giuliano

domenica 24 agosto 2014

QUANDO ANDAI (d) A SIDNEY (2)











































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Quando andai (d) a Sidney

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Le vie dei canti (3) 














Dopo alcuni mesi di successi in Inghilterra, l’orchestra di Cook si sciolse.  Bechet rimase a Londra con alcuni dei suoi componenti, riuniti sotto la guida del batterista Benny Peyton, che si trasferì poi a Parigi per tornare nella capitale britannica, dove suonò nella ricostituita Southern Syncopated Orchestra e ancora nel complessino di Peyton.
Nel novembre 1921, con un sarrussofono, uno strumento della famiglia dell’oboe, scovato in un negozio londinese, Bechet tornò in America, per fermarsi a New York.
Pochi mesi dopo faceva parte del cast di una rivista musicale, ‘How come?’, che presentò fra le altre attrazioni una allora sconosciuta cantante di blues, Bessie Smith. Lo spettacolo piacque in alcune piazze, ma fece fiasco a New York, dove le rappresentazioni terminarono presto.




Al luglio del 1923 risalgono le prime incisioni effettuate da Bechet con un complessino riunito da Clerence Williams negli studi della Okeh, e battezzato Blue Five. Ad alcune, realizzate nei mesi successivi sotto la stessa insegna, prese parte anche Louis Armstrong, che allora suonava al Roseland con l’orchestra di Fletcher Henderson. In tutte queste esecuzioni (in cui suona sia il clarinetto che il sassofono soprano, a cui finirà per dedicarsi in modo esclusivo, e persino il sarrussofono) Bechet si dimostra già solista perfettamente maturo: alcune di esse, come ‘Wild cat blues’, ‘Kansas City man blues’, ‘Texas moaner blues’ e ‘Cake walking babies from home’, sono tuttora considerate fra le prime gemme del jazz.
Aprì ad Harlem il Club Basha che offriva ai clienti jazz e alcool di contrabbando. Chiuso il locale, Sidney si preparò a una nuova traversata atlantica con la compagnia di una rivista preparata in America ma destinata all’Europa: la sua stella era Josephine Baker, rivelatesi a Broadway nella rivista ‘Shuffle along’, e l’orchestra era quella di Claude Hopkins. Bechet era stato scritturato perché suonasse nell’orchestra di fossa e si esibisse anche come attore e strumentista virtuoso, sul palcoscenico.




A Parigi, dove fece il suo esordio alla fine del 1925, la ‘Revue Nègre’ ottenne un successo strepitoso, che procurò alla Baker una scrittura alle Folies Bergères e un posto permanente nel cuore dei parigini. Bechet seguì la troupe fino a Berlino, ultima tappa della tournée, poi si rimise in cammino: questa volta si diresse, con un gruppo di musicisti riuniti ancora una volta da Benny Peyton, verso l’unione Sovietica.
‘Il sassofono parlante’ – come lo definiva la pubblicità – fu ascoltato in varie città russe, e anche a Mosca, dove una signora, che non aveva mai visto un negro e volle accertarsi con un dito se la sua faccia fosse dipinta, si buscò un manrovescio.
E’ faticoso tenere dietro ai suoi passi dal momento in cui lasciò la Russia; girò come una trottola da un capo all’altro dell’Europa, da solo e con una compagnia di rivista, fece una scappata ad Harlem, e nel 1928 si ritrovò nuovamente a Parigi. Qualche giorno prima del Natale di quell’anno, proprio a Parigi, ne combinò una grossa. Uscito a notte fonda da un bar di Montmatre, dove lavorava, si incontrò con un altro musicista, Mike McKendrick, con cui ebbe una violenta disputa, che si concluse di primo mattino con una sparatoria. I due ‘duellanti’ non si fecero praticamente alcun male, ma tre passanti rimasero feriti. Il fatto ebbe una certa risonanza e si concluse in tribunale.




Nel 1932, uno degli anni più neri della Depressione, Sidney riuscì a trovare il coraggio di metter su, con Ladnier, un sestetto, The New Orleans Feetwarmers, col quale si esibì anche al Savoy di Harlem e incise dei dischi eccellenti. Ma i tempi erano troppo duri e anche e Feetwarmers dovettero sciogliersi.  ‘… Le cose andavano piuttosto male – ha scritto Bechet – e per un certo tempo Tommy ed io facemmo andare avanti una bottega nei pressi di St. Nicholas Avenue. Non confezionavamo abiti: nel negozio si riparavano e si stiravano soltanto. L’avevamo chiamato ‘Southern Tailor Shop’, Negozio di sartoria meridionale. Tommy dava una mano facendo il lustrascarpe… Molti musicisti che non avevano lavoro, e in più alcuni anche fra quelli che ne avevano uno, venivano a trovarci spesso, e con loro suonavamo in jam session nel retrobottega….’.




…. Scendendo giù per Iberville, appena passata Marais Street, ecco che lei si stacca dalla folla e comincia a camminare al nostro ritmo tra noi ed il pubblico. La mia nuova maglietta rossa e la nuova camicia bianca e lucida risplendono sotto la cornetta. Anche le scarpe sono nuove. Sono tornato in città!
Faccio scivolare qualche nota di avvertimento verso di lei, la cingo di uno squillo e la spingo verso la folla. Che ruggisce. Tra Marais e Liberty mi limito a far partire una nota ogni quindici secondi. Henry Allen mi lancia occhiate per incitarmi a continuare e ogni tanto la mia nota parte come un uccello che s’alza dalla merda e rimane a librarsi a lungo in alto…
Un altro ruggito!


 
Zigzago per Iberville come un lupo che si pavoneggia davanti ai suoi cacciatori, porto in parato il mio Io, mi esibisco nel passo strascicato del ‘cakewalk’ mentre i maiali bianchi fanno colazione e calunniano gente all’ombra di un pasticcino…..
Poi.. tre aghi persi dentro di me….
Mi spostano e nella polpa dell’anca mi insinuano dentro l’assassino del dolore (il male mi guarda e scruta prova un piacere antico da pervertito…). Ed io apro gli occhi e c’è lì l’infermiera, la sua faccia di corda sorride, sorriso biondo e falso…
Sei sveglio Bolden?.....   

(A. Polillo, Jazz; & M. Ondaatje, Buddy Bolden's blues)
















venerdì 22 agosto 2014

ATHERTON (il bullo...) (2)








































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Atherton (il bullo...)













Il capobraccio Jamie e il dottor Jackson abbozzarono un sogghigno
... beffardo... Poi il direttore, sbuffando, aprì la marcia e i quattro
uscirono dalla mia cella.
Rimasto solo, non vedevo l'ora di immergermi nell'oscurità e di tor-
nare a Nephi, ai carri della carovana sistemati in circolo. Non mi im-
portava nulla di quel sudicio eremita che si strofinava le costole con-
tro la roccia e beveva da un fetido otre: volevo conoscere la fine del-
la fatale avanzata dei quaranta carri attraverso una terra desolata e
ostile.
Riuscii a tornare indietro, non a Nephi né al Nilo, ma....




... Ma a questo punto, caro lettore, devo interrompere il racconto e
spiegare alcune cose che ti renderanno più agevole la comprensione
del tutto.
Sono costretto a farlo, perché il tempo che mi resta per completare
la storia di quello che mi è successo quando ero nella camicia di for-
za è limitato.
Fra non molto, anzi fra pochissimo tempo, mi condurranno fuori,
i bulli hanno deciso la triste sorte.... Del resto, anche se potessi di-
sporre di mille vite, non potrei mai ricostruire nei dettagli quelle e-
sperienze. Pertanto, debbo accorciare il racconto....
Voglio dire innanzitutto che Bergson ha ragione: la vita non si può
descrivere in termini puramente razionali.
Come ha detto Confucio tanto tempo fa: 'Se della vita conosciamo
così poco, che cosa possiamo sapere della morte?'.




Proprio così, visto che non riusciamo a descrivere l'esistenza in ter-
mini razionali. La conosciamo fenomenicamente, allo stesso modo
in cui un selvaggio può conoscere una mano, ma non sappiamo nul-
la della sua essenza noumenica, nulla della natura ultima della vita.
Io affermo - e tu, lettore, sai che ho l'autorità per farlo - che la ma-
teria altro non è che illusione....
.... La vita è molto di più che semplice e rozza materia chimica, che
nelle sue fluttuazioni assume quelle forme elevate che ci sono note.
La vita persiste, passando come un filo di fuoco attraverso tutte le
forme prese dalla materia.
Lo so.
Io sono la vita....




Sono passato per diecimila generazioni, ho vissuto per milioni di
anni, ho posseduto numerosi corpi.
Io, che ho posseduto tali corpi, esisto ancora, sono la vita, sono
la favilla mai spenta che tuttora divampa, colmando di meraviglia
la faccia del Tempo, sempre padrone della mia volontà, sempre
sfogando le mie passioni su quei rozzi grumi di materia che chiami-
amo corpi e che io ho fuggevolmente abitato.....
Guardate: questo dito, così sensibile (con il quale ho attraversato
pagine e pagine di vite in Dialoghi con Pietro Autier...), così deli-
cato nelle sue molteplici abilità, fermo e forte a sufficienza per
flettersi, piegarsi o irrigidirsi per mezzo di leve straordinarie, eb-
bene questo dito non sono io....
Mozzatelo.
IO CONTINUO A VIVERE.....




E' il corpo ad essere mutilato, non io.
Lo spirito, che coincide con il mio io, resta intatto....
MOLTO BENE...
E ora tagliatemi tutte le dita (voi ne siete capaci, lo sappiamo..).
IO RESTO 'IO'.
LO SPIRITO RIMANE INTEGRO.
Tagliatemi tutte e due le mani, tutte e due le braccia ( lo avete già 
già fatto per secoli...) all'altezza dell'attaccatura delle spalle, taglia-
temi (pure) le gambe all'altezza dei fianchi ED IO SOPPRAVVIVERO',
indomito e indistruttibile...
FORSE CHE VOI PENSATE che queste mutilazioni, queste sottrazio-
ni di carne, tolgono qualcosa al mio io?
CERTAMENTE NO.
Radetemi i capelli a zero, toglietemi a rasoiate le labbra, il naso,
le orecchie (e ridete mentre lo fate, vi do' questo umile consiglio),
sì, cavatemi gli occhi fino alla radice: entro quel teschio informe
attaccato a un tronco mutilato e mozzo ancora vive una cellula di
carne chimica che è il mio io intatto, integro.. PIU' FORTE DI PRI-
MA.....




MA IL CUORE BATTE ANCORA (non lo sentite....)!
Molto bene, strappatemelo......
Meglio ancora, infilate ciò che resta della mia carne in una macchi-
na provvista di mille lame, fatene brandelli ed io - NON CAPITE?
IO, vale a dire lo SPIRITO, IL MISTERO, IL FUOCO VITALE,
la mia stessa vita, RESTERANNO LIBERI.
IO NON SONO PERITO.....

(J. London, Il vagabondo delle stelle;
 Fotografie di Kent Mearig)
















mercoledì 20 agosto 2014

GNOSI PAGANA (64)


















Precedenti capitoli:

Gnosi Pagana (1/2) &

Gnosi Pagana (3/63)

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L'oro riluceva (65)













.... Non è difficile riconoscere l'origine del precetto.
Se non c'è che una vita quella terrena, e se il compito del
saggio deve essere di realizzare, in questa vita, l'ordine ge-
nerale del mondo, ne consegue logicamente che la virtù
principale è eminentemente di ordine sociale, consiste so-
prattutto nel fare regnare la giustizia, una giustizia tempe-
rata dalla benevolenza e dalla filantropia.
E attraverso questo cammino che il saggio si accosta al
proprio modello, la Ragione divina, l'ordine dei cieli e dei
numeri in essi contenuti....
Non vi è dubbio che sia questo presupposto filosofico, di
cui si coglie l'influenza in tanti scritti greci ad animare tale
politica.
La saggezza greca vi trova forse la sua più bella realizzazio-
ne.
L'atteggiamento morale dello gnostico  non è opposto a que-
sto pensiero né è ostile, si muove in diversa direzione. Dal
momento che il mondo è malvagio la vita che vi si conduce
è soltanto una prova passeggera prima di risalire a Dio, è
del tutto vano operare a favore (dell'inutilità, conoscendo
l'indole umana...) di una migliore organizzazione della socie-
tà umana.
Lo gnostico vive in disparte, all'interno di una piccola cer-
chia non di privilegiati, ma di chi conosce la prassi umana
ripetersi nei secoli, per cui sua principale occupazione è la
salvezza dalle malvagità dell'uomo anche quelle ben masche-
rate dei suoi 'buoni' governanti.
Ciò significa che lo gnostico può dimenticarsi completamen-
te della gente comune?
No, gli resta un dovere.
Se non deve prendersi cura della sorte temporale degli uo-
mini, deve però vegliare sul loro destino spirituale. Avendo
lui stesso ricevuto la verità, è doveroso che offra ad altri il
dono di Dio.
Lo gnostico è apostolo: con la preghiera e il culto, la predi-
cazione fa parte integrante della virtù suprema, la devozio-
ne.
Sono questi i principali caratteri dell'ermetismo gnostico.
Più che una dottrina, ciò che lo definisce è un atteggiamen-
to religioso e morale, uno spirito, di cui se ne può valutare
il senso reale soltanto confrontandolo con l'atteggiamento
del saggio.
Discepoli della pura religione e di Dio (Sconosciuto o
Straniero) affrontano il medesimo problema. Dal momento
che questo è il più serio problema che l'uomo possa porsi,
gli scritti della gnosi non meritano né rogo né indice, ma
se pur in 'apparente stranezza' (per i non addetti ai lavori)
sono degni di interesse.....

(A. J. Festugière, Ermetismo e mistica pagana)















 

martedì 19 agosto 2014

CRISTIANI e PAGANI (Eretici 10)

















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Cristiani e Pagani (Eretici 9)










  
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Eretici  (11)  &  (12)














Dopo aver cominciato a raccogliere il suo materiale durante la persecuzione di Diocleziano, Eusebio non dimenticò mai il suo primo proposito di offrire una precisa documentazione sul passato e sul carattere della Chiesa perseguitata, e, a sua volta, persecutrice. Accumulò prove e citazioni attingendole da fonti autorevoli e da documenti come riusciva naturale ad un antico controversialista. Poiché si occupava di una Chiesa che rappresentava una scuola di pensiero, poteva imparare molto, in materia di presentazione, dalle storie delle scuole filosofiche a lui ben note, che trattavano di dispute dottrinarie, di questioni di autenticità, di successioni al potere ecclesiastico… (non dimentichiamo che la storiografia cristiana trasformò la cronografia ellenistica in una scienza cristiana, e aggiunsero le liste di vescovi delle sedi più importanti alle liste dei re e dei magistrati del mondo pagano). 
Presentarono, quindi, la storia in modo che vi si leggesse facilmente lo schema della redenzione, e chiarirono con cura particolare la priorità degli ebrei sui pagani: punto nel quale la loro dipendenza dall’apologetica ebraica è ovvia. Per un pagano, anche nella lettura del ‘mito’, la storiografia ebraica appariva ed appare una allegoria fuori da ogni schema logico, rispetto alla più vasta autenticità della Filosofia derivata ed assimilata nel vasto cammino della Storia stessa. Il processo per il mondo ellenistico è e si risolve nel percorso ‘evolutivo’, al contrario la patristica ebraica portava la storia a ritroso nel Tempo, in un processo ‘involutivo’.




La supposizione che Eusebio abbia fuso i metodi della storiografia filosofica con il punto di vista della storiografia giudaico-ellenistica ha almeno il merito di servire da guida alle fonti del suo pensiero. Tuttavia essa è ben lungi dal rendere conto di tutti i caratteri principali della sua opera. Vi erano ovvie differenze tra la storia della Chiesa e quella di ogni altra istituzione. La persecuzione era stato un fatto che aveva influito profondamente su ogni aspetto del cristianesimo (di certo sappiamo attraverso lo stesso principio adottato da Eusebio, che la Chiesa nei secoli a venire non fu da meno dai suoi ‘modesti’ persecutori, apportando l’orrore ove neppure Cristo poteva immaginare tanta violenza e falsità concettuale…).
L’Eresia era una nuova idea che – qualsiasi fossero le sue origini – non poteva avere la stessa importanza in nessun’altra scuola di pensiero, nemmeno nell’ebraismo. Una storia della Chiesa cristiana basata sulla nozione di ortodossia e sui suoi rapporti con un potere persecutorio protratto costantemente nei secoli (in nome di Cristo…??) doveva di necessità divenire qualcosa di diverso da ogni altra Storia.




Il nuovo tipo di esposizione scelta da Eusebio si dimostrò adeguato al nuovo tipo di istituzione rappresentato dalla Chiesa cristiana. Si fondava sull’autorità (e futura intolleranza…) e non su quel libero giudizio o libero arbitrio di cui gli storici pagani erano così fieri. Da questa breve parentesi aperta con Eusebio, approdiamo ad un interrogativo certo in confronto al problema della ‘Storia’: la storia di Eusebio ha un’importanza positiva e negativa: da un lato egli ha creato la storia ecclesiastica, dall’altro si è tenuto lontano dalla storia politica dettata da motivi sociali (solo Giuliano in ‘Contro il cinico Eraclio’ è riuscito, a mio avviso, a coniugare magistralmente questo duplice aspetto mitologico-storico, con le argomentazioni sollevate al cinico…).
Analogamente un altro cristiano ha inventato la biografia dei ‘santi’ e ha tralasciato la biografia dei fatti storici dettati dagli avvenimenti sociali e politici. Atanasio si ispirò più direttamente al tipo pitagoreo quale lo troviamo nella vita di Apollonio di Tiana scritta da Filostrato e nella vita dello stesso Pitagora scritta da Giamblico. Atanasio voleva contrapporre il santo cristiano che cerca di trovare la via verso Dio con l’aiuto di Dio, al filosofo (a buon ragione possiamo enunciare ‘gnostico’) pagano che in pratica è quasi un dio egli stesso (questo stesso problema di ‘incarnarsi per il tramite di Dio’ sarà un motivo secolare della disputa contro ogni Eresia, e futuro compito dell’Inquisizione).




Dando un colpo mortale al mito del filosofo pagano, riuscì a creare un tipo ideale che divenne estremamente popolare tra i cristiani (‘ad uso di vecchiette e fanciulli’). Soltanto piccoli e scarsi gruppi di pagani credevano che Pitagora o Diogene rappresentassero il massimo della perfezione raggiungibile dall’uomo. Nella società cristiana, invece, il santo venne riconosciuto come il solo tipo di uomo perfetto. E’ da notare che una delle caratteristiche più importanti delle vite dei santi consistette nel dare una nuova dimensione alla storiografia introducendovi  l’attività dei diavoli.
Un esempio della storiografia esercitata da Eusebio fu la vita (esemplare) di Costantino (a differenza del suo parente… Giuliano…): Eusebio non aveva scelta doveva rappresentare la vita di Costantino come esempio di vita devota ma tale compito non poteva che risolversi in una offesa (per entrambi: Costantino e Giuliano…) sistematica alle ragioni della Storia e della Verità! 

(Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV)















       

domenica 17 agosto 2014

GNOSI PAGANA (13) (Eretici 8)



















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Gnosi Pagana (12)  (Eretici 7)  &

La Gnosi

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Cristiani e Pagani (Eretici 9)













Non erano trascorsi che pochi mesi dal suo ‘Contra Heracleium’, quando ebbe una nuova opportunità per attaccarli, circa l’interpretazione data da questi ‘psudo-cinici’ sulla figura di Diogene, presentandolo come un mediocre vanaglorioso, gettando discredito sull’intera Scuola. Giuliano decise che era venuto il momento di insegnare a quei ‘cani-ignoranti’ la vera dottrina dei Cinici (talaltro come affermato da taluni storici, neppure pienamente condivisa dal filosofo…, ma loro erano un mezzo per quella costante calunnia che mai abbandonò il suo ‘illuminato cammino’. Dopo di loro sarà Nazianzo ad elevare alla stessa calunnia un significato di ‘scienza’ ad appannaggio di qualsiasi verità più certa e storicamente vera!).
A tale scopo scrisse un’orazione molto più breve, teorica e omogenea della precedente, inserendo la corrente dei Cinici nel solco della tradizione filosofica greca e riaffermando la sostanziale unità del pensiero ellenico (cui necessitava per la restaurazione…).




Sulla scia di Platone, Giuliano descrive il fuoco di Prometeo come una particella del sole, inviata dagli Dèi sulla Terra per divenire ‘parola’ (logos) e ‘mente’ (nous), per mezzo delle quali l’umanità partecipa della divinità. La ragione incorporea presente nell’uomo lo spinge verso la filosofia ‘arte delle arti e scienza delle scienze’, che consiste nella conoscenza di Sé e nell’assimilazione al Divino.
Attraverso la conoscenza dell’anima si giunge a ‘scoprire quanto vi è in noi di più nobile e divino dell’anima stessa, un qualcosa in cui tutti crediamo anche se non ci viene insegnato, un qualcosa che tutti riteniamo appartenga al Cielo’.
Questo assunto fondato sullo schema di Plotino, ‘spirito-mente-essere’, porta Giuliano a considerare la filosofia come una via di salvezza e conoscenza  (Gnosi…). E’ mediante la speculazione filosofica che impariamo a conoscere noi stessi, fino ad acquisire quel sapere ‘Perfetto’ proprio degli Dèi, poiché ‘gli Dèi ci sono superiori solo nella conoscenza…’, dal momento che in noi brilla una scintilla della luce divina.




Questa verità ‘essenziale’ costituisce uno dei temi centrali dell’orazione, mediante la quale Giuliano si propone di dimostrare come la filosofia – disciplina unica ed indivisibile che conduce attraverso sentieri diversi, ad un’unica mèta – sia un’altra strada verso la salvezza.
… La filosofia, come la verità (di Valentino e non solo…), è una e realizza la propria unità essenziale trascendendo l’apparente molteplicità delle forme e la diversità dei sistemi, poiché ogni Scuola o sistema si propone come scopo unico la ricongiunzione con la divinità e ha come principio primo la conoscenza di Sé.
Giuliano, inoltre, opera una netta distinzione fra la conoscenza esatta dei filosofi-teologi e l’‘opinione delle folle’. Servendosi delle parole di Platone definisce la conoscenza del vero come ‘la fonte del bene tanto per gli uomini quanto per gli Dèi’, un assunto condiviso, a suo parere, dalla dottrina cinica.




Ma i Cinici, come gli Scribi del Tempio del Cristo, erano ormai divenuti simili ai sofisti dei tempi di Socrate: sensibili all’adulazione, parevano (e ‘paiono’) curarsi solo della propria fama, ostentando, al contrario, come nei giorni nostri, una ‘saccente-ignoranza’ (come direbbe giustamente Bruno…); giammai una ricerca della Verità, innata aspirazione dell’uomo ‘evoluto’ (quella evoluzione passa in tempo reale attraverso i prodigi della moderna ‘scienza’ che offre l’opportunità ai ‘cani-ignoranti’ di perseverare nei loro errori misti a loschi affari di Stato, vestendolo di un manto di decenza pubblica ad uso di favole per vecchie e bambini…).
Siamo nel 325 d.C., il Concilio di Nicea è convocato da Costantino con l’intento di far accettare ai propri sudditi i principi formali del cristianesimo, mentre come vescovo di tutti i non appartenenti alla Chiesa auspicava che fosse impartito ai laici l’insegnamento dei dogmi della nuova religione di stato. A partire da quel momento l’unità religiosa divenne il fondamento dell’unità dell’Impero.
… Giuliano colse l’importanza di tale principio, e non cadendo nel baratro della contraddizione (che la sua vasta cultura gli aveva ‘imposto’), tentò di riformulare i dogmi del paganesimo…..

(P. Athanassiadi, Giuliano)