giuliano

domenica 24 maggio 2015

IL VOLO DI JONATHAN: dialogo con l'eremita (18)


















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Il volo di Jonathan (17)













...Più nutrita. Fosse solo thé, quello lo sorseggiano dopo con il cuoco Cacciatore, svela i segreti della sua cucina non sapendo della vecchia dinastia di Rosso vestita cui i sapori e i segreti della vita vengono ugualmente custoditi e poi trapassati a miglior vita… Dal Rosso nulla è più come prima ed ogni sapore dell’Ibis Eremita ben condito cambia il corso della sostanza cui delegare il sapere della nuova vita….
Ibis: Già, dice bene, finire in quelle cucine è cosa a noi poco gradita, ricordo che la situazione in vent’anni è precipitata… Pensi i miei avi avevano fondato colonie in Germania, in Austria, in Svizzera, perfino in Italia, nelle falesie istriane e sulle pareti rocciose del Verbano, verso il canton Ticino. Eh, i miei avi hanno frequentato bei posti e conosciuto Tempi migliori, anche se i piccoli correvano sempre il rischio di essere strappati dai nidi e cucinati dal fuoco lento dei vostri buongustai, li consideravano mensarum deliciae…
Jonathan: Un comportamento inqualificabile, di cui mi vergogno per loro…
Ibis: Giusto! Si vergogni. Comunque c’era qualche umano che si comportava bene. I miei parenti africani erano considerati sacri dagli Egizi, che li veneravano al punto di rappresentare il loro Dio Thot…, non confonda…: ‘non ‘totale’ del conto dell’Oste premuroso’, ma l’antico Thot con una testa uguale alla nostra, una cosa ben diversa. Ma nessuno è perfetto. Si figuri che li portavano in battaglia per proteggersi da altri dèmoni. Comunque sia non doveva essere allegro trovarsi coinvolti nelle vostre stupide guerre, così rumorose inutili e dannose, ma almeno venivano nutriti con i cibi più prelibati.
Jonathan: Lei invece come si nutre?
Ibis: Che le posso rispondere, da quando ho incontrato la Meditazione sono diventato vegetariano. Però se insiste le darò ‘copto’ qualche segreta ricetta…. con cui deliziare e sfamare il 




palato cui l’Anima ingorda vola alle alte quote dell’Ermetica Parola. Con cui lo Spirito fugge la Materia abbrutita, dallo stomaco digerita, dal palato masticata…, non certo come una Preghiera Infinita segreto di Vita.  Io e lei, caro Jonathan di codesto dialogo Antico, affidiamo il nostro nutrimento alla saggezza di una Poesia. Elemento di un Dio Straniero, perché privi della Materia con cui gravita la Terra. Per questo mentre loro camminano e si nutrono noi voliamo, certo un po’ asciutti e smunti e quasi estinti! Altrimenti non ci saremmo incontrati per questa rotta, cielo di una segreta disciplina, volo alle alte quote di una Gnosi antica. Tre volte Grandi, io Lei, e lo Spirito così ben nutrito, preghiera per un Destino certamente più saporito dall’Oste condito… Così l’Eremita le darà saggio della sua follia, visione mai estinta della fine cui l’uomo destina la saggezza antica. Fosse solo l’Oste dell’odierna paura che uccide e condisce la nostra Opera, il volo antico per un piatto più saporito alla mensa del comune appetito. Ma la follia non è mia, solo perché Eremita e Profeta all’ora dell’Apocalisse destino di codesta vita. Guardi gli uomini! E’ la fine di ogni retta disciplina. Guardi la fine! La Terra  trema e trasuda paura. L’Ecologia non salverà o farà la nostra fortuna. La Preghiera non mortificherà l’arroganza con cui vestono la terrena venuta. Il Discorso per quanto Perfetto non sazierà mai l’appetito di chi nutre la vita con la ricchezza e l’arroganza figlie dell’Eterna sventura e di una morte prematura… al Teschio della comune Ora. Guardi la Terra giù da basso! Non solo il riso che orna la lieta discesa nel campo saggiamente concimato con il veleno nostro comune nemico: il raccolto è cosa importante e prioritaria per il gregge che lavora. Ma vedo e scorgo la Fine del mondo nell’Apocalisse cui affido l’eremitica Parola, avrei altro nome all’Ora di questo Dialogo con cui nutro il Bene e rifuggo il Male. Patto antico cui un Dio fa dominio scritto nel Principio. Scritto nel futuro della materia, Apocalisse della nostra comune visione al vento di questo volo orientamento e vista di una diversa scelta di vita….




Ed in quel giorno non si ammirerà il mondo per il disgusto dell’amore per la divinità, né lo si adorerà in ogni suo Elemento, si preferirà la tenebra alla luce e si preferirà la morte alla vita, l’inganno alla lecita parola. Nessuno guarderà verso il cielo con la speranza della retta Via, ma solo l’arroganza del fuoco con cui uccide la Vita. L’uomo religioso sarà considerato folle; l’empio sarà onorato come un saggio; il timido sarà considerato come forte e sarà punito l’uomo buono come malvagio. A proposito dell’Anima e delle cose dell’Anima e di quanto riguarda l’Immortalità e del resto di ciò che ho detto, non solo si penserà che sono cose ridicole, ma le si considererà un lusso non concesso né ammesso al Tempio del futuro così celebrato. Piuttosto credetemi, è l’Eremita che parla nell’Estinzione della retta e saggia disciplina, quegli uomini di tal fatta rischieranno l’estremo pericolo per la  loro Anima e sarà stabilita legge nuova certamente non Divina. Le Divinità Buone prenderanno una diversa Via. Gli angeli malvagi rimarranno assieme agli uomini, vivendo con loro ed istigandoli ai mali perpetrati con audacia e alle cose empie con guerre e rapine, e insegnando loro cose contro natura con sempre maggiore astuzia.  In quei giorni la Terra non avrà stabilità, non si navigherà nel mare, né si conosceranno le stelle in cielo.  Ogni voce santa del logos di Dio tacerà. L’aria diventerà malata. Questa la vecchiaia del mondo: l’empietà e il disonore con il disprezzo delle parole buone. Quando avvengono queste cose il Signore, Padre, Dio prima di Dio, estirperà la malvagità e l’inganno senza violenza alcuna, solo l’utopia della retta Parola ed il ristabilimento della Natura delle cose pie e buone avverrà durante un periodo di tempo   Che non avrà mai avuto inizio…

                    Che non avrà mai avuto inizio….


                             Che non avrà mai avuto inizio………






Grazie Ibis Eremita per questa Rima, per questa visione antica, ed è vero, io che in questa Primavera celebro la Rinascita della Vita nell’Universo descritta, so la segreta via fuori dal Tempo osservato nell’invisibile Creato cui io e te facciamo segreto ed Ermetico Dialogo. Siamo eterni quanto Dio in questa Eresia, Metafisica del creato narrato…

(G. Lazzari... da una idea di Airone; Fotografie di G. Lazzari)















                

mercoledì 20 maggio 2015

ELLIS ISLAND (4)







































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Ellis Island (1)

Ellis Island (2)

Ellis Island (3)













...Fu come se per tutto quel periodo l'idea stessa
di nazione andasse incontro ad una sorta di profa-
na trasposizione, in virtù della quale essa sembrò
patire l'onta della trasformazione.
Il nostro generale atteggiamento in materia non
è forse essenzialmente il più sicuro, teso com'era
a fare in modo che l'idea venga preservata quan-
to più semplice, solida e continuativa, così che ri-




manga perfettamente integra?
A maneggiarla troppo, a tirarla di qua e di là,
si corre il rischio di indebolirla; e tuttavia, in quel-
l'assalto sparso, in quel riaggiustarsela, in quel loro
mostruoso, presuntuoso interesse, gli stranieri, a
New York, sembravano insistere all'infinito.
Sommate l'una all'altra, la loro quantità e la loro
qualità - quell'assordante alterità allo stadio prima-
rio che New York più apertamente offre alla vista




 agiscono, per chi in quella città è nato, come il
segnale di un diritto ormai acquisito, un qualcosa
di cui essi non debbono ringraziare nessuno; tanto
che ciò che sembra essere lasciato a noi, per parte
nostra, non è che un diritto non acquisito: la qual
cosa implica, a sua volta, che per recuperare la si-
 curezza e riguadagnare il terreno perduto, siamo
noi, e non loro, a doverci arrendere e ad accettare
quella tendenza .




In altre parole, a noi tocca percorrere più di metà
del cammino per incontrarli (e poi evitarli): per noi,
la differenza tra proprietà ed espropriazione è tutta
qui.
In breve, mi sarei accorto che questo senso di deligit-
timazione mi aveva pervaso a tal punto, nelle strade
di New York e nelle affollate traiettorie a cui la strada
ci si aggrappa fiduciosi, solo per essere ricacciati in
strada atterriti proprio da quelle, che mi detti a colti-
vare l'arte di ingannarlo, di beffarlo; e tutto.....




ciò, pur se la visione alternativa a me tanto cara, l'-
immagine, esasperata fino all'invidia, dell'ideale solu-
zione del problema - il lusso di possedere un tipo di co-
scienza nazionale tanto intima, cara e integra, quanto
quella degli svizzeri o degli scozzesi - non avrebbe mai
 tardato a essere oscurata.

(James, La scena americana)















martedì 12 maggio 2015

IL TEMPO E LA MEMORIA (19)















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... Per celare il mistero
della sua violenza,
nella nostra umile dimora.
Natura che mai comprende
motivo che la vuol sovrintendere,  
con l’armatura che ci da morte sicura
per una guerra da noi mai voluta. (4)

In una fossa di foglie
ora nostro letto, 
abbiamo coperto il triste destino.
Siam diventati d’improvviso
più freddi della neve,
parlando con il ghiaccio
e l’erba che la insegue,
per ugual sacrificio
che ora ci vuole uniti,
come due amanti
…..appena traditi.
Guardo il torrente
che corre più lieve,
perché anche ghiaccio
…..tradisce la neve.
Mentre l’animale ora
ci guarda e annusa:
sente odore di morte
in quella fossa nascosta.
E con essa un ultimo rantolo
prima che un altro sogno
ci avvolga per sempre.
Parlo con una foglia
che mi detta preghiera,
nella certezza che la triste ora
che ci colse per consegnarci
alla morte,
è solo un’altra vita
che ci accoglie in un tempo,
….dove non regna la morte. (5)

Con la certezza ora,
che l’occhio si spegne,
perché quel mondo che scorre…,
non l’hanno mai colto
neppure mai letto.
Nell’ugual sogno di un sol uomo
….che muore,
(con cui condivido stessa visione)
hanno costruito tanto….
troppo…dolore. (6)

Nella certezza
di un ugual preghiera
dell’intera memoria, 
hanno scolpito la via,
che non guarda la foglia
non spiega la vita.
Solo odio che chiamano amore,
solo ricchezza che porta dolore.
Solo oro cercano per ornare
il sacro convento,
e l’abito di chi celebra sacramento.
Solo oro cinge corona e vestito,
di chi non è mai partito
da questa terra,
ma la sua anima inchioda
all’eterna ricchezza.
Solo oro cinge la testa
e scolpisce il profilo,
in muto dipinto
di un bianco profilo.
Solo l’oro cinge la magnificenza
di un uomo barbuto,
nominato sacerdote
e profeta,
di una nuova pena.
Lo chiamano messia
di una nuova vita,
lo chiamano profeta
di un’avventura,
ma è solo oro in fondo
alla grotta. (7)

Oro che sgorga dalla mia
e sua bocca,
prima che la stessa grotta
ci sepolga,
nello stesso ventre di una Terra,
divenuta fossa segreta.
Ora ci ascolta e trema di paura,
per quell’uomo
e la sua strana preghiera.
Vorrebbe spiegare la nostra natura,
divino Universo senza tempo,
ora cede il passo ad un uomo…
….e la sua strana armatura.
In questa morte prematura. (8)

Oscura profezia,
forse una nuova malattia,
peste che coglie,
piaga che segna,
crosta che muore,
sangue che sgorga…
…dalla ferita profonda.
Pelle scura,
donna che aspetta
la sua nera ora,
per solo quella vergogna.
Perché mai l’istinto riposa…,
nella fossa profonda.
Nuda senza ritegno,
strega senza contegno,
vittima di un cavaliere
e il suo fido scudiero.
Uomo armato fin sulla testa
per concedere solo vendetta
ad una strana profezia:
sibilla di giustizia
che il potere agonizza.
Vacilla nella forma contorta
di una scura visione.
Hanno ucciso il suo sogno
d’amore:
lupo di notte ora,
azzanna,
porta morte e dolore.
Ricordo di giorno,
quando il suo sangue si scioglie
alla neve,
con solo nella memoria
la sua bella sposa.
E una terra….
appena scoperta.  
Alla strega s’accompagna
ora la bestia cercata,
nella nuova sorte trovata,
per l’eterno loro
…..sogno d’amore. (9)  

Così la chiamarono poveretta,
prima di cuocerla,
dopo averla braccata
come una bestia strana,
nel folto di una foresta….,
…che sia per sempre maledetta!
Senza più un nome urlarono
solo quello del loro Dio,
per vederla correre come una bestia….
… strega maledetta!  
Dopo bruciarono l’intero bosco
per salvare un solo legno.
Del legno ne fecero una croce,
per dipingere il nome
chi uccise con troppo rancore.
Ebbero persino la confessione
della strega che muore,
cotta a fuoco lento
con un grido che diventa…,
…nostro eterno tormento. (10)

Quando dalla caccia ritornammo
trionfanti,
all’oste affidammo il nostro ultimo
e primo svago.
Bevemmo il sangue e mangiammo
la carne,
chiedendo ogni nuova portata
ben cotta,
allo spiedo della sua e nostra
memoria risorta.
Così raccontammo la nera visione
di quella bestia feroce,
e della sua donna
finalmente morta nella nuova unione.
Correvano veloci più del vento
per il lento tormento offerto. 
Noi ridevamo senza far rumore,
confondendo il riso
con un po’ di rancore,
così come si è soliti
….con una bestia feroce. (11)

Dopo averla bruciata sul rogo,
le aprimmo il torace fino al ventre,
per mostrare ad ogni cliente
di quella taverna,
che il frutto di quel lupo
non fosse caduto
in una caverna profonda.
Mangiammo sazi
e gravidi di piacere,
per il giusto dovere,
certi di aver posto confine…,
fra la bestia e l’uomo in
questo dire. (12)

Poi provammo
il suo strano intruglio:
formula segreta
di una strega…,
per sempre maledetta! (13) 
 
Bevemmo l’intruglio
udendo un lontano lamento,
ma è solo una foglia nel vento.
Bevemmo piano l’amaro calice,
mentre lontano si ode ululare.
Ma è solo una bufera di neve,
e una primavera…,
che ancora non bussa. 
Portata dal vento
che brucia e ghiaccia ogni ricordo, 
in quel bosco
ora per sempre morto. (14) 

Dormimmo confusi sogni e dolori
di antichi tremori,
ghiaccio e fuoco che incide la terra
dove la foglia ci spiega la vita,
la spina mai colta di un’erba già morta…,
sul fuoco che lieve ora spegne la neve. (15)

Al calice della rosa tagliarono
il gambo,
convinti di sacrificare
la sua poesia.
Il petalo della rosa mutilarono,
per la sua strana dottrina,
convinti così di maggior potere,
nel giardino del regno.
A  loro rimase solo
la spina e il tormento,
chi vuol cogliere solo l’ornamento.
La spina della rosa sacrificarono,
convinti di restituire bellezza
al creato,
per barattarla in un sol coro
ed in sol momento,
al grido di una donna che spira
….come cenere al vento. (16)

(G. Lazzari, Frammenti in Rima; Secondo Dialogo con la morte, Fr. 1/16;) 












         

domenica 10 maggio 2015

IL TEMPO E LA MEMORIA (17)


















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Il Tempo & la Memoria (16)

Prosegue in:

Il Tempo & la Memoria (18)














... Sterminio mostrava al mondo intero nel modo più chiaro come si potevano liquidare i problemi delle minoranze e degli apolidi.
(H. Arendt - Le origini del totalitarismo)

 Eichmann non assisté mai a fucilazioni in massa, non seguì mai il processo dell’asfissia né la selezione degli idonei al lavoro che dal campo di concentramento precedeva l’uccisione. Vide appena quel tanto che gli bastava per sapere con esattezza come funzionava quel meccanismo di distruzione per sapere che c’erano due diversi metodi di esecuzione, la fucilazione e l’asfissia; che la prima era effettuata dagli Einsatzgruppen e la seconda era praticata nei campi o in camere o in camion a gas; e che nei campi vigeva tutta una complicata procedura per ingannare le vittime fino all’ultimo momento. No, lui non si era mai trovato in pericolo immediato di morte, e poiché aveva sempre fatto il suo dovere e obbedito a tutti gli ordini che gli venivano dati cosa di cui era ancora orgoglioso, aveva fatto del suo meglio per aggravare, non per ridurre le conseguenze del torto. L’unica attenuante che invocò era che aveva cercato di evitare il più possibile inutili brutalità nell’eseguire il suo lavoro; ma questa era un’attenuante che contava ben poco, anche perché, ammesso che egli dicesse la verità, evitare inutili brutalità era una delle istruzioni che gli erano state date dai suoi superiori. …Le azioni di stato che la giurisprudenza tedesca chiama con espressione più eloquente non perseguibili ovvero atti di alto valore sociale, non punibili, si fondano su un esercizio del potere sovrano, e restano quindi completamente al di fuori del campo giuridico, mentre tutti gli ordini e comandi, almeno in teoria, sono sempre sotto il controllo giudiziario. Se quelle che Eichmann aveva commesso erano ‘azioni di stato’, allora nessuno dei superiori, e meno di tutti Hitler, poteva essere giudicato da un tribunale. La teoria delle azioni di Stato si accordava così bene con le concezioni generali del dottor Servatius, che non c’è da stupirsi se questi ritenne di doverla nuovamente invocare.  …Un memoriale in cui gli si diceva che nel prossimo inverno gli Ebrei non avrebbero più esser nutriti, e gli si chiedeva se per caso non fosse più umano uccidere con qualche mezzo sbrigativo gli ebrei incapaci di lavorare: questo sarebbe comunque più opportuno che lasciarli morire di fame. In una lettera di accompagnamento, indirizzata al Caro camerata Eichmann, l’autore del memoriale ammetteva: ‘queste cose suoneranno forse fantastiche, ma sono perfettamente realizzabili’.
L’ammissione dimostra che il mittente non conosceva ancora il ben più fantastico ordine del Fuhrer… …Era impossibile tener segreta l’uccisione di tanta gente; la popolazione tedesca delle zone in cui sorgevano quegli istituti se ne accorse e ci fu un’ondata di proteste, da parte di persone di ogni ceto che ancora non si erano fatte un’idea oggettiva della natura della scienza medica e dei compiti del medico. Nell’Europa orientale lo sterminio col gas, o, per usare il linguaggio dei nazisti, il modo umanitario di concedere una morte pietosa iniziò quasi il giorno stesso in cui in Germania fu sospesa l’uccisione dei malati di mente. Gli uomini che avevano lavorato per il programma di eutanasia furono ora inviati a oriente, a costruire gli impianti per distruggere popoli interi e questi uomini erano scelti o dalla Cancelleria del Fuhrer o del ministero della sanità del Reich, e solamente ora furono messi, amministrativamente, sotto il controllo di Himmler. (H. Arendt - La banalità del male)





Nostra una nuova simmetria…

 Più passano gli anni privi di documenti scritti e più è difficile raccogliere le sparse testimonianze dei superstiti. Essi ci dicono che processi fasulli furono intentati fin dai primi anni dell’esistenza DELL’ISTRUTTORIA: Se agli intellettuali di Cechov, sempre ansiosi di sapere cosa sarebbe avvenuto fra venti-quarant’anni, avessero risposto che entro quarant’anni ci sarebbe stata in Russia un’istruttoria accompagnata da torture, che avrebbero stretto il cranio con un cerchio di ferro, immerso un uomo in un bagno di acidi, tormentato altri, nudi e legati, con formiche e cimici, cacciato nell’ano una bacchetta metallica arroventata su un fornello a petrolio, schiacciato lentamente i testicoli con uno stivale e, con forma più blanda suppliziato per settimane con l’insonnia, la sete, percosso fino a ridurre un uomo a polpa insanguinata, non uno dei drammi cechoviani sarebbe giunto alla fine, tutti i protagonisti sarebbero finiti in manicomio. E non soltanto i personaggi cechoviani, ma nessun russo normale dell’inizio del secolo, ivi compresi i membri del Partito social-democratico dei lavoratori, avrebbe potuto credere, avrebbe sopportato una tale calunnia contro il luminoso futuro. …Non è giusto, non è esatto. Nei vari anni e decenni, l’istruttoria basata sull’art. 58 non è QUASI MAI stata fatta per appurare la verità, ma è consistita soltanto in una inevitabile sporca procedura: la persona poco prima libera, a volte fiera, sempre impreparata, doveva essere piegata, trascinata attraverso una stretta conduttura dove i ganci dell’armatura le avrebbero dilaniato i fianchi, dove le sarebbe mancato il respiro, tanto da costringerla a supplicare di uscirne all’altra estremità, e questa l’avrebbe gettata fuori come indigeno bello e pronto dell’Arcipelago, della terra promessa. (Lo sprovveduto si ostina immancabilmente, crede che esista anche una via di ritorno dalla conduttura.) Più passano gli anni privi di documenti scritti e più difficile raccogliere le sparse testimonianze dei superstiti. Essi ci dicono che processi fasulli furono intentati dai primi anni dell’esistenza degli organi, perché fosse sentita la loro insostituibile, incessante opera salutare, altrimenti, con il calo dei nemici, gli Organi - non sia mai detto! - si sarebbero atrofizzati.
…E. Dojarenko ricorda ancora l’anno 1921: deposito degli arresti della Lubjanka. 40-50 tavolacci. Tutta la notte è un continuo affluire di donne. Nessuna conosce la propria colpa: sono prese per nulla. …Nel Dizionario ragionato di Dal’ è data la seguente distinzione: ‘L’indagine si distingue dall’istruttoria in quanto la prima viene fatta per assicurarsi preventivamente se esistono motivi per procedere alla seconda’.
Oh, sancta simplicitas!
Gli Organi non conobbero mai nessuna indagine. Elenchi mandati dall’alto, il primo sospetto, la delazione d’un informatore o anche lettera anonima portavano all’arresto e all’immancabile imputazione. …Il nesso è semplicissimo: giacché occorre arrivare a qualunque costo a una imputazione, sono inevitabili minacce, violenze e torture e più fantastica l’accusa, più crudele dovrà essere l’istruttoria per estorcere la confessione. E, poiché le cause fasulle sono sempre esistite, sono esistite sempre anche le violenze e le torture; non è una particolarità dell’anno 1937, è una caratteristica costante, generale. Ecco perché è strano leggere oggi in certe memorie di ex detenuti che - le torture furono autorizzate dalla primavera del 1938.
(A. Solzenicyn - Arcipelago Gulag)




 Due uomini vigorosi e robusti portarono un cavalletto nel mezzo della camera. Quest’orribile strumento di legno, fatto a forma di truogolo, largo abbastanza da contenere il corpo d’un uomo, non aveva altro fondo che un bastone sul quale il corpo si curava per effetto d’un meccanismo, dimanieraché il paziente aveva la testa più bassa dei piedi. I tormentatori alzarono la povera donna mezza morta, poscia le legarono le membra con corde di canape. La vittima li lasciò fare senza mettere un grido. Ma l’inquisitore essendosi avvicinato ad essa per esortarla nuovamente a confessare il delitto di cui veniva accusata, l’infelice protestò di nuovo la sua innocenza.
(P. Tamburini - Storia generale della Inquisizione)




…Come i boia medioevali i nostri giudici istruttori, procuratori e magistrati acconsentirono a vedere la prova decisiva di colpevolezza nella sua ammissione da parte dell’accusato. Tuttavia quell’ingenuo Medioevo, per estorcere la confessione voluta, ricorreva a drammatici e pittoreschi mezzi: la fune, la ruota, il fuoco, la trebbia di ferro, l’impalamento. Nel secolo ventesimo invece, ricorrendo all’evolutiva medicina e alla non poca esperienza carceraria si è ritenuto tale concentrazione di mezzi vigorosi superflua e ingombrante nel caso di applicazione in massa.
…I reali confini dell’equilibrio umano sono molto limitati e non occorre affatto il cavalletto o il braciere per ridurre l’uomo medio a uno stato d’irresponsabilità.

 PROVIAMO A ENUMERARE ALCUNI DEI PROCEDIMENTI PIÙ SEMPLICI CHE STRONCANO LA VOLONTÀ E LA PERSONALITÀ DEL DETENUTO SENZA LASCIARE TRACCE SUL SUO CORPO.

Cominciamo dai metodi psicologici.

1) Iniziamo dalle notti stesse. Perché l’opera diretta a stroncare le anime si svolge principalmente di notte? …Perché il detenuto non può più essere equilibrato, strappato dal suo sonno abituale.
2) Persuadere della sincerità del tono.  ‘… Lo vedi da te, una pena la dovrai scontare comunque. Ma se resisti, perderai la salute qui, in prigione, ci lascerai la pelle. Se invece andrai in un lager vedrai l’aria, la luce …Firma subito, dammi retta…’.
Molto logico. È ragionevole chi acconsente e firma, altrimenti…
3) Grossolano turpiloquio. Espediente semplicissimo, ma può agire assai bene su persone educate, raffinate, di delicata costituzione.
4) Colpo del contrasto psicologico. Improvvisi voltafaccia. Essere estremamente cortesi durante l’intero interrogatorio …Poi di punto in bianco minacciarlo…
5) Umiliazione preventiva. Nei famosi sotterranei della GPU di Rostov (nr. 33) sotto gli spessi vetri del marciapiede i detenuti in attesa di interrogatorio erano costretti a sdraiarsi bocconi nel corridoio comune per diverse ore col divieto di sollevare la testa o emettere qualsiasi suono.
6) Qualsiasi espediente atto a sgomentare il detenuto.
7) Intimidazione. Minacce di trasferimento in un'altra prigione peggiore…
8) La menzogna. Noi, gli agnelli, non dobbiamo mentire, ma il giudice istruttore mente di continuo e quegli articoli non si riferiscono a lui. Abbiamo a tal punto perduto ogni criterio che non chiederemo: cosa sarà fatto a lui se mente? …L’intimidazione con allettamenti e menzogne è il metodo preferito per agire sui parenti dell’arrestato, chiamati a deporre quali testimoni.  ‘Se voi non farete queste deposizioni (quelle che occorrono) ne soffrirà lui… Lei lo rovinerà. Solo firmando questo documento (e subito lo si presenta) lo potete salvare (e rovinare!).
9) Gioco sull’affetto per i familiari. …: ‘Arresteremo (rovineremo) vostra figlia e la metteremo in una cella con delle sifilitiche’. ‘…Ti confischeremo la casa e butteremo per la strada le tue vecchie…’.
(A. Solzenicyn - Arcipelago Gulag)




‘Impenitente! impenitente!’ esclamò il grande inquisitore con sembiante tristo e desolato. A tali parole, due uomini robusti girarono con forza un randello di legno che, serrando le corde colle quali la vittima era legata, la strinsero esse con tanta violenza che il sangue spruzzò fin sui carnefici. La sventurata mandò un grido d’agonia, debole, ma lacerante; sarebbe si detto che tutta la sua forza di soffrire fosse espressa in quel grido. I tormentatori asciugarono freddamente col rovescio della loro larga manica il sangue di cui era macchiata la loro cappa.
(P. Tamburini - Storia generale della Inquisizione)




 …Ma voglio dire ancora questo…

Le torture, anche i procedimenti più blandi, non sono necessarie per ottenere le deposizioni dei più, per azzannare con i denti di ferro gli agnelli impreparati e ansiosi di tornare al focolare domestico. Troppo impari è il rapporto delle forze e delle posizioni.

…MA L’ISTRUTTORE MACELLAIO NON CERCA LA COERENZA, CERCA SOLTANTO DUE O TRE BREVI FRASI. LUI SA BENISSIMO COSA VUOLE. NOI INVECE SIAMO TOTALMENTE IMPREPARATI.

Un altro principio della nostra istruttoria è quello di privare l’imputato anche della conoscenza delle leggi. Viene presentata la conclusione dell’accusa a proposito: ‘Ci metta la firma’. ‘Non sono d’accordo’. ‘Firmi’. ‘Ma io non ho nessuna colpa!…’ ‘Lei è accusato secondo gli articoli 58-10 parte 2 e 58-11 del codice penale della rsfsr. ‘Firmi!’. ‘Che cosa dicono questi articoli? mi faccia leggere il codice’. ‘Non l’ho qui’. ‘Se lo procuri dal capo del reparto’. ‘Non lo ha neppure lui’. ‘Firmi’. ‘Ma io chiedo di vederlo!’. ‘Non siamo tenuti a mostrarglielo, è scritto per noi, non per voialtri. Del resto lei non né ha bisogno, glielo spiego io: questi articoli sono precisamente ciò di cui è accusato. E anche adesso le chiediamo di firmare, non che è d’accordo con quanto ha letto, ma che è stata notificata l’accusa’.
…La solitudine o meglio l’emarginazione e l’isolamento della persona sottoposta a istruttoria! Ecco un’altra condizione per il successo di un’istruttoria ingiusta. L’intero apparato deve abbattersi su una volontà isolata e angustiata. Dal momento dell’arresto e per tutto il primo periodo d’urto l’ideale sarebbe che il detenuto fosse solo (uno solo…): nella cella, nei corridoi, sulle scale, nell’ufficio, non deve mai incontrare un suo simile, non deve poter attingere conforto, consiglio, sostegno, in nessun sorriso, nessun riguardo. Gli Organi fanno di tutto per oscurargli il futuro e deformare il presente. …Esagerare le possibilità di fare scempio di lui e dei suoi, i propri diritti di graziarlo.
…Abbiamo detto: ‘l’ideale sarebbe che il detenuto fosse solo’. Ma dato che le prigioni traboccavano nel 37 (come pure nel 45), questo principio ideale di solitudine del neoarresto non poteva essere osservato. Quasi dalle prime ore egli si trovava in una cella comune stipata. Questo presentava certi vantaggi che compensavano i difetti. L’affollamento eccessivo non solo sostituiva la strettezza del box d’isolamento ma finiva per essere una tortura di prim’ordine, senza alcuno sforzo da parte dei giudici istruttori, il detenuto era torturato dagli stessi suoi compagni. …Il mio giudice istruttore non doveva quindi inventare nulla, cercava solo di gettare il cappio su chiunque avesse scritto a me o avesse ricevuto da me una lettera. Solevo esprimere con insolenza, con sfida, i miei pensieri sovversivi in lettere ad amici e amiche, e questi chissà perché, continuavano a scrivermi. Anche nelle loro lettere si trovavano qua e là espressioni sospette. …E che soprattutto al mio pigro giudice istruttore non venisse in mente di frugare nel maledetto carico che avevo portato nella stramaledetta valigia, nei molti taccuini del mio Diario di guerra scritto a matita, con una calligrafia minuscola, divenuta in certi punti illeggibile.

Quei diari rappresentavano la mia pretesa di diventare scrittore.

…Ma pareri e racconti così naturali in prima linea apparivano invece qui, nelle retrovie, sovversivi, promettevano il carcere e peggio ai miei compagni del fronte. Purché il giudice istruttore non si decidesse a darsi un po’ da fare con il mio Diario di guerra, e non ne estraesse le fibre di quegli uomini liberi al fronte, io mi pentivo quel tanto che occorreva, aprivo quel tanto che occorreva, gli occhi sulle mie aberrazioni politiche. Mi estenuavano a forza di camminare sul filo di lama, fino a quando capii che non avrebbero portato nessuno a un confronto con me, e avvertii i primi segni evidenti della fine dell’istruttoria: fino a quando, al quarto mese, tutti i taccuini del mio Diario di guerra finirono nelle infernali fauci di una stufa della Lubjanka e ne sprizzarono le faville rosse di un ennesimo romanzo perito in Russia: volarono, divenuti fuliggine, farfalle nere, dalla ciminiera più alta. 
(A. Solzenicyn - Arcipelago Gulag)




 Pietro si avvicinò nuovamente. 
‘Confessate, sorella mia’, le disse con voce carezzante. La povera donna che non aveva più forza di parlare, fece colla testa un segno negativo. Nella posizione in cui era stata posta, essa poteva appena respirare. ‘Impenitente!’ ripeté l’inquisitore. I tormentatori posero allora sul volto della paziente un finissimo pannolino inzuppato d’acqua, una parte della quale fu introdotta nella sua gola; l’altra le copriva le narici, poscia le versarono lentamente dell’acqua nella bocca e nel naso.
(P. Tamburini - Storia generale della Inquisizione)

 …Per tracciare una retta basta segnare due soli punti…

Nel 1920, ricorda Erenburg, la CEKA gli formulò la domanda così: ‘Ci dimostri che non è un agente di Vrangel’. Nel 1950, uno dei colonnelli più eminenti del KGB  Zelezov, dichiarò ai detenuti: ‘Noi non faticheremo a dimostrare la vostra colpa. Dimostrateci voi di non aver avuto intenzioni ostili’.

Su questa linea retta, cannibalesca nella sua semplicità, s’inseriscono nei punti intermedi innumerevoli ricordi di milioni.

Quale semplificazione e fretta nell’istruttoria, sconosciute fino ad allora all’umanità. Gli Organi esenti del tutto dalla fatica di cercare le prove. Il coniglio acciuffato, tremante e pallido, privato del diritto di scrivere, telefonare, portare qualcosa con sé, privato del sonno, del cibo, della carta, d’una matita e perfino dei bottoni, seduto su uno sgabello nell’angolo di un ufficio doveva trovare DA SÉ ed esporre all’ozioso giudice istruttore le prove di NON aver avuto intenzioni ostili! E se non le trovava (come avrebbe potuto procurarsele?) offriva all’istruttoria le prove approssimative della propria colpevolezza. …Io aprii il grosso incartamento e già all’interno della copertina lessi nel testo stampato una cosa sconvolgente: risultava che nel corso dell’istruttoria avevo il diritto di esporre lamentele scritte su irregolarità nello svolgimento dell’istruttoria stessa, e il giudice aveva il dovere di includere tali lamentele in ordine cronologico nell’incartamento. Nel corso dell’istruttoria! Non al suo termine. Purtroppo nessuno delle migliaia di detenuti con i quali mi sono trovato in seguito era al corrente di tale diritto. Continuai a sfogliare. Vidi le fotocopie delle mie lettere e l’interpretazione che ne falsava completamente il senso, fatta da ignoti commentatori. Vidi anche l’iperbolica menzogna di cui il capitano aveva rivestito le mie caute deposizioni. E infine l’assurdità che io, da solo, ero accusato come  gruppo. …Firmai… Firmai al punto 11. Non ne conoscevo allora il peso, mi era stato detto soltanto che non comportava un supplemento di pena. A causa dell’undicesimo punto capitai in un lager di lavori forzati. Sempre a causa del punto 11dicesimo fui mandato, senza alcun verdetto, in deportazione perpetua dopo la ‘liberazione. Meglio così, forse. Senza l’uno e l’altro non avrei scritto questo libro…
(A. Solzenicyn - Arcipelago Gulag)

  ‘Monsignore’ gli disse, ‘questa donna non può soffrire ulteriormente senza morire’. ‘Si sciolga’ disse Pietro; ‘la tortura è sospesa fino a nuovo ordine’. I tormentatori tolsero subito il pannolino che copriva il viso della torturata; ma quando ebbero sciolti ad uno ad uno i legami che circondavano le sue fragili membra, si avvidero che quelle membra erano state tagliate fino all’osso, tanto le corde erano entrate innanzi nelle carni. Giuseppe allora si avanzò colpito da inesprimibile orrore, e dopo aver considerato il viso della vittima, ‘Monsignore’, disse ‘la tortura è finita; questa donna è morta’.
(P. Tamburini - Storia generale della Inquisizione)




 IL LORO MESTIERE NON ESIGE CHE SIANO PERSONE ISTRUITE, DI CULTURA E VEDUTE LARGHE, E TALI NON SONO. IL MESTIERE NON ESIGE CHE PENSINO LOGICAMENTE, E NON LO FANNO. IL MESTIERE ESIGE UNICAMENTE UNA PRECISA ESECUZIONE DELLE DIRETTIVE E SIANO INSENSIBILI VERSO LE SOFFERENZE ALTRUI, E QUESTO SI, LO FANNO. NOI CHE SIAMO PASSATI ATTRAVERSO LE LORO MANI LI SENTIAMO, CON UN SENSO DI SOFFOCAMENTO, COME BLOCCO DI ESSERI TOTALMENTE PRIVO DI CONCETTI UMANI. CHI ALTRI, SE NON I GIUDICI ISTRUTTORI VEDONO CHE UN’ACCUSA È FASULLA? FUORI DALLE RIUNIONI, NON POTEVANO DIRE SERIAMENTE L’UNO ALL’ALTRO E A SE STESSI CHE STAVANO SMASCHERANDO DEI DELINQUENTI. EPPURE VERGAVANO UN FOGLIO DI VERBALE DIETRO L’ALTRO PERCHÉ FOSSIMO MANDATI A MARCIRE. E’ IL PRINCIPIO DEI CRIMINALI COMUNI:  ‘MUORI TU OGGI E IO DOMANI’.  CAPITAVANO CHE LE ACCUSE ERANO FASULLE EPPURE LAVORAVANO ANNO DOPO ANNO. COME MAI? O SI COSTRINGEVANO A NON PENSARE O, SEMPLICEMENTE SI DICEVANO: ‘COSÌ DEVE ESSERE. CHI SCRIVE LE DIRETTIVE NON PUÒ SBAGLIARE’.

SE BEN RICORDO ANCHE I NAZISTI RAGIONAVANO COSÌ.

(A. Solzenicyn - Arcipelago Gulag)

(Pietro Autier, Storia di un Eretico)



















sabato 2 maggio 2015

IL TEMPO E LA MEMORIA (15)








































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Il Tempo & la Memoria (14)

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Il Tempo & la Memoria (16)













.... Dimensioni umane e giurisdizionali allargate: da un lato, protratte nello spazio e nel tempo della convivenza tra persone e, dall’altro, inserite in dinamiche di controllo (costante) del territorio (anche senza motivo alcuno da giustificare siffatta ‘opera’) e degli organismi di potere, oltre che di azione individuale e coordinamento istituzionale. I ‘numeri’ sollecitano parole che presentano azioni: segno e necessità di una ‘memoria del controllo’ che può divenire ‘memoria da controllare’. Nella memoria conclusiva dell’inquisitore il passato si collega al presente e l’agire si salda al documentare. I ricordi biografico-amministrativi, espressi in un linguaggio equilibrato e diplomatico, indicano un preciso e costante percorso, valorizzano opere, mostrano valida documentazione.
Il ‘Testamento racionum’ rappresenta l’eccezionale testimonianza della lunga e ben retribuita avventura repressiva di frate Lanfranco, schiudono un mondo: essi non sono solo rendiconti finanziari ma, segnando parole che rimandano ad azioni espresse e compiute, indicano una duplice evidente consapevolezza. Il duplice aspetto della consapevolezza amministrativa nella correttezza dell’agire che nella loro compilazione accompagnate da una vena ‘diaristica’ informa la (‘dotta’) narrazione (di cui frate Lanfranco è Dottore). Lo stile dei fatti introduce il personaggio, l’erudito personaggio incaricato, con la consapevolezza di sé, delle proprie azioni, del proprio compito emerge con chiara determinazione nel corso dello svolgimento degli eventi finali dei suoi inquisiti… e perseguitati…
I tredici anni che trascorrono nella fase centrale della vita di frate Lanfranco lo rendono partecipe e protagonista nonché (invisibile) responsabile di importanti iniziative inquisitoriali: in molti dei processi documentati nello scorcio del XIII secolo egli interviene in vario modo. Lo troviamo presente in occasione dell’interrogatorio d’esordio del processo contro i devoti e le devote  di Guglielma. Per una strana coincidenza che ci illumina circa il ruolo ‘velato’ ma ben accreditato di frate Lanfranco, nel medesimo giorno a Parma si concludeva sul rogo l’avventura umana e religiosa di Gherardo Segarelli: il frate bergamasco era stato a Parma agli inizi del 1298 nel momento avviato del processo finale…

(M Benedetti, Inquisitori del Duecento & commenti del curatore del blog) 





La Cronaca di Salimbene inizia così:

'Durante il mio soggiorno nel convento dei Frati Minori di Parma, quando già ero sacerdote e predicatore, si presentò un giovane del luogo, di famiglia di basso rango, illetterato e laico, idiota e stolto, di nome Gherardino Segarelli'.


E' proprio un esordio fortemente programmatico. Contiene in sostanza l'intera linea interpretativa che Salimbene verrà poi svolgendo nella sua Cronaca. Un giudizio netto e negativo precede tutta l'esposizione dei fatti. Il tono è assertorio, e non vi è ombra di un atteggiamento minimamente dubitativo. I dispregiativi 'illetterato e laico, idiota e stolto' accompagnati al 'famiglia di basso rango' si contrappongono alle qualifiche dello stesso Salimbene 'sacerdote e predicatore'. A parte il fatto che l'aggressivo 'laico' non può in nessun caso venire proposto con valenze negative, le qualifiche del Salimbene contrapposte ai dispregiativi del Segarelli servono per collocare se stesso su un piano incomparabilmente più elevato e perciò incontestabile. Si tratta di una sottintesa intimidazione verso il lettore. Da notare che all'incirca con gli stessi epiteti fu qualificato Valdo all'inizio della sua predicazione. Che l'aggettivo 'laico' venga qui utilizzato in senso spregiativo, dimostra come i conventuali ritenessero improponibile che un laico potesse parlare di Dio, di quel Dio che in sostanza pretendevano di avere come in monopolio, come sequestrato da loro, e di cui solo i chierici potevano parlare….


‘Non essendo stato esaudito nella sua richiesta di essere accolto nell'Ordine, Gherardo ‘se ne stava tutto il giorno, quando gli era possibile, nella chiesa dei frati a meditare cioò che poi, nella sua stupidità, mise in atto’.



  
Sorgono subito alcuni dubbi.
Come è possibile che un 'illetterato, idiota e stolto' possa avere una vocazione così forte per la meditazione?
E poi un giovane, se davvero 'di basso rango', come può permettersi di stare a volte 'tutto il giorno' a meditare?
C'è qui, comunque, evidenziata in Segarelli la convinzione di poter essere ammesso nell'Ordine dei Minori, dunque di poter a buon diritto entrare nell'ambito della Chiesa ufficiale, nulla che faccia presagire la minima deviazione eretica. Salimbene stesso è qui ancora lontano dal mettere in evidenza la pericolosità della deviazione che emergerà in seguito, e infatti è tutto teso a evidenziare soltanto la 'stupidità' di Gherardo. Ma le questioni del grado di cultura e della condizione economica di Gherardo sono già poste in modo contraddittorio.
...Con uno 'scemo' c'era poco da 'istruire', e in ogni caso l'Ordine non ne avrebbe ricavato alcun onore!
Nonostante il rifiuto, Gherardo non fu messo immediatamente alla porta, ma rimase in convento quell'intera giornata. Mentre visitava il monastero, fu attratto da un paralume sul quale erano dipinti i dodici apostoli, con il mantello sulla spalla e i sandali ai piedi. Ciò gli fece venire l'idea di seguire in tutto e per tutto i discepoli di Cristo. Si lasciò crescere la barba e capelli, si mise sulle spalle un ruvido mantello e ritenne, presentandosi così di rassomigliare agli apostoli. Come un secondo Pietro Valdo, egli vendette la casa; raccolse dei vagabondi e distribuì i soldi ricavati dalla vendita a quei derelitti, che se li giocarono subito ai dadi.

 Mi sembra che fra Salimbene descriva i fatti un po' troppo comicamente.




Che Segarelli, per aver visto il dipinto con gli apostoli, fosse portato a seguire la vita, può magari anche esser stato vero; ma occorre porsi nel contesto dell'epoca: l'ideale apostolico nel XIII secolo era molto esaltato come comportamento religioso esemplare; il numero di coloro che in ogni modo intendevano seguire l'insegnamento del santo di Assisi era una legione. Già nel 1215 il Concilio Laterano, per evitare che il popolo fosse preda della confusione, aveva proibito la formazione di nuovi ordini mendicanti.
Il Segarelli voleva seguire radicalmente l'insegnamento di Francesco, e non avrebbe chiesto alcuna eccezione all'Ordine dei frati Minori. Il loro rifiuto ad accoglierlo non spense il suo fervore apostolico, anzi lo infiammò ancor di più!