sfide sono competizioni come quelle indette dal Nobel e dal Pulitzer, oppure gli standard stabiliti da riviste ‘di qualità’ e dalle più raffinate case editrici…. Standard basati sul valore artistico, non sui dati di vendita.
Questi tipi di sfide sono, naturalmente, quanto di più lontano esista dalla mercificazione imperante. Quest’ultima, invece, è un male assoluto, che ha rovinato, più di qualunque altra cosa, la carriera di potenziali autori. Inutile a dirsi, esistono alcuni scrittori particolarmente coraggiosi capaci di sottrarsi alle mercificazioni almeno in parte, e di farsi pubblicare alcune ottime storie, a dispetto delle pretese del dio Mammone.
Tuttavia, anche in questi casi si deve assistere a un tremendo spreco di energie e di talento – che potrebbero essere più utilmente impiegati nella creazione artistica – e la produzione dell’autore è comunque molto meno buona di quanto avrebbe potuto essere, in assenza di pressioni di natura commerciale….

martedì 18 settembre 2018

SETTEMBRE (9)




















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Settembre (8)

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Solitudine (10) &

Solitudine metropolitana (11)















Wayne Elko era seduto alla finestra di una baracca nei bayou a ovest di New Orleans. Alle finestre non c’erano vetri, ma solo una polverosa copertura di plastica, e Wayne stava guardando le sagome indistinte di tre uomini che si esercitavano al tiro al bersaglio in una postazione di cipressi e salici. Qua e là nella zona sorgevano altre baracche usate dai domenicali che venivano a pesca di rane e granchi. Foschia mattutina. I colpi di fucile erano leggeri e lontani, come spari di armi giocattolo nell’aria pesante. David Ferrie, una presenza magnetica, uno spassoso maestro di giochi, stava tirando alle lattine con una calibro 22. Il cubano con il pancione, Raymo, aveva un Winchester modificato che gli piaceva smontare e rimontare. Puliva la canna con uno straccio e scartavetrava il calcio. Il terzo uomo, di nome Leon, lavorava di otturatore con una vecchia carabina: mirava, sparava, azionava la leva. Questo è un campo nuovo e messo su di corsa, spiegò Ferrie, così si spiega la mancanza di comodità. La sede naturale sarebbe stata a Lacombe, piú vicino a New Orleans, dove diverse fazioni anticastriste si erano esercitate alle tattiche di guerriglia finché gli agenti federali non avevano fatto una retata impadronendosi di un enorme deposito di dinamite e bombe. Il progetto attuale doveva mantenere proporzioni ridotte e riservate. Vietato parlarne. Rispettare l’ambiente.

Aspettare il momento!

Wayne pensava che quelle erano regole che sconfinavano nel misticismo…

...‘Io ci ho pensato tanto’, disse Raymo, e vi dirò quali sono le mie conclusioni. Una volta credevo negli Stati Uniti d’America. Il paese che non poteva sbagliare. Era più grande di qualsiasi cosa, più grande anche di Dio. Con la potenza degli Usa alle spalle, come potevamo essere sconfitti? Ce lo dicevano, ce lo ridicevano, ce lo promettevano, lo ripetevano all’infinito. Avevamo l’incondizionato sostegno delle forze armate. Siamo sbarcati sulle spiagge convinti che ci avrebbero appoggiato con l’aviazione, con la marina. Impossibile essere sconfitti. Abbiamo alle spalle i grandi Stati Uniti. E poi cosa succede? Ci ritroviamo in mezzo alle paludi, spersi e affamati, a mangiare la corteccia degli alberi per non crepare, e la radio dice: ‘Attenzione, brigata, la civetta chiurla nel fienile’. Guardò una a una le facce degli altri, ridendo.

‘Domani, fratelli, il bimbo storpio salirà la collina’.

Ridevano tutti.

‘Ci hanno disarmato e ci hanno legato le mani in una lunga catena serpeggiante, poi ci hanno fatto salire sui camion diretti al più vicino accampamento militare, e c’è un aereo che passa proprio sopra di noi e io grido, rivolto ai nostri uomini:  - Non sparate, ragazzi, è uno dei nostri -’. I suoi occhi brillavano di dissennata allegria. Guardò Wayne, poi Leon, poi di nuovo Wayne, ridendo storto, dando una gran manata sul tavolo. I piatti di latta sobbalzarono. Quando tornò il silenzio, guardò per due minuti buoni la sua porzione di uova e patatine. Si strofinò i baffi con l’indice, poi cominciò a mangiare. ‘A mangiare la corteccia degli alberi’, ripeté, ma questa volta senza allegria, masticando lentamente. Più tardi videro arrivare T-Jay sotto l’acquazzone, rovesci sospinti dal vento. Gli alberi si piegavano dietro di lui. Portava una sacca da viaggio su una spalla e un’altra sotto il braccio sinistro. Una volta dentro, le aprì. La prima conteneva due custodie di pelle, l’altra una sola. Ogni custodia era foderata di panno verde e conteneva a sua volta un paio di fucili di grosso calibro.

…Gli uomini soppesarono le armi borbottando e passandosele di mano in mano. La copertura della finestra si gonfiava e sbatteva. ‘I cannocchiali sono in macchina’, disse T-Jay. Si sedettero e parlarono dei fucili. Wayne credeva che nei fucili ci fosse l’amicizia. Il che non era necessariamente un paradosso...








                                               BREVI NOTE DEL CURATORE





Il Curatore invia alcune foto dell’autopsia di Oswald. Nicholas Branch si sente in dovere di studiarle, anche se non ha idea di cosa ne potrà ricavare. Vede gli occhi sbarrati, la grande ferita sul fianco sinistro, le due creste della sutura grossolana che s’incontrano sotto la clavicola per scendere in un’unica linea fino alla zona dei genitali, formando una lettera Y. L’occhio sinistro è rivolto all’obiettivo, e guarda. Il Curatore invia gli esiti delle perizie balistiche effettuate su teschi umani e carcasse di capre, su blocchi di gelatina mista a carne di cavallo. Ci sono foto di teschi con la porzione cranica destra asportata da uno sparo. Ci sono primi piani di teste di capra fracassate. Branch studia la foto di un manichino di gelatina ‘vestito’ come il presidente. È pura scultura modernista, un blocco di gelatina avvolto in strati di tessuto per abiti maschili e per camicie da cui fa capolino una striscia di maglietta intima bruciata dal proiettile. Ci sono documenti sulla velocità di uscita. C’è la foto di un cranio umano riempito di gelatina e ricoperto di pelle di capra per simulare il cuoio capelluto. Il Curatore invia all’FBI una serie di memorandum concernenti il cervello del presidente, scomparso da più di vent’anni dagli Archivi Nazionali. Invia una vera e propria pallottola deformata, sparata a fini sperimentali attraverso il polso di un cadavere seduto. Qui siamo a un altro livello, pensa Branch. Abbiamo trasceso la documentazione. Ora vogliono che io tocchi e annusi. Non sa perché dopo tanti anni gli stiano inviando questa macelleria. Frantumi di ossa e orrore. Ai suoi occhi non significa altro. Non c’è niente da capire, nessun giudizio approfondito deducibile da questa somma di immagini e dati, da questa malinconica pallottola con la punta appiattita e schiacciata come un penny lasciato sulle rotaie del tram. (Come si sente vecchio). Le teste di capra insanguinate sembrano sbeffeggiarlo. Incomincia a pensare che il punto essenziale sia questo. Gli stanno strofinando la faccia nel sangue e nelle frattaglie. Lo stanno sbeffeggiando. In realtà, stanno dicendo: ‘Ehi, guarda, sono queste le vere immagini’. Questa è la storia. Eccoti un cranio esploso su cui meditare. Ecco il piombo che penetra nell’osso. Stanno dicendo: ‘Guarda, tocca, è questa la natura autentica del fatto. Non le tue splendide ambiguità, le tue biografie degli attori principali, le compassioni e le tristezze. Non la tua stanza piena di teorie, il tuo museo di fatti contraddittori. Non ci sono contraddizioni, qui. La tua storia è semplice. Guarda, l’uomo sul tavolo autoptico. L’occhio aperto, sbarrato. La testa di capra da  cui cola materia elementare’. Stanno dicendo: ‘È così che appari quando ti sparano’. Come può Branch scordare le contraddizioni e le discrepanze? Sono l’anima di quella storia capricciosa.

Per le conclusioni del ‘campo magnetico’ ove il tutto dall’ago del curatore rilevato vi rimando allo Stato di un diverso ma non antico ma sempre odierno Dialogo…

(D. Delillo, Libra)

 (per diritto citazione art.70 Legge 22/04/1941 n. 633)





















domenica 16 settembre 2018

CONSENSO SOCIALE (7)


















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Consenso sociale (6)

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Settembre (8/9)














La similarità dei due partner colossali che, se non attraggono a sé i territori degli Stati storici, pure ne assumono la sovranità, suscita l’impressione che abbiamo qui a che fare con dei modelli, anzi, con degli stampi: con le due metà di un’unica forma da impiegarsi per fondere e costruire lo Stato mondiale. Con ciò non si intende una semplice operazione di addizione, un raddoppio, ma una trasformazione qualitativa, l’ascesa a una potenza che oggi non è ancora possibile rappresentarsi. Tale prospettiva è già più gradita di altre, per il fatto che essa sola promette una limitazione e un addomesticamento degli strumenti di potere cresciuti oltre la possibilità di controllo degli Stati e degli imperi storici. Soltanto da un centro, da un umbilicus mundi, si può decidere se essi vadano conservati oppure eliminati; l’addomesticamento di ciò che è indomito ha come presupposto lo Stato mondiale.




…In un mondo che si muove sempre più velocemente, i simboli più credibili di dominio sono le punte lanciate nel moto più veloce e potente: sono i veicoli spaziali (e i  futuri derivati) e quella punta estrema raggiunta dal mondo che va costituendosi, in cui le conquiste della ricerca si combinano con quelle della tecnica rendendo così possibile lo sviluppo delle ricerche astronautiche (e non solo). Si creano, in quelle sedi, modelli di pianeti. Affinché quelle creazioni possano essere realizzate dovrà certamente aggiungersi molto altro alle prestazioni della tecnica: un tempo era la profondità dei sogni in quanto essenza delle antiche utopie, in seguito la potenza della terra in quanto tale, che è divenuta fertile e irradia attraverso l’ingegno dell’uomo. In una parola: le premesse per l’ora di una nascita.




L’eccitazione che invade i popoli di fronte a questi modelli e alle strade che con essi si dischiudono ha buone ragioni di essere; anche in essa è più forte l’effetto prodotto dagli elementi invisibili che da quelli visibili. Lo statuto di un simbolo non si fonda sulla potenza pratica, la quale, piuttosto, trova in esso la sua espressione. Non si tratta di un trionfo sullo spazio e sul tempo, e nemmeno delle dimensioni straordinarie degli sforzi e dei costi necessari a realizzare la missione; ancor meno si tratta di mettere a punto l’equipaggiamento indispensabile per compiere il lancio nello spazio, superando la forza di gravità. In ultima analisi tutto questo rimane inesplicabile, come la formazione di un organo nuovo.

L’estremo pericolo che tutto questo comporta si comprende solo marginalmente; ma il pericolo non si può eliminare. Si pone per l’uomo una domanda destinale: se egli voglia questo nuovo mondo i cui contorni gli si profilano davanti agli occhi.

Egli vi ha già acconsentito, ed è appunto con un sì che doveva rispondere.




Per quanto riguarda i modelli, se ne osserva lo sviluppo nel modo migliore se li si guarda come fossero minuscole particelle, dotate di una carica potente, che si sollevano al di sopra di un vasto campo. Ed è bene, anche in questo caso, non attribuire ai fenomeni tecnici una parte più importante di quella che essi hanno in altri simili processi.

Essi non forniscono che gli strumenti per una volontà che vive al di là della tecnica.

Il gioco dei nervi, dei muscoli, dei tendini che fa muovere la nostra mano è assai più complicato, ma perché la mano suoni un violino o dipinga un quadro, non occorre un manuale di anatomia. Si potrebbe qui replicare che la mano non è stata inventata dall’uomo. Ma all’obiezione si può rispondere chiedendo quale contributo originale abbia dato l’uomo alla nostra tecnica, sia esso inteso in primo luogo come un contemporaneo di quest’epoca e, in secondo luogo, come l’esemplare, dotato di abilità tecnica, di una specie intesa in senso biologico. Difficilmente gli occhi riescono a cogliere gli effetti che si producono entro una dimensione più sfuggente, in quella pellicola sottilissima che vede una generazione o anche un secolo come un semplice momento della sua stratificazione, le forze storiche, ma anche ‘sovraultrastoriche’ che qui si aggirano, spingono, attraggono: è più facile osservare gli effetti tecnici, con la realizzazione dei quali, pure, quegli altri sono immediatamente in relazione.




…Solo qui si manifestano i modelli che creano e attribuiscono il senso, che ci fanno sperare di non essere capitati in un cunicolo senza uscita, di quelli che da sempre esistono negli strati della terra…

Il nostro pensiero, estremamente raffinato, addestrato secondo il modello del legame di causa ed effetto, ci ha resi quasi daltonici davanti a questi fenomeni.

Per dimostrare che qualcosa si sta preparando ricorriamo soprattutto alla causalità storica, alla spinta che connette i fatti tra loro. Ma esiste anche un forte legame di attrazione tra i fatti, che esercita il suo effetto muovendo dall’altro polo; accanto all’azione causale ve ne è dunque una finale: entrambe vengono a incontrarsi nell’istante, conferendogli la sua forma. Come ogni porta può essere contemporaneamente un’entrata e un’uscita, così, a seconda della prospettiva di chi giudica, il presente può essere inteso tanto come una conseguenza, quanto come il segno premonitore di qualcosa che sta per sopraggiungere. È inevitabile che ciò che sopraggiunge porti con sé uno stato di inquietudine, che sia accompagnato dal presagio di qualcosa che è privo di senso, e persino della morte, dal momento che fa la sua comparsa entro uno spazio già ripartito, a danno dei diritti e degli interessi esistenti.




D’altra parte, è appunto la messa in questione di quei diritti e di quegli interessi che annuncia ciò che sta per sopraggiungere.

Vi sono tempi in cui nessuno si sente tranquillo; tempi che ricordano i movimenti inquieti del bruco che cerca un luogo dove incrisalidarsi. Ciò che esso cercava in realtà, ciò che lo trascinava nel suo moto inquieto non era precisamente un luogo: era la farfalla. Ogni involuzione è contemporaneamente un’evoluzione. Il filo in cui il bruco si avvolge è lo stesso che libererà la farfalla.

In modo simile lo Stato mondiale non è semplicemente un imperativo della ragione, da realizzare attraverso l’azione conseguente di un volere. Se fosse così, se non si trattasse che di un postulato logico o etico, le cose in futuro andrebbero male per noi. Esso è anche un qualcosa che sopraggiunge. Nell’ombra che esso proietta davanti a sé, sbiadiscono le vecchie immagini, si  svuotano di senso le interpretazioni familiari, soprattutto quelle dello Stato storico e delle sue esigenze. Le guerre che questo conduceva sono pertanto divenute sospette, incerti i suoi confini. Ciò che sopraggiunge spezza le norme che lo governavano; lascia intravedere altre immagini e altri concetti, e anche un nuovo diritto.




La similarità delle due potenze mondiali, come è meglio chiamarle per distinguerle dalle grandi potenze storiche, non è solo un segno del comune stile del tempo e di ciò che di esso appare in superficie, ma di una sostanziale evoluzione. Il fatto che due partner così diversi nel tipo e nella provenienza possano essere considerati contemporaneamente dimostra che essi vengono compresi alla radice. All’osservatore che abbia riconosciuto non solo la similarità, ma addirittura l’identità della stella rossa e di quella bianca appare evidente che tale situazione di fatto richiede di trovare espressione nell’organizzazione della terra, magari per mezzo di un contratto.

Intanto le iniziative che sono state prese praticamente in questa direzione sono deboli e impotenti, come la Società delle Nazioni del primo dopoguerra. Ciò che si impone in modo decisivo è il dualismo; questo ci porta a pensare a un’epoca in cui la tensione costituisce un momento di costruzione. Ciò che accomuna i movimenti politici a quelli erotici è il fatto che né gli uni né gli altri sono governati dalla ragione. Essi affondano in uno strato più profondo; in essi si manifesta una volontà più forte. Sarà bene dunque, anche in questo caso, non aspettarsi troppo da conferenze, progetti, contratti, e confidare piuttosto in impulsi di portata più ampia. È in corso evidentemente un movimento del mondo alla ricerca di un punto di equilibrio. Esso ha infranto l’ordinamento dello Stato barocco in favore degli Stati nazionali e degli Imperi che su essi furono fondati e, successivamente, ha eliminato gli Stati nazionali, lasciando libero il campo per le potenze mondiali.




Ma anche questo stato di cose non sopporta alcuna forma di pluralità: di qui l’origine dell’attuale inquietudine. Dall’attuale divisione degli Stati mondiali esso spinge verso lo Stato mondiale, verso un ordinamento planetario o globale.

Tale crescita è connessa a una fame di sempre maggiori quantità di energie. Una creatura ancora in embrione, crescendo, attrae verso di sé il flusso del sangue e delle forze della terra; il singolo può avvertire l’attrazione di questo risucchio, per quanto viva ancora così nascosto, come lo avvertono gli Stati mondiali. Essi sono già attraversati da strade e da costruzioni che passano al di sopra del loro isolamento e lo superano. Chi abbia riconosciuto tutto questo, guadagna in mezzo al movimento una posizione da cui è possibile giudicare quali mezzi, forme e costituzioni politiche siano conformi alla spinta di questo moto e vi contribuiscano, e quali no…




Il grande movimento che va aumentando la sua accelerazione non coinvolge il destino di questo o quel popolo, ma di tutti i popoli e dell’uomo in quanto tale. Anche questo sarà compreso; fa parte di quei fatti di cui si fa carico la coscienza generale.

Tale tema conduce molto più in là.

A proposito dello Stato trovano posto qui alcune riflessioni.

È noto che i contemporanei sono inclini a sopravvalutare l’attuale processo, specie se connesso con le catastrofi. Il tempo sembra allora acquistare maggior velocità, come nelle cataratte, in cui l’acqua cade più rapidamente. Ma le catastrofi, per quel tanto che possiamo volgerci a considerarne gli effetti nel passato - e oggi possiamo di molto arretrare con lo sguardo nel passato - hanno cambiato di poco l’aspetto dell’uomo e ne hanno appena minacciato l’esistenza. Si può anzi supporre che, come le glaciazioni o quelle calamità che produssero migrazioni di popoli, ne abbiano rafforzato l’habitus e vi abbiano impresso un’impronta più netta. L’uomo, in quanto specie, procede intatto oltre il tramonto delle generazioni, attraverso popoli e civiltà.




L’angoscia del nostro tempo non ha però a che vedere con il tramonto degli individui e dei popoli, ma con l’estinzione della specie. Le forme di questo tramonto sono strettamente connesse con l’intelligenza umana e con le sue decisioni. Con ciò non si pensa tanto alla questione della salvezza, come era il caso delle visioni apocalittiche di un tempo, ma a un atto mancato dell’intelletto. Questo tipo di considerazione nasconde l’autentica profondità dell’abisso, dal momento che restringe la valutazione della situazione alla cornice riempita da movimenti intelligenti e volontari. Le sfugge il fatto che questa stessa cornice è coinvolta nel movimento. Ne consegue che la dimensione del pericolo viene sottovalutata, come anche le riserve che sono a disposizione.

Il movimento non ha dunque luogo soltanto all’interno della cornice, ma anche al di sotto di essa.

È questa la ragione di fondo per cui quei concetti che vengono a costituite il quadro di riferimento, come guerra e pace, tradizione e confine, hanno incominciato a spostarsi in modo tale che la conoscenza storica non dispone più degli strumenti per darne conto.




Si spiega così il carattere sperimentale della politica attuale.

Non si è trasformata soltanto la situazione politica; tali trasformazioni sono infatti normali e costituiscono da sempre il materiale che i politici devono padroneggiare o hanno padroneggiato. Coinvolta nella precipitosa trasformazione è piuttosto l’organizzazione storico politica di fondo, e ciò spiega di nuovo le ragioni dell’incapacità di farsi padroni della situazione, spiega quei vistosi fenomeni che si attribuiscono a un atto mancato dell’intelletto, e quelle fenditure che, in tal modo, vediamo spalancarsi tra ciò che è ‘buono’ e ciò che è ‘secondo giustizia’, tra ciò che è stato deciso e ciò che è secondo ragione.

Tali fratture provengono da una tettonica più profonda di quella del terreno politico, perciò vengono meno le soluzioni che a questo livello è possibile trovare.

L’intelletto umano è affidato all’esperienza; dove questa lo abbandona comincia l’esperimento.

Ciò può produrre disorientamento, soprattutto nel tempo in cui domina l’intelletto che ha liberato tanto lo Stato quanto la società dai riti ricevuti in eredità e ne ha determinato la forma attraverso la conoscenza. Si crea così un beffardo ‘doppio gioco’ tra una libertà dello spirito divenuta quasi assoluta e la sua impotenza di fronte alla forza cogente del nuovo mondo che si impone. Proprio l’estrema evoluzione dello spirito umano lascia sperare che l’uomo sia in grado di spingere la propria capacità di comprendere al di là di se stesso, per cogliere gli eventi con uno sguardo che unisca l’acutezza della conoscenza critica con la divinazione.




Solo in questo modo sarebbe possibile comprendere quella componente del grande movimento della terra che si sottrae al libero volere; ed è appunto solo in questo modo che si può determinare che cosa la libertà del volere, interna a questo movimento e da questo stesso promossa, sia in grado di compiere e quali difficoltà debba aspettarsi di incontrare. Diverrebbe soprattutto possibile tracciare un confine tra ciò che, nell’insieme degli eventi che si propongono prepotentemente sulla scena, si può caratterizzare come un’opera dell’uomo e ciò che invece sfugge al suo controllo: sia che si consideri l’opera dell’uomo come un momento della sua emancipazione, sia che, al contrario, si guardi alla crescita colossale dell’intelligenza umana e dei suoi progetti come a un fenomeno provocato da impulsi di altro tipo, che si suppone trovino il loro spazio al di sotto della politica, della storia e degli ordinamenti umani tout court.

(E. Junger, Lo stato mondiale)

(per diritto citazione art.70 Legge 22/04/1941 n. 633)