giuliano

sabato 13 gennaio 2018

AVE A TE GIULIO CESARE (che i 'savi' poco ti intendono in codesto 'mondo rovesiato') (74)



















Precedenti capitoli:

Il banchetto dei Cesari  (73)

Prosegue in:

Ave a Te Giulio Cesare (75)













Degno d’eterna memoria, invero, fu il detto di quel savio quando disse la virtù esser ferma possessione dell’huomo, la quale ben che tal’hora ella venghi sbattuta e sfrondata dall’impetuose tempeste della Discortesia, alla fine si scopre un chiaro sole, il quale la ristaura, ritornandola nella sua pristina fecondità. Chiaro e lucido sole adunque posso dir’ io con verità che sia la lor nobilissima ACCADEMIA (oh CAVALIERI DEGNI ED ILLUSTRI) meritatamente detta de gli ARDENTI, poscia che con gli ardenti raggi della loro magnanimità hanno posto gratissimo ristoro alla sterilissima possessione del mio basso e debole intelletto, ed inaffiandola con la rugiada della splendidezza loro, hanno dato occasione alla povera Musa mia di cantar per sempre le degne lodi loro. Ed obbligo grandissimo, certo, e render sempre devo gratie al cielo prima, e poi al Reverendo. Signor Don Girolamo Giacobi, musico eccellentissimo e precettor loro nella scienza musicale, essendo stato mezzano, per sua bontà e cortesia, ad introdurmi a prendeer servitù di così illustre e nobil comitiva, la quale, esercitandosi nell’eccelse virtudi, sotto la disciplina del molto Reverendo Signor Giovanni Domenico Lappi, a questa etade per dottrina e per bontà di vita huomo chiarissimo, non può se non riuscire chiara e famosa in ogni sorte di scienza, e parimente ornata d’honestissimi costumi. Per le cause suddette dunque son forzato mostrarle un picciol segno di gratitudine, quale sarà questo mio “Mondo alla roversa”, nel quale con chiari esempi si dimostra quanto siano poco prezzate le virtù al dì d’hoggi da tale e quale, non dissuadendole però, ma esortandole a seguir quale, come strade, le quali conducono l'huomo a perfetto fine, e riverentemente inchinandomi, le bacio l’honorate mani.






 A GL’ISTESSI
SIGNORI ACCADEMICI
ARDENTI

Voi, i cui bei pensier, le voglie ardenti
A le sante virtù fisse tenete,
E che spesso v'andate a trar la sete
Del bel Castalio a i rivi alti e lucenti,

E sollevando al ciel le vostre menti
Al tempio de la gloria il piè volgete,
Onde non sia che i nomi vostri in Lete
Dal cieco oblìo mai sian sommersi o spenti,

Per quel caldo desìo che 'l cor v'accende
E a le scienze vi sprona, ornate e belle,
Ch'ergon gl'huomin da terra e gli fan Divi,

Il foglio ch'io vi porgo, in cui si stende
Il viver rio di questo mondo imbelle
Non sia chi d'accettar si sdegni o schivi. 
  



IL MONDO ALLA
ROVERSA




Ogn'un mi dice, tu sei sì barbuto,
Pallido in faccia, magro e scolorito,
E sempre vai d'un habito vestito,
Pensoso, solo, sconsolato e muto.

Un'Heraclito hormai sei divenuto,
Nel duolo immerso; hor chi ti tien supito
In tal miseria? Che pur sei gradito
In ogni parte ove sei conosciuto?

Io rispondo a ciascun che la stagione
Empia dove noi siamo a ciò mi tira,
E mi da di doler ampia cagione,

Però se 'l miser cor s'ange e sospira,
Vien che corrotte son l'usanze buone,
E ogn'un a l'util suo risguarda e mira

E ciascheduno aspira
Al guadagno, per dritta o torta strada,
E sol' attende a quel che più gli aggrada,

E più nissun non bada
A la virtù, ma ogn'un gli fa contrasto,
Che tutto il mondo è rovinato e guasto.

L'asin cavalca il basto,
Il rio villan ne la città si serra,
E 'l pover cittadin zappa la terra,

La pace da la guerra
E' stata uccisa, e da la crudeltade,
L'amicitia, l'amor e la pietade;

E da la falsitade
La fedeltà vien morta, e da l'inganno
E l'allegrezza estinta da l'affanno,

L'insolenza fa danno
A la modestia, e la discortesia
Scaccia la civiltà per ogni via.

E da la villania
La gentilezza è offesa, e la creanza
E la virtù sta sotto l'ignoranza.

La perfida arroganza
Conculca l'humiltade, e l'avaritia
Accieca e cava gli occhi a la giustitia,

La fraude e la malitia
Spent'hanno la bontà, l'odio e lo sdegno
A la benignitade han tolto il regno.

E con ira e disdegno
Vien morto e lacerato il beneficio
Da l'empia ingratitudine e dal vitio,

Giace estinto il giudicio,
Da l'importunitade e dal furore,
E la vergogna supera l'honore,

Da la viltà il valore
Vien' oscurato e l'obbedienza fugge,
Perché il poco timor le scaccia e strugge.

La riverenza rugge
Vedendosi insidiata dal dispregio,
E l'infamia a la gloria usurpa il pregio.

E 'l suo honorato fregio
Perso ha la pudicitia honesta e pia,
Che spenta vien da la ruffianeria,

Morta da la bugia
Giace la verità tutta stratiata,
E da l'adulation pesta e calcata.

La gioventù sfrenata
L'honestà sprezza, e segue l'adulterio,
La carne, il senso, il mondo e 'l vituperio.

Il biasmo e l'improperio
Supera la patienza e la confonde,
E la ragion dal torto si nasconde,

E più per queste sponde
La liberalità non fa dimora,
Perché l'empia ingordigia la divora;

La pigritia s'honora;
La gola, il sonno e l'otiose piume
Hanno bandito ogni gentil costume.

Il senno il suo bel lume
Ha perso, e la prudenza può più poco,
Che la pazzia gli ha tolto il primo loco.

La vanitade e 'l gioco
L'inertia, vile, e la mormoratione
Spent'hanno affatto la compassione,

E la discretione
Più non si trova in alcun luogo al mondo,
Perché la crudeltà l'ha posta al fondo.

A tal, che 'l mondo immondo
E' tutto guasto, rotto e fracassato,
Per esser malamente governato.

Voltatevi in che lato
Volete, per la dritta o la traversa,
Ogni cosa si regge a la roversa.

La buona usanza è persa,
Com'ho già detto, e vedo il servitore
Voler' esser da più del suo signore,

La serva fa romore
Con la madonna, e spesso sta affettata,
Mentre ch'essa patrona fa bucata;

E ogn'hor fra la brigata
S'ode quel che sa peggio ragionare
Non voler mai finir di cicalare,

E 'l zoppo camminare
Vuol più del dritto, e se gli mostra acerbo,
E più del ricco il povero è superbo.

Ancor non mi riserbo
Di dir ch'assai più brava uno stroppiato
Che non fa un valoroso e buon soldato,

E molto più trincato
E' un fanciul di quattr'anni, e assai più astuto
Che non è un huom d'età vecchio e canuto.

E par vi sia un statuto,
Che tutti quanti quei c'han bel tacere,
D'infamar sempre altrui han gran piacere.

Ancor certe mogliere
Vi son, di s'insatiabile appetito
Ch'esser voglion da più del lor marito,

E s'ei non è assentito,
E che a la prima si lasci squadrare,
Voglion portar le brache e governare;

E gli fanno lavare
Fin' a i piatti, i catini e le scodelle,
E fregar le caldaie e le padelle,

E ancor, se pare a quelle
Che faccino bucata, essi la fanno,
Ed esse a pancia tesa se ne stanno.

E molte, che gli danno
Di buone busse, e i poveri castroni
Stan lì, come bagnati cornacchioni.

E non san che i bastoni
Son la miglior ricetta che s'accatti
Per frenar questi humor bestiali e matti.

Ancor forz'è ch'io gratti
La pancia a la cicala, e andar scoprendo
I vitij, ch'ogni dì vedo e comprendo.

E dir com'io l'intendo,
Per dimostrar con ordine e misura
Quant'hoggi sia corrotta la natura.

Che più semplice e pura
E' una donna di tempo maritata
Che non è una fanciulla scapestrata,

E a una troia foiata
Son fatti mille inchini e sberrettate,
E le donne da ben non son stimate.

Ed hoggi più apprezzate
Son le lingue maligne e vitiose
Che non son le fideli e virtuose.

E tutte queste cose
Procedono che 'l nostro naturale
Ha l'habito d'ogn'un piegato al male,

Né più v'è un huom reale,
Ma ogn'un attende a l'utile e al guadagno,
E beato chi può farla al compagno.

La mosca piglia il ragno,
La lepre il cane, e la formica il tordo,
E tal la carca altrui, che par balordo.

Il nostro senso ingordo
Mai non si satia, e la ricchezza ria
Vorrebbe ogn'hor veder la carestia.

E tal va per la via
Che par Messer Schivoso nella ciera,
Qual poi ha in sen le carte da primiera,

E sta aspettar la sera
Per andar' a giocar a le baccane,
A le bettole, a i chiassi, a le puttane.

Quante persone vane,
Che si fanno conscienza d'un quattrino
E poi rubano la notte un magazzino?

Quanti fan l'indovino
E predicendo van l'altrui venture,
Che conoscer non san le lor sciagure,

Né lor disavventure?
E quanti vanno attorno pitoccando
Che sempre han cento scudi al lor comando?

E quanti passeggiando
Fanno il grande con habiti pomposi,
Che son scritti fra i pover vergognosi?

Quanti fan gli amorosi,
I belli e i profumati con le dame,
Che poi la sera crepan de la fame?

Quante vecchiette infame
A torto collo vanno, e a testa china,
Che poi portano i polli a la vicina?

Quanti sono in rovina
Andati, che non han speso un marchetto,
Per far un beneficio a un poveretto?

E tal fuori dal suo tetto
Fa il bell'humor, e tiene ogn'uno in spasso,
Che in casa sua poi sembra un Satanasso?

Quanti fanno il gradasso
E bravano a credenza tutto il giorno,
Che a l'occasion si caccerìan 'n un forno?

Quanti han bei panni intorno,
Danari e servi, e buon cavalli in stalla,
Che gli starebbe meglio un sacco in spalla?

E s'un di questi falla,
Non v'è chi lo riprenda di niente,
Che la roba fa l'huom parer prudente.

Quanti per accidente
Da la fortuna son fatti felici,
Che ingrossano la vista a i loro amici?

Quanti a quaglie e pernici
Sguazzano a mensa e s'empiono il budello,
Che non credon la fame al poverello?

Quanti sopra il cappello
Portan pennacchi e voglion parteggiare,
Che farìan meglio andare a lavorare?

Quanti vanno a comprare
Da i loro amici, per haver vantaggio,
Che spendon più, ed han più scarso saggio?

Quanti vanno in viaggio,
Pensando che si sguazzi in gli altrui lati,
Che a casa tornan frusti e consumati?

Quanti si fan soldati
Per viver su lo scoppio e su la spada,
Che lassan le reliquie per la strada?

E quanti dicon: “Vada
Il resto”, e san di tutti allegramente,
Che poi si van sbattendo fra la gente?

Quanti cortesemente
Prestano i lor denari a tali e quali,
Che gli son poi nemici capitali?

Quanti huomini bestiali
Senza giuditio alcun, senza ragione
Battono le mogli honeste e buone?

Quanti fan professione
Di rovinar' i figli di famiglia,
Col fargli far de i stocchi e tutta briglia?

E tale altrui consiglia,
Che se fosse suo conto, o fatto espresso,
Non lo farìa, per quanto val se stesso.

Quanti fanno un processo
De' fatti altrui, e sopra li banconi
Menan le gambe, e dan delle canzoni,

Che mentre su i cantoni
Tassano questo e quel di stolto e pazzo,
Ne le lor case altri si dà sollazzo?

Chi 'l taglia catenazzo
Fa con longhi mostacchi e faccia oscura,
Pensando che nel pel stia la bravura,

E mentre si procura
Far treccie, ricci, e transformarsi il viso,
Move per tal pazzie le genti a riso?

Quanti fanno il narciso
Che son pieni di cauteri e fontanelle,
E ammorban di pedane e san d'ascelle?

Quanti portan la pelle
D'agnello, e quando vengon maneggiati
Si scopron tanti lupi arrabbiati?

Quanti sono ingannati
Da certe dolci e belle paroline,
Sotto cui stan nascoste opre volpine?

Quanti aspettano al fine
A soccorrere un povero ammalato,
E quand'ei non ha più spirto né fiato?

Quanti, che mai errato
Non han, vengon puniti? Quanti ladri
Sguazzan giocondamente a gli altrui quadri?

Quanti poveri padri
Prodotto hanno di figli una canaglia,
Che da lor mai non han quant'è una maglia?

Quanti vedon la paglia
Nell'occhio altrui, e gli par duro e grave,
Che ne' lor propri non vedon' il trave?

Quanti sotto la chiave
Tengon, né voglion dare il loro argento,
Se non ne cavan venti e più per cento?

Quanti per testamento
Lassan la roba a certi squaquaroni
Che poi tiran coreggie da poltroni

Privando spesso i buoni?
Onde i figli, i nipoti e le sorelle
Van poi tapini in queste parti e in quelle?

Quante fan le donzelle,
Le savie, le modeste, e le schivose,
Che pria chiamate son madri che spose?

E quante stomacose
Si scortican con lisci e con belletti,
C'han due spanne di cricca su i garretti?

Quanti caca zibetti
Fan l'amor di secreto, ch'in palese
Gli mangia poi il naso il mal francese?

Ed altri fa il cortese,
E il liberale con la roba altrui,
Che nol farìa, s'appartenesse a lui.

V'è ancor tal huomo a cui
Meglio fiorisce in bocca una bugia
Che mai parola dir che vera sia.

Quanti per mala via
Van, con le vesti lor fruste e stracciate,
Che son falliti per le sicurtate?

Quante mal maritate
S'odon rammaricar, quanti mariti
D'haver mai preso moglie son pentiti?

Quanti fan de' partiti
A questo e quello, e danno moglie a tale
Che sarìa meglio trarle in un canale?

Perché con tale e quale
Credon far parentado ed amicitia,
E fanno una perpetua inimicitia.

Quanti per avaritia
Portan più tosto i panni rotti indosso,
Che cavarsi di borsa un mezzo grosso?

E l'han tanto nell'osso,
Che quel ch'a i servi lor dovrìan donare,
Fin che pezzo ve n'è voglion portare,

E si fan rappezzare
Cento volte i giupponi e le calzette,
Roversar li cappelli e le berrette.

E se qualch'un le smette,
Che non sian troppo fruste o troppo rotte,
Ne cavano pantofole per la notte.

Queste non son carotte,
Ch'io vedo tal berretta, alcuna fiata,
Che dieci volte è stata rivoltata.

Oh, roba mal' usata,
Quante genti per te vanno in disperso,
Per seguirti pe'l dritto e pe'l traverso?

Il gallo fa un bel verso
Mentre fra le galline sta cantando,
Ma col pie' sempre indietro va raspando,

Così lo va imitando
L'amico finto, che bugie ti vende
Largo promette, e poi nulla t'attende.

Oh, quanti fan faccende
Con il cervello e con la fantasia,
Ch'in fatti poi non san trovar la via?

Quanti fan mercantia
Delle lor mogli e delle lor figliuole,
Lasciandone la cura a chi la vuole?

Quanti ti dan parole
E mentre tu gli attendi e che gli credi
Ti levano la borsa e non t'avvedi?

E quanti ganimedi,
Con que' suo bei collar' fatti a cannoni
Con l'amito, la falda e bei cresponi

Van facendo i pavoni
Portando il collo intiero a più non posso,
Che Dio sa poi s'hanno camicia indosso?

Quanti fanno all'ingrosso
Sguazzar le lor sgualdrine e le ruffiane,
Ed alle mogli mai non portan pane?

Quanti fan feste al cane,
Per amor del padrone, e dan covelle,
Che senza quel gli leverìan la pelle?

E quante artigianelle
Han quattro soldi in dote ed una cotta
Non crederiano alla regina Isotta?

E tal ti dà una botta
In testa, e tosto nasconde il coltello,
Che ti fa de l'amico e del fratello;

Chi ti fa bello bello,
E ride in bocca e par che t'accarezzi,
Che vorrebbe vederti in mille pezzi?

Altri par che ti prezzi
E ti lodi in presenza della gente,
Che poi dopo di te dice altrimente.

Altri ti fa il parente,
S'hai della roba, ma se sei mendico
Non ti conosce e non t'ha per amico.

Ma perché m'affatico
A voler dimostrar quel che si vede
S'ancora n'è di più che non si crede?

Basta ch'io facci fede
Che 'l mondo è guasto, e ch'ogn'un vuol' oprare
Al contrario di quel ch'ei dovrìa fare.

Però, s'io sto a penare
E s'ho d'ogni piacer perso la scrima,
Vien che 'l mondo non è com'era prima.

Perché più non si stima
Virtù, ma sol (ahi, che di duol' io scoppio)
Chi simula, chi finge e chi và doppio.

IL FINE


















mercoledì 3 gennaio 2018

LA CONGIURA DELLE POLVERI (70)











































Precedenti capitoli:

La congiura delle polveri (69)

Prosegue in:

Da un gregge di morti all'altro (71)














LEAR - Gli dèi superni che sul nostro capo
fanno questo terribile frastuono
stanino ora chi a loro è nemico.
Trema tu, sciagurato,
che chiudi in te delitti inconfessati
e rimasti tuttora non puniti;
e tu nasconditi, mano assassina,
sporca di sangue; ed anche tu, spergiuro;
e tu, specchio di finta rettitudine,
colpevole d’incesto!
Trema fino a spezzarti, tu, furfante,
che sotto le apparenze d’uomo onesto
hai cercato la morte del tuo prossimo!
Segrete colpe, delitti ignorati,
squarciate le cortine che vi celano
ed invocate la grazia del cielo
davanti a questi terribili messi
accusatori. Per me, io son uno
contro cui s’è peccato assai di più
che non abbia peccato lui medesimo.

KENT - Ahimè, a testa nuda?… Mio signore,
a due passi da qui c’è una capanna:
vi sarà almeno di qualche riparo
dalla furia di questo temporale;
andate intanto a mettervi là dentro,
mentr’io ritorno a quel duro castello,
più duro della pietra onde è formato,
dove poc’anzi, chiedendo di voi,
mi sono visto negare l’ingresso.
Cercherò di costringerli, signore,
a usarvi un minimo di cortesia.

LEAR - I miei sensi cominciano a smarrirsi.
(Al Matto)
Vieni, ragazzo. Come stai? Hai freddo?
Ho freddo anch’io.
(A Kent)
Dov’è questa capanna?
La magia del bisogno è prodigiosa;
ci fa dar pregio alle cose più vili.
Andiamo a questo ovile.
Povero Matto, canagliuccia mia,
mi resta ancora un pizzico di cuore
che riesce ad affliggersi per te.

MATTO - (Cantando)
“Chi serba ancora un pizzico di mente,
“ehi, ho!, con pioggia o vento,
“della sua sorte se ne stia contento,
“anche se piove ininterrottamente”.

LEAR - Vieni, ragazzo mio.
(A Kent)
Orsù, accompagnami a questa capanna.
(Esce con Kent)

MATTO - Una notte così è l’ideale
per raffreddar gli ardori a una puttana.
Prima d’uscir di scena, tuttavia,
vi voglio fare la mia profezia.(73)
“Quando saranno i preti
“più preti a chiacchiere che non a fatti;
“quando avranno i birrai
“guastato con troppa acqua i loro malti;
“quando saranno i nobili
“diventati maestri ai loro sarti;
“quando gli zerbinotti
“andranno al rogo al posto degli eretici;
“quando ogni nequizia
“sarà punita secondo giustizia;
“quando non vi saranno più scudieri
“pieni di debiti né cavalieri
“poveri in canna; quando sia svanita
“la calunnia da ogni lingua ardita;
“quando starà lontano
“dalla folla il mariuol svelto di mano;
 “quando anche gli strozzini
“conteranno all’aperto i lor quattrini,
“quando chiese saranno edificate
“da ruffiane e da donne malfamate…
“sarà il segnale che il regno d’Albione
“sarà ridotto in grande confusione;
“e sarà il tempo – chi vivrà vedrà –
“che chi vuol camminare a piedi andrà.”
A profetare questo non son io;
sarà il Mago Merlino al tempo suo,
io vivo secoli prima di lui….







….Ed io a lui….



…Questo per il vero parmi un ‘passo’ difficile e di cui forse non gradita manifesta o velata concretezza, certamente non dal nobile con cui divido tale intento, e la signora che con me dimorano al finestrino della carrozza, ove il Viaggio giammai smarrito, ragione della mia Parola ora che si affaccia cotal Spirale dal cielo evoluta.

Forma un Tempo incerto a tratti indeciso, un quadro certamente diverso quanto  abituati figurare e narrare la bellezza di un Sogno che pare d’incanto smarrito. Una poesia con cui tracciavamo Passo e Parola, sentieri della nobile lingua evoluta ma ora all’improvviso smarrita (forse perché ne hanno ‘inventato’ una nuova che esula dal dono della retta Poesia al bosco ove la via parmi per il vero smarrita, oggi più di pria, assieme alla fedele compagna Rima, cosicché privati della linfa nello sconcerto e stupore di codesta vita, il verso fuggito e riparato alla caverna del Primo Dio…).

Potrebbe nascere bufera dal calore torrido del primo mattino, fu inseparabile compagno per le ricche terre attraversate forgiate nel nome di un Inferno cui il girone abbiamo dimenticato dal troppo sudore sofferto, per un ricordo seminato e nel fuoco raccolto del visibile panorama narrato. Cui noi, eterni nello Spirito, perimmo e patimmo, ed ora riflesso nel misero loro ingegno e diletto mentre vediamo perire la crosta su cui evoluta la sofferta ‘serra’ nella Spirale… febbre di un incubo cresciuto e nutrito.

E nella fretta di proseguire l’avventura, ragione del nostro esilio, sperare che il ‘passo’ detto possa concedere un po’ del refrigerio cui le vette, di alte difficili e inesplorate vie, sanno affidare quali avventure ed Eresie accompagnate dalla volontà di scoprire e governare antiche e nuove regioni…

Dèi ed elementi sconfitti…




Il ‘dotto’ accademico potrebbe contestare l’azzardo di tale ‘enunciato’, giacché il suo regno, specchio dell’ingegno giammai eretico, sempre al servizio di un monarca progredito cui servo e signore. Araldo e custode nell’ortodosso sermone servito alla mensa della Storia, piatto saporito il quale popolo bracca e divora.

La (sua) ‘materia’ potrebbe, qual solo giudizio dell’infelice (e propria) natura, obiettare nel motivo del progresso dominato il principio del vero creato. Del resto era scritto fin dall’inizio: ‘verbo’ del Dio saggiamente condiviso all’accademico comandato nel principio del visibile viaggio… rivelato. Nel quale l’uomo, fra l’altro, può godere dei traguardi raggiunti… Nel virtuale di ogni immagine riflessa, in quanto calco e forma, godono ora, nell’inferno ove regna la ‘materia’ dominata, il fuoco d’una apocalisse specchio d’un inferno di cui solo un Dio (Straniero alla ‘mensa’) potrà opporre giusto giudizio. Giusta sentenza a cui altro ‘verbo’ inutile e inferiore alla Spirale ora contemplata nel rogo quale grido di un ogni elemento perito.

Immagine del supplizio cui condannarono il martirio dell’eretica Verità dettata di chi preferì altra conoscenza.

Potrebbero, uniti, nel visibile viaggio da ognuno consumato e goduto, tacitato e privato però, del retto nutrimento e arbitrio ragione dello Spirito, contestare anche la pretesa di chi ‘Nulla’ alla ‘materia’ da loro per sempre detta. Da quando, cioè, l’Universo nella Spirale evoluto, Sogno inquisito e braccato immagine del Primo Dio… e nella Spirale perito e taciuto nel Secondo… destino di un diverso ingegno!




Ricordate il martirio?

Ricordate il supplizio di chi nel doppio principio del proprio creato urlava la prigione dello Spirito nel libero arbitrio inquisito?

Ricordate le grida confessioni di peccati mai consumati?

Ricordate o solo rimembrate il motivo di cotal Destino? 

Ricordate le ultime parole pronunciate dottrine di principi osservati abdicati alla cenere invadere gli incubi al fuoco comandati di chi in nome della dottrina partorì ogni peccato?

Ricordate l’esilio di chi smarrito? Ricordate le leggi contrarie ad ogni Natura così taciuta?

Ricordate gli inganni per cui la ‘materia’ uccide Dio? Ricordate le urla mentre veniva condotto schernito ed umiliato al patibolo, Teschio e specchio di immondo creato?

Il Teschio illumina il volto impaurito di chi pensa la condanna inflitta, dimenticata e taciuta, per una diversa ‘religione’ pregata e… venduta!

Sogni che vi appartengono, sogni della crosta infiammare l’ora notturna in quanto non v’è moneta che potrà comprare il paradiso smarrito anche se sognate un diverso Dio!

Non v’è prete o religione che potrà perdonare l’offesa per ogni Elemento così condannato. Quando attraverso i boschi dell’umile Creato, nato da una Spirale d’un Sogno perseguitato, l’immagine invade l’èstasi di chi giammai consumò peccato, solo Verità annunciata da uno Spirito prigioniero di un diverso Dio.
Solo il miracolo pregato di appartenere al Principio di un Primo apparente ‘Nulla’… Dio perseguitato.




Estasi nell’invisibile dimensione da loro giammai compresa, ma linfa di vita restituita nell’elemento di cui privarono e privano la vita.

Chi fu l’eretico nella bestemmia detta?

Non certo chi predicò un diverso ‘verbo’ al tempio della ‘materia’, nell’apparente ‘errore’ di una eretica vita vissuta… dettò principio invisibile alla loro preghiera. Fu perseguitato, come colui che incarnato,  braccato per la Parola non conforme alla legge cui il popolo domina e fa’ ‘libero mercato’ in nome del ‘verbo’ interpretato. Perì con il fuoco nel sudore e tormento d’un Tempo nato, consumato al calore di un Inferno quale vita vissuta assente allo Spazio dimensione evoluta, Spirale di un dolore quale martirio d’un corpo alla Terra nato agnello del loro peccato.

 ‘Anima mundi’ vittima del loro ‘creato’.

Ed io che attraverso il bosco della vita ho udito la Rima dettata da chi privato della vita, donarmi Poesia e nell’èstasi quale pazzia condannata scorgere verità dimenticata e barattata. Raccolgo le voci e la sublime bellezza di chi recita questa Preghiera. Raccolgo certezza antica giammai Eretica giacché narra la vita. Con il perdono ringrazierò il vento, urla e vibra lungo ogni foglia, per dire, attraverso ogni ramo Parola udita dall’Anima mia, che in verità ciechi all’invisibile Prima bellezza per sempre inquisita punita e smarrita.

E’ l’oro della sua e mia mattina all’alba della vita! No!




Non fu’ errore, ma certezza di una diversa Dimensione pregata evoluta fino all’Eresia di chi preferì una diversa via. Chi mai prigioniero dell’istinto cella di un corpo nato dalla ‘materia’, ma bellezza del Creato giammai ammirato e scorto per codesta Invisibile Sentiero pregato… Straniero quanto da lui desiderato ed assente ad ogni peccato, mutato nell’ingegno figlio di un diverso disegno creato.

La verità sempre inquisita figlia di una coscienza scritta nella Spirale di uno Spirito primo alla ‘materia’ su cui costruire l’araldo di una guerra ragione della misera ed ‘umana’ natura… Narrai, all’inizio dello scritto, il motivo, cagione della volontà di ripercorrere tale via (tale Viaggio, tale testimonianza), risiedere nella Verità perseguitata di lasciare manifesta ed indubbia, per quanto certa testimonianza. Perché, anche se apostrofata negli accenti della poesia cui sazio la dottrina dettata dal Sentiero della vita, questa (per ‘miracolo di Natura’, cui l’aguzzino crea Tempo avverso, materia serva della Storia… così nuovamente vissuta) divenire Rima (non datemene colpa), in quanto linfa, perché così la sintesi alla luce nell’onda creata dalla notte nata, la Verità spira vento quale elemento incarnato avversa agli aguzzini paladini del Feudo attraversato.
‘Composti’ contrari soffocare ogni equilibrio evoluto, giacché l’ingegno giammai perso o smarrito, da chi sa riporre giusta e saggia ragione sull’opera compiuta. In verità, il Sentiero, colpa del big-bang della ‘materia’, tradotto in ‘regione’ d’eterno tormento divenuto tortura, motivo della Spirale descritta e così evoluta nel torbido inferno ove reclamano ogni  retta natura smarrita e persa…




Solo bruciata al rogo di una diversa creanza.

Solo inquisita alla Spirale di una visibile dottrina.

Ogni Stagione della vita perita al crocevia di una in-voluta dottrina. Ogni elemento figlio della sua prima natura braccato e condannato alla vista di chi cieco per sua evoluta e dicono compiuta… natura. Ragione della loro ‘materia’. …Giacché la guerra edifica e governa l’evoluzione su cui misurare l’indubbio dominio figlia di nessun Dio. La guerra di chi non evoluto ai principi del libero arbitrio conosce la volontà del dominio come manifestazione del proprio ingegno in misura di chi pensa avverso. Chi pensa nemico. Chi pensa custode di dèmoni e diavoli troppo antichi per esser qui solo descritti o immaginati, in quanto l’operosità di secolare ed infame memoria palesa la vera e ortodossa cultura figlia di nessuna natura dalla Spirale cresciuta.

Con la guerra fummo e siamo taciuti, potenti nelle armature e nelle giostre astute. Nella guerra si riconoscono ‘evoluti’, nella ‘guerra’ per ogni via costruiscono la certezza di una vita esente da una diversa Rima. La guerra motivo movimento e dominio di chi in errore servo del proprio Dio, uccide ignaro della Parola taciuta in ogni miracolo inquisito. La guerra edificherà l’economia della materia evoluta, come il fuoco nato da un gas scomposto al principio della vita, costruirà la certezza per ogni vita cui la Natura affida il compito dell’eterna lotta.




Per questo fummo anche Eretici perseguitati, tal motivo esula dal nostro Principio. Tal istinto esula dal nostro Dio… Il Bene ragione e comunione con ogni elemento nel quale la vita, non per nostro arbitrio, espressione di un conflitto a cui abdichiamo diverso Principio, lo Spirito prigioniero e subordinato al male incarnato…

Questo sì, fu  un nostro peccato…

Preghiamo la perfezione di un Primo Creato! 

Noi, scusatemi signori ‘campioni’, apparteniamo alla sublime bellezza dell’èstasi di un Primo Dio ove non c’è materia a condire il  pasto rubato, doniamo linfa alla vostra via, doniamo verità indispensabile per ogni peccato consumato, doniamo la vita bruciata al fuoco della vostra umana natura…

Noi, Dèi di un’altra Dimensione precedente al Tempo narrato.

Guerra, di chi custode e padrone di ogni falso principio accompagnato alla certezza di una materia evoluta entro il regno della violenza cresciuta in un ‘ratto’ di demoniaca memoria. La guerra, principio e misura di ogni fugace calunnia disconosce nel Viaggio dello Spirito la sua Prima Natura, ma al contrario, nella volontà annientatrice della Memoria per ogni secolare testimone abbattuto al loro passaggio, nello sforzo di volerla perseguire entro il confine certo di una dimensione visibile al creato così svelato, arde fuoco al salone araldo del dominio nella ricchezza custodito.
La guerra, condizione ideale affinché l’economia affermi l’insano principio manifestazione del conflitto quale grado di imporre il proprio ed altrui cammino sentiero di violenza specchio dell’antica natura… dalla ‘ragione’ evoluta. Non certo condizione da cui nella spirale dell’odio coniato e fabbricato l’uomo può riconoscere lo Stato (di quanto) creato, ma odio forgiato dal nulla di quanto seminato. L’odio seme d’ogni violenza nel quale ogni falso dominio riconosce la capacità dell’intelligenza di quanto nulla coniato moneta del materiale creato. Ragion per cui, quando dissi e dico…, ribadisco per il vero i motivi della loro tortura, costante negazione nel voler tacitare ogni diversa verità palesare il paradosso sulla dubbia ‘materia’ evoluta, antica gnosi di cui il mio nome va’ fiero! Motivi di una guerra principio di ogni falso Dio pregato. Di ogni dèmone braccare lo Spirito di una Primo Dio.

Ed ora qui scrivo a caratteri di sangue entro la cella di codesto misero creato, entro la secolare cella che lo Spirito ha di nuovo svelato, perché venuto a bussare alla porta di chi perseguitato:

…Natura torturata costretta braccata umiliata conquistata e punita per giammai nessun peccato consumato.

Ora mentre scrivo codesto sangue della storia, lei geme il caldo dell’inferno di cui apocalisse degna per la punizione del tormento… arrecato…

…Signori la carrozza prosegue il Viaggio e il ‘passo’ ammirato di cui la salita ha conferito degna Rima ha restituito linfa smarrita e nel panorama goduto abbiamo visto la terra attraversata al fuoco del peccato taciuto…

Noi eterni viaggiatori in questo Infinito braccato narriamo l’Universo… Spirale di un diverso Tempo nato…