giuliano

domenica 27 ottobre 2013

GENTE DI PASSAGGIO: la polizia dell'anima (86)




































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Gente di passaggio: i protetti (e i ruffiani...) (85)

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Cani di passaggio: i comici regi (o regnanti) (87)












Nei territori soggetti all'Inquisizione romana, non sappiamo nemmeno
approssimativamente a quanto si estendesse e come variasse nel tem-
po il numero delle persone (piccoli e grandi malviventi... compresi..)
che a vario titolo pretendevano di aver accesso ai privilegi del foro.
Gli elenchi dei 'patentati et officiali' che le sedi locali dovevano spedi-
re periodicamente a Roma non sono di grande aiuto, limitandosi alla
registrazione del personale giudiziario e dei consultori.
La società che gravitava intorno al tribunale non era solo quella di chi
godeva la protezione e i privilegi; era anche quella di chi pretendeva
a vario titolo di influenzarne le procedure, indirizzandole contro i pro-
pri nemici e allontandole dai propri clienti: è una dinamica che in que-
sti termini appartiene alla storia di ogni potere giudiziario.




Che si esercitasse nell'ambito delle attività dell'Inquisizione è possibi-
le immaginarlo anche senza bisogno di dedurlo dall'insistente invito a
ignorare ogni raccomandazione che da Roma si faceva arrivare alle
diramazioni di quel tribunale.
Comer'era fatta la 'selva' inquisitoriale?
Bisogna cercare di immaginarsela nel suo insieme, come una piccola
società (oltre che di sotterfugi e privilegi...) quale di fatto è stata ed
è tuttora, per togliere i 'grandi inquisitori' dal loro romantico isolamen-
to.
Solidarietà di corpo, privilegi comuni, difesa reciproca nei momenti
di rischio, sono elementi utili per cogliere ciò che univa tra loro per-
sone di diversa origine, cultura e posizione sociale e ne consentiva
la collaborazione (in un palese intento a delinquere).




Certo, sui legami di corpo influirono le differenti situazioni storiche;
altro era offrire un cavallo a fra Michele Ghislieri minacciato di mor-
te nel 1560, altro era mandare pollame e frutti della terra all'inquisi-
tore metropolitano da parte dei vicari nei pigri anni del primo Sei-
cento toscano.
In ambedue i casi, tuttavia, i comportamenti obbediscono al senso
di appartenenza a uno stesso corpo: solidarietà, cameratismo, pic-
colo investimento per ingraziarsi i superiori e agevolare la propria
carriera, insomma sentimenti e calcoli che partono dal dato di fat-
to di una linea divisoria tra chi è membro della corporazione e chi
non lo è.




Ma quanti erano membri a pieno titolo e quanti no?
E come era composta questa società?
In che misura l'ambito della società inquisitoriale si estese e giunse
a coinvolgere i più vasti insiemi sociali alla cui sorveglianza era pre-
posta?
Per rispondere a domande di questo tipo, occorrerebbe disporre di
ben altre ricerche rispetto a quelle che si hanno fino ad ora.
E' indubbio, che su tale prospettiva si modellò la successiva ed in-
tera società post-feudale italiana....
Si può azzardare qualche sondaggio...




A Modena, all'inizio del Settecento l'organico vero e proprio con-
sisteva di ben 204 persone, di cui 61 per il tribunale della città e
143 per i vicariati extraurbani, estesi lungo una vasta area che
abbracciava pianura, collina e montagna modenese.
Era una struttura (senza contare la bassa manovalanza costituita
come già detto da piccoli o grandi malviventi e delatori...) che,
quanto ai rapporti di potere, dipendeva dall'inquisitore di Mode-
na e da lui veniva selezionata e prendeva autorità: l'inquisitore
riceveva formalmente la propria autorità dalla speciale delega fat-
tagli dal papa ma riposava anche sul gradimento del duca, senza
il quale non si sarebbe proceduto alla sua nomina.




Ad esempio l'elenco complessivo dei patentati di Ferrara raggiun-
geva la cifra di 63, eguagliando sostanzialmente Modena.
Quelle 63 persone costituivano una piccola élite all'interno di un
numero di 'anime' che veniva calcolato in circa 28.000.
Il territorio ferrarese - per un insieme di circa 122.000 'anime' -
era diviso in 21 vicarie, ciascuna delle quali affidata a una terna
fatta dal vicario, dal notaio e dal mandatario.
In termini di funzioni di controllo, sarebbe privo di ogni utilità in-
dividuare il rapporto statistico fra i parentati e le anime inquisi-
bili, poiché quel piccolo gruppo che apparteneva alla cerchia dell'-
inquisizione non aveva compiti di controllo poliziesco diretto ma
si limitava per lo più a recepire quel che veniva individuato da
altre agenzie: la rete dei confessori, ad esempio, o i singoli laici
che, in quanto tenuti a denunziare quel che sapevano sotto pe-
na di scomunica, erano idealmente arruolati in blocco nel corpo
della...  'POLIZIA DELL'ANIMA'.....

(A. Prosperi, Tribunali della coscienza;  Foto di Lukas Furlan)

















venerdì 18 ottobre 2013

GENTE DI PASSAGGIO: Francois Villon (82)














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Gente di passaggio: Francois Villon (81)

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Bestie di passaggio (83)










Uomini persi, vuoti di ragione,
fuori di conoscenza e snaturati,
privi di senno, gonfi di demenza,
illusi pazzi, pieni di ignoranza,
che vi accanite contro la vostra esistenza,




sottomettendovi a una morte indecente
per bassa viltà, non vi rimorde
l'orrore che vi assoggetta alla vergogna?
Guardate quanti giovani son morti
per attaccare e rubare ciò che è d'altri.




Ciascuno veda in se stesso la sua colpa,
niente vendetta ma sopportazione,
sappiamo che questo mondo è una prigione,
per chi è buono e non conosce impazienza.




Offendere e colpire non è conoscenza,
rubare, saccheggiare, uccidere a torto.
Non pensa a Dio chi si cancella al vero
gettando la giovinezza in questa impresa,
per piangere alla fine nel pugno contorto
per attaccare e rubare ciò che è d'altri.




Perché mentire, adulare, tradire ridendo
frodare, ingannare, giurare il falso,
illudere, ingannare, preparare veleni,
vivere nel peccato, dormire diffidando
senza fidarsi del prossimo, degli altri?




Sforziamoci allora di costruire il bene,
riprendiamo coraggio e confidiamo in Dio,
non c'è un giorno sicuro nella corsa dei giorni,
il nostro male si ripercuote sui cari,
per attaccre e rubare ciò che è d'altri.




Viviamo in pace, chiudiamo le discordie,
I giovani e i saggi si mettano d'accordo,
La legge vuole e lo insegna l'apostolo,
Lo scrive nell'epistola ai romani,
Occorre ordine, un posto, un porto,
Non lasciamo il vero porto alle spalle,
per attaccare e rubare ciò che è d'altri.

(F. Villon, Ballate del Tempo che se ne andò;
 Fotografie di Pierre Pellegrini)












mercoledì 16 ottobre 2013

DIALOGHI (di altri tempi...)













- E quanto a procacciar conoscenza che ne di' tu?
non è d'impedimento il corpo, se, cercandola, prendiamo lui a compagno?
voglio dire: la vista e l'udito dicono mai vero agli uomini?
O ce lo ricantano sino i poeti che noi nulla di chiaro vediamo cogli occhi
né udiamo cogli orecchi?




e se questi sensi corporali non sono fidi e sinceri, mal potrebbero essere
gli altri che a comparazione di quelli sono molto più sciocchi:
non ti par così?
- Così,
disse.
- Adunque, quando l'anima coglie il vero?




Al certo, ponendosi ella a considerare alcuna cosa avendo compagno
il corpo, esso manifestamente la trae in inganno.
- Dici vero.
- E se mai ci è cosa, non è il ragionamento quello che rispecchia un po-
co gli enti?




- Sì.
- E allora l'anima ragiona perfettamente, quando per nulla non l'anneb-
biano la vista e l'udito, né il piacere e il dolore; ma sola rimanendo, ac-
comiatato, sdegnosa di aver che fare con lui e toccarlo, con tutto il suo
potere a quello che è s'indirizza.




- Giusto.
- E per tal ragione l'anima del filosofo non ha in fastidio il corpo?
e non fugge via da esso, e di rimanere sola è bramosa?
- E' chiaro.
- E che s'ha a dire, o Simmia, a quest'altro proposito?




S'ha a dire, che il giusto è qualche cosa per sé medesimo?
- Sì, s'ha a dire, per Giove.
- E similmente il bello e il buono?
- Come no?
- E li hai mai tu veduti con gli occhi?




- No,
rispose.
- E forse li hai tu sentiti con altro senso corporale?
non dico solo gli enti mentovati, ma anco la grandezza, la sanità, la
forza, e, per dire brevemente, tutte le altre cose nella loro essenza,
ossia nel loro sincero essere?




forse che per via del corpo si discerne ciò che ha di puro vero nelle
cose?
Ovvero è così che solo colui che s'apparecchia a ben ragionare su
gli enti ai quali ha rivolto la mente sua, colui solo è più prossimo ad
averne conoscimento?




e non farebbe colui questo apparecchiamento con grande purità,
il quale quanto può si profondasse in ciascun ente con la ragione
medesima, non interponendo la vista né alcun altro senso corpora-
le?
colui, il quale si mettesse a cercare ciascun ente schietto giovando-
si del discorso schietto della mente e stando in compagnia con l'-




anima, sciolto dagli occhi e dagli orecchi e da tutto il corpo, facen-
do egli turbamento quando ci si mischia, e non lasciando acquista-
re verità e sapienza?
E Simmia:
- Benissimo, Socrate; tu di' proprio vero.




- E però i filosofi di necessità devono pensare in modo, che hanno
a dir così parlandosi insieme:
"Ci mena quasi una via diritta e chiara nella considerazione, che in
sino a tanto che si ha il corpo, e la sua pestilenza ci si avventa all'a-
nima, mai non perverremo noi a quello che desideriamo: ch'è il vero;




imperocché il corpo a cagione del suo campamento ci fa molestie
innumerabili e le infermità sopravvenimenti c'impediscono di cercare
quello che è.
Oltre a ciò con tanta iniquità ci riempe di amori, desiderii, paure, e
visioni fallaci e sciocchezze d'ogni maniera, che proprio non ci lascia
mai intendere a cosa niuna.




Ché le ribellioni, le guerre e battaglie non le fa che esso con le sue
voglie; imperocché dalla bramosia di arricchire scoppian le guerre;
e le ricchezze si bramano per il corpo, per lisciar lui.
Per questo egli è d'impaccio alla filosofia, e, che è peggio, poniamo
che ci dia riposo un poco, e noi ad alcuna considerazione dirizziamo
l'intelletto, repentemente ecco ch'egli ci si caccia nel mezzo, sì scom-
pigliando, fracassando, percuotendo, che, colpa sua, non ci vien fat-
to di contemplare la verità.




E però egli è assai manifesto, che, volendo veder con chiarezza, è
mestieri disvilupparci da lui e guardare i puri enti con la pura anima;
e può essere, secondoché mostra il ragionamento, che allora conse-
guiremo quello di che siamo desiosi e amorosi, cioè la intelligenza...."
(Platone, Fedone)












mercoledì 9 ottobre 2013

LA CASA DELL' ALCHIMISTA (2)
































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La casa dell'alchimista

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La casa dell'alchimista (3/4)










 - Come potete vedere, la casa ha due fronti; quello che dà a sud
si affaccia sulla Kreuzgasse; qui c'è la bottega. Lì accanto si trova
il cosiddetto 'laboratorio biochimico' di Padre Adam, uno degli uomi-
ni più strani che siano mai vissuti.
Padre Adam sostiene, a quanto si dice, che l'alchimista in persona
gli appaia di tanto in tanto in sogno, e che gli abbia rivelato la for-
mula dell'Elisir di Lunga Vita... Ma voi già lo conoscete, signor cor-
rispondente!
Il suo simbolo, il pavone, fuori sulla porta d'ingresso, è antico quan-
to le mura della casa.




... E queste, guardate qui, sono così spesse!
Gracchus Meyer allargò orgogliosamente le braccia, come se si vo-
lesse trasmutare in un pipistrello e spiccare il volo....
- Di sopra, naturalmente,
la sua voce si fece misteriosamente bassa,
- Di sopra, naturalmente, non raggiungono la metà di questo spesso-
re,
Meyer strinse le braccia tese al corpo e fece l'atto di assottigliarsi an-
cor di più. Evidentemente voleva mostrare, effettivamente e senza
mezzi termini, al suo silenzioso - per forza di cose - ascoltatore, co-
me le mura improvvisamente si restringessero....
- E questo, signor corrispondente, mi ha fatto pensare che il piano
superiore sia stato aggiunto secoli più tardi....




Certamente una strabiliante scoperta.
La casa non è, dunque, venuta al mondo finita, come succede in ge-
nere per le altre cose; no, no, essa è cresciuta! Cresciuta, come cre-
scono gli uomini. Si trova, in un certo modo, a metà tra le cose viven-
ti e quelle inanimate... E' una specie di via di mezzo! Prove che essa
sia 'cresciuta' così, purtroppo, non ne posso addurre, e a nulla è ser-
vito studiare per decenni negli annali della città alla loro ricerca.
Io vedo perciò lo scopo della mia vita confinato in lontananze irrag-
giungibili.....




Vi prego, quando scriverete al vostro giornale, fate presente a que-
sto riguardo che io non ne ho colpa..... Per concludere, il tetto della
casa è completamente piatto e fatto di vetro... lo ha fatto costruire
il famoso e ricchissimo scienziato Ismael Steen. Primo, perché lui
giorno e notte sta qui al caffè; secondo, perché essendo trasparen-
te, se ne serve per il suo studio cinematografico privato; terzo, per-
ché è solito atterrarvi sopra..... con il suo aeroplano, intendo dire....

(G. Meyrink, La casa dell'alchimista)












  

lunedì 7 ottobre 2013

GENTE DI PASSAGGIO: Sancio Panza (78)















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Gente di passaggio: Sancio Panza (77)

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Gente di passaggio: il Filosofo prigioniero (79)












- "... Proprio come la sola realtà di quanto accadrà in quel libro sarà quella
della carta, e gli scudi e i ducati che vi circoleranno dovranno essere della
stessa materia, ossia fatti di carta e fantasia".
Sancio rimase un po' confuso mentre Sansone Carrasco sembrò divertito nel
vedere che il povero scudiero restava pur sempre un ingenuo.
- Ma per quello che ne so io,
replicò Sancio Panza,
- "posso capire che qualcuno scriva la storia di quanto è successo; capirei ad-
dirittura che la scrivesse su quanto sta accadendo in questo stesso istante, co-
me mi ha garantito vostra grazia che sarebbe accaduto un giorno con tutto quel-
lo che è successo da quando è morto il mio padrone don Chisciotte.




Potrei persino capire, anche se non ne vedo né l'utilità né il proposito, se vostra
grazia stesse scrivendo adesso, come ha detto che avrebbe fatto, la nostra sto-
ria, che senza don Chisciotte non ha, almeno per me, alcun interesse.
Quello che non riesco proprio a capire è che vostra grazia possa scrivere la
storia di qualcosa che sa perfettamente non essere mai accaduto, e che non ac-
cadrà più dal momento che una delle parti è morta, e ormai oltre che morta è
sepolta dove non potrà fare altra vita pastorale che con i vermi che se la stanno
mangiando, cosa assai poco cristiana e per niente pietosa.
Non sarebbe meglio per tutti andarcene davvero a fare la vita dei pastori e poi
raccontare ciò che ci capiterà?




Non fanno questo i pittori, che fanno indossare a uno l'abito di Giuda e all'altro
quello dell'Arcangelo, e se ne servono come modelli?
Non è una follia mettere il basto davanti al mulo?".
- In parte,
ammise il baccelliere.
- "I perfetti ingranaggi dell'arte esistono perché le cose succedano come se fos-
sero reali senza esserlo, il che non esclude che venga meno la verità. Che spes-
so avrai visto cose reali che sembrano finte e altre sogni che sembrano veri".
- E' proprio così,
riconobbe Sancio.
- "Io sogno spesso di essere inseguito in un campo da un toro che vuole travol-
germi e incornarmi, e mi sveglio in un lago di sudori freddi; altre volte, invece,
davanti a certe cose che ci accadono nella vita, devo strofinarmi bene gli occhi
per essere sicuro che quello che vedo non è un sogno.
E questi ultimi giorni, con il mio povero don Chisciotte che mi appare e continua
a parlarmi come se non fosse mai morto, mi devo svegliare per capire che è solo
un sogno, perché lo sento come se fosse parte della nostra vita".




- "Proprio da questo ha imparato l'arte, che non è che un trucco attraverso il qua-
le possiamo far scorrere il tempo a nostra discrezione e convenienza, e fare in mo-
do che le ombre sembrino vere e vive, e i vivi ombre, e che il passato torni e che
il presente non trascorra.
E così noi poeti possiamo traportarti in un secondo agli antipodi e poi farti torna-
re nel giro di un paragrafo.
Lo capisci?
Se ti dico, in questo foglio, che la marchesa è uscita alle cinque, non devi minima-
mente dubitare che l'abbia fatto".




- Che marchesa? E da dove uscita?
- "Si fa per dire, è un esempio. Posso scrivere che ieri eri ad Algeri e che oggi ti
trovi a Conocusco, a macinare cioccolato in una piantagione, e per tutti coloro
che leggeranno sarà andata proprio così, anche se tu non ti sei mai mosso di qui".
- Ma io potrei dimostrare il contrario.
- "Facendo causa? Non te lo consiglio proprio. Ricorda una cosa, intenta una
causa e le vincerai, ma così come basta che una arrivi davanti a un giudice, per
ingiusta che sia, perché all'istante saltino fuori dei testimoni, nello stesso modo è
sufficiente che una cosa appaia sulla carta stampata e venga pubblicata perché
molti la diano per buona, reale e vera".
E dunque mi metterò a scrivere questa storia, dove ci vedrai e leggerai, adesso
puoi farlo (nella carta stampata del mio.... giornale da questa Repubblica servo...
e servito....)

(Dedicato agli scibri e pennivendoli del (la carta-casta stampata) nuovo regime....)

(A. Trapiello, Alla morte di don Chisciotte)












sabato 5 ottobre 2013

GENTE DI PASSAGGIO: Francesco Carletti (76)













































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Gente di passaggio: Francesco Carletti (75)

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Gente di passaggio: Sancio Panza (77)










.... Distemperata per l'eccessivo caldo e nociva per li
forestieri, quantunque temperatissima e sana per quel-
li che vi nascono, sì come segue in tutti i paesi.
La qual febbre mi messe e fermò nel letto di tal sorte,
che se non fosse venuto il tempo dell'imbarcarmi ancor-
ché ammalato, non fo dubbio nessuno ch'io sarìa restato
sotto quella terra, nella quale lassai gran parte del mio
sangue, essendo stato quella la prima volta che mi furo-
no forate le vene sette giorni continui l'uno dopo l'altro,
né per questo restai libero.




Ma venuto il tempo della partenza per andare con gli
schiavi all'Indie, m'imbarcai così ammalato, essendosi
dato la carica a due uomini portoghesi che avessero
cura delli nostri schiavi mori, li quali s'imbarcorno nel-
la già detta navetta nolleggiata da noi, accomodando in
essa li uomini sotto la coperta stivati l'uno appresso l'-
altro, in maniera così stretti che a gran pena, volendo,
si potevano voltare da un lato all'altro; le donne stava-
no di sopra per tutto la nave a lor modo il meglio che
potevano.




Davasi a tutti da mangiare quanto volevano, una volta
al giorno, di certo miglio di que' paesi cotto in acqua,
e condito con olio e sale; la mattina per collatione, si
dava loro un pugno per uno di certo seme a modo di
anici, a quel modo crudi ma non già di quel sapore.
Il bere seguiva doppo l'aver mangiato a mezzo giorno,
tuffando ciascuno il ceffo in un bigonciulo, bevendo a
un fiato quanto potevano senza repigliarlo; e poi, la
sera, se a qualcheduno avanzava qual cosa se lo man-
giava insieme con le sue camerate,che erano dieci




schiavi per quadriglia.
Così dopo avere imbarcato tutto quello che faceva di
bisogno per un tal viaggio, ci partimmo dall'isola di San-
to Jacopo alli 19 di aprile di quel medesimo anno 1594,
in compagnia d'un' altra nave carica anch'essa di schiavi
neri e armamenti da scambiare in altri porti di attracco,
e dirizzando la prora verso occidente, navigando quasi
sempre per una medesima altezza di 14 in 15 gradi dell'-
equinotiale verso la parte borica, solcammo quello spa-
tio di mare oceano di tre mila miglia in trenta giorni feli-
cemente... con li carichi delli schiavi et quelli delli tanti
schioppi.......

(Francesco Carletti, Ragionamenti del mio viaggio intorno
al mondo) 










martedì 1 ottobre 2013

GENTE DI PASSAGGIO: Trittico Portinari (74)














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Gente di passaggio: Trittico Portinari (73)

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Gente di passaggio: Francesco Carletti (75)









In quest'opera Van der Goes riprende la tradizione
pittorica nederlandese inaugurata dai suoi illustri
predecessori: il senso per la luce e il naturalismo
di Petrus Christus e Dirck Bouts, la monumentali-
tà di Rogier van der Weyden, ma in primo luogo
il gusto per i dettaglio e il 'disguised symbolism'
di Van Eyck.
La semplice natura morta in primo piano con i due
vasi di fiori e il fascio di spighe risulta così essere
la chiave di un concetto iconografico che Van der
Goes intende illustrare, e cioè la dottrina dell'Incar-
nazione: con la nascita Dio si fa uomo e in tal mo-
do l'umile natura umana (si cela..) viene riunita con
quella divina....




Nel vaso di sinistra, un alberello spagnolo, vi sono
tre iris - due bianchi e uno blu - e un giglio scarlat-
to, che alludono alla Passione, alla purezza e alla
regalità di Cristo e della Vergine Maria.
Nel piccolo vaso di vetro a fianco - la luce del so-
le l'attraversa senza deviare - sono collocate inve-
ce sette aquilegie blu e tre garofani rossi.
Per la sua forma ricorda una colomba in volo, l'-
aquilegia divenne simbolo dello Spirito Santo. L'-
insieme di sette aquilegie, come in questo caso,
sta ad indicare i sette doni dello Spirito Santo.




Il significato simbolico del garofano è strettamente
correlato al fidanzamento, qui è forse un'allusione
alle nozze mistiche di Maria con Cristo.
I fiorellini sparsi a terra, aquilegie e violette ormai
appassite, rinviano all'umiltà e alle sofferenze di Ma-
ria. Il fascio di spighe dietro i vasi nonché i tralci e
le foglie di vite sull'alberello rappresentano gli attri-
buti dell'Eucaristia.
Si noti che il Bambino appena nato si trova esatta-
mente sopra alla natura morta..., crollata a Terra..,
come fosse egli stesso l'offerta sacrificale.
Gesù è qui al contempo l'officiante della prima San-
ta Messa in terra, assistito dagli angeli che indossa-
no le vesti usate per l'appunto in occasione della pri-
ma messa di un sacerdote.




Certo non è facile sapere fin dove occorra spingersi
nell'interpretazione della pittura, e certo non è faci-
le, oppure è facile più di quanto si possa immagina-
re cercare di interpretare quello che la pittura non
rappresentata e/o commissionata nell'atto della ma-
 nifestazione di ciò che non appare nella reale sua
forma espressiva..., e/o non può apparire per quello
stesso simbolismo qui appena enunciato.., ma che è,
e rimane, Opera di Dio....nell'invisibile sua forma in-
terpretativa....e divina coniugata all'uomo.....