giuliano

martedì 30 ottobre 2018

GUARDA O'MAR QUANTO E' BELLO lettera dei F.lli Guerci alla Riserva (55)






















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La questio della genuinità (54)

Prosegue in:

San Francesco fra eresia e ortodossia (56)































Guarda O’Mar quanto è bello, disse Dante a Cecco mentre se tornavano al Sentiero della stalla al tramonto non ancora alba ed anco alba senza nessun tramonto neppure quella è rimasta neppure quella se retta dallo grande sconforto de sta Natura guasta…

Laggiù O’Mar combatte la sua guerra amico de frate Vento e niuno ne manco uno Francesco lo avversa a parte lì Grandi Altopiani con la Rima e sora Poesia avversi alle schiere delle genti beneandate con li pullman con le grandi machine con la grande boria che sempre li accomuna…

Laggiù O’Mar parla con Don Sciotte su questa e altra guerra degli elementi mentre lui fiero presiede e cavalca la giostra delli tornei pugna e Genesi d’ogni tormento piegato dallo strano nuovo evento…

Guarda O’Mar disse Dante a Cecco lo somaro più bello montato dallo cavallo me so rimasti solo quelli allo porto della fontana non ancora villa dello Duce che ce conduce senza luce alcuna…

Mentre l’Imperator eterno alterno suo nemico e amico alto se ne’ito al vento dell’Elemento così adirato per lui un sollazzo mentre qui se’ piagne pane guasto… e se piscia sangue de’ dolore marcio…

Guarda O’Mar quanto disgrazia allo porto de Sancio e Panza mentre li veri disperati se so iti Fini Porti e Arrapati arrampicati sullo mare sullo colle sulla parete a difesa dell’Isola con lo contorno della pecunia pisciata e Venere in libera pugna stil antico coricata sulla diga ceduta allo passo del Guerrino e il Meschino trittico de’ triplice sofferta sofferenza dallo manico della panza reclamata scoglio dea bellezza tante’ anco lo greco se’ naufragato de tanto mare guasto…

Ce piegamo e cercamo lo porcino se non se so magnato anco quello…

Guarda O’Mar mentre faccio lo conto delle pecore una ad una senza neppure Frate Lupo a’famme compagnia con l’ululato lui che à guastato tutto lo spettacolo de’ sto mare in libera sofferenza urlata…

E se per questo senza neppure Azzecca lui lo vero geometra dello sconto giusto in difetto ed in rimessa in eccesso al doppio che noi ignoranti non ce capimo un cappone uno che uno neppure quello giù l’orto senza più alba senza tramonto senza hora sveglia de sto mare infame che à affogato li veri disperati… 

La caciotta de pecora migliore rimedio per lo sconto giusto per la vergine che tanto latte se bevuto e goduto e riempito la panza dello vero nettare della terra de tutto sto intonaco e tormento alla villa naufragata…

Guarda O’Mar so tutte le loro noi ce magnassimo la cicoria non ancora cicuta su sto grande mare su sto grande altopiano su sto riparo ce potemo bere anche una birra co’lo permesso dell’Imperator da ritorno dalla pugna…

Guarda O’Mar che disperazione mentre qui ce sollazzamo senza cacio cacciotta calzare e un poco de’ vino che tutto se’ precipitato e ito al Dio del padrino e noi lo benedicemo e baciamo le mani almeno un poco de condimento sullo piatto dello vero signore al di là dello grande mare…

…Attendemo suo responso per quello che se dovrà fare per quello che se dovrà magnare per quello che se dovrà dire noi semo pastori pronti per ogni crociata al di là dello grande mare… non ancora lago de sofferenza patita e mai salpata…

Guarda O’Mar quanto è bello con l’elmo e la candela noi che lo havemo sfamato e saziato speramo non sappia a male con lo sangue guasto e pesto de tutto sto casino precipitato dallo cielo fino allo mare naufragato della nostra grande terra…unita…

Guarda O’Mar quanto è bello salza anche un poco de vento dalla steppa laggiù dove è calata e salita la nebbia so li cosacci in libera schiera se so comprati venduti magnati e ubriacati come li tartari vicino allo fontanile Tibetano lo cavallo incrociato collo cognato de O’Mar lo meglio somaro non ancora puledro…

Guarda O’Mar tu che eri lo meglio della steppa adesso abbaia lo cane rumano e noi nemmeno lo capimo co’sto accento strano co’sto passo strano co’sta bella puledra…

Vengono dalla steppa lo grande deserto dove tutti pregano e nessun Cristo e Buddà assiso entro o fora le mura accampato neppure se per questo lo Diavolo disperato de tanta… troppa sofferenza allo padrino accompagnata… e accalcata fori e dentro le mura…

Guarda O’Mar recitano la stessa preghiera mentre qui se bestemmia eretica litania che tutto lo mare se affogato e precipitato in mezzo alla grande steppa non ancora deserto… 












         

mercoledì 24 ottobre 2018

IL VARO DELLA CORRAZZATA POTEMKIN (49)

































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Il somaro bocciato (48/1)

Prosegue nei...












Segreti di Casa Russia (50)







Liberamente ispirato dalla linea B (RM 23/10/2018)







I marinai foglie di coca 
digeriscono in coperta
Il capitano ha un amore al collo 
venuto apposta Dalla Russia
Il pasticcere di via Roma




sta scendendo le scale
ogni dozzina di gradini 
trova una mano da pestare  
ha una frusta giocattolo 
sotto l’abito da tè




E la radio di bordo 
è una sfera di cristallo
dice che il vento si farà lupo 
il mare sciacallo 
Il paralitico tiene in tasca 
un uccellino blu cobalto
ride con gli occhi al circo Togni
quando l’acrobata sbaglia il salto




E le ancore hanno perduto 
la scommessa e gli artigli  
i marinai uova di gabbiano 
piovono sugli scogli
Il poeta metodista 
ha spine di rosa nelle zampe
per far pace con gli applausi 
per sentirsi più distante 
e la sua stella si è oscurata 
da quando ha vinto la gara                                                        
di sollevamento pesi




E con uno schiocco di lingua 
parte il cavo dalla riva
ruba l’amore del capitano 
attorcigliandone la vita 
Il macellaio mani di seta 
si è dato un nome da battaglia
tiene fasciate dentro il frigo 
nove mascelle antiguerriglia
ha un grembiule antiproiettile 
tra il Giornale e il gilè




E il pasticciere e il poeta 
e il paralitico e la sua coperta
si ritrovarono sul molo 
con sorrisi da cruciverba
a sorseggiarsi il capitano 
che si sparava negli occhi 
e il pomeriggio a dimenticarlo 
con le sue pipe e i suoi scacchi
e si rifiutarono compatti 
nei sottintesi e nelle azioni
contro ogni sorta di naufragi 
e di altre rivoluzioni
e il macellaio mani di seta 
distribuì le munizioni…..

(F.D.A.)


















domenica 21 ottobre 2018

NEL MEZZO DEL CAMMIN... (46)











































Precedenti capitoli:

Prima  &  Seconda Lettera (44/5)

Prosegue nella...

Terza Lettera (47)













Tante troppe le spiegazioni ed annesse interpretazioni circa la Selva di Dante, in questa sede mi valgo di un altro ‘deputato’ nel Parlamento ‘invisibile nel visibile’ disquisito e nella Natura proclamato qual unico assunto di una e più concrete realtà del Creato donde ogni cosa nata ed evoluta, proseguendo in ciò di cui già serbavo memoria e di cui riporto il rimembrato motivo di un diverso Eretico Viaggio ‘nella e della’ tutela di medesimo Bosco attraversato…




Nel cuore delle foreste Casentinesi, tra Romagna e Toscana, gli addetti al normale taglio selettivo del Bosco  avevano scoperto un vero e proprio gioiello naturalistico che, secondo i forestali, andava valutato con attenzione. Il responsabile dei tagli aveva pensato bene di chiedere il parere ad un suo conoscente, il professor Pavan. Sì, quella piccola porzione di Selva era antichissima, con faggi colonnati di dimensioni mai viste. Così venne stabilito da Pavan dopo i sopralluoghi. Nel corso dei secoli quegli alberi erano stati risparmiati dai normali tagli selettivi semplicemente perché si trovavano in un posto troppo difficile da raggiungere, troppo scosceso e lontano dalle strade per poter prelevare tronchi.

Un luogo che ora andava assolutamente protetto.

Ma come?

In quel momento mancavano leggi adeguate alle quali appoggiarsi per costituire qualche forma di tutela. L’Art. 9 della Costituzione tutela del paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della nazione, certo ma senza i necessari strumenti giuridici quel preciso dettato non era applicabile. Si poteva ricorrere alla formula dei parchi nazionali, ma era impensabile adattarla ai pochi ettari di territorio appena scoperti. Con l’appoggio dell’Università di Pavia, Pavan iniziò a fare pressione con i funzionari dei vari ministeri competenti, offrì la sua consulenza alle commissioni parlamentari preposte e, alla fine grazie al suo lavoro, venne varata le Legge sulle Riserve.

Nacque così la Riserva integrale di Sasso Fratino…

(M. A. Ferrari, La via incantata)




Approfondiamo…

…Nel 1380 la Repubblica Fiorentina sconfigge militarmente i Guidi. La foresta fu confiscata ed assegnata, con due successive donazioni, all’Opera del Duomo di S. Maria Novella. L’opera iniziò un intenso sfruttamento commerciale della foresta. Il legname dell’Opera era molto richiesto dai cantieri navali di Pisa e di Livorno e dalla città di Firenze per la costruzione di palazzi e chiese (tra cui il Duomo stesso). La gestione consisteva nello sfruttamento indiscriminato degli alberi di maggiore pregio (una sorta di taglio a scelta commerciale) e cioè degli abeti plurisecolari che si potevano trovare nel bosco misto di abete e faggio. Per esempio, la realizzazione di un albero di maestra di galeazza (l’assortimento di maggior pregio) richiedeva un toppo della lunghezza di 28 metri, con un diametro in punta di 46 centimetri! I tagli erano effettuati preferibilmente nelle zone più accessibili, cercando, con scarsi risultati, di sfruttare le altre zone (tra cui l’attuale riserva di Sasso Fratino) mediante concessioni di taglio a terzi e assegnandole alle popolazioni locali perché vi esercitassero i loro diritti di legnatico. Gabrielli e Settesoldi (1977) riferiscono di documenti del 1701 in cui l’Opera del Duomo disponeva che le concessioni di taglio di legname a terzi dovessero essere fatte in zone particolarmente impervie, mai interessate da tagli da parte delle maestranze dell’Opera; tra queste località veniva indicato anche il nucleo centrale dell’attuale riserva di Sasso Fratino, destinata agli abitanti di Ragginòpoli (frazione di Poppi-Arezzo). Anche in seguito (1721) vennero espresse analoghe raccomandazioni, segno che i tagli non vennero eseguiti completamente, se non tralasciati. Il legname veniva esboscato a strascico, mediante l’utilizzo di buoi fino alla Badia di Pratovecchio, sede dell’amministrazione, ed ammassato nei piazzali in attesa delle piene dell’Arno. Il legname veniva quindi riunito in ‘foderi’ (rudimentali zattere) e fluitato fino a Firenze o a Pisa. La gestione dell’Opera determinò la sostituzione di buona parte del bosco misto originario in più redditizie abetine, attraverso un’aspra lotta al faggio ed alla sua rinnovazione. Alla lunga, le foreste vennero notevolmente impoverite da questo tipo di gestione: tagli a scelta commerciale, ignoranza delle pratiche del vivaismo e del rimboschimento, ingenti tagli abusivi. A ciò si sommava la pressione esercitata dalle popolazioni romagnole, che attraverso un eccessivo pascolo in foresta e la pratica del ‘ronco’ (taglio, abbruciamento della ramaglia e dissodamento) determinava una progressiva riduzione della superficie forestale e notevoli problemi di tipo idrogeologico. A causa della caduta del prezzo del legname avvenuta nel 700, la foresta, non più redditizia, nel 1818 venne concessa in enfiteusi ai Monaci Camaldolesi, ma la situazione non migliorò…

(Wikipedia)




…Cosa significa essere Eretici quando la maggioranza nella ‘verità’ e successiva ‘menzogna’ e una ‘menzogna’ per una ‘verità’ abdicata o dimenticata fors’anche taciuta si contraddistingue e differenzia con tutto ciò che ne consegue per chi poco si intende di Poesia con la classica doppiezza elevata a politica e successivamente rivelata come la ‘limitata’ disgiunta natura nella quotidianità raccolta ‘della e nella’ ortodossia detta contraddistinguere un intero popolo una intera nazione… una intera Dottrina…
Non mi dilungo sulla polemica giacché la Selva così come ogni singola Natura di cui si compone  principiare la vita, come il Diritto linfa della democrazia in medesimo bosco o selva quotidianamente vissuta con la pretesa di taluni (o troppi) farne nella doppiezza figlia di nessuna Poesia o Rima che sia una giungla (il diritto per ogni specie evoluta violato ed esiliato con ugual principio di Vita da questa Storia o Genesi più che conosciuta e costantemente, pur l’apparenza…, ciclica nella breve Memoria). Poesia esiliata da chi servo e corrotto pensa se medesimo signore della materia… usurpandone ‘regalità’ e ‘divinità’ ed offrendo veleno spacciato e confuso per nettare della terra…     

In attesa del 9 confermare la vera tutela… (se pur annotiamo conflittuale disgiunto compromesso d’una errata lettura nell’odierno trittico e non certo Opera o Arte che sia opposto a quanto di superiore natura nella Poesia racchiusa approdare sino a quel veleno detto motivo della velata celata doppiezza pur non essendo specchio di qualsivoglia Selva scritta nella foglia non certo appassita nell’Autunno della vita ma morta - o peggio - arsa al rogo del veleno rivenduto ed elevato qual solfurea materia promossa a futura dottrina) qual Poesia così come dal senatore Giosuè annunziata nell’oltraggio chi da questa trae linfa e cagione dell’intera Vita così come la Selva dal Rettore Dante cagionata… ma quantunque dalla Natura dedotta…  

E ciò vale (di rimando) anche per la Democrazia…




E pria di tutto premettiamo che quella stessa Beatrice nove, tre via tre, è da lui detta donna della salute, ed ei ne scrive così: Quand’ella appariva da parte alcuna, per la speranza dell’ammirabile salute nullo nemico mi rimanea; e chi allora m’avesse domandato di cosa alcuna, la mia risposta sarebbe stata solamente: Amore con viso vestito d’umiltà. E quando ella fosse alquanto prossimana a salutare, uno spirito d’Amore, distruggendo tutti gli spiriti sensitivi, pingea fuori gli deboletti spiriti del viso, e dicea loro: Andate ad onorare la donna vostra. E quando questa gentilissima salute salutava, diveniva tale, che il mio corpo, lo quale era tutto sotto il reggimento d’Amore, molte volte si movea come cosa grave e inanimataci; sicché appare che nelle sue salute dimorava la mia beatitudine, la quale molte volte passava [non una, ma molte volte] e redundava la mia capacitate. (Vita Nuova.)
Se vuoi vedere come Amore adoperava in lui, e come per tal operazione d’Amore, la sua beatitudine redundava la sua capacitate, lo troverai nello stesso libello, dove è descritto che ‘gli spiriti fuggon da lui, ed escon fuori chiamando la donna sua, per dargli più salute’. Pria che consideriamo la canzone la quale tratta della salute chiesta a quella donna a cui Pittagora pose nome Filosofia, donde in gergo rileviamo ciò di cui dicesi ancora, mirare all’oriente e all’occidente, che suonano in latino ‘nascente e morente’, relativamente al Sole simbolo della ragione. Onde la Poesia nello schiudere gli spiriti nella piante…

Tanto già cadde che tutti argomenti
Alla salute sua eran già corti,
Fuorchè mostrargli le perdute genti;
Per questo visitai l’uscio de’ morti,
Ed a colui che l’ha quassù condotto [Virgilio]
Li prieghi miei piangendo furon porti.

(Purg. xxx)



  
Non combatto la verità con il fuoco dell’ignoranza che avanza, rimango in ascolto della meravigliosa armonia e quando la nota di ogni strofa percepita mi accarezza l’anima fin a quel momento assopita, io rincorro il vento e parlo con la foglia, scruto la rima, poi seguo il torrente e come un pazzo uscito di senno inondo la vallata della mia poesia.
Mi raccontano, ora, la loro storia, l’inganno e il patimento subiti nel Tempo. Quando ornavano la bella vallata, quando raccoglievano il sole… e la cima  donava linfa principio di vita. Poi venne uno strano uomo, padrone del loro arbitrio, volle abbattere e profanare quanto spetta al Primo Architetto creatore Straniero dell’Universo mai detto.
Volle sottomettere e controllare la vita che da secoli governa l’intera vallata. Volle aprire il sentiero nominato ‘progresso’, una paginetta scritta nel Tempo, un Secondo contato nella materia, lui per il vero è solo una virgola, un punto…, l’inutile grammatica di questa storia qui e per sempre perseguitata, forse perché la verità non può essere narrata?
Volle abbattere secolari Dèi, piante e arbusti nel Tempo cresciuti.
Volle abbattere la vita che dimora all’alba di una Prima Mattina, quando un uomo, un Dio sceso si confuse e vagò nella nebbia del suo Universo, volle scrutare il sogno nella materia creato, per poi piangere il suo vero Creato.
Ma ora che il ricordo si fa tempesta, e la neve… strofa di questa eretica preghiera, a lui rimane solo la memoria della triste tortura ricevuta: quando una bella mattina fu lentamente abbattuta, una giornata intera di vita compiuta e una lenta rima al rumore di una accetta, Tempo che batte la lingua sul tamburo di una nuova calunnia rogo al calore della Storia.
Una giornata di martirio come una vita dedicata a Dio quando al rogo arde l’innocenza della vita vittima di una falsa preghiera, e la verità perì con lui nel bosco di una fitta nebbia di Prima materia creata nell’invisibile pensiero di una volontà celata alla comprensione di una immagine mai svelata e narrata.
Ugual sorte toccò ad un altro arbusto come fosse stato suo fratello nel martirio subito, proprio lì all’inizio del grande sentiero. Si piegava al vento come fosse stato uno strano lamento, poi gli furono spezzati uno ad uno i rami, come quando si mozzano le mani e gli arti ad un uomo in una guerra incompresa, stagione del Tempo che avanza nella fredda nebbia che avvolge l’intera vallata, affinché la lenta agonia inflitta diventi verità compiuta, il rumore sordo dell’accetta una sana preghiera… pagina della memoria.
Alla fine di quella funesta e terribile giornata fu legato con una corda stretta alla cima di un masso scolpito in un Teschio di una impervia via, fu trascinato senza riguardo per il piacere di strappargli la vita, fu mortificato per il diletto nominato dovere nell’apparente legge della vita.
Lei morì nella sua grande bellezza, se pur privata della radice, rimase dritta sospesa come per ingannare l’attesa, così immobile e priva della vita era più bella di prima. Rimase dritta ed eterna come a guardia della sua cima accanto alla foglia ingiallita… compagna di un'altra vita, eresia mai svelata per l’invisibile via. Fratello in ugual sorte di chi non conosce la morte, abdicando alla vista l’inganno scritto nella debolezza del Tempo, lasciando alla vista l’illusione della  morte e la fine diviene spirito di vita.
Certo che la stagione avanza, ma guarda il mondo e contempla la vita con l’anima di una diversa rima, riscalda la stagione della tua nuova venuta con la saggezza che illumina l’invisibile via intrapresa; certo che lottiamo, da quando fui maestro e poeta di una immensa cima, combattevo il male di un’altra vita. Combattevo la materia invisibile alla tua misera ora e lo spirito rinasceva nella tua parola per ogni calunnia detta e non detta, mentre mortificavi la carne della Prima Venuta con l’arma di una stagione compiuta: tu combatti il Tempo e il Tempo ti studia per ogni bestemmia detta con la complicità divenuta preghiera.
Ridevi così all’invisibile strofa mentre lo spirito acquista nuova vista sì che la tua rima concime di vita, mentre contrasta lo spirito dell’invisibile stagione non ancora venuta, rinasce e narra la storia a te per sempre celata (e giammai riconosciuta) per ogni violenza compiuta…
Ecco il mistero di questa immonda eresia: tu cerchi il calore della vita all’albero della tua ultima venuta, io vago nel freddo senza Tempo dell’opera taciuta e la vista coglie lo spirito (prigioniero) della vita in ogni opera che tu pensi compiuta… perché scritto nella materia della tua visibile (e Seconda) natura…              
Rimase immobile nel ricordo racchiuso nel sogno della linfa specchio di una foglia, lui che fu privato ed ingannato della vita ora con una corda è trascinato lungo la via, lui che non voleva morire e donava solo memoria, ora su un  fuoco dovrà patire il rogo per tutte le vite di troppe eresie all’ombra di uno stretto cortile che conta l’ora della fine. Lui che indicò il pensiero ad ogni illustre o stolto forestiero, lui che indicò la via quando il caldo soffocava l’ora e il sudore di un ricordo antico scendeva goccia a goccia da un viso d’improvviso impietrito, come una paura raccolta da una fuga agitata, un frutto, ricordo di un sogno interrotto: stanchezza che sa’ di paura taciuta poi   una sete agitata, un attimo di salvezza ed il pensiero torna vivo nell’invisibile  frescura di un ombra scura…: il viandante risorge alla sua nuova natura… Solo un incubo raccolto da una fatica dura, Prima anima racchiusa nello specchio di un lenta tortura prigioniera di una Seconda natura…
Lui che parlava come una rima racchiusa all’ombra della sua poesia, ora tagliano e deturpano ogni suo frammento, immobile ed eterno nell’apparenza di un tronco di legno non ancora sepolto al fuoco dell’architettura nominata vita, lui come un fante in questa guerra ora è trascinato via… a miglior vita…
Mi ricordo di loro in questo momento senza Tempo, in questo grande albergo, ma sono solo uno Straniero come una foglia al vento di un lungo inverno coperto di neve, chi mi vede ha la strana visione o forse solo illusione, ma per taluni è assoluta certezza, di un pazzo vicino ad un bosco, immobile come una preghiera del Tempo privato della parola.
Immobile e coperto di neve in questo specchio di Tempo riflesso nell’ora nominata Autunno, calendario di una antica litania che vorrebbe essere vita,  certezza costretta ed ancorata ad un lento patimento all’urlo ingordo di una bufera che spazza e cancella ogni cosa perché così è la storia, lasciando solo cenere al vento perché lo scheletro anche privato di ogni foglia è troppo bello esposto a quel tormento, ed ugual viandante al fresco di un primaverile ricordo rimembra il sogno al suo cospetto divenire silenzioso rispetto.
Mira la stessa via ed il pensiero muta in preghiera fors’anche invisibile eresia: un poeta ad ugual vista divenne profeta, un viandante mutò la sua seconda natura, un boia seppellì la sua corda, un soldato depose la sua spada e contemplò di nuovo la vita, un prigioniero mi narrò l’intera sua via quando il ramo spezzò la cima della corda che lo teneva stretto alla soffocata vita, una donna cercò l’amore scoprendo la foglia della sua ugual natura, un bambino trovò il seme dell’intera sua esistenza divenne nuovo profeta, un affamato mi accarezzò un ramo e io appagai la fame della sua venuta, un prete bigotto, invece, lo spezzò per farne un bastone, poi accese un fuoco con decisione: dalla fiamma di quel ricordo divenne cacciatore e ad una strega fanciulla senza più onore rubò la segreta natura mentre quella gridava nella violenza taciuta del suo dolore… foglia caduta…
Anch’io feci la stessa sua fine e lo scheletro della prematura sepoltura non allieta neppure la vista dell’ingorda natura, strada nuda che all’ombra del mio ricordo ora non matura più il sogno, ed il volgo muta la sua Prima Natura racchiusa nella visibile materia che trasuda invisibile onda: un traliccio color acciaio dove un mare agita e smuove ogni ricordo… nella falsa certezza nominata parola… rima di un falso progresso in nome del mio patimento, morire a stento foglia bruciata all’onda del vento…
Ora l’Inverno della prematura fine della Natura si avvia al convento della Storia, sempre la stessa, certo più brutta e volgare della semplice e povera foglia, ma grazie a quella ogni pensiero compie la sua lenta evoluzione e all’ombra del fumo della falsa dottrina ogni morte si avvicina. Un frammento di neve mi sussurra nella pagina della sua nuova venuta una strofa una rima, simmetria della vita, mi narra la strana avventura entro la carne nominata vita perché con il dono della parola fu destinata ad una lenta tortura.
Mi narra di quando cadde nel corpo della morta materia, lei che solo linfa era, poi ebbe ogni sorta di tortura, quando solo la vita celebrava…
Quando solo bellezza concedeva ad ogni nostra muta preghiera…
Quando solo la vita prometteva ad ogni respiro della nostra immutata èra…
Ebbe ad espiare colpe mai commesse, ebbe a soddisfare passioni e desideri sfrenati e nascosti, lei che vegliava la vita all’ombra di un desiderio appena scorto vicino alla radice dove un uomo azzanna la bellezza come fosse un desiderio represso e mai concesso al falso progresso…
Lei che vegliava quelle misere ore all’ombra di non visti strani accadimenti.
Ricorda un uomo godere dei suoi frutti e divorarli come pensieri strani e arguti di una guerra infinito principio di vita.
Ricorda quell’uomo godere del sapore freschezza e linfa di stagione, del suo principio come fosse un frutto proibito di uno strano giardino.
Ricorda di averlo visto azzannare e masticare con i denti non riuscendo a distinguere il profumo, perché è solo un istinto astuto caduto in un moderno mito incompiuto.
Ricorda il suo istinto evoluto non percepire odore né sapore, non scorgere colore…, pur parlando della vita del nostro ugual Creatore…
Ricorda di averlo udito mentre mastica ugual Genesi e Principio dal palato così mal concepito, il suo è solo istinto immaturo mentre ruba il mio frutto maturo…
Ricorda spogliare i rami di ogni frutto senza rendere di quanto ricevuto, forse perché si pensa astuto, forse perché non ode la voce del vento mentre risentito per l’accaduto abbatte il suo ordine incompiuto: ha scomposto la regola della vita e gode del frutto mai seminato nel giardino dell’eterno peccato all’ombra della foglia… sogno per sempre perduto…
Forse perché un albero muto può anche essere abbattuto… dopo averne impropriamente goduto ogni suo frutto maturo.
Forse perché alla sua ombra ogni dottrina può essere consumata a chi pensa la vita riflessa nella Natura cieca muta e senza il dono della parola.
Forse perché quello è solo un albero del suo Dio e lui può disporre di ogni suo frutto pensando il Creato opera del suo palato…
... Ma ora la neve avvolge e torno al freddo del Primo Dio quando ero solo spirito e pensiero di un incompreso ed infinito evento fuori dal loro Tempo. Ora il freddo porta il sommo colore della passione dopo un’intera stagione dedicata alla vita, la linfa lenta scorre dalle vene e un urlo soffocato di dolore misto a piacere regala bellezza a chi non vede la segreta via racchiusa nell’incompiuta materia governata da un Secondo muto alla vista, nello spirito Ora di nuovo nel suo Universo taciuto…
Torno a remare nella fredda simmetria di un Primo Pensiero compiuto e racchiuso nell’inverno di una morte apparente donde la vita per il vero proviene….
Quando nella nuova simmetria della neve qualcuno riconoscerà il mio profilo taciuto, vita di un disegno compiuto, qualcuno proverà diletto incompreso al caldo di un pensiero goduto al fuoco del mio Frammento donato e bruciato nel Tempo di questo misero Creato.
Proverà piacere e diletto nel freddo e morto vento, proverà piacere a scivolare ed accarezzare la neve, se pur fredda da lei nascerà la Primavera, se pur apparente nemica della vita, da lei sgorgherà la linfa… della vita…, ed in quella misera e solitaria bufera troverà un Primo Pensiero taciuto e bruciato al rogo di un Dio incompiuto…: scorgerà il mio profilo, il volto della vita ornare ed accompagnare il passo chi di nuovo fuggito dal calore di una apparente materia che orna ogni falsa ricchezza….
Io spoglio e caduto sogno il mio Dio taciuto…
Ora che la neve mi avvolge guardo allo specchio lontano nella sala  illuminata dai colori di ogni mio principio, scorgo la parola celebrata al tepore di un fuoco che scalda l’illusione di un falso ricordo, perché nel Tempo la verità hanno ingannato e poi sacrificato al rogo del loro… Creato… specchio di ogni elemento incarnato…
… Nel silenzio del desiderio compiuto di un Dio per sempre taciuto…

(G. Lazzari, [L’Autunno] Lo Straniero)  










                             
                    

mercoledì 17 ottobre 2018

GLI ITALIANI (42)


















Precedenti capitoli:

Siam Poeti non politici! (41)

Prosegue con:













L'intervento dell'On. Dante alla Camera, ovvero: dall'Erotico al Drammatico (43)













....Questo stato come lo maneggiate, e dirvene il parer nostro e farlo valere (reiterati applausi).

So che uomini venerandi, e da me venerati, tengono altra opinione, e credono che taluni indipendenti non possano entrare in parlamento senza perdere l’integrità loro, pur non conferendo nulla al vantaggio della patria. Io non intendo di lasciare la mia fede indipendente su la porta della Camera dei deputati e neppure al Senato, e dentro la Camera come al Senato spero di non dimezzarmi (bravissimo, viva Carducci!). Ma se anche dovessi nella pericolosa prova soccombere, se anche la mia Fede avesse a respingermi o rinnegarmi nel giorno della vittoria, io saluto ancora, con l’Anima piena di maggior Fede, il nostro ideale:

Ave, respublica, morituri te salutant!  (prolungati applausi).




Dissi onde vengo: dirò a che vado!

Non starò a dirvi che in parlamento io non sarò mai per sanare co’l mio voto a qualsiasi ministero enormezze come quelle di Villa assommata al Pontida! (bene! applausi).

Voi potreste rispondermi:

— Sciagurato!

‘Chi ti ha dato il diritto di tenere noi e te in così picciol conto da proclamarci in faccia che tu non sarai un cortigiano di tirannidi?’. (benissimo)

— E neppure vi farò un’esposizione di tesi economiche e finanziarie: sono troppo recente di Poesia accompagnato dalla melanconia che il nuovo progresso aspira; e voi non mi credereste: ma certe questioni vi prometto di studiarle e criticarle da poeta, prima di dare il mio voto indipendente a qualsivoglia tiranno  mascherato da democratico. La Tragedia rappresentata è di maggior portata rispetto il consenso - breve consenso – d’un facile applauso accompagnata per la futura Commedia ancor non replicata!  




Le riforme tributarie; amministrative, politiche, enunciate nel discorso di Stradella come di altri del suo movimento… in piloni e strade sconnesse, mi paiono serie ed oneste, anche se i problemi di codesti ‘sanpietrini’ comporre futuro asfalto d’un regno più vasto ove la strada quanto la carrozza detengono il monopolio, ma, un errato principio dal cavallo trainato defecare e inquinare ogni angolo e via ben edificata e cementata, Stradella vuol industrioso consenso ma questo un vicolo non certo Strada maestra!  

E tanto più con le esplicazioni che un autorevole capo della sinistra intende - a passo di somaro – criticare premesse ed epiloghi…  

Ma non sono, come lo stesso onorevole Depretis riconosceva, le colonne d’Ercole: le colonne d’Ercole oramai sono men che un mito, una metafora. Io voterò le riforme come oppormi a loro se queste un profondo danno, ed anche, se queste stesse possono apportare i veri benefici di cui il Tempo al pari del vicolo di Stradella ed i suoi ‘sanpietrini’, miope però, verso più duraturi vicoli strade e confini nei decenni futuri mai edificati e veicolati giacché onesti Principi e non certo apparenti virtuali piccioli ‘sanpietrini’ e carrozze poterne decidere sorte economica velocità o sicurezza nella partenza quanto più certa mèta; e se pur comodamente riparate e adeguate per il facile cammino, giacché le riforme comportano libertà così come il principio della stessa  confuso e vilipeso, sia, per il viandante quanto il ricco viaggiatore indistintamente frequentate - perché edificate su un falso ingannevole principio in cui l’intera popolo quanto l’Italia difetta - e le quali mi rendono eretico montanaro per codesto paese senza carrozza e riparo.




Senza neppure quella Villa detta assommata al Pontida giacché signori senatori riuniti qui regna l’inganno e Stradella di tal enunciato…

Libertà, libertà anzitutto: l’Italia non conosce in taluni luoghi tal parola anzi si associa ad un’idea e ideale confuso ed annebbiato trasmutato; libertà in cui ha da svolgersi la vera sua vita, economica, industriale, comunale, regionale politica, intellettuale assente dalla continua corruzione a cui costretta; libertà, per cui, tanto combattemmo; libertà, che tante volte ci fu promessa e non ancora la conseguimmo intera e sincera: libertà, di cui siamo degni (frenetici applausi).

E tanto più alzo la voce per la libertà quanto più della libertà si fece in talune anime iniquo strazio (applausi).

Non men di ingannevole partito! Loro possono partire ed arrivare da Riace fino all’alta sponda della Svizzera senza Anima e suola aver mai consumato ma in nome del raggiro per il condono preferito…




Io vi prometto che, se sarà il caso, reclamerò dal governo tra noi eguale trattamento per tutte le persone, per tutte le opinioni, per tutte le associazioni che si affermano e si dimostrano onestamente e legalmente (applausi). Riforme dunque, in quanto le riforme ci devono portare maggior libertà, e nella libertà ha da svolgersi il progresso. Ma il progresso per me è illimitato e non misurato dal futuro modello motorizzato dalla carrozza derivato. Giacché la linfa di questo risiede nella duratura strada percorsa e non certo dalla velocità così come pensato. Ed ognuno venga a dirmi: si avanzerà fin qui. Che ne sa egli? che ne so io? Nessuno risponderò in patetico poetico ispirato principio e tono!

Io solamente auguro che il nostro progresso sia degno delle tradizioni  e dei fati d’Italia passati e futuri! (fragorosi applausi).

L’ITALIA?

Mi hanno accusato di averla chiamata vile!

E forse qualcuno così la crea e pensa!




E non ricordarono (se non fosse troppo innocente ed ingenuo appellarsi alla memoria degli avversari) e neppure ricordarono, per un verso solo, le molte pagine di prosa nelle quali vendicai le ingiustizie di Stranieri accompagnati da veri Eretici riparati al di là dell’Alpe ed anche lì perseguitati giammai protetti giacché come vi dicevo - onorevoli presenti - regna falso marcio principio in questa patria o terra che sia!

L’Italia che io salutavo cara e santa patria (applausi vivissimi) in realtà mai lo fu’!

Quando un governo italiano lasciò operare su’ petti di cittadini italiani le calunnie sugli esiliati in nome della medesima ed ugual Libertà negata; quando delle zolle insanguinate delle fosse dei nostri martiri certi moderati non seppero farne altro che tanti banchi di barattieri (applausi), allora io chiamai vile la patria: ma non la patria di Dante, di Mazzini, di Garibaldi; non la patria dei gloriosi, non la patria dei martiri; si la patria di quei signori (vivi e prolungati applausi).

Oh, non è da cercare nella parte nostra chi disami la patria.

Noi possiamo giurare che mai diremo:

Perisca o s’avvilisca la patria, purché trionfi la parte peggiore affossando e calunniando la migliore!

All’Italia, dunque, alla immortale, alla gloriosa Italia, o elettori, io v’invito di bere: all’Italia!

(applausi prolungatissimi)

(discorso per il Senato della repubblica scritto con l’On. Carducci)