giuliano

domenica 7 dicembre 2014

IL TEMPO & LA MEMORIA (10)



















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Il Tempo & la Memoria (9)

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Il Tempo & la Memoria (11)















.... Seguaci-fedeli) realmente, cioè spiriti immondi e non già iddii.
Qua e là si annunzia già quel tono d’ironia e di scherno verso i ‘poveri diavoli’, che divenne poi così forte nel Medio Evo, senza peraltro scuotere la credenza nei Dèmoni. Nell’insieme, però, l’esposizione porta l’impronta della massima serietà. Essa ci mostra da quali coefficienti fosse gravato il cristianesimo antico: ciò valga a disingannare coloro i quali oggi sognano di possederlo col solo mantenere in vita alcune vecchie formule di fede.
“Noi Cristiani affermiamo l’esistenza di certi esseri di natura spirituale. Anche il nome, del resto, non è nuovo. I filosofi conoscono i Dèmoni, tanto è vero che Socrate stesso porgeva ascolto agli avvisi di un Demonio. E’ naturale, poiché si dice che un Demonio gli fosse stato al fianco sin dall’infanzia – s’intende uno Spirito che lo sconsigliava bene! Tutti i poeti li conoscono; anche il volgo ignorante li nomina spesso nelle sue imprecazioni. Perfino Satana – principe di questa mala società – ricorre spesso il nome sulla bocca di chi impreca e bestemmia: il che dimostra che la notizia di lui è innata nell’anima. Anche l’esistenza degli angeli non è negata nemmeno da Platone. I magi attestano l’esistenza di questi due ordini di enti spirituali. Ma la loro origine ci vien rivelata unicamente dalle Sacre Scritture, le quali insegnano come da certi angeli corrotti per propria colpa, uscisse una schiatta anche più perversa di Dèmoni, che furono maledetti da Dio insieme coi progenitori della razza e con quello che abbiamo (sopra) chiamato il principe degli spiriti malvagi.
Qui basti svelare le loro operazioni. Esse hanno lo scopo che la corruzione della razza umana. Fin dal principio la malvagità di questi spiriti si adoperò per la rovina degli uomini. Per questo essi cagionano ai corpi malattie e accidenti di ogni genere, e provocano nelle anime scoppi subitanei e stranissimi, che le scuotono e commuovono con grande violenza. Fini incorporei come sono, essi si giovano di questa condizione nei loro attacchi contro l’anima e il corpo. Invisibili in sé e sottratti ad ogni percezione, questi Spiriti, non appariscono, è vero, nell’atto in cui eseguiscono la loro opera funesta, ma se ne vedono pur troppo spesso gli effetti, come quando, per esempio, inesplicabili influenze atmosferiche distruggono nel fiore, soffocano nel germe o guastano nella maturazione i frutti degli alberi e dei campi, o quando l’aria, corrotta da una causa ignota, sparge ovunque la peste col suo soffio ammorbante. 




Per vie ugualmente misteriose, la ispirazione dei Dèmoni e degli angeli malvagi produce anche nell’anima vari pervertimenti, sia inducendola in furore e in pazzia, sia destando in essa disoneste ed orribili voglie, accompagnate da diversi errori, tra quali il principe è appunto quella tale opinione degli dèi, che essi riescono a infondere nelle anime umane da essi possedute ed asservite, con lo scopo di satollarsi a piacere coi pingui e col sangue, che vengono profusi dinanzi alle statue e alle immagini di questi pretesi dèi (‘coloro i quali rendono il culto conveniente agli dei, non credono che Dio sia nel legno o nella pietra o nel bronzo di cui è fatta la statua e neppure ritengono che, sia stata mutilata qualche parte dell’immagine, essa sia sottratta alla potenza di Dio. Infatti, le statue e i templi sono stati elevati dagli antichi a motivo di - memento -: perché, recandovisi spesso, i fedeli abbiano un’idea di Dio oppure, sereni e puri nel resto, facciano preghiere e suppliche, chiedendo ad essi ciò di cui ciascuno ha bisogno… I sacrifici offerti agli dei non tanto apportano onore ad essi, quanto sono una dimostrazione dell’intenzione di chi li onora e della sua gratitudine. A giusta ragione, le forme delle immagini sono umane, perché l’uomo è ritenuto il più bello degli esseri viventi e immagine di Dio’. Porfirio, Contro i Cristiani). E quale altro cibo può essere per loro più gustoso e squisito, che quello che essi si procacciano distogliendo, con falsi miraggi, gli uomini dal pensare e meditare la verace Divinità? Dirò ora come essi riescono ad indurre in inganno. Ogni spirito è alato: così anche i Dèmoni e gli angeli malvagi. Perciò essi sono, si può dire, dappertutto nello stesso istante: per loro non ci sono distanze in questo vasto mondo. Qualunque cosa accade e in qualunque luogo, essi lo apprendono e ne possono dare avviso con la stessa straordinaria rapidità.
E chi non conosce la loro natura, prende facilmente questa rapidità per qualcosa di divino. Profittando dell’altrui ignoranza, essi giungono anche a farsi credere autori delle cose, che, invece, non fanno che annunziare. Veramente, quanto a cose cattive, non nego che talvolta, essi ne siano autori: di cose buone, però, non lo sono giammai. Fin la conoscenza delle divine disposizioni riescono a strappare, nei tempi antichi, dai discorsi dei profeti; oggi, dalla lettura delle sacre scritture. Da queste fonti essi attingono talvolta la visione del futuro, e godono allora di potere imitare la Divinità, facendo sfoggio di questa tal preveggenza, che essi non posseggono per dono divino, ma soltanto per rapina. Con quanta furberia essi sappiano adottare, negli oracoli, l’ambiguità del discorso al duplice possibile evento, lo sanno e ne potrebbero narrare i Creso e i Pirro… Ciò che si prepara in cielo non è ignoto a questi spiriti, che dimostrano nell’aria, in vicinanza delle stelle e in contatto con le nubi, onde agevol cosa è per loro farsi onore promettendo quel bene di cui già sentono la presenza. 




Che dire delle loro cure benefiche per la salute del mortali? Seminano prima il male, poi prescrivono rimedi inauditi e strani, perché si gridi subito al miracolo; sospendendo quindi la loro azione malefica, ed eccoli passare per salvatori. Dovrò io indugiarmi più a lungo nel descrivere tutte le male arti o anche i poteri funesti di questi Spiriti bugiardi e ingannatori? Dovrò spender parole intorno alle favole dei castori o dell’acqua portata nel crivello o alla neve messa in moto da un cingolo o alla barba colorata in rosso col solo contatto? Tutte cose architettate per indurre gli uomini a tributare onori divini a degli idoli di pietra, e per distoglierli dalla ricerca del vero Dio. (Nutrivamo una fede dubbiosa e quasi priva di ogni credibilità intorno al prossimo centesimo che come 1300 era alle porte. Era giunta al Pontefice Romano la voce che così grande era la forza di quell'anno da promettere, a chi si fosse diretto alla Basilica di Pietro principe degli Apostoli, di avere in sorte la piena cancellazione di tutte le colpe. Quindi il pio Padre ordinò che fossero consultati gli avvertimenti degli antichi libri. Non venne per essi in luce appieno ciò che si  cercava: forse per la negligenza dei Padri (se è lecito toccare la loro fama) O per il turbine degli scismi e delle guerre che aveva squassato troppo spesso Roma, non si trova alcuna traccia per i libri andati perduti, o perché la cosa era più opinione che verità, mentre nel Patriarchio Lateranense sedeva lo stesso Pontefice, nasce il centesimo... E' cosa mirabile: quasi per tutta la giornata del primo gennaio rimase come occulto il segreto della perdonanza. Ma calando la sera il sole, e fino quasi al silenzio della notte fonda, svelatosi in breve quel mistero ai Romani, questi si affrettano a frotte alla santa Basilica di Pietro, calcandosi si affollano all'altare, l'un l'altro si ostacolano, sicché era difficile avvicinarsi, come se col finire di quel giorno stimassero che il termine della grazia finisse o almeno della maggiore. Che vi si fossero recati o perché li muovesse una qualche predica fatta nella basilica al mattino sul centesimo o Giubileo, o di loro volontà o attirati da un segno celeste, il che è più credibile, che ricordasse il passato e avvertisse del futuro, non possiamo dire. Dopo questi inizi, sempre più la fede e il pellegrinaggio dei cittadini e dei forestieri aumentò.
Certuni affermavano che nel primo giorno del centesimo si cancellava la macchia di tutte le infamie e le colpe, nei rimanenti che vi fosse una indulgenza di cento anni; e così per quasi due mesi conservavano ambe le speranze insieme col dubbio per quanto accorressero numerosi e, nel giorno che a tutto il mondo viene mostrata la venerabile immagine che si suol chiamare Sudario o Veronica, assai più del solito, in turbe fitte. Ma il promotore nostro Bonifacio VIII, sommo pontefice della sacro-santa-chiesa, siccome era vigile d'indole e pieno di solerzia, conservava e raccoglieva tutto nel suo cuore, e, col fatto della sua presenza, mentre non proibiva quell'affollarsi, mostrava che era accetto e confermava il voto dei venienti. Né mancò un testimonio vivente del passato che alla presenza dello stesso pontefice, dichiarando essere trascorsi 107 anni dal suo pellegrinaggio precedente, aggiungeva di ricordare che  il padre nell'altro centesimo era rimasto a Roma per l'indulgenza finché bastò quel rustico cibo che aveva portato con sé: il padre gli aveva detto che, se gli fosse capitato in sorte, cosa che non credeva, non si rifiutasse per pigrizia di essere presente a Roma nel centesimo venturo. Disse a noi che lo interrogavamo le stesse cose; che anzi dichiarò che in ciascun giorno di quell'anno stesso si poteva lucrare l'indulgenza di cento anni, per la quale era venuto appunto pellegrino.
Ma che a Roma vi fosse piena cancellazione delle colpe si era divulgato nella Gallia: ci fu detto che vi erano ancora  diocesi di Beauvais di età sufficiente per ricordare e vi erano pure parecchi italiani che ricordavano. Si intenda che con i relativi oboli c'è la rimessione quasi totale di ogni colpa per questa e la futura dipartita (il relativo tariffario è a disposizione della canonica).
Si pensava opportuno il pellegrinaggio alla Basilica del Principe degli Apostoli per tre giorni a chi voleva godere dell'antico perdono del centesimo......
- Jacopo Caetani Stefaneschi -).




Ma non più parole – noi vi daremo la dimostrazione del fatto, vi proveremo che dèi e Dèmoni sono di una stessa natura e qualità. Introducete qui davanti ai vostri tribunali qualcuno del quale sia certo che egli è posseduto da un demonio. Che uno qualunque dei Cristiani gli comandi di parlare e di svelarsi, e, senza fallo, questo stesso Spirito, che altrove si spaccia bugiardamente per un dio, confesserà qui il vero, dicendosi un demonio. S’introduca parimente uno di coloro i quali, secondo la vostra opinione, stanno sotto l’influsso di un dio, uno di quei tali, che, gonfiandosi d’aria presso i vostri altari, danno a credere di aspirare dai pingui incensi la divinità, che, cacciando fuori l’aria ritornano in sé, e profetizzando con voce ansante e affannosa. O fate venire anche la ‘vergine celeste’, colei che promette le piogge, anzi, se vi piace, Esculapio in persona, il gran maestro delle medicine, il quale a gente che di lì a poco morirà, ammannisce ‘scordium’, ‘tenatium’ ed ‘asclepiodotum’ – se tutti costoro, non osando mentire sulla faccia a un cristiano, non si professano Dèmoni, ebbene, versate davanti al Tribunale il sangue di quel cristiano, per punirlo della sua sfrontatezza! Quale esperimento più decisivo di questo, qual prova più convincente? La verità chiara e netta sta dinanzi al giudice, da null’altro assistita fuor che dalla sua propria forza; ogni sospetto è escluso….. (???).

(Prosegue....)
















domenica 19 ottobre 2014

GENTE DI PASSAGGIO (mentre 'rimavo la vita' con il mio amico Lugo da...) (105)


















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Gente di passaggio (mentre 'rimavo la vita' con il mio amico...) (104)

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Il Caos Primordiale: ovvero Triperuno (76)  &

Se merda son le nostre, a dirlo netto.... (77)














Vale la pena seguire il suo racconto: vi si trova la descrizione degli effetti del decreto del Sant’Uffizio sulle strategie individuali e sui vincoli di un AMBIENTE CITTADINO E DI UN MONDO DI ARTIGIANI.                                                                                              
 Il Riccio conosceva bene Vivaldo, perché lo teneva a pensione in casa sua. Lo vedeva mangiare carne nei giorni di astinenza; vedeva che non andava a messa. Erano segni chiari delle sue idee. Per di più, di quelle idee si discuteva liberamente in casa: Vivaldo, parlando con la moglie dell’orefice, esponeva francamente le sue opinioni ostili alla messa e all’adorazione dell’ostia consacrata. Ma tutto questo non sembra aver creato al Riccio alcun problema fino al giorno in cui seppe dell’ordine di denunziare in confessione i sospetti di eresia.                                                                          
 Lo seppe nella stagione delle confessioni, in quaresima; ne sentì ‘ragionare da diverse persone’. Dicevano ‘che nessuno poteva essere assoluto che havesse praticato o sapesse chi fusse sospetto di heresia’; dicevano cose anche più preoccupanti: che, a non denunziare l’eretico o il sospetto, si correva il rischio di subire la stessa sua pena il giorno in cui la cosa fosse saltata fuori in altro modo.
Il Riccio non si contentò dei discorsi della gente, ma volle sincerarsi di persona.
Andò al convento francescano dell’Osservanza, a parlare con un frate, un tipo ‘piccoletto et allegro’, che confermò le voci: ‘mi disse che, essendo preso detto Vivaldo e si fusse scoperto, che io saria corso nella medesima pena per haverlo tenuto in casa mia’.
 



Emerge da questo che il frate, confessore potenziale, si era fatto dire tutto, anche il nome dell’eretico: e questo poté forse alimentare l’inchiesta sui fiamminghi a Siena che già era avviata su altre basi. Dopo questa mezza denunzia, il Riccio, che voleva essere proprio sicuro del fatto suo, andò a parlare ancora con un prete del Duomo di Siena e con un ‘teatino’ (forse un gesuita?).
La risposta era sempre la stessa.                                                     
A questo punto, il Riccio si decise: andò all’Inquisizione, insieme al suo lavorante Michele, e fece regolare denunzia. Poi andò finalmente a confessarsi: e al frate, che subito lo ‘esortò’ a denunziare Vivaldo, poté rispondere che già lo aveva fatto: il frate, non contento, ‘quasi glie ne chiedeva la fede per esser sicuro di poterlo assolvere’. E così Vivaldo fu arrestato e, per ordine del Sant’Uffizio da Roma, gli fu dato  ‘di buona corda’. Dalla sua deposizione, emerge un altro aspetto di quella confessione, riformata dall’intervento inquisitoriale.
Vivaldo dichiarò all’inquisitore di Siena che si era confessato, sì, ma lo aveva fatto per nascondere i risvolti segreti della sua vita, il modo in cui era diventato seguace delle idee calviniste pur mantenendo in apparenza comportamenti cattolici:  ‘Mi son confessato per non dar ad intendere che io fussi lutherano….e mi son comunicato per mostrar che io ero buon christiano’. La confessione, innestata sul tronco di un SISTEMA POLIZESCO e trasportata sul banco del tribunale come prova a discarico, mutava natura. Diventava ESIBIZIONE RITUALE, prova di conformità e dunque atto di CONFORMISMO.  



                            
E quello che Vivaldo diceva di se stesso – di essersi confessato per ingannare le autorità - altri lo sospettarono e lo dissero di amici e di vicini.  La Pianta del sospetto cresceva vigorosa sulla ambiguità di segno introdotta nella pratica dei sacramenti; e trovava alimento nella rottura dei vincoli sociali prodotta da quella alterazione della confessione dei peccati. L’orefice fiammingo Vivaldo, quando si era visto scoperto, aveva pensato ad un tradimento di un suo amico e compagno (suo amico e compagno) di mestiere, Alessandro.  Incontrandolo in piazza del campo a Siena, ‘alla bocca di san Martino’, lo aveva investito con violenza: ‘Quando si va a confessar, si confessano e’ peccati suoi e non quelli di altri’. Era un’idea della confessione sulla quale Bartolomeo da Medina si sarebbe detto d’accordo. Ma quell’idea, che pure era ufficialmente sostenuta nella letteratura per i confessori, era completamente superata e stravolta dall’intervento dell’Inquisizione. Di fatto, la confessione era diventata il luogo delle delazioni e delle denunzie segrete. Chi si rifiutava di prestarsi a quell’uso, pagava di persona. 
 Alessandro non aveva tradito l’amico; anzi, ‘per non revelar’, non era stato assolto e non si era potuto comunicare. Era una gran prova di amicizia e quella sera i due festeggiarono la fiducia ritrovata con UNA CENA ALL’ OSTERIA.  Ma dovevano pagar cara quella cena: di lì a poco, si ritrovarono tutt’e due davanti agli aguzzini dell’Inquisizione.

(A. Prosperi, Tribunali della coscienza)


















sabato 18 ottobre 2014

LEV TOLSTOJ (conservare con la forza ciò che è stato acquisito con la forza... & l'inganno) (2)








































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Che cos'è il genio?














E’ vero che i diplomatici, che consacrarono la loro vita alla menzogna, sono talmente abituati all’ipocrisia da non accorgersi nemmeno dell’insanità delle loro proposte, ma come fanno i semplici mortali a non capire che una conferenza internazionale per il disarmo non ha per scopo la pace bensì nascondere agli uomini il solo mezzo di liberarli dai mali della guerra, vale a dire il rifiuto di partecipare agli omicidi militari?
Si assicura che i conflitti fra governi saranno regolati da un tribunale di arbitrio. Ma oltre che i conflitti saranno giudicati non dai rappresentanti del popolo, ma da quelli dei governi, e che così niente garantirà l’equità di queste decisioni, chi eseguirà le sentenze di questa corte?
Gli eserciti.
Gli eserciti di chi?
Quelli di tutte le potenze.
Ma le loro forze non sono uguali. 




Chi, per esempio, assicurerà, sui continenti, l’esecuzione della sentenza svantaggiosa per la Germania, la Russia e la Francia alleate fra loro? Oppure, chi applicherà, sul mare, la decisione contraria agli interessi dell’Inghilterra, della Francia, dell’America? Così, le decisioni della corte di arbitrato contro la violenza militare saranno applicate dalla forza militare; diversamente detto: la forza che si deve limitare servirà da mezzo di limitazione. Per prendere l’uccello, bisogna mettergli il sale sulla coda. Io, mi ricordo che un giorno l’assedio di Sebastopoli, dove io mi trovavo fra gli aiutanti di campo del generale Saken capo della guarnigione, nel salone di ricevimento, entrò il principe Usarov, ufficiale molto bravo, originalissimo e nello stesso tempo uno dei migliori giocatori di scacchi di tutta l’Europa a quella epoca. 




Egli dichiarò di dover parlare al generale.
L’aiutante di campo l’introdusse nel gabinetto di quest’ultimo. Dieci minuti dopo, Usarov passava innanzi a noi, coll’aria scontenta. L’ufficiale che l’aveva accompagnato ritornò verso noi, e ridendo ci raccontò il momento della visita di Usarov a Saken. Egli era venuto a dirgli di proporre agli inglesi un torneo a scacchi avente come posta di gioco la prima trincea situata innanzi al quinto bastione, che molte volte era passata da un campo all’altro ed era costata qualche centinaio di vite.
 Evidentemente, sarebbe stato preferibile giocare la trincea agli scacchi che uccidere degli uomini; ma Saken non accettò la proposta di Usarov, comprendendo benissimo che, per giocare la trincea agli scacchi, sarebbe bisognato soprattutto che vi fosse stata confidenza reciproca nell’esecuzione della clausola. 




Ora, la presenza degli eserciti schierati innanzi la trincea e i cannoni diretti su di essa mostravano che questa confidenza non esisteva. Finché vi erano delle truppe dall’una e dall’altra parte, era chiaro che l’affare si doveva decidere, non cogli scacchi, ma colla punta delle baionette. Lo stesso avviene per ciò che riguarda le questioni internazionali. Perché esse possano essere regolate da una corte arbitrale, deve esistere fra gli Stati una confidenza intera e reciproca nell’esecuzione delle decisioni della corte. Se questa confidenza esiste, gli eserciti sono inutili, se esistono degli eserciti la confidenza non v’è più, e le questioni internazionali non possono essere regolate che dalla forza.
Finché vi saranno degli eserciti, essi saranno impiegati, non solo ad acquistare nuovi territori, come fanno ora tutte le nazioni, sia in Asia, sia in Africa, sia in Europa, ma ancora a conservare con la forza ciò che è stato acquistato con la forza. 




Ora, non si potrebbe fare delle conquiste e conservarle che trionfando degli altri; i trionfi non si acquistano che mediante ‘grossi battaglioni’. E’ per questo che se il governo ha un esercito deve averlo il più che possibile potente: e questo è per esso un dovere. Se non adempie, esso è inutile come governo. Può fare molto nell’amministrazione interna: liberare, istruire, arricchire il popolo; costruire strade, canali, rendere abitabili dei paesi deserti, eseguire lavori di utilità pubblica, ma vi è una sola cosa che il governo non può fare, proprio quella per cui si riunisce la Conferenza: RIDURRE LE FORZE MILITARI.
Se lo scopo della Conferenza, come risulta dalle ultime informazioni, è il prescrivere l’impiego dei mezzi di distruzione che sembrano troppo crudeli agli uomini, perché in questo caso non eliminare l’intercettare le lettere, la falsificazione dei dispacci, lo spionaggio e tutte le odiose canagliate che sono le condizioni indispensabili della difesa militare? 




In tutti i casi l’interdizione di trarre partito da tutti i mezzi di combattimento che s’impiegano oggi è tanto impossibile quanto il proibire agli uomini che si battono in una lotta corpo a corpo, di toccare le parti più sensibili. E perché la ferita o la morte causata da una palla esplosiva è essa peggio del colpo portato, in un punto vulnerabile, da una palla semplice o da una scheggia di obice che causano le più orribili sofferenze e danno ugualmente la morte?
E’ sorprendente che degli uomini maturi e normalmente sani possano esprimere seriamente idee così bizzarre. E’ vero che i diplomatici, che consacrano la loro vita alla menzogna, vivono e agiscono costantemente in questa densa atmosfera di ipocrisia e vi sono talmente abituati che non si accorgono nemmeno dell’insanità delle loro proposte. Ma come i semplici mortali fra gli onesti, non quelli che per piacere allo zar, vantano il suo progetto ridicolo, non si accorgono che la Conferenza non potrebbe avere altro risultato che la fortificazione della menzogna nella quale i governi mantengono i loro sudditi, come ciò ebbe già luogo al tempo della ‘Santa Alleanza’ di Alessandro I? La Conferenza avrà per scopo di stabilire non la pace, ma di nascondere agli uomini il solo mezzo di liberarli dai mali della guerra, mezzo consistente nel rifiuto di partecipare agli omicidi militari. Ecco perché la Conferenza non potrebbe discutere questa questione.


(Lev Tolstoj)