giuliano

giovedì 28 gennaio 2021

(benvenuti) ALL' EXCELSIOR (22)

 









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Benvenuti...( 21/1)


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Il capitolo completo... (23)


& con una Italia ancora da fare (24)








E che la gemma rifletta raggi fulgidi lo confermammo nel conversare amichevole al desco che ci imbandì la più colta ed eletta cittadinanza nelle sale dorate dei marchesi Parisani. Non poteva non esserci grata l’ornata parola del Sindaco, il quale ricordando lo scopo della istituzione, e chiedendone l’applicazione ai suoi monti ci chiamava per altra volta a più posati studi che ne perscrutassero ogni parte. Fu lieta, espansiva, dalla memoria incancellabile quell’ora di fraterna armonia; anche il gentil sesso vi portò spirito e cuore; ond’è che alle vivaci alpiniste di Val d’Ensa che ricordavano a noi il chiarissimo nome del loro germano Pigorini, ornamiento delle scienze archeologiche e preistoriche in Italia, mandiamo di qui il saluto dell’amicizia e del ricordo, chiamandole interpreti della nostra riconoscenza agii ospiti verso noi così cortesi.




Lunga ed aspra era la via che verso sera imprendevamo a percorrere per giungere a Visso! Lasciammo Camerino, l’ospitale, che avevaci dato il proprio contingente all’escursione, discendendo la china per quinci volgere e penetrare nel più selvoso Appennino. E al di là, della Muccia, punto di conversione a varie gole fra cui scorrono i tributari del Chienti — per la cui Valle le Marche hanno una via Nazionale, che per Macerata e Tolentino ascende a Colfiorito e a Spoleto, onde congiungerle per Foligno a Roma — ò al di là della Muccia che i monti più si fanno erti, e più grandeggiano le selve, avvicendandosi il Cerro, la quercia, e la farnia, a quel modo con cui s’intrecciano e si fondono i monti, chel’un l’altro si susseguono e si innestano, divisi da gole, rotti da burroni o congiunti da altipiani, che ti appresentano una natura selvaggia sì, ma tranquilla ed incantevole quando non mugga il rombo della tempesta.




E già avevamo lasciato da lato l’acuminato monte che dà il nome o trae il nome dall’intera catena, ed è detto Appenino (metri 1,572) — culmine allo spartiacque dei due versanti idrografici, e nella cui erta si aggruppa l’omonimo villaggio, — quando, scomparso l’ultimo raggio di sole per mezzo a quelle gole, veniva annottando, così abbuiava, che non ci era assentito di spinger oltre lo sguardo fra quei monti selvaggi, e quelle rocce che venivano davvicino assumendo forme strane e fantastiche. Era il momento favorevole a raccogliere le idee, così come è opportuno il momento al dire onde richiamar ad un rapido sguardo sulla struttura orografica della regione che venivamo percorrendo.




Traversando in ferrovia la sezione naturale della Rossa noi avevamo attraversato le serie cretacea e giurassica che formano il nucleo della catena orientale Appennina. Repente inclinano verso sud-est; il frapposto bacino s’innalza anche esso, e noi lo vedemmo nel di seguente restringersi, formare l’angusto altipiano di Visso, e quello maggiore di Castelluccio; dopo di che le due catene riunendosi, vanno a comporre l’enorme gruppo della Sibilla e di Norcia. Tale l’orografia : in quanto alla struttura geologica, è questa. Risalendo la valle longitudinale dell’Esino da Albacina a Matelica il terreno è in gran parte costituito dal detrito appenninico; al di là di Matelica si appoggiano sui fianchi delle due catene le rocce terziarie eoceniche — calcari e schisti marnosi — e mioceniche — marne ed arenarie — anzi un lembo superiore di miocene prossimamente a Matelica ha cave di gesso. L’elevazione di terreno interposta fra Matelica e Castel Raimondo in parte è miocenica, in parte detritica, e separa la Valle dell’Esino da quella di Potenza.  




 A Visso ci avevano preceduto i compagni di Macerata, e fu un gradito stringer di mani fra antichi e nuovi conoscenti. Gli Umbri giunsero più tardi al convegno, e fu. solo nel cuor della notte, che varcate le montagne di Spoleto e di Norcia, scesero a Visso. Un contemporaneo pensiero degli alpinisti delle Marche e dell’Umbria, ci aveva spinti gli uni al desio d’invitare, gli altri, di chiedere la comunanza nell’escursione al Vettore, onde non è a dire se fosse lieto il primo sorgere del nuovo dì, ed il momento in. cui nella maggior piazza di Visso la svelta e veramente montanistica figura del professore Bellucci a noi presentavasi in mezzo all’eletta schiera dei compagni.

 

Che dirvi della montana cordialità, dei Vissani?




Il cavaliere Gaola Antinori ricco di censo al pari che di cuore e d’ingegno, Sindaco ed allora, padre di quella onesta, laboriosa ed ordinata popolazione, deputato al Parlamento per Macerata, fu il nostro provvido amico in quel centro delle convalli, che può ben dirsi la chiave dei Monti Sibillini ove, erano diretti i nostri passi. È prossimo a Visso un tempio d’antica fama sacro alla Vergine di Macereto, e noto quale stupendo monumento in arte. A raggiungerlo v’ha lunga via a percorrere di valle e di costa, ed era il punto segnato alla parte artistica della nostra escursione.

 

Il Gaola ebbe apprestati ad una parte di noi i mezzi ad una piacevole cavalcata, che ci fu resa anche più gradita dai cortesi e franchi modi dei cittadini cui piacque d’esserci guida nella escursione.

 

Chi foco Visso perde senso e lumi

 

Posel fra ciiuiuo valli o qualtro fiumi 




 Così dice un distico popolare: ma ciò che il distico non dice, e che diremo noi, è il giro di civiltà che per Visso si introdusse in mezzo all’aspre rocce ed alla natura selvaggia dei luoghi. Però sta in fatto che da quattro profonde valli vi convergono quattro fiumicelli che poi riuniti assumono il nome del maggiore di essi, il Nera, il quale per la quinta valle — stretta gola che taglia tra Monte Femma (metri 1,573) e Monte Forgeleto la catena occidentale — convoglia al Tevere le acque dell’intero bacino.

 

Di queste valli è per quella detta Ussita che corre gran parte della strada da Visso a Macereto.

 

Oh come è incantevole la vista di quella angusta valle nella quale rumoreggia il torrente, raffrenato non sempre nelle sue invasioni dall’arte la più avveduta; intantochè l’arte ancora trae dal suolo in relazione ai luoghi la migliore produzione. Ma ahimè quante volte l’industria dell’uomo è sopraffatta dalla prepotenza delle acque!




La Valle d’Ussita, che ò posta fra terreni secondari, e nel cui fondo si elevano torreggianti il Monte Bove ed il Pizzo dei Tre Vescovi, i più prossimi dei colossi Sibillini, è ben propizia al geologo; né è a dire se fosse ragione di studio a chi tra noi più direttamente interessavasi a quelle osservazioni, dacché ai due lati di essa una sezione naturale normale agli strati, permette di riconoscere la struttura e la successione delle serie. Esaminiamola attentamente che qui affiorano pressochè tutte le rocce dei nostri monti.... 

 

Il santuario di Macereto (metri 970), che trae il nome dal monte su cui s’erge (metri 1,044), in vero ci apparve degno della sua rinomanza. È costrutto di un bellissimo calcare subsaccaroide, l’una delle varietà del Lias medio, per tale addimostrato dalla struttura e dal luogo donde fu tratto — Monte Bove. La forma dell’edificio all’esterno è ettagona, con avancorpi nei tre lati normali ai due assi dove sono aperti i tre ingressi:  posteriormente v’ha una appendice poligonale. É architettato all’esterno a due ripiani sormontati da cupola anch’essa ottagonale. La sua forma all’interno è di croce greca, con presbiterio di prospetto all’ingresso, con grandi nicchie all’estremità delle braccia, ed altre piccole laterali, e con cappella al centro, a mo’ di quella di Loreto, soggiacente alla cupola sorretta da quattro grandi archi e pilastri.


(Prosegue con il capitolo completo... Buon Viaggio!)








domenica 24 gennaio 2021

IL LUPO (20)

 










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Di una Storia vera... (1/19)


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Benvenuti all'Excelsior (21/2)








Una goccia nel mare di violenza di cui capace l’umano intendimento non del tutto diagnosticato!

 

Ma si deve creare il mito il quale giustifica la propria violenza, giacché chi l’ha inventato il peggior Lupo di questa ed ogni Terra popolata e conquistata.

 

Chi ha creato codesto Lupo intende diversa Rima nella eterna Dottrina posta!

 

La curiosità mi impone una scelta, e se pur nell’ombra ho visto ed immaginato fantasmi, draghi e cavalieri erranti con schierate genti armate con lo schioppo in deliranti giostre unite ad esseri favolosi, colpa della poca luce qual tenebra - o fitta umida nebbia - eterna cappa del Paese, qual strana paura della Natura che ci accomuna ad un diverso Sogno divenuto delirio alla vista di detto nominato homo; proseguo con la Vela con cui accompagnato per questi navigati mari di verde i quali mi conducono al Vento di un porto amico.




 Ho proseguito e proseguo con Lei ancora il Viaggio non curante del difficile cammino proteso ad un più elevato simmetrico Passo al nodo d’un sottinteso accordo con cui aggrappato; ma ciò di cui la Vela mi sprona deve avere urgenza d’essere appagato. Così sul versante del Pian Perduto, quando appunto credevo d’essere ormai perduto e assalito chissà da qual terribile drago, lontano lo vedo che si incammina sullo scosceso versante della montagna. O meglio, come il presente Capitano e suo ufficiale, la sale in solitario simmetrico cammino come per farsi scorgere ed ammirare signore della Cima non meno del passo… attraversato.

 

E quantunque per intenderci… navigato!

 

A debita distanza dell’uomo accampato o forse nascosto come lui nella propria tana, si è voltato mentre Vela accelera il Passo, mi concede la vista appagata come per dirmi: se pur affamato stanco e digiuno eccomi al tuo sguardo; come volermi dire che regna una segreta invisibile simmetria fra l’uomo e la Natura intera; come volermi dire se son io l’ambita preda è ora che mi osservi da vicino prima che qualcuno colpa l’istinto della pecunia persa mi appenda al proprio uncino.




 Lo rincorro senza paura alcuna, Vela tira spinge e comanda l’intero Veliero verso le onde di un Sogno divenuto delirio misto ad uno strano Destino, giacché non comprendo bene - se pur Alba e non ancora mattino - se sto sognando oppure delirando, e di conseguenza volgendo al Tramonto di un più perigliosa Onda naufragata al porto della Natura intera…

 

Hora la Luce così inizio ad intendere e intravedere, passa fra un cespuglio e una piccola selva, poi ai primi chiarori diviene Onda, lenta senza correre si dirige verso un mare aperto…

 

Non sto delirando neppure recitando!

 

Quando la curiosità ha suscitato in quella silente hora troppo rumore nella breve comune onda, abdicata al Pensiero, lui il Lupo ha preso quasi a correre, per lasciarmi solo una piccola se pur impareggiabile Visione.

 

La Luce in quel mattino ho visto e vedo ancora!




Da allora ho sempre capito senza Tomo alcuno che regna una invisibile simmetria fra l’uomo e la propria Natura.

 

E se pur con qualcuno ho accennato all’incontro in maniera del tutto superficiale, giacché molti hanno tentato ugual vista ‘esercitando’ e ‘vigilando’ armati - anche e soprattutto della tecnologia - non appagata né colta nel frutto dell’improbabile messa in opera e negli anni seminata; ho avuto l’onore del breve messaggio dall’altrui dotto ingegno negato, circa come pensa e cogita un più probabile Dio; ciò indubbia e certa bestemmia e quindi qual Eretico anche da amici avversato…

 

…Eppure non sono il solo Lupo che si è piegato al suo intendimento svelato al di fuori di codesto Tempio, se ben ricordo vi furono Santi o Filosofi della Natura che ben havevano intuito il segreto suo messaggio.




La Libertà in ogni luogo ove celebrata cantata ed ammirata - non men che pregata – invisibile materia di una più profonda Eresia, verso la Cima incamminata  in comunione con la Natura intera, impone l’Elemento proprio di ciò che siamo simmetricamente alla sua quanto mia Anima  risorta ma per altri solo naufragata!

 

Non ciò che diveniamo, o peggio, vorremmo divenire, cercando il Lupo del lento divenire, ma semmai l’antico Sogno della nostra comune infanzia, da quando liberi su questa piccola zolla o crosta di Terra, o grande Oceano navigato, abbiamo vagato e vaghiamo ancora in difesa e tutela della Libertà violata da ogni buon pastore custode della pecunia crocifiggere la Terra.




Il Lupo ciò che eravamo e mai posto alla più onorevole condotta della docile domesticazione, con tutte le Leggi ed i precetti che al meglio - o al peggio - lo contraddistinguono. E se pur in molti - o troppi - contestano la violenta sua natura, certo mai inferiore a ciò cui l’humano capace peggiore della bestia cacciata. Il rito unito congiunto al mito - sacrifica ed ha sacrificato - ciò di cui più docile accompagna e sazia il suo cammino, immolato in nome e per conto del loro Dio, ne svela - in verità e per il vero - la reale natura dell’uomo…

 

Mai l’humano demone che io conosco propizierebbe tal banchetto o solo lo ufficerebbe con tanto di preghiere per poi assieme a tanti altri profanare ed immolare ogni altare della Natura.

 

Così per secoli hanno cacciato - e cacciano ancora - la loro maggior paura nel Tempo ben vigilata e custodita entro casseforti a forma di castelli, braccano cioè, la Libertà incarnata nel coraggio del fiero Eroe della Natura intera.




 Lui che non conosce Patria e Diritto in nome della Libertà da ogni uomo reclamata.

 

Lui che non conosce sicura dimora.

 

Lui che non conosce diritto alcuno alla parola, da essere sacrificata e sgozzata su un altare.

 

Lui che sceglie l’impervio Sentiero senza apparente Legge alcuna che non sia scritta nella Natura per ricordarci che il Sogno può divenire incubo quando il vero predatore della Terra dorme tranquillo nel proprio recinto pascolato della libera pecunia.

 

E i cani ne fanno vigilata attenta guardia!

 

Seppure la violenza descritta nei Secoli della Ragione dell’uomo, mai ha ben compreso cosa celi l’invisibile simmetria di un più celato ed elevato Pensiero.

 

Seppure infanti putti e pecunia aggrediti entro e fuori ogni genesi del protetto recinto, mai ci si è presi la briga di contarne i morti caduti in nome del loro Dio.




Così come dicevo, rimembrando i deliri di un Tempo e ricordando ogni minuto nell’Infinito di quel precoce mattino, ho intuito e tradotto l’intero lungo Dialogo del Lupo avvistato qual ammiraglio trascinato dai perigliosi venti della propria Vela.

 

Ogni addetto ai lavori, sia verde che nero incaricato, non meno del novello - ogni novello scrittore o guardiano del parco, ed ancora, psicologo e giornalista comandato, per non parlare d’ogni più elevato hoculo o trappola nascosta, potranno intenderne il motivo, o almeno cercare di spiegarlo o interpretarlo.

 

Eppure per quanto si sforzino il Lupo rimane ben stretto nel recinto in cui recluso e posto alle rigide considerazioni di un mito, ne più ne meno del matematico - ogni matematico - il quale scrive la propria teoria esulando dal contesto formale, oppure ed ancor meglio, disconoscendo l’oggetto del suo mestiere divenuto numero o araldo disgiunto dal proprio contesto in cui nato, che tenta di svelarne l’improbabile universo  rinchiuso nelle ristrette equazioni di un recinto.




Forse mai hanno intuito o compreso come ragiona questo invisibile Dio simmetrico al Primo Pensiero compiere l’Infinito Universo dall’Alba al Tramonto, dalla Primavera al successivo Inverno, dalla morte alla vita, rinascere in ogni Hora quando se ne intende e comprende la Rima,  seppure l’hanno postulato entro e fuori la Relatività del Tempo…

 

Adesso in questa difficile hora o peggio misero Secondo vorrebbero postulare e sovrintenderne il Tempo, ed infatti li scorgi chi alla propria grotta o caverna, chi nel castello, chi nella più lussuosa palafitta, dimenticando chi gli mordeva la coda!

 

Da quello Spirito venerato hanno, in un Tempo troppo antico per essere qui appena ricordato, imparato!

 

Come Lupi fuggiamo impietriti di tanto male, come lui ci nascondiamo per grotte e remote eremitiche spelonche per ricordarne l’antico ordine perso. Come lui fuggiamo su vasti e distesi altipiani, là dove non esiste l’onnipresente occhio Polifemo dell’inutile progresso pascolato posto alle rigide condizione della relatività del Tempo dato, correvamo e corriamo ancora nell’ululato della libertà uccisa e vilipesa se pur apparentemente pascolata.

 

Come lui cambiavamo regione e luogo e fuggiamo in cerca del nostro Dio ed essere al Mondo per ogni Universo.




 E Lui ci è venuto a parlare forse perché ha riconosciuto e riconosce ancora il solitario guerriero che non si consegna al sacrificio comandato di una falsa morale divenuta pecunia pascolata.

 

Quel solitario guerriero l’ho visto come avete ben letto sopra, dal noto ed affermato scrittore, appeso sopra un uncino e un cartello con su scritto un monito per tutti i discepoli della Libertà, seguaci di una più profonda Dottrina e come al meglio intenderla e tradurla, un monito affinché non si attenti la pecunia ben pascolata e macellata nella vigilata ‘ricchezza’ allevata e sacrificata all’altare del Tempio.

 

A quel solitario guerriero e alla sua Parola, al suo Discorso, al Dialogo di quella mattina ho dedicato un libro intero tutto in Rima.

 

Ogni tanto mi viene a trovare.

 

Lo hanno di nuovo avvistato camminare più o meno tranquillo alla periferia di una grande recinto nominato città.

 

Si è voluto mostrare per al meglio dire - senza Rima alcuna - chi il Dio della Natura!   

 

(Giuliano)    









venerdì 22 gennaio 2021

RIFLESSIONI FILOSOFICHE (18)

 










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Circa 'comuni' visioni filosofiche... (1/17)


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Quando incontrai il Lupo (19/20)








Dubito seriamente che ci sia un vero te stesso o, se è per questo, un vero me stesso: un Sé, una persona che persiste immutabile e trascende tutti i diversi modi in cui potremmo esserle infedeli. Anzi, dubito addirittura che fosse questa la visione di Shakespeare, visto che la mette in bocca a un palese stupido come Polonio.

 

Perciò dubito che esista un vero io in contrapposizione a un falso io.

 

Ci sono solo io.

 

Anzi, non sono neppure più sicuro che perfino quell’io esista. Forse ciò che definisco ‘io’ non è altro che una successione di persone diverse, tutte collegate psicologicamente ed emotivamente e tutte unite dall’illusione di essere me.

 

Chi lo sa?

 

Non ha davvero importanza.




Il punto cruciale è che ognuno dei miei momenti più alti è completo in se stesso e non richiede giustificazione nel ruolo che si suppone giochi nel definire chi e che cosa sono io.

 

Sono i momenti che importano, non la persona che si suppone (erroneamente) essi rivelino. È questa la lezione difficile. Io sono un Filosofo di professione e, di conseguenza, un’ostinata forma di pessimismo è, o dovrebbe essere, uno dei miei ferri del mestiere. Povero, vecchio Dio: dopo tutto il disturbo che si è preso per me – l’intervento assurdamente improbabile sotto forma del fantasma di pietra di Brenin – non riesco ancora a convincermi a credere in Lui.

 

Ma se potessi credere, allora spererei nel Dio della preghiera di Eli Jenkins in Sotto il bosco di latte:

 

il Dio che cerca sempre il nostro lato migliore, non il peggiore.




I nostri momenti più alti rivelano il nostro lato migliore, non il peggiore. L’io al mio peggio è reale quanto l’io al mio meglio. Ma ciò che mi rende degno - se lo sono - è l’io al mio meglio.

 

Sono stato al mio meglio, ne sono convinto, quando dicevo di no alla morte di Brenin (il mio solo amico un Lupo) durante quei primi giorni in Francia. Ero un pazzo privato del sonno. Pensavo di essere morto e all’inferno. La mia visione di ciò che stava succedendo nella mia vita faceva sembrare Tertulliano assolutamente ragionevole.

 

Ero a pezzi.

 

Ma, malgrado tutto, quelli sono stati tra i momenti più alti della mia vita. È questo che Sisifo alla fine ha capito. Siamo al nostro meglio quando non ha più senso andare avanti, quando non c’è più alcuna speranza che ci spinga ad andare avanti.




 Ma la speranza è una forma di desiderio, che è ciò che fa di noi creature temporali: le frecce della speranza tracciano la loro traiettoria nella terra inesplorata del nostro futuro.

 

E a volte è necessario mettere la speranza al suo posto, riporla dentro la sua piccola, squallida scatola. E andiamo avanti comunque e, nel farlo, creiamo un senso (anche se, naturalmente, non è per questo che lo facciamo: qualsiasi ragione minerebbe quel senso).

 

In quei momenti gridiamo ‘Vaffanculo!’ agli dèi dell’Olimpo, agli dèi di questo mondo o dell’altro e ai loro piani per costringerci a spingere per l’eternità massi su per le alture o a imporre la stessa fatica ai nostri figli.

 

Per essere al nostro meglio dobbiamo essere costretti in un angolo, dove non c’è speranza e niente da guadagnare andando avanti.

 

E noi andiamo avanti comunque!




Siamo al nostro meglio quando la morte si sta chinando sopra la nostra spalla e non c’è più nulla che possiamo fare perché il nostro tempo è quasi finito.

 

Ma gridiamo ‘Vaffanculo!’ alla linea della nostra vita e abbracciamo, invece, il momento.

 

Sto per morire (con il mio Lupo fra le calunnie di questa gente fuori la Selva…), ma in questo momento mi sento bene e mi sento forte.

 

E farò quello che voglio.

 

Questo momento è completo in se stesso e non ha bisogno di trovare giustificazioni in altri momenti, passati o futuri.

 

Posso ancora dire Vaffanculo e domandarti dov’è il Bar… per dimenticare la morte del nostro comune amico Lupo…




E così, suppongo, è stato un Lupo che mi ha rivelato tutto questo: lui è la luce e io ho potuto vedere me stesso nell’ombra che proiettava. Ciò che ho imparato, in effetti, è stata l’antitesi della religione…

 

(Mark Rowlands, il Lupo & il Filosofo)


 



 

 



lunedì 18 gennaio 2021

ECOCENTRISMO (14)

 










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Egocentrico... (13/1)    & Il capitolo completo (15)


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J. Ruskin...


& appunti di Ecosofia (16)   &  Riflessioni Filosofiche (17/8)








Ma la mentalità corrente e il mondo ufficiale restano su una posizione ottocentesca, quella di un universo meccanico in cui solo l’essere umano, dotato di mente-anima, ha diritto a considerazione morale!


Invece il filone di pensiero che abbiamo seguìto ci dà la speranza di ritrovarci in un mondo che riscopre lo spirito dell’albero, della palude, del torrente….

 

Di solito nel nostro mondo si è formata l’idea che il lavoro sia sempre qualcosa di positivo, da premiare indipendentemente da ogni altra considerazione. Così si pensa che chi lavora di più debba automaticamente guadagnare di più, che in sostanza sia più bravo di chi lavora di meno: il lavoro ha acquistato un valore etico in sé, anche se si tratta di lavoro che danneggia l’intero Organismo terrestre o contribuisce a qualche patologia della Biosfera.

 

Solo recentemente si è cominciato a considerare negativa almeno la produzione di sostanze inquinanti, limitando però l’esame ad ogni singolo processo locale, come se fosse possibile isolarlo.

 

Non si è mai tenuto come valore etico il mantenimento in condizioni vitali della Biosfera terrestre, oppure degli ecosistemi di cui il processo fa parte.

 

Non si è neppure considerato il danno, se non in tempi recentissimi e limitatamente a specie rare, arrecato ad altre specie viventi o a processi naturali.

 

In sostanza, è mancata la percezione della non-separabilità di ogni processo lavorativo umano dall’ecosistema globale. È invece indispensabile avere sempre presente questa percezione, tenere come primo valore l’etica della Terra.

 

Alla fine del ventesimo secolo ha cominciato a delinearsi una disciplina nuova, che collega il malessere esistenziale umano alla degradazione dell’Ecosistema terrestre e riconosce che anche la psiche umana è un prodotto della Terra.

 

Noi siamo la Terra!

 

Il collegamento fra la mente collettiva, gli stati psichici individuali e la condizione ecologica è molto reale, anche se ben pochi ci hanno mai pensato, almeno per ora. La psicologia ha bisogno di riconoscere di non poter più curare la psiche umana senza collegare il malessere della mente con il degrado dell’ecosistema.




L’ecologia a sua volta deve riconoscere l’importanza di una salute partecipativa della mente umana per far cessare la degradazione del Complesso Terrestre. Occorre risvegliare il nostro inconscio ecologico, che richiama l’inconscio collettivo di Jung, occupandoci anche dei nostri equilibri interiori.

 

C’è spesso una mancanza di psicologia nell’attuale strategia ambientalista, che insiste con campagne improntate sulla colpevolizzazione: così facendo si attivano meccanismi di difesa a livello psichico che producono l’effetto opposto perché sollevano più ansia di quanta molte persone siano pronte a gestire. Spesso la reazione della psiche davanti a novità sgradite o a un eccesso di ansia è la negazione.

 

Secondo l’ecopsicologia, è necessario emancipare l’ecologia da semplice branca della biologia dalla quale è nata a una scienza delle relazioni e dell’insieme. L’eccessivo specialismo sta portando alla perdita della consapevolezza che siamo in presenza di un malessere complessivo, della Terra e della nostra specie. Il senso del nostro stare al mondo è dato anche dall’estrema brevità della nostra presenza in confronto all’esistenza di tutta la Vita sulla Terra: quello che ci ha preceduto per così lungo tempo dà un significato alla nostra stessa vita.

 

La situazione è tale che non possiamo permetterci di aspettare che la soluzione venga dall’alto, che venga proposta o imposta dalle autorità.

 

Ritrovare l’attenzione, il rispetto e l’amore per la Natura, come conseguenza della consapevolezza che ne siamo parte integrante, vuol dire ridare senso alla nostra vita attraverso un percorso multidisciplinare che comprende psicologia, ecologia, filosofia e antropologia, lavorando con tecniche psicologiche, meditazione, attività creative, passeggiate nella natura e antiche tecniche sciamaniche.

 

L’ecopsicologia, rifacendosi a una concezione sistemica della realtà, propone una nuova visione del rapporto uomo-natura e la traduce in strategie concrete applicabili in ambito terapeutico, educativo, formativo, ambientalista e comunicativo per favorire il risveglio della consapevolezza di essere tutti rami dello stesso albero.

 

Le sue applicazioni concrete sono un arricchimento con nuovi spunti di riflessione, nuove forme di divulgazione della sensibilità ecologica nelle scuole, nella formazione aziendale, nelle associazioni e in ambiti comunitari e ricreazionali.

 

Sintetizzando alcuni pensieri di Joanna Macy, che è una delle fondatrici della nuova disciplina, possiamo dire che:

 

Il nucleo della mente è l’inconscio ecologico. La repressione dell’inconscio ecologico è la radice profonda della follia insita nella società industriale. Ritrovare l’accesso verso l’inconscio ecologico vuol dire ritrovare la via verso la salute psicofisica dell’individuo, della società e dell’ecosistema; siamo parte integrante del mondo in cui viviamo tanto quanto i fiumi e gli alberi, intessuti dello stesso intricato flusso di materia-energia-mente.




(4) La norma etica fondamentale dell’ecosofia di Naess segue un principio supremo, assieme a quello dell’egualitarismo biosferico, dell’Autorealizzazione (Self Realization) il quale fa un tutt’uno con il concetto del Sé ecologico (ecological self). Segue naturalmente nel senso che non si tratta meramente di una norma etica inserita in una deontologia, ma della naturale conseguenza dell’aver interiorizzato, assimilato, una certa visione del mondo (total view o visione totale).

 

L’etica quindi, nell’ottica di Naess, procede dall’ontologia ambientale e da una forma di realismo più profondo (deepened realism) rispetto a quello del pensiero atomistico. Il pensiero gestaltico ha un’esigenza sistemica, la quale significa che: Le parti non possono essere isolate, né si può isolare alcuna relazione causale.

 

Da qu quest’idea, per cui non esiste alcuna realtà frazionabile autosussistente ma soltanto un sistema relazionale in cui ciascun essere vivente è nodo di raccordo con altri esseri, deriva anche il concetto di un più ampio e profondo rispetto al ristretto io personale o con la lettera minuscola la cui realizzazione dipende dalla capacità di trascendere l’isolamento egoistico verso forme via via più estese di interrelazione e identificazione.

 

L’Autorealizzazione (self realization) implica quindi un’espansione e un approfondimento del , al fine di porlo in contatto con il più ampio Sé ecologico. Un esempio di ecosofia simile a quella di Naess basata cioè sull’idea di apertura ad un senso espanso del è la cosiddetta ecologia transpersonale di Warwick Fox, sorta dall’incontro tra l’Ecosofia T e la psicologia transpersonale; la quale evidenzia come al fine di giungere ad una piena autorealizzazione personale sia necessario estendere (tramite un processo di identificazione) il proprio sé individuale al Sé planetario.

 

(1/3 G. Dalla Casa; 2/4 F. Sommariva)