giuliano

giovedì 29 agosto 2019

AUTODIFESA DI UN FOLLE (9)





















Precedenti capitoli:

Folle Follia (7)  (8)

Prosegue con...:

Un panino con motosega d'oro (10)













Che la ‘cura’ sia sbagliata!?

Eppure non ci sono errori di grammatica, come suggerisce il mio amico del New England, la dotta calligrafia con apparenti ‘paradossi’ punteggiati e evidenziati da ‘squilibri’ suscita in qual tempo ammirazione e indignazione compresa una certa antipatia per non aver ben compreso il contesto dell’intera Rima.

…Come la faticosa conquista alla Cima per ogni ‘baratro’ e ‘crepaccio’ che vi si presenta, dappoi quando il mare calmo dall’alto conquistato esprimiamo e dispieghiamo il colore della bandiera alta alla Vela issata qual Albero maestro, confondendo Natura e desiderio ammirando e cantando solenne inno, dimenticando chi il Vento o solo l’Elemento che pur soffia e respira all’Albero maestro…    

…Non vi sono ripetizioni eccetto tutte quelle che il linguaggio filosofico consente, neppure paradossi, giacché individuiamo nella ‘cura’ un sano metodo di intervento in qual tempo ‘cura’ del dovuto ‘progresso’; come bel leggete ‘cura’ compare qual rimedio in nome del ‘progresso’ non ben ‘curato’, di per sé questo un evidente ‘crepaccio’!

In cui precipitato!





…Se solo lo avessimo ben assicurato alla ‘corda’ quella con cui si è soliti ‘affiggere’ all’Albero maestro la bandiera della Legge d’ognuno, l’audace non avrebbe certo ‘tradito’ il cammino così ben condiviso…

Precipitando nostro malgrado nel ‘crepaccio’.

…Sì! Fuor d’ogni dubbio!

Sarebbe con noi alla Cima per la solenne e dovuta conquista…  

E non perché non vogliamo curare l’insano morbo dell’insanabile idiozia (giacché il postino più volte ha pur ripetuto che da imbecilli perdere in cotal modo la Vita), ma perché pensiamo bene che questa appartenga all’evoluzione della Terra fin tanto la Natura che ne parla e specifica; ma quando l’uomo deve curare un ‘male’ antico affine al limite in cui posto pur essendo superiore a questa, pensiamo di parafrasare ed evidenziare i metodi della ‘cura’ stessa entro e fuori una parantesi così come intesa la Vita…

E giammai esulare da questa!





Non posso soffermarmi nella corretta diagnosi o interpretazione della ‘cura’ detta, neppure far intendere che, se della ‘cura’ la Terra necessita allorquando potevamo e possiamo abdicare al remoto fato il mortale destino d’ognuno con cui ogni specie, compreso il  Pensiero con cui il dovuto ‘cogito’ et distinguo misura  differenza distanza e superiore appartenenza (nel limite posto) nonché elevato destino… dal respiro nato, e non certo soffocato; qualcosa non correttamente ‘diagnosticata’ dalla ‘cura’ adottata, in quanto abbiamo ‘cura’ e compito di preservare al meglio il nostro dall’altrui gene derivato, in quanto dovremmo aver maggior ‘cura’ di porre dovuta attenzione alla grammatica della Vita nei termini in cui questa ha scritto non certo una Bibbia ma un intero Poema purtroppo giammai compreso; dacché l’ultimo arrivato al porto dell’Universo e da cui Evoluto, almeno così dicono e ciarlano, deve sempre adottare un sano rimedio entro una ‘cura’ in cui porre i corretti termini della propria e non altrui ‘equazione’ della Vita, in cui deducendo la stessa, non ha ancora bene afferrato con quale ‘cura’ un Innominato ha gestito superiore Matematica nonché l’intera grammatica incompresa.





Certo da un batterio nato, quello che ancora nel rimedio della ‘cura’ detta cerchiamo destinando la presunta capacità e genio oltre ogni confine immaginato, e quando ne troviamo uno esultiamo dalla gioia ritrovata per il marziano così amato, dimenticando il carico della stiva qual male antico in cui per secoli ci siamo distinti per ogni porto conquistato.

La sana ‘cura’ per ogni Terra conquistata fu ed è il male seminato e non certo in ragione d’un batterio così come la specie si distingue, quella fu ed è costantemente sterminata perché oggetto indiscusso nonché portatore di quel virus o batterio con cui colonizzando e civilizzando andiamo a fare le dovute pulizie per ogni porto e non solo marziano.

…Ogni ‘batterio’ respirato ed incontrato, scuro e ben ossigenato, così come Adamo nel proprio Paradiso, in onor del loro Dio pensano bene di, proprio nei riguardi e ‘cura’ di come si principia la Vita’, sterminare con un grande fuoco donde il Principio glutterato giammai sgrammaticato entro la vera caverna della pazzia…

E non certo antro di un Dio!





Ed allora cari amici e fratelli quivi convenuti da pellegrini oppure alla Vela naufragati, così attenti agli accenti, agli apostrofi, agli accidenti non ben ‘curati’ alle parentesi, ai rimandi, alle virgole e non solo quelle indossate come copricapi, sfarfallanti e festanti, con colori e ripetizioni evidenti, loro signori così attenti - dico ai futuri maestri e regnanti - dovete essere apostrofati per la vera e sana ‘cura’ cui dovreste esser destinati e non certo alla conquista della Terra, dacché ‘curando’ e nutrendo l’insano appetito dissimile dalla bestia, avete ucciso e azzannato peggio di questa, avendo ben ‘cura’ di accendere un fuoco entro la caverna così come eravate soliti difendervi dalla stessa.

La Bestia vi saluta nella propria ed altrui autodifesa.

Dedicando cotal motto alla Cima cui affissa la corda maestra…





…Al risveglio non ricordavo di aver sognato, ma mi perseguitava un’idea fissa che forse si era insinuata con il favore del sonno.

Tornare da Greta o impazzire!

Rabbrividii, balzai giù dalla cuccetta, madida del vento umido che penetrava dovunque.

Fuori, sul ponte, il cielo sembrava una lamiera grigio-azzurro, e le onde agitate lavavano il cordame, innaffiavano le tavole e mi spruzzavano in viso una pioggia di schiuma. Guardai l’orologio e calcolai la distanza percorsa dalla nave durante il mio sonno; dovevamo essere suppergiù nell’arcipelago di Norrköping, e perciò considerai sfumata ogni speranza di tornare indietro. Il paesaggio mi sembrava completamente sconosciuto, dagli isolotti disseminati nelle insenature alle scogliere rocciose, alla dimensione dei capanni sparpagliati lungo le rive, alla foggia delle vele dei pescherecci. E dinanzi a quella natura estranea mi assalì un principio di nostalgia. Ero strozzato da una rabbia sorda, disperato di trovarmi mio malgrado incastrato in quel cargo come un pesce in barile, a causa di una forza maggiore che si chiamava «onore».

…Sfogata la mia rabbia furiosa, caddi esausto in uno stato di opprimente prostrazione; curvo sul parapetto, lasciavo che le onde mi sferzassero le guance che scottavano, e intanto continuavo a divorare i particolari della costa con gli occhi avidi di scoprire un lume di speranza, meditando di raggiungere la riva a nuoto...

Ebbi un lampo, un’idea, una sola: scavalcata la passerella con un balzo felino, fui davanti al capitano e gli dissi con decisione:

‘Mi faccia scendere o impazzisco!’.

Il capitano mi gettò una rapida occhiata, senza rispondermi, sbalordito come di fronte a un pazzo fuggito dal manicomio, chiamò il secondo e senza pesare le parole gli ordinò:

‘Faccia sbarcare quest’uomo con il suo bagaglio. È uscito di senno’.

Un istante dopo ero seduto nella pilotina che avanzava a gran colpi di remi, e in cinque minuti fui a terra.

Sono davvero pazzo!?

Il pericolo era così imminente da rendere necessario uno sbarco precipitoso?

Non mi consideravo in grado di giudicare le mie condizioni in quel momento, visto che il malato mentale, stando a quanto sostengono i dottori, non è cosciente della propria deviazione e il fatto che sviluppi ragionamenti coerenti non prova in alcun modo che siano normali.

Da provetto investigatore, cominciai a passare in rassegna episodi analoghi avvenuti in passato.

Una volta, quand’ero all’università, alcune esperienze difficili – suicidio di un compagno di studi, delirio amoroso, ansia del futuro – mi avevano condotto a uno stato di estrema agitazione nervosa, tanto che ero angosciato di tutto anche in pieno giorno e avevo paura di restare nella mia stanza perché mi sdoppiavo vedendo me stesso, cosa che costrinse i miei amici a sorvegliarmi a turno di notte con una quantità di candele accese e il fuoco crepitante nella stufa.

Un’altra volta, colto da un acuto rimorso provocato da disgrazie di ogni tipo, mi misi a correre per la campagna, vagare per i boschi, e alla fine mi arrampicai in cima a un pino, mi sedetti a cavalcioni di un ramo e concionai gli abeti in basso, di cui volevo sovrastare il mormorio con la mia voce, credendo di essere un oratore che parlava alla folla.

Era accaduto proprio lì vicino, in quello stesso isolotto nel quale avevo passato tante estati e di cui si scorgeva il promontorio all’orizzonte.

Riandando con la memoria a quell’episodio con tutti i suoi particolari bizzarri, mi persuasi di essere caduto perlomeno in uno stato temporaneo di confusione mentale.

Che fare?

Avvisare i miei amici, prima che la voce si spargesse in città. Ma la vergogna, il disonore di essere annoverato fra gli squilibrati!

Era insopportabile!

Mentire, seminare falsi indizi, senza riuscire a darla a bere?

Era una cosa che mi ripugnava!

…Schiacciato dagli scrupoli, combattuto fra diversi piani per uscire da quel labirinto che non aveva sbocchi, ebbi voglia di sparire per sempre, di sottrarmi alle fastidiose domande che mi aspettavano, di trovarmi un buco nella foresta e rintanarmici per morire come fanno gli animali selvatici quando sentono avvicinarsi la loro ora…

(…Nella stessa Foresta Giuliano incontra Strinberg; ora sono in Tre e non più Uno solo: la Matematica comincia a porre gli accenti della propria impropria dottrina…)












lunedì 26 agosto 2019

I PRECETTI (4)







































Precedenti capitoli:

Solo per voi....   Codesti preziosi precetti...

...E per la 'tavola calda' prosegui fino...

Ad Anguillara... (5)  &

Negli stessi anni (6)

...Folle follia (7)  &  (8)













(1) Se a cena la padrona dimentica che c’è in casa della carne fredda, non essere così petulante da ricordarglielo; è chiaro che non la gradisce; e se le torna in mente il giorno dopo, dille che non ti aveva dato ordini, e che è stata usata; quindi, per non dover dire una bugia, finiscila col maggiordomo, o con un altro intimo amico, prima di andare a letto.

(2) Non mandare mai in tavola una coscia di pollo, a cena, se c’è un gatto o un cane in casa che tu possa accusare di averla sgraffignata: ma, se per caso non c’è, puoi dar la colpa ai topi, o a un levriero che passava.

(3) È cattiva amministrazione sporcare gli strofinacci di cucina per asciugare il fondo dei piatti che mandi in tavola, perché lo si può fare benissimo con la tovaglia, che viene cambiata a ogni pasto.

(4) Non pulir mai gli spiedi dopo averli usati; perché il grasso lasciato dalla carne è la cosa migliore per preservarli dalla ruggine; e quando li userai nuovamente lo stesso grasso manterrà morbido l’interno della carne.

(5) Se vivi in una famiglia ricca, arrostire e bollire sono cose al di sotto della dignità del tuo ufficio, e che ti è più consono ignorare; perciò lascia questo lavoro interamente alla sguattera, per non screditare la famiglia in cui vivi.

(6) Se hai l’incarico di far la spesa, compra la carne al più basso prezzo possibile: ma quando rendi i conti, sii gelosa dell’onore del tuo padrone; e segna il prezzo più alto; cosa, del resto, più che legittima; perché nessuno può permettersi di vendere allo stesso prezzo a cui compra; e non dubito che potrai sempre giurare in buona fede di non aver pagato più di quello che ti ha chiesto il macellaio o il pollivendolo.

(7) Se la padrona ti ordina di metter su un pezzo di carne per cena, non interpretarlo nel senso che devi metterla tutta; perciò puoi offrirne metà a te stessa e al maggiordomo.

(8) Le brave cuoche non possono soffrire quello che molto giustamente chiamano lavoro ozioso, dove si perde un gran tempo e si conclude poco: tale, ad esempio, è la preparazione degli uccelletti, che richiede un mondo di lavoro e confusione, oltre a un secondo o terzo spiedo, che tra l’altro è del tutto inutile, perché sarebbe davvero molto buffo se uno spiedo abbastanza robusto da girare un lombo di manzo, non fosse in grado di girare un’allodola. Comunque, se la tua padrona è sofistica e ha paura che un grosso spiedo squarci gli uccelletti, disponili in bell’ordine sulla leccarda, dove il grasso del montone o del manzo arrostiti, cadendogli sopra, servirà ad ammorbidirli; e quindi a risparmiare sia il tempo che il burro: e a proposito del tempo, quale cuoca con un minimo di personalità sciuperebbe il suo a spennare allodole, culbianchi, e altri uccelletti? perciò, se non riesci a farti aiutare dalle cameriere o dalle signorine, almeno semplifica il lavoro, strinandoli e scorticandoli; di pelle se ne perde poca, e la carne resta sempre la stessa.

(9) Se hai l’incarico della spesa, non accettare uno spuntino di bistecca e birra offerto dal macellaio, che in coscienza sarebbe nient’altro che una frode al tuo padrone; ma questa tua spettanza esigila sempre in denaro, se non compri a credito; oppure in percentuale sul saldo finale dei conti.

(10) Dato che il soffietto di cucina è generalmente fuori uso, a forza di attizzare il fuoco col becco per non rovinare le molle e l’attizzatoio, usa provvisoriamente il soffietto della camera da letto della padrona, che essendo il meno usato è di solito il migliore della casa; e se ti capita di sciuparlo o sporcarlo di grasso, è facile che tu possa tenerlo esclusivamente per te.

(11) Dev’esserci sempre uno sguattero per casa, che faccia le tue commissioni, e vada per tuo conto al mercato nei giorni di pioggia; preservando così i tuoi vestiti, e facendoti apparire più disinteressata davanti alla tua padrona.

(12) Se la tua padrona ti concede in beneficio il grasso di recupero, per ricambiare la sua generosità bada che la carne bollisca e arrostisca abbastanza. Se invece lo tiene per guadagnarci lei, usale il riguardo che merita; e piuttosto di lasciar deperire un buon fuoco, ravvivalo di tanto in tanto col grasso della leccarda e col burro che per disgrazia dovesse liquefarsi. Manda la carne in tavola tenuta ben su con stecchini, per farla sembrare tonda e piena; e uno spiedino di ferro, usato nel modo e al momento giusto, le darà un aspetto ancora più bello. Quando arrostisci un taglio lungo di carne, cura soltanto la parte mediana, e lascia crude le due estremità; serviranno per un’altra volta, e inoltre si risparmia combustibile.

(13) Quando strofini i tuoi rami e i tuoi piatti di stagno, storci gli orli in dentro, per aumentarne la capienza.

(14) Tieni sempre un gran fuoco in cucina quando il pranzo è modesto, o la famiglia pranza fuori; perché vedendo il fumo i vicini possano lodare l’ospitalità del tuo padrone: ma, quando ci sono molti invitati, allora serba i tuoi carboni più che puoi, perché buona parte della carne, restando mezzo cruda, avanzerà e servirà per il giorno dopo.

(15) Fai bollire la carne sempre in acqua di cisterna, perché qualche volta ti troverai senz’acqua di fiume o di acquedotto, e allora la padrona accorgendosi che la carne ha un diverso colore, ti sgriderà senza tua colpa.

(16) Quando ci sono polli in abbondanza nella moscaiola, lascia lo sportello aperto, per pietà della povera gatta, se è una brava cacciatrice di topi.

(17) Se ti sembra necessario andare al mercato in una giornata piovosa, prendi il mantello con cappuccio della tua padrona per non sciupare i tuoi vestiti.

(18) Per aiutarti in cucina tieni sempre tre o quattro donne a ore, che puoi pagare con poca spesa, solo con gli avanzi di carne, qualche pezzo di carbone, e tutta la cenere.

(19) Per tener fuori di cucina i servi molesti, quando hai caricato il girarrosto lasciagli sopra la chiave, perché gli cada sulla testa. Se un grumo di fuliggine cade nel brodo, ed è troppo laborioso tirarlo fuori, rimestalo bene, e darà al brodo un aromatico gusto francese. Se il burro si è squagliato come olio, non te ne fare un cruccio, e manda in tavola: l’olio è una salsa più fine del burro.

(20) Gratta il fondo di pentole e paioli con un cucchiaio d’argento, per non rischiare che prendano gusto di rame. Quando per salsa mandi il burro in tavola, abbi la parsimonia di lasciarlo mezzo acquoso; che è anche molto più sano. Non servirti mai di un cucchiaio in tutto ciò che puoi fare con le mani, per lo scrupolo di non consumare l’argenteria del tuo padrone.

(21) Quando ti accorgi che il pranzo non può essere pronto all’ora stabilita, metti indietro l’orologio, dopodiché sarà pronto allo scoccar del minuto. Ogni tanto lascia cadere un tizzone rovente nella leccarda, perché il fumo del grasso bruciato salga, e dia all’arrosto un sapore più aromatico.

(22) Considera pure la cucina come il tuo camerino da toilette; ma non è il caso che ti lavi le mani finché non sei stata al cesso, non hai schidionato la carne, accosciato i polli, mondato l’insalata, e comunque non prima di aver mandato in tavola la seconda portata; perché le tue mani si risporcherebbero dieci volte con tutte le cose che sei costretta a maneggiare; ma quando il tuo lavoro è finito, puoi lavarle una volta per tutte.

(23) C’è solo un’operazione di toilette che ti consento di fare mentre le vivande stanno lessando, arrostendo, o stufando, cioè pettinarti la testa, che non fa perder tempo, perché puoi seguire la cottura, e curarla con una mano, mentre stai usando il pettine con l’altra. Se per caso va in tavola coi cibi qualche capello caduto dal pettine, puoi benissimo dare la colpa a un qualsiasi valletto che ti abbia fatto arrabbiare: perché questi signori sono anche capaci di far dispetti se gli rifiuti un pezzo di pan fritto, o un boccone dallo spiedo; e ancor più se gli rovesci sulle gambe un mestolo pieno di porridge bollente, o li mandi su dai padroni con lo strofinaccio dei piatti appuntato alle falde della giacca.

(24) Arrostendo e lessando, ordina alle sguattere di portarti soltanto carbone grosso, e serbare quello piccolo per i fuochi del piano di sopra; il primo è più adatto per cuocere la carne, e quando è finito, se per caso un piatto ti riesce male, puoi darne onestamente la colpa alla mancanza di carbone grosso: inoltre, le ceneraie parleranno certamente male dell’ospitalità del tuo padrone, se non troveranno abbondanza di ceneri grosse mescolate con grossi carboni ancora intatti: così potrai cuocere la carne come si deve, fare un’opera di carità, tenere alto l’onore del tuo padrone, e di tanto in tanto esser chiamata a spartire una brocca di birra in cambio della tua bontà con le ceneraie.

(25) Quando hai mandato di sopra la seconda portata, non hai più niente da fare in una grande famiglia, fino all’ora di cena: perciò, strofinati le mani e la faccia, metti la cuffia e lo scialle, e prenditi un po’ di svago con i tuoi amici intimi, fino alle nove o alle dieci di sera — prima, però, mangia.

(26) Ci sia sempre una stretta amicizia fra te e il maggiordomo, perché è vostro comune interesse essere uniti: il maggiordomo ha bisogno spesso di un bocconcino ristoratore, e tu molto più spesso di un fresco calice di vino buono. Però, non ti fidar di lui, perché a volte è incostante in amore, avendo il grande vantaggio di sedurre le cameriere con un bicchiere di vino bianco, secco o zuccherato.

(27) Quando arrostisci un petto di vitello, ricorda che l’anima dell’anima tua, il maggiordomo, ha un debole per l’animella; perciò mettila da parte per la sera: puoi dire che il gatto o il cane l’hanno rubata, o che l’hai trovata guasta o contaminata dalle mosche; e poi, sulla tavola il pezzo fa la stessa figura con l’animella o senza.

(28) Quando fai aspettare molto il pranzo ai commensali, e la carne è passata di cottura (come succede quasi sempre), puoi legittimamente incolpare la tua padrona, che ti ha fatto tanta premura di mandare il pranzo in tavola, da costringerti a mandar su la carne troppo bollita e arrostita.

(29) Quando hai fretta di tirar giù i piatti, dagli una spintarella che ne faccia cadere una dozzina sulla credenza, giusto a portata di mano. Per risparmiar tempo e fatica, taglia le mele e le cipolle con lo stesso coltello, perché ai signori di buona famiglia piace il sapore di cipolla in ogni cosa che mangiano. Impasta con le tue mani tre o quattro libbre di burro in un blocco solo, poi sbattilo contro il muro proprio sopra la credenza, e lascialo lì per prenderlo pezzo a pezzo quando ti serve. Se hai una casseruola d’argento per uso di cucina, debbo proprio consigliarti di sbatacchiarla senza riguardo, e di tenerla sempre nera di fuliggine, ruotarla in mezzo alla brace per farle posto, eccetera: questo per fare onore al tuo padrone, perché dimostra che ha sempre tenuto tavola imbandita. E analogamente, se la cucina è dotata di un mestolo d’argento, il manico dev’essere consumato a forza di usarlo per raschiare e attizzare, e tu devi dir spesso argutamente: che cosa non ha fatto questo mestolo per il mio padrone!

(30) Quando al mattino mandi al tuo padrone una tazza di brodo, pappa d’avena, o simili, non dimenticare di metter del sale su un lato del piatto prendendolo tra il pollice e altre due dita; perché se adoperi un cucchiaio, o la punta di un coltello, c’è pericolo che il sale si versi, cosa che porta sfortuna. Ricorda solo di leccarti il pollice e le altre dita, prima di azzardarti a toccare il sale. Se il burro, quando fonde, sa di metallo, è colpa del tuo padrone, che non ti ha dotato di una casseruola d’argento; inoltre, l’inconveniente si aggraverà, e una nuova stagnatura è molto costosa. Se invece hai una casseruola d’argento, e il burro sa di fumo, da’ la colpa al carbone.

(31) Se il pranzo ti riesce male quasi in ogni piatto, come potevi far diverso, coi valletti che entravano in cucina a darti noia? e per dimostrare che è vero, fatti venire un accesso di rabbia, e getta un mestolo di brodo sopra una o due delle loro livree; inoltre, il venerdì e il giorno dei Santi Innocenti sono due giornate nere della settimana, nelle quali è impossibile avere fortuna; perciò in quei due giorni hai una scusa legittima.

(J.  Swift)












domenica 25 agosto 2019

SECONDA PORTATA (2)

















































Precedenti capitoli:

Solo per voi...

Prosegue nei...

Dovuti precetti... (3)













Mi parve di scoprire sulla sua faccia un’espressione mefistofelica.

Sorrideva!

‘Ed io’

…gli dissi,

‘ed io, disgraziato!’.

‘Guardate’,

…mi rispose, indicandomi col dito una piccola tavola a parte,

‘guardate: ecco il vostro posto! Un uomo come voi non deve mangiare con tutta quella gente là’.

Oh il degno discendente degli Octodurii! Ed io che avevo pensato male di lui! La mia piccola tavola era apparecchiata meravigliosamente. Quattro piatti formavano la prima portata, e in mezzo troneggiava un arrosto d’un aspetto tale da far vergogna a un ‘beefsteak’ inglese!




L’albergatore vide che esso attraeva tutta la mia attenzione. Si chinò misteriosamente al mio orecchio:

‘Solo per voi’,

…mi disse:

‘non posso servire a tutti un simile piatto!’.

‘Di che cos’è dunque quell’arrosto?’.

‘Filetto d’orso, nient’altro!’.

Avrei preferito che mi lasciasse credere trattarsi di un semplice filetto di bue. Guardavo macchinalmente quel cibo decantato. Esso mi ricordava quelle disgraziate bestie che da piccolo avevo visto ruggenti e infangate, con una catena al naso e un uomo all’estremità della catena, ballare pesantemente, a cavallo d’un bastone, come il bambino di Virgilio; sentivo il rumore sordo del tamburo su cui l’uomo batteva, il suono acuto del piffero in cui soffiava, e tutto ciò non contribuiva a creare in me alcuna speciale simpatia per la carne che avevo davanti. Avevo preso l’arrosto sul mio piatto, e dal modo trionfante con cui la forchetta vi si era piantata, avevo sentito che possedeva per lo meno quella quantità che doveva rendere così infelici i montoni di mademoiselle Scudéry.




Tuttavia esitavo sempre voltandolo e rivoltandolo sulle due facce rosolate allorché l’albergatore che mi guardava senza comprendere il motivo della mia esitazione mi decise con un ultimo:

‘Assaggiatelo! Mi saprete poi dire se è buono!’.

Infatti ne tagliai un pezzo grosso come un’oliva, l’impregnai di tutto il burro che era capace di assorbire e scostandolo le labbra lo misi fra i denti spinto più dalla vergogna che dalla speranza di vincere la mia ripugnanza.

L’albergatore, in piedi dietro di me, seguiva tutti i miei movimenti con l’impazienza benevola d’un uomo sicuro e felice di potermi fare una lieta sorpresa.

Confesso che la mia fu grande.

Ciò nonostante non osavo manifestare subito la mia opinione; credevo ancora di essermi sbagliato: tagliai silenziosamente un secondo pezzo, grande il doppio del primo, gli feci prendere la stessa strada con le medesime precauzioni e quando fu trangugiato:

‘Ma è proprio orso?’,

dissi.




‘Orso’.

‘Davvero?’.

‘Parola d’onore’.

‘È veramente straordinario!’.

In quello stesso momento l’albergatore fu chiamato alla tavola grande. Vi andò, ormai sicuro che stavo per fare onore al suo piatto favorito, lasciandomi alle prese col mio arrosto. I tre quarti erano già scomparsi quando ritornò, e riprendendo la conversazione nel punto in cui l’aveva interrotta:

‘L’animale col quale siete alle prese’

…disse,

‘era una bestia famosa’. 

Feci col capo un segno di approvazione.

‘Pesava trecento chili!’.

‘Bel peso!’ (Non perdevo un boccone).

‘Non lo si è potuto prendere senza fatica, ve lo garantisco!’.

‘Credo bene!’,

E mi misi in bocca l’ultimo pezzo.

‘Quel mostro ha mangiato metà del cacciatore che l’ha ucciso’.

Il boccone mi uscì dalla bocca come se una molla lo avesse rovesciato.

‘Che il diavolo vi porti!’,

dissi, voltandomi dalla sua parte…

‘Non si fanno questi scherzi ad un uomo che sta mangiando’.

‘Io non scherzo, signore; è la verità’.

Sentivo il mio stomaco rivoltarsi.

‘Era’,

…continuò l’albergatore…

‘un povero cacciatore del villaggio di Fouly, chiamato Guillaume. L’orso, di cui non resta più nulla al di fuori di quel piccolo pezzo che avete là sul vostro piatto, veniva tutte le notti a rubare le sue pere; poiché tutto va bene per quelle bestie. Tuttavia si rivolgeva di preferenza ad un albero carico di pere bergamotte. Chi lo direbbe che un animale come quello là abbia gli stessi gusti dell’uomo…..’. 

(A. Dumas)















mercoledì 14 agosto 2019

L'ULTIMO SCERIFFO AL POLO! (14)










































Precedenti capitolo (del colpo di...):

Qualcuno taluno o tutti? (13/1)

Circa la grande Notizia...

Il cammino prosegue con i....

Nomadi! (15)

&.... Casy il predicatore (16)














L’ultima altolocata Idiozia mi giunge proprio quando si ricompone l’adunata nel Campo ove destinato, un campo ove anche Steinbeck prese le dovute ‘depresse’ ispirazioni per la propria ed altrui Storia:




…Il Papero dal popolo democraticamente (da ugul fumo) eletto, e da altrettanti… globalmente accompagnato nonché incoronato Imperator, per la futura ‘Paperopoli’ di medesima Storia, vuol riscattare il ruolo che meglio gli compete, non andando a caccia di Petrolio, ove un tempo non troppo remoto le  ‘incaricate intelligenze’ alla futura Idiocracy barattava & confondeva ‘eroi(ca)na’ Storia con valenti coltivatori, per l’equivalente e dovuto ‘raccolto’:

…guerre e universali difese nonché costose offese armate…

ma ora… aggirate (non ancor del tutto raggirate)…

…comprando l’intera Isola Verde (o del Tesoro) in blocco qual futuro globale (dopo il trionfo del Muro) Set o Studios in cui il Cawboy… interprete del vero Ruolo (riscattando il Rublo): 

‘L’Ultimo Sceriffo al Polo!’




(Come titolo potrebbe anche andare bisognerà sentire che dice il Produttore non meno dello Sceneggiatore…)

…Il Papero (mai sia nominato papavero visto il più alto e Greta tanto bassa e piccolina…) vuol comperare intera Verde Isola per meglio estrarre le Ragioni della propria ed altrui, non solo Idiozia, ma sterco nero che dal suolo trasuda qual vera Ricchezza per poter così inondare la propria Nuova Inghilterra colonizzata, accompagnata dalla (votata) certezza d’ognuno di poter ammirare l’intera epopea a puntate della futura frontiera  conquista qual novello vikingo.

…Felicità e garantita certezza d’avvelenare l’intero pianeta….




Nell’Idiozia che nobilita e contraddistingue siffatta nuova richiesta…

…Agli inermi indifesi indiani non meno della povera squaw nominata Greta, raccomando estrema tenace difesa, il cowboy presto approderà alla Nuova Frontiera, il Film che meglio lo riguarda lo rimembriamo negli interi Fotogrammi della Memoria non certo smarrita…

In quanto la Parabola vigila et Impera!  

….Fornendo altresì utili consigli per gli acquisti negli intervalli fra un Tempo e Secolo che pensavamo andato…  



  
…Ormai, per evitare i processi, i fabbricanti avvertono sugli imballaggi che un CD o un DVD non possono essere né mangiati né messi nel microonde, che non bisogna cercare di togliere la lama del tosaerba mentre è in funzione o che il telecomando non deve essere messo in lavatrice…

…Responsabili altolocati hanno promosso la pesca elettrica in mare o la macchina per impollinare al posto delle api perché le considerano delle “tecniche innovative”…

…E che dire dell’arrotolatore di spaghetti americano, del cuscino berretto giapponese, del latte per gatti o della macchina per fare il tè che ci si può procurare per una somma modica anche nel paese di Cartesio e di Montesquieu?...

Una marea di bruttezza!

È quindi naturale che il trionfo della stupidità sommerga il mondo con una vera e propria marea di bruttezza, fenomeno senza precedenti nella Storia.

Gli uomini del Paleolitico dell’Isola Verde detta, che non conoscevano altro che la natura, vivevano in una bellezza infinita, nell’autentico ordine dell’universo, nell’incanto del loro rapporto con il mondo.

Gli uomini civilizzati sono a poco a poco sprofondati nell’artificiale e nell’arbitrario delle forme, con le mode, gli stili, le tendenze.

Oggi, a forza di triviali necessità e di mancanza di esigenza, la bruttezza è diventata la loro cornice familiare, e spesso il loro unico ambiente.

Un tempo gli utensili familiari, che pure non erano privi di bellezza, le costruzioni utilitarie, povere e tirate su in fretta, edificate senza preoccupazioni di ordine estetico con materiali deperibili, le opere mediocri, insomma, finivano per scomparire, vittime della loro stessa fragilità. Gli unici destinati a durare erano i monumenti di marmo e di granito, gli oggetti d’arte, i capolavori.

Ormai anche la mediocrità resiste all’oltraggio del tempo. Costruisce i suoi archi di trionfo, i suoi templi del nulla, le sue cattedrali di stupidaggine.

Una bottiglia di plastica “vive” quattrocento anni.

Il mobile più venduto al mondo è la sedia di plastica.

Ancora più visibili accanto agli edifici prestigiosi che oggi dimostrano una vera ricerca architettonica sono i monumenti della stupidità contemporanea, tanto più numerosi quanto più sono recenti, che stabiliscono una nuova “banalità del male”: la “banalità del brutto”.

Ci restano pochi orrori antichi o medievali, qualcuno in più che risale alla Terza Repubblica, e moltissimi della Quinta.

Il seguito fa presagire il peggio.

…Il Partenone o Notre-Dame-de-Paris non possono essere stati concepiti da imbecilli.

Inversamente, i grandi blocchi uniformi delle banlieue, la torre Montparnasse o quella di Jussieu, le “città” cosiddette nuove non possono essere state pensate e realizzate da geni contrastati, costretti alla bruttezza dalle circostanze o dalla mancanza di mezzi, ma solo da manovali privi di immaginazione, di gusto e di talento, da vincitori di concorsi di nullità, poiché la stupidità è diventata, molto più della ragione, la cosa più condivisa al mondo…

(A. Farrachi, Il trionfo della stupidità)