giuliano

lunedì 3 settembre 2018

I MORTI CHE TORNANO (3)












































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Alla fine, i materiali si sono disposti attorno ad alcuni grandi temi: quello, più evidente, dei “Morti che ritornano”, (Così inizia un nuovo capitolo circa la Valla Antica… di cui lo specchio della Vita nelle alterne Stagioni che la contraddistinguono e di cui andrò a descriverne il bel profilo quasi fosse una Dèa quasi fosse Dio…; e queste come tutta la Natura pur dura e rigida rappresentano il mistero su cui ho già delineato il mio Eretico Pensiero nel Viaggio che da buon pellegrino proseguo… Mio padre che nacque non lontano da codesto cammino perì non molto tempo fa’ dedico a lui codesta preghiera dedico a lui questa grande Natura…) mentre tutte le altre narrazioni pian piano prendevano senso attorno a un “ciclo della Dea primitiva”, una immagine femminile dalla fisionomia ambivalente, circondata da un corteggio di altre figure, di cui molte di natura animale. All’inizio, dunque, mi parve di poter individuare soprattutto un evidente ciclo dei morti; più propriamente, un “complesso dei morti che ritornano”.

In questo caso a monte della ricerca vi era già una indicazione sintetica, antica e fondamentale, riferita, peraltro, genericamente alla provincia di Sondrio che indicava la presenza alquanto ossessiva del tema nella cultura popolare locale: “Il popolo valtellinese è assai inclinato alla pietà e alla venerazione verso le anime de’ trapassati. Non si bada ad economia per procurar loro dei servigi di requie; ed il contadino si raccomanda loro de’ suoi bisogni, e fra i pericoli si pretende che alle volte appariscono ad aiutare i loro amici e vicini, per isbrigarli delle soverchie faccende dell’agricoltura, o quando cade loro un giumento carico, a porger mano per rialzarlo.




Due opinioni singolarissime circa i defunti regnano fra queste popolazioni:

La prima si è che alcuni degli antichi cimiteri sono a preferenza creduti aver ricettate le spoglie mortali di persone generalmente più grate a Dio, che non gli altri.

La seconda consiste in una decisa prevenzione a favore delle anime de’ giustiziati. ...queste anime vengono in molti luoghi invocate colla formula di “Care anime giustiziate...” e, più oltre: coloro le azioni de’ quali non piacquero in vita... respinti dal cielo e dall’inferno, vengono confinati tra le montagne più cupe e meno accessibili, e sottoposti a travagli... Ciò che poi v’ha di più ridicolo, egli è che la stolta etichetta obbliga queste larve a portar in testa un gran cappello verde”. (Angiolini, prefetto del Dipartimento dell’Adda1).

A questa testimonianza si può aggiungere l’altra, non meno fondamentale, anche se meno antica, ma fondata su una più precisa conoscenza di prima mano, riferita all’Alta Valle, del primo etnografo locale Glicerio Longa, vissuto tra fine ‘800 e inizio del ‘900, purtroppo scomparso prematuramente nel 1913. A parte gli aspetti più folkloristici, come il particolare del cappello verde (che meriterebbe approfondimenti), la credenza è evidentemente la medesima: “Anche nel bormiese era diffusa la credenza popolare che alcune anime di defunti che ebbero vita scapestrata e peccaminosa venissero per un certo tempo condannate (per misciòn di Dio) a essere confinate nei luoghi più orridi e più solitari delle montagne. Si confinavano per töj fòra di bajt, per toglierne fuori dalle case e tenerne lontano lo spirito maligno”.

…Era evidente che doveva trattarsi non solo di avanzi sparsi di un sistema di credenze di un mondo remoto di cui si era definitivamente persa la chiave, bensì frammenti di narrazioni più complesse e organiche, che, se anche si presentavano nella forma di brevi lacerti, doveva pur essere possibile leggere e tentare di interpretare alla luce di grandi sistemazioni di sintesi ovvero complesse codificazioni del materiale mitologico, prodotte, in epoca recente, da alcuni studiosi prevalentemente sul materiale del folklore europeo.




Sin dall’inizio, la suggestione principale fu quella contenuta nell’opera di C. Ginzburg (ho trattato abbondantemente l’opera dell’autore citato  in Ginzburg [Dialoghi con Pietro Autier 2], il quale, in diversi lavori, ha tracciato una prospettiva storica di amplissimo respiro attorno alla tematica che ci interessa…

In questo modo è divenuto possibile concepire quei nostri frammenti quasi come tasselli da sistemare su un telaio precostituito, anche se ovviamente non fisso. In altre parole è sembrato possibile ravvisare un contesto, che offrisse spazio per un significato solo apparentemente perduto. E’ necessaria a questo punto una digressione. In quelle opere, in particolare in quella più organica, Storia Notturna, l’Autore delinea una prospettiva storica complessiva, fondata non solo sui testi di processi alle streghe da cui prende avvio la sua ricerca, e non limitata al tema al quale sembra fare riferimento il sottotitolo (Una  decifrazione del sabba), ma soprattutto articolata su una vastissima rassegna di elementi del folklore europeo, che gli consentono di ricondurre molti aspetti di leggende/credenze affioranti nella tradizione orale a una matrice unitaria assai lontana nel tempo, e insieme di tracciare a grandi linee il percorso storico di queste stesse credenze (quindi anche di quelle locali, nel nostro tentativo) da una remota preistoria sino alle vicende degli ultimi secoli che le hanno fortemente deformate e soprattutto frammentate.

Per continuare il nostro riassunto, la matrice unitaria, risalente alla preistoria, cioè a partire dalle società di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico superiore, e poi sviluppata nelle civiltà agrarie del Neolitico, è costituita dal mito del ‘ritorno dei morti’ dall’aldilà, spesso con un atteggiamento ostile o almeno ambiguo verso la comunità dei vivi e i loro beni, la produzione agricola, ecc. Da qui deriverebbero i connessi rituali agrario-esorcistici dei ‘benandanti*’ (oggetto specifico dell’altra opera, precedente), una sorta di sciamani nostrani impegnati nel combattere il pericolo di un ritorno ostile dei defunti. Quest’ultima credenza, attestata in una ristretta area tra Friuli e Balcani, non trova peraltro riscontri precisi nelle testimonianze e nelle leggende locali. Quanto alla linea di ricostruzione storica, le ricerche storico-antropologiche  portano a unificare una serie di testimonianze del folklore europeo (e non solo) e molte altre desunte dai processi alle streghe (appunto: l’ipotesi del ‘sabba’), attorno a questa linea ricostruttiva: dietro ai frammenti superstiti reperiti nel folklore europeo vi sarebbe una memoria (ancora presente almeno fino al ‘500, ma ormai scarsamente o per nulla consapevole) di antiche pratiche di carattere sciamanico…




…Anzitutto un viaggio iniziatico e comunque magico, allucinatorio ed estatico, nel mondo dell’al di là (ossia nel mondo dei Morti) con diverse motivazioni positive di alcuni personaggi privilegiati; più in generale una sorta di permeabilità tra mondo dei vivi e mondo dei morti (degli spiriti). Tale tradizione, dopo vari tentativi precedenti di estirparla, sarebbe poi stata definitivamente demonizzata e repressa nell’epoca dei processi alle streghe, all’incirca dal ‘400 in poi, e sarebbe quindi confluita in quello che viene nominato il ‘modello del sabba’, il notturno volo seguito dal convegno diabolico delle streghe con tutti i rituali connessi.

A questo punto l’ipotesi di lavoro era quella di verificare se i frammenti reperiti andavano a dislocarsi significativamente entro il complesso affresco tracciato particolarmente nell’opera Storia Notturna, ossia nel contesto delle credenze-leggende di area eurasiatica.

Gli esempi che seguono, con relativo commento, rendono evidente il risultato. Si unì a loro e insieme risalirono la valle fino al “Zapel de val” (il ciglio superiore della valle), dove la processione svoltò a destra per raggiungere il cimitero di Campo. Come la processione entrò nel luogo santo, tutti gli incappucciati sparirono, come per incanto. Il Gasper era rimasto all’esterno, per fortuna. Ma si accorse a un tratto che invece della candela che gli era stata data reggeva in mano una tibia umana… Sconvolto per l’accaduto si precipitò a casa del parroco per farsi rincuorare, dopo avergli raccontato l’accaduto. Poi, a notte fonda, tornò a casa con le ali ai piedi…


















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