giuliano

giovedì 24 aprile 2014

I COSTRUTTORI (51)

















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I costruttori (navigare nell'Eretico mare dello Straniero) (50)

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Un altro Oceano (52)














… E se chiedessimo poi un piccolo aiuto al botanico, tralasciati i fiori, ci portasse a osservare più attentamente le foglie e i germogli, noi saremmo in grado di giustificare in qualche modo la nostra classificazione infantile…
Per il nostro fine, giusto o non giusto, si tratta della più suggestiva e conveniente. Le piante, infatti, si possono dividere in due grandi classi.
La Prima si può definire, forse non inopportunamente, quella delle PIANTE TENDA, o a sviluppo orizzontale. Vivono sul terreno in gruppi, come i gigli, sulla superficie delle rocce, sui fusti di altre piante, come i licheni e i muschi. Alcune vivono un anno, altre diverse anni, altre ancora molti anni; ma quando muoino, se ne vanno senza lasciare ricordi, solo il seme o il bulbo o la radice per perpetuare la razza.
L’altra classe di piante può essere definita delle PIANTE COSTRUTTRICE, o a sviluppo verticale. Queste non vivono sul terreno, ma con zelo vi costruiscono edifici, e ognuna di esse lavora duramente, con solenne previdenza, per tutta la vita. Quando muore lascia il suo lavoro nella forma che sarà più utile ai suoi successori; il suo monumento, e la loro eredità.




… Queste architetture si chiamano alberi….
… Anche le piante costruttrici, a seconda del loro modo di lavorare, si possono dividere in due grandi classi. Senza forzare il lettore ad accettare una fantasiosa nomenclatura, credo che possa ricordarle come ‘costruttrici con lo scudo’ e ‘costruttrici con la spada’. Le prime hanno foglie ampie, assimilabili a scudi,  le seconde, invece, hanno foglie affilate a forma di spade, li chiamiamo genericamente pini….
… Dobbiamo ora esaminare le forme e la struttura del suo scudo, la foglia che la protegge. Per farvi un’idea generale della foglia piatta delle ‘costruttrici con lo scudo’ pensate all’albero e alla vela  Sarebbe più coerente con la nostra classificazione pensare al braccio che sostiene lo scudo, ma la cosa ci porterebbe troppo lontano perché l’albero si assottiglia come la costola della foglia, mentre la mano che sorregge la cinghia superiore del piccolo scudo si stringe a pugno.
Quindi la similitudine dell’albero e della vela si rivela più adatta…. Qualunque figura useremo ci libererà dalla cattiva abitudine di immaginare una foglia composta da un corto gambo che termina con un’ampia espansione. Dovremmo invece pensare che il gambo percorre tutta la lunghezza della foglia e ne sorregge la parte allungata e allargata, o fogliata, come l’albero di un trabaccolo ne sostiene la vela.




L’analogia ci porta, però, un passo più avanti….
Così come la vela deve rimanere su un lato dell’albero, anche l’espressione di una foglia avviene su un lato della costola centrale, o del sistema di costole. Si appoggia su di esse come se fosse tesa su un’intelaiatura, quindi la superficie superire è liscia mentre quella inferiore è striata.
Sono solito rappresentare le ‘due ali’ della foglia leggermente convesse nella faccia superiore, talvolta le estremità si incurvano, quando la curvatura è particolarmente sviluppata, la foglia assomiglia molto ad una… barca con una chiatta….  Prima di procedere nella nostra indagine circa la struttura degli alberi, ci fermeremo per un nuovo e valido paragone, ogni gruppo di quattro o cinque foglie, nella posizione naturale con la quale si presenta all’occhio, consiste di una serie di forme legate da squisite e complesse simmetrie.




Forme che non sono diverse l’una dall’altra, ma mutano a seconda delle prospettiva.. L’abilità necessaria per disegnare un siffatto gruppo può essere stabilita mediante un paragone: supponiamo che cinque o sei navi, di elegante costruzione e dalla prua affilata, partano da un unico punto; mentre la prima risale il vento con azione efficace, le altre tre o quattro rimangano progressivamente arretrate l’una rispetto all’altra, tanto che il ponte di ciascuna assume un’inclinazione diversa in rapporto all’asse della vela.
Supponiamo anche che le fiancate di queste navi siano trasparenti cosicché si possano vedere, oltre il ponte superiore, anche quelli inferiori. Supponete infine che vi venga richiesto di disegnare tutti e cinque i ponti di ciascuna nave mostrandone tanto il lato inferiore quanto quello superiore, secondo l’inclinazione che ogni barca ha assunto, con la corretta prospettiva e indicando nel contempo l’esatta distanza dal punto di partenza raggiunta da ogni barca in un dato momento.
Solo se siete in grado di fare tutto ciò, sapete disegnare una foglia di rosa….
Altrimenti no….

(J. Ruskin, Pittori Moderni)















  

lunedì 21 aprile 2014

QUATTRO PERSONAGGI IN CERCA D'AUTORE (49)













































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Quattro personaggi in cerca d'autore (48)

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Navigare nell'Eretico mare dello 'Straniero' (50)













Il 3 ottobre 1795, cioè dopo pochi giorni dagli incontri con il re, Gil riferì a Malaspina della propria amicizia con i confessori del re e della regina, attraverso i quali sarebbe stato possibile far giungere ai sovrani qualsiasi documento importante.
E’ un invito… o una trappola?
Malaspina non ha rinunciato al suo piano di sostituire il primo ministro e, forte della pace con la Francia chiese a padre Gil di essere presentato a padre Juan de Moya. Nessun occasione migliore che servirsi dei ‘confessori’ per far giungere ai sovrani il suo piano. La presentazione avvenne nel monastero dell’Escorial il 10 novembre, in presenza di altrettanti frati gesuiti….
Da quel giorno, la situazione attorno a Malaspina precipitò…. La notte del 13 novembre Malaspina si trovava in casa di una dama della regina, Maria Frias de Pizarro, che si offrì volentieri di collaborare nel trasmettere alla regina e al confessore del re, padre Juan de Moya, due scritti: si trattava del ‘Memoriale’ alla regina e della minuta della petizione al ‘confessore’ del re, con allegato il piano per sostituire Godoy. La sera del 14 Malaspina consegnò i due scritti alla Pizarro, che li trasmise la notte stessa a Godoy (possibile che il comandante ignorasse che anche questa dama fosse amante del primo ministro?).













Ma questa volta non si trattò delle solite ‘pasquinate ironiche’, come quella notissima che coinvolge lo stesso confessore del re, e che metteva in scena i quattro personaggi più in vista del regno:

Re: Io comando.
Regina: Io comando su di lui.
Godoy: Io comando su questi due.
Moya: Io assolvo tutti e tre.
DEMONIO: Io prendo tutti e quattro!

No!
Questa volta non si era trattato di una ‘pasquinata mordace’, ma insieme innocente; questa volta era stato lo stesso Godoy, in coppia con la Pizarro, ad aver gestito e perfezionato la ‘cospirazione’!
Godoy, già in possesso delle carte segrete e compromettenti, indusse infatti la Pizarro a continuare a fingere con Malaspina, assicurandogli che la regina si riprometteva di leggere quei documenti, ma non si limitò a ciò, le consigliò di invitare il comandante a scrivere ed annotare l’elenco delle persone implicate nella ‘cospirazione’ (dove contava anche alcuni fedeli nel regno dei Savoia…). Probabilmente l’unico, effettivo errore commesso da Malaspina è da ricercarsi nella sopravalutazione che egli fece dell’indebolimento – sia sul piano politico che su quello personale – della posizione del ministo Godoy di fronte alla corte e di fronte al paese.




Malaspina, in altri termini, aveva giudicato ormai maturi i tempi per un ricambio al vertice della ‘casta’ di governo; e, credendo in completa buona fede di poter essere ancora una volta utile al paese si espose in prima persona nel suggerire ai sovrani la necessità di una surroga di Godoy. Secondo le notizie – del resto assai imprecise – che si hanno su questa vicenda, il piano di Malaspina avrebbe dovuto portare alla sostituzione dei vari ministri ‘corrotti’ con annesse tutte le autorità connesse alla loro persone e alla corte. La proposta di governo avanzata dal Malaspina, era una proposta più che autorevole, ispirata ad una politica onesta di riforme in sintonia con il nuovo Illuminismo francese.
Ma le cose andarono diversamente: Godoy, quando ritenne di essere ormai in possesso delle prove (di tutte le prove compresi i cospiratori esterni, i quali danneggiavano gli interessi economici del paese…) e di essere tornato padrone della situazione, avviò il processo convocando il Consiglio di Stato, di domenica, in seduta straordinaria. L’intento classico dell’inquisitore politico accompagnato dal potere religioso, era quello di sviare l’attenzione dei contenuti politici del programma malaspiniano, per concentrarla sugli aspetti personali (prassi già nota…).




Egli non sfiorò neppure minimamente gli argomenti politici della crisi spagnola, Godoy, e la cosa è estremamente significativa, preferì descrivere il suo accusatore come un uomo che lo aveva insultato sul piano personale, e come già in precedenza, accusandolo esplicitamente circa la sua devozione religiosa.  
Dal verbale della seduta del Consiglio risulta anche che i presenti si stupirono grandemente nell’apprendere l’esistenza di un così sorprendente e incredibile piano di cospirazione, che, a detta di Godoy, aveva coinvolto alcune personalità di spicco entro e fuori la corte. Il 25 novembre Malaspina fu condotto dagli invalidi al carcere delle Guardie del Corpo Reale, mentre padre Gil fu trasferito altrove.
Il significato e i risultati della spedizione e del Viaggio vennero così definitivamente compromessi e restarono a lungo ignorati, censurati ed inquisiti,  il 27 novembre, in apertura della seduta il re dichiarò Godoy ‘principe della Pace’….. 

(Con Malaspina nei mari del Sud....)

















sabato 19 aprile 2014

VIDA NOUA VIDA... (45)









































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Entrar sempre deue comesar... (44)

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L'inchiesta dell'Inquisitore (46)













Il sole di Pentecoste fu determinante. Mentre il capitano scriveva il suo addio al mondo nella cabina di poppa, la neve fondeva sulla costa meridionale del promontorio. Di notte gelò ancora di qualche grado e un gemito morente sfuggì al Minotauro bianco, ma non era nulla in confronto al mugghiare che era risuonato nelle lunghe notti d’inverno quando le spaccature si aprivano da una riva all’altra.
Il vento girò dolcemente a sud, ci furono giorni di nebbia, l’aria si riempì di odore di terra, il ghiaccio si fece vitreo come gli occhi dei marinai morti e quando il sole ricomparve, sfavillò su un paesaggio luccicante di umidità che rinverdiva sotto il cielo limpido.
Porto Munk giaceva abbandonato in mezzo a questo splendore. Non un uomo nei pressi delle due navi ma, man mano che la neve fondeva, affioravano le tracce dell’inverno e ovunque, sul ghiaccio come a terra, spuntavano oggetti dell’equipaggiamento: un barile distrutto, una tela corrosa dall’umidità, un pezzo di cordame, una scarpa, un coltello arrugginito.




Il sole scaldava, pelli e badili sprofondavano nelle pozzanghere che si erano formate sul ghiaccio, in alto, sulla collina, una ridicola slitta piena di legna pareva arenata con i pattini nell’erba. Nuovi stormi di oche selvatiche continuavano a sorvolare il luogo che, dalla loro visuale, doveva apparire come un campo giochi dove i bambini avevano gettato in fretta e furia tutto ciò che avevano in mano per correre in un altro che pareva più allettante…..
Dopo le tempeste dell’inverno il sartiame delle navi pendeva a brandelli, sulla collina l’orso bianco era andato a frugare nelle tombe dei morti. Per tutto il Tempo che era durato il gelo, i cadaveri erano rimasti duri come pietre, ora, però, cominciavano a sciogliersi, non sentivano il calore penetrare i loro corpi, ma era vero, la primavera era arrivata….
Che cosa resta ancora?




La storia non è un prodotto di risultati di vittorie, ma una somma di inizi, un avvicendarsi continuo di famiglie, come le onde, si alzano e si ritirano. Ripartano da niente, rimettono un po’ d’ordine tra le proprie macerie, diventano feudatari e birrai… E si ritirano di nuovo…
Così parla il cronista….
Resta ancora lui…
O giunti a questo punto, dobbiamo rivelare la verità e confessare che non è mai esistito?
Perché no?
Non c’è nulla di strano.
Quando i personaggi sono reali, bisogna pure che l’Autore sia inventato, o meglio che il cronista il povero ed umile cronista di questa e molte altre storie sia una comparsa di Universi ancora vivi….
Cosa resta ancora?




Il mare dimentica le nostre tracce ancora più in fretta della sabbia, che dimentica ancora più in fretta del fango, che dimentica molto più in fretta. Navigare è sognare. Sognare è necessario, vivere no.
Il sogno copre i tre quarti del mondo ed è composto più o meno della stessa soluzione delle lacrime umane. Nel sogno siamo soli, ma mai così soli come a Genova (ove conosco un genovese che lotta e naviga in un mondo di morti che pensano di essere vivi per insegnare loro che quella che costruiscono non è vita, che ciò che edificano non è saggezza, che ciò che legiferano non è … giustizia…).
Nel sogno nulla è vano.
E’ la realtà e essere vana.
E’ lei a consumarsi e a morire….




Per concludere la breve Storia di una vita intera, breve nel fraseggio di questa cronaca, il cronista ed il capitano dividono una qualità in comune: era il 1619, immediatamente prima della sua partenza per la Baia di Hudson, godeva ancora di un certo favore presso il re, aveva ancora la speranza di rifarsi una vita. Jens Munk si era visto assegnare il terreno d’angolo che dà su…. dove Burmeister & Wain nel 1851 edificarono una sala macchine che vi si trova ancora oggi.
Il suo nome figura nel registro del commesso, ed è l’ultima volta che compare nelle fonti dell’epoca. Figura come il numero 19 della lista, ma in questo caso il commesso non ha bisogno di perdere troppo tempo in descrizioni, queste sono le sue uniche parole:

Terreno di Jens Munk, abbandonato, deserto, non costruito…

(T. Hansen, Il capitano Jens Munk)
















GLI ULTIMI VELIERI (42)


















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Gli ultimi Velieri (41)

Prosegue in:

L'equazione del Tempo (l'uscita dalla cripta...) (43)













Lavorando furiosamente ai grossi verricelli montati sul ponte,
gli uomini bracciarono per far sì che l'enorme velatura pren-
desse al meglio il vento che andava rapidamente rinforzando.
Ora soffiava da 35 a 40 nodi, quasi un vento di burrasca....
La prua dello Herzogin Cecilie scintillava superba nel sole
acquistando sempre più velocità 16 nodi, quasi 18.....
L'impavesata sottovento era lambita dalle onde....
Enormi cavalloni spazzavano sibilando il castello di prua....
Solo la forza congiunta di due uomini avvinghiati alla pesan-
te ruota del Timone gli consentiva di seguire la Rotta....




Per un lungo momento il veliero e piroscafo corsero fianco
a fianco, poi a poco a poco, ma con determinazione, il Gran-
de Veliero superò in velocità il piroscafo e cominciò a distac-
carlo.
Mentre il transatlantico restava inesorabilmente indietro, il
su capitano fece lanciare tre fischi con la sirena a vapore del-
la nave, per significare che riconosceva la propria sconfitta.
Quindi, in segno di saluto al vincitore, ammainò la rossa ban-
diera....
A loro volta a bordo dello Herzogin Cecile ammainarono la
bandiera finlandese, ricambiando il saluto... Le due navi si
allontanarono seguendo Rotte Diverse.....




Presto gli alberi dello Herzogin Cecile sparirono all'orizzonte.
Il suo breve, orgoglioso, miracoloso, santo, poetico, sciama-
nico Trionfo era finito nel mare di codesto strano mare....
La splendida epoca del windjammer, apogeo della grande e-
tà della vela, stava ormai per concludersi scivolando verso
quelle calme equatoriali da cui non sarebbe mai più compre-
sa..... e comparsa....
Ma quanti di quei fedeli marinai avevano cavalcato con lei
i ponti di quel Grande Veliero sapevano bene dove si cela
la verità taciuta, e ben compresero il significato delle paro-
le che dedicò loro il Poeta inglese John Masefield:
"Hanno tracciato sulla Terra il solco del nostro passaggio
di uomini...
E mai più sarà dato rivedere Velieri simili a quelli....".















  

mercoledì 16 aprile 2014

IL TEATRO DEL LORO AGIRE (fra una pagina e l'altra dello 'Straniero') (40)









































Precedenti capitoli:

Ore 2,15: la partenza (con l'anima in spalla..) (39) &

con Pietro Autier sulle orme del Payer (1)   (2)   (3)

Prosegue in:

Gli ultimi Velieri (41) 













Tra i detriti di forre, aggirando a sinistra la parete di ghiaccio, ci volgemmo verso la cresta del monte, uscendo così dalla zona dell’ombra, che fino ad allora era stata così provvidenziale. La cresta era formata da lame di neve sporgenti e da ampie volte. Seguimmo a lungo in leggera salita le sue tortuosità mentre a 5000 piedi sotto di noi si scorgeva la valle di Solda, da dove ci stavano osservando.
La cresta perdeva ora la sua dolcezza. Seguiva una parete di ghiaccio che saliva bruscamente, la seconda parte difficile. Pinggera scavò qualche dozzina di gradini; più sopra, si proseguì comodamente. L’aspetto sempre mutevole dell’Ortles e i suoi impressionanti strapiombi sulla Valle di Solda catturavano incessantemente la mia attenzione.




Incontrammo un’altra parete ripida, con un’inclinazione di buoni 50°: per salirla in obliquo furono necessari quindici scalini o gradini. Dopo aver superato alcune vedrette in leggera pendenza, arrivammo finalmente sul dolce pendìo della piana superiore dell’Ortles sovrastata dall’ultima struttura alta circa 150 piedi, un costone di ghiaccio che si erge solitario. Eravamo ad un’altitudine di 12000 piedi e piantammo nella neve la terza bottiglia di vino svuotata: dal Passo Tabaretta non avevamo fatto praticamente alcuna sosta ed avevamo anche bevuto camminando.
Io proposi di scavare dei gradini per salire alla bella Cima Ortles direttamente lungo la dura parete di ghiaccio, ma Pinggera era per un aggiramento. Perciò procedemmo ancora per un tratto verso sud fino a raggiungere il dolce pendìo del fronte meridionale del tetto di ghiaccio. Questo pendìo dolce si trasforma quasi improvvisamente in un affilata lama di neve. Si aggiunga che questa lama, proseguendo verso nord, acquista una certa pendenza, anche se minima, che essa sporge talvolta sulla sinistra, che inizialmente è larga 1 piede e mezzo e poi solo un piede, che sulla destra, a 4000 piedi di profondità, si scorge la Vedretta di Solda verso le cui profondità strapiombano, a poca distanza dai nostri piedi, pareti e lingue di ghiaccio impressionanti, e si avrà la misura della difficoltà di questo passaggio, difficoltà che ha già frustrato diversi tentativi di raggiungere la vetta più alta.




Senza difficoltà arrivammo sulla vetta alle 10, e perciò dopo una marcia di 7 ore e mezza comprese le soste… Il tempo era splendido e senza nuvole fino ai confini più lontani, l’atmosfera straordinariamente tersa, tanto che consentiva di riconoscere in dettaglio i contorni più remoti, limitati solo dalla rotondità della terra; non si muoveva un filo d’aria, all’ombra il termometro segnava + 3°R., nulla disturbava il sublime godimento della natura sulla poderosa torre di ghiaccio.
Iniziai subito a lavorare alla carta; vedevo la regione orientale di Solda sotto di me come un modello neoplastico; poi annotai la veduta e tracciai qualche schizzo panoramico. Davanti a noi si estendeva un mondo di montagne; migliaia di cime selvagge con ogni sfumatura di forme e di toni, catene e catene allineate e separate in gruppi, coperte da vedrette luccicanti, infinitamente articolate e spezzate si estendevano tutt’intorrno  come onde gigantesche – 300 miglia quadrate di tutte le immaginabili conformazioni di terreno erano spiegate davanti ai miei occhi estasiati – da nessuna parte una striscia di terreno pianeggiante degna di nota, solo monti dopo monti senza fine, territori multiformi senza demarcazioni di colore politico, differenziati solo dai toni della prospettiva!




Com’è strana la visione di un mondo immobile, senza vita, di una quiete solenne e la consapevolezza di un isolamento totale! Dal sublime distacco di una vetta, quasi non ci si ricorda delle attività e degli affanni là sotto, del loro intenso coinvolgimento nell’amore e nell’odio, della loro destrezza nel fingere e nel nascondere; a noi quassù queste cose non dicono nulla, noi vediamo solo il teatro del loro agire e, per qualche attimo distanti dalla profana quotidianità, sorridiamo filosoficamente sulla microcosmicità della loro esistenza. 

(L'esplorazione alpinistica dell'Ortles Cevedale)