giuliano

lunedì 23 novembre 2020

LA BATTAGLIA FRA GINNASTA E SGAMBETTA (13)

 










Precedenti capitoli...:


Circa il Tristram... (12)








‘lo porterete quindi in Egitto e non più in Palestina?! Ne trarrà vantaggio’,

 

rispose mio padre,

 

‘ma il problema posto fra il cappone e l’agnello di Pasqua o Natale?

 

Zio Tobia rimase perplesso,




 ‘Certo questo il vero amletico dilemma. Quando vedranno le Tridimensionali Piramidi alle proprie tavole che cosa li sfamerà e sazierà davvero il cappone o l’agnello? Dovranno consultare Ernulfo!’.   

 

‘Ebbene, ogni parola di ciò che dite’,

 

disse ancora lo zio Tobia,

 

‘è arabo per me’.




 ‘Per favore, signor Yorick’,

 

disse lo zio Tobia,

 

‘ditemi che cos’è un politico polemista’.

 

‘La migliore descrizione ch’io ne abbia mai letta, capitano Shandy, è d’una coppia d’essi,

 

rispose Yorick,




‘nella narrazione della battaglia combattuta a singolar tenzone… e non certo in Camera… tra Ginnasta e Capitan Sgambetta; l’ho qui in tasca’.

 

‘Vorrei poterla ascoltare’,

 

disse ardentemente lo zio Tobia.

 

‘Senz’altro è la Grande Notizia d’ogni giorno’,

 

…disse Yorick.




‘E siccome il caporale mi sta aspettando alla porta, e io so che la descrizione di una battaglia politica farà a quel poveruomo maggior bene che la sua cena, ti prego, fratello, di dargli licenza di ascoltare’.

 

‘Con tutto il cuore’,

 

…rispose mio padre.

 

Trim entrò, eretto e felice come un Imperatore; e, una volta chiusa la porta, Yorick trasse un libro dalla tasca destra della giacca, e lesse o finse di leggere quanto segue.




...Essendo state le dette parole udite da tutti i soldati ch’erano colà, ovvero nel libero Parlamento riuniti, e parecchi di loro intimamente atterriti, indietreggiarono e fecero largo all’attaccante.

 

Tutto questo fu da Ginnasta molto ben notato e considerato; e quindi, facendo come se intendesse smontare da cavallo, mentre si reggeva in equilibrio sul lato in cui ci si aggrappa per salire in cella… scusate in sella, agilissimamente (con la corta daga lungo la coscia), spostando il piede nella staffa ed eseguendo la figura dello staffile, col che, dopo aver inclinato il corpo verso il basso, immediatamente si lanciò in alto per aria e posò entrambi i piedi uniti sulla sella dello scrigno, rimanendo eretto, con la schiena rivolta verso la testa del cavallo.

 

Ora (disse) la faccenda continua.




 E improvvisamente, dalla posizione in cui si trovava, fece un guizzo su un piede solo e girando a sinistra, non mancò di far rotare perfettamente il corpo, riportandolo nella posizione primitiva senza sbagliare d’un iota.

 

Ah! (disse Sgambetta)…

 

‘Io non lo farò adesso, e non senza ragione’.

 

‘Bene (disse Ginnasta) ho fallito. Annullo questo salto’.




 Allora, con meravigliosa forza e agilità, rotando verso destra dalla sinistra ove proveniva, fece un altro agile guizzo come prima; ciò fatto, pose il pollice della mano destra sul bottone… scusate… sull’arcione, si sollevò in alto e schizzò in aria, bilanciando e sostenendo tutto il suo peso sui muscoli e sui nervi del detto pollice, e così girò e piroettò per tre volte; alla quarta, rovesciando il corpo e capovolgendolo con la testa all’ingiù e col davanti indietro, senza toccare nulla, si portò tra le due orecchie del cavallo, e poi, con una spinta scattante, si sedette sulla groppiera...”

 

[ ‘Che combattimento è mai questo?’ disse lo zio Tobia. Il Caporale scosse la testa. Abbiate pazienza, disse Yorick]

 

Allora (Sgambetta) fece passare la gamba destra sopra la sella e si mise en croup.

 

Però (disse), sarebbe meglio che andassi sulla sella.




Allora, mettendo i pollici delle due mani sulla groppa davanti a sé e appoggiandosi su di essi come unici sostegni del suo corpo, immantinente fece rotare i talloni in aria sopra la testa e si ritrovò dritto tra gli arcioni della sella in posizione tollerabile; quindi, schizzando in aria con un salto mortale, roteò come un mulino a vento e fece un centinaio “di salti, giravolte e volteggi.

 

‘Buon Dio!’

 

gridò Trim, perdendo la pazienza.

 

‘Un affondo di baionetta vale più di tutto ciò’.

 

‘Lo penso anch’io’,

 

rispose Yorick.

 

‘Io sono di parere contrario’,

 

disse mio padre

 

Tutti seduti ad ugual medesima mensa…

 

O mensola?

 

Il dubbio rimane consulteremo l’oracolo.


(L. Sterne)









domenica 22 novembre 2020

BREVI RIFLESSIONI SULL'ANATEMA DI ERNULFO (11)

 










Precedenti capitoli circa...:


La scomunica di Roma (10)


Prosegue con le...:


Opinioni di Tristram (12/13)








Ora non diamoci un sacco d’arie pretendendo che le bestemmie di cui facciamo generoso uso in questa nostra terra di libertà siano di nostra creazione; e poiché abbiamo avuto il coraggio di proferirle, noi immaginiamo di aver avuto anche l’intelligenza di inventarle.

 

Mi dispongo subito a dimostrarlo a chicchessia eccetto agli intenditori, sebbene dichiari di obiettare solamente agli intenditori di bestemmie, come farei con gli intenditori di pittura, ecc., ecc., che tutta la loro cricca è così prona e feticista davanti ai fronzoli e alle cianfrusaglie della critica o, per interrompere la mia metafora (il che, sia detto per inciso, è un vero peccato perché sono andato a prenderla nientemeno che sulle coste della Guinea), che le loro teste, signore, sono così imbottite di regoli e compassi, e hanno quell’eterna propensione ad applicarli in tutte le occasioni, che sarebbe meglio che un’opera di genio andasse subito alla malora piuttosto che essere punzecchiata e torturata a morte da loro.

 

‘E come ha recitato il monologo Garrick ieri sera?’.




  ‘Oh, contro tutte le regole, milord, nel modo più sgrammaticato! tra il sostantivo e l’aggettivo che dovrebbero concordare in numero, in caso e in genere, fece una pausa tale, fermandosi come se il punto richiedesse una verifica; e tra il caso in nominativo che, come vostra signoria ben sa, dovrebbe reggere il verbo, egli tenne in sospeso la voce nell’epilogo una dozzina di volte per tre secondi e tre quinti ciascuna, cronometro alla mano, milord’.

 

‘Grammatico mirabile! Ma nel sospendere la voce… lasciò sospeso anche il senso? Non vi fu espressione del gesto e del volto a colmare il vuoto? Non parlava forse il suo sguardo? L’avete osservato minuziosamente?’.

 

‘Guardai solo il cronometro, milord’.

 

‘Eccellente osservatore!’




‘E che dite di questo nuovo libro per cui tutti fanno tanto scalpore?’.

 

‘Oh! è completamente sballato, milord, una roba assolutamente irregolare! non uno dei quattro angoli è un angolo retto. Avevo in tasca regolo e compasso, eccetera, milord’.

 

Eccellente critico!’.




 ‘Quanto al poema epico che vostra signoria mi disse di guardare, dopo averne misurato lunghezza, larghezza, altezza e profondità, e averle verificate a casa sull’esatta scala del Bossu, è risultato sproporzionato, milord, in ogni sua dimensione’.

 

‘Mirabile intenditore! E al ritorno entraste a dare un’occhiata a quel grande quadro?’.

 

‘È una crosta deprimente, milord! Non uno dei principi della piramide è applicato in uno qualsiasi dei gruppi! e che prezzo! Non  v’è infatti nulla del colore di Tiziano, dell’espressione di Rubens, della grazia di Raffaello, della purezza del Domenichino, della coraggiosità del Correggio, della cultura di Poussin, degli atteggiamenti di Guido, del gusto dei Carracci o dei grandiosi profili di Michelangelo’.

 

Giusto cielo, fammi star calmo!

 

Di tutti i luoghi comuni espressi con affettazione in questo mondo pieno di affettati luoghi comuni, benché quelli degli ipocriti possano essere i peggiori, i luoghi comuni inventati dai critici sono i più esasperanti!




 Farei cinquanta miglia a piedi, perché non posseggo un cavallo degno d’essere montato, per baciare le mani all’uomo il cui nobile cuore affiderà le redini della propria immaginazione nelle mani dell’autore, compiaciuto di non sapere il perché e di non badare al percome.

 

Grande Apollo! se sei in vena di generosità, dammi,  non chiedo di più, un solo tocco di innato umorismo e insieme una singola scintilla del tuo fuoco, e manda Mercurio, se ne ha il tempo, con regoli e compassi e i miei omaggi a…

 

Non importa.

 

Ora voglio prendermi la briga di provare a chiunque altro che tutte le bestemmie e le imprecazioni che abbiamo riversato come originali nel mondo in questi ultimi duecento cinquant’anni, tranne “pollice di San Paolo”, “carne di Dio” e “pesce di Dio”, che furono bestemmie monarchiche e, considerando chi le inventò, non molto fuori posto, e come bestemmie di re non importa molto che fossero pesce o carne, altrimenti, dicevo, non v’è bestemmia o per lo meno maledizione tra di esse che non sia stata copiata e ricopiata mille volte da quelle di Ernulfo; ma, come tutte le altre copie, quanto sono infinitamente inferiori per forza e vivacità all’originale!




 Si reputa che “Dio vi maledica” non sia affatto una cattiva imprecazione e che di per sé stessa vada benissimo.

 

Confrontatela con quella di Ernulfo:

 

“Dio Padre Onnipotente vi maledica; Dio figlio vi maledica; Dio lo Spirito Santo vi maledica”,

 

…e vedrete che non vale nulla.

 

C’è in quella di Ernulfo un che di orientale che non siamo in grado di raggiungere; inoltre, egli è più ricco d’inventiva; possedeva in grado più alto le qualità del bestemmiatore, aveva una così completa conoscenza della struttura umana, delle sue membrane, nervi, legamenti, della conformazione delle giunture e delle articolazioni, che, quando malediva, non gli sfuggiva alcuna parte.




 Vero è che si nota una certa durezza nel suo stile e, come in Michelangelo, una mancanza di grazia, però vi è una tale grandezza di gusto!

 

Mio padre, il quale in genere vedeva ogni cosa in una luce molto diversa da quella del resto del genere umano, non volle mai ammettere, tutto considerato, che l’anatema di Ernulfo fosse originale. Egli considerava piuttosto che si trattava di un’istituzione di maledizioni, nella quale, com’egli supponeva, per il declinare del maledire, sotto qualche pontificato più mite, Ernulfo, per ordine del pontefice successore, ne avesse con grande dottrina e diligenza raccolto le leggi, per la stessa ragione per cui Giustiniano, al declino dell’impero, aveva ordinato al suo cancelliere Triboniano di raccogliere tutte le leggi romane o civili in un unico codice o digesto, per tema che, a causa della ruggine del tempo e della fatalità di tutte le cose affidate alla tradizione orale, esse non fossero perdute per sempre per il mondo.

 

Per questa ragione mio padre soleva spesso affermare che non v’era imprecazione, da quella solenne e tremenda di Guglielmo il Conquistatore (Per lo splendore di Dio), giù giù fino alla più bassa maledizione di uno spazzino (Maledizione ai vostri occhi) che non si potesse trovare in Ernulfo.




Insomma, egli soleva aggiungere:

 

‘Sfido chicchessia a proferire un’imprecazione che non sia in esso’.

 

Quest’ipotesi è, come la maggior parte di quelle di mio padre, singolare e anche ingegnosa; né avrei obiezioni di sorta da muoverle contro, se non fosse che sconvolge la mia.

 

(L. Sterne)








domenica 8 novembre 2020

...O FIERE BESTIE... (9)

 










Precedenti capitoli:


....O veduto tanta gente... (1/8)


Prosegue con brevi comandamenti dell'...:


Inquisizione (.....)








Non so dir che proceda ch’ogni notte

Mi faccio tanti sogni stravaganti

Tosto che s’apron le Cimmerie grotte.

 

Ché da poi, ch’io son nato tanti, e tanti

Me ne son fatto ch’a narrar gli tutti

Quattro e sei mesi non sarian bastati.

 

Hor de giocondi hor degli orrendi, e brutti,

Hor cose liete, hor tanto dolorose,

Che m’han dormendo dato affanni, e lutti.




Hora in un prato pien di gigli, e rose

Mi son trovato, hora smarrito e perso

Per folti boschi, e selve spaventose.

 

Hora son corso a dritto, hor a traverso

Di qualche spatiosa, e gran campagna,

E girato in un soffio l’universo.

 

Son stato in sogno & davvvero,

in Francia, et in Hispagna,

In Africa, al Cathaio, et in Egitto,

E superato ogn’aspra, e gran montagna.




Hor m’è stato nel petto un coltell fitto,

Hor m’ho sognato che troncar la testa

Mi volean, né so dir per qual delitto.

 

Hora mi è parso di essere a una festa

Poi trovarmi in prigion stretto, e legato

Fra gente afflitta lacrimosa, e mesta.

 

Mi son sognato d’esser strangolato,

E ch’io volea gridar, e non potea,

Ché mancar mi sentìa, la voce e’ l fiato.




Stato son nell’Arabia, e ’n la Caldea,

Ed ho parlato col gran Tamerlano

Qual poi pareva un arbor da galea.

 

Mi son sognato d’essere in Milano,

E non haver né calze, né berretta,

E gir gridando “Agocchie da Lanzano”.

 

Molte volte ho sonato la trombetta,

Il trombon, e la piva, e nel soffiare

Son doventato gufo, o una civetta.




Ben mille volte m’è parso nel mare

Cader e gir al fondo e poi trovarmi

In mezzo d’una sala a passeggiare.

 

E spesso con pugnali, e con altr’ armi

Haver ferito alcuno, e non potere

Fuggir, né trovar loco da salvarmi.

 

Mi son sognato di mangiare, e bere,

E nel più bello sparir via la tola,

E ritrovarmi ne l’herba a sedere.




 Sognato mi son anco ire a la scuola,

E ’l libro diventar un pappagallo,

E ‘l mio maestro un scano o una banzuola.

 

Più volte ancora d’esser a cavallo,

E ch’ei mi porti in aria ove trapasso

Le nubi, e leggermente a terra callo.

 

Parmi tal hora di cadere a basso

Et andar giù per qualche precipitio

Né potermi aiutar, né muover passo.




Hor mi ritrovo a qualche sposalizio

Hor vedo fabricar un’alta torre

Hor mi ruina adosso un’edifitio.

 

Hor dentro un fiume, che veloce corre,

Parmi cader, et andar giù a seconda,

E non saper dov’io mi vada a porre.

 

Tal’hor mi sogno correr sopra l’onda

Hor a correr col vento faccio a gara,

Hor che la terra a fatto mi profonda.




Conto tal volta i scudi a centenara,

Poi quando vo’ riporgli, spaion via,

e mi lasciano lì con doglia amara.

 

Tal'hor mi son trovato s’una via

Soletto, né saper dov’io mi vada,

e non veder né tetto né hosteria.

 

Mi son sognato di giocar di spada,

E quella diventar una chitarra,

né d’accordar saper trovar la strada.




 Tal volta di formenta mille carra

Vist’ho condor, e poi nel scaricarlo

Tutti erano puntai da scimitarra.

 

Ho veduto un bel sogno ch’a mirarlo

M’ha dato gran piacere, e gran dolcezza,

Ma poi non ho saputo raccontarlo.

 

Tal’hor par c’habbi havuto una gravezza

Agli occhi, e ch’io non possi alcuna cosa

Vedere, onde n’ho avuto assai tristezza.




Mi son sognato di menar la sposa

A casa, e per la strada essermi tolta,

Poi ritrovarla in un armario ascosa.

 

Mi son sognato di girarmi in volta,

E far partite rare, et eccellenti,

Poi fuggir via perché cadea la volta.

 

O quante volte di cavarmi i denti

Mi son sognato, e d’esser stroppiato,

E domandar limosina a le genti.




 Son stato cento volte spiritato,

E n’ho avuto dolor sì grave al core,

Ch’ero in sudor quando mi son svegliato.

 

Mi son sognato assai di far l’amore,

E la mia dama mi parea una gatta,

Qual poi mi graffignava per favore.

 

Tal’hor qualche figura contraffatta

M’è venuta dinanzi, e poi spariva,

Over che come nebbia s’è disfatta.




Son stato in gran pericol de la vita,

Et una notte fui sepolto vivo,

Ov’eran di serpenti una infinita.

 

Son stato in casa ascosto e fuggitivo

Per esser contumace de la corte,

E poi al fin di lei restai captivo.

 

Son uscito tal’hor fuor de le porte,

E mi son fitto in antri et in spelonche,

E parlato più volte con la morte.




Ho havuto il naso mozzo, e le man monche,

I piedi storti e camminar carpone,

Che mi pareva haver le gambe tronche.

 

Hora cavalco in groppa d’un montone,

Hora sopra un delfin salir mi pare,

Hor sopra un’elefante, hor d’un leone.

 

Quasi ogni notte sogno di volare

Sopra d'un fiume, o giù di qualche tetto

E n’ho un piacer nel petto singolare.




Mi son sognato di fare un sonetto,

E non saperlo poi legger nel fine,

Mi son trovato fra certe ruine

Di monti alpestri, e sassi, e gran dirupi

In man di genti perfide, e assassine.

 

Mi son sognato di veder i lupi

Venir verso di me tutti affamati

E trangugiarmi ne’ lor ventri cupi.

 

Certi cagnacci grandi, e smisurati

M’hanno assalito per donarmi guai

Con lor morsi crudeli, e arrabbiati.




 Cinque, o sei notti son ch’io mi sognai,

Ch’un tirar mi volea d’una pistolla,

E che volando in aria mi salvai.

 

Mi son sognato haver havuto un’olla

In capo, e non poter cavarlo fuori,

E poi m’è parso un caldaron, che bolla.

 

Ho praticato con diversi humori

In sogno, i quai m ’han posto in grande intrico

Con lor cervelli, e giovenil furori.




 Di ragionar con un mio caro amico

Mi son sognato, e quel mutar sembiante,

E diventar un pero, un sorbo, un fico.

 

Hor mi son visto rappresentare innante

Qualche leggiadra, e vaga damigella

Tutta bella, e gentil tutta galante.

 

E mentre ho steso il braccio verso quella,

E’ diventata qualche bestia horrenda,

Che gran paura m’ha fatto a vedella.




 Tal’hor andando a far qualche facenda

Corro veloce, e mi riscaldo, e sudo,

E parlo meco, e par ch’io non m’intenda.

 

Mi sognai una notte d'esser nudo,

E ch'io mostrava tutte le vergogne,

Né pur un straccio havea da farmi scudo,

Mi son sognato fin che le cicogne

M’ hanno portato in qualche scura grotta,

E seppellito là fra le carogne.

 

In superbi palazzi son tal hotta

Stato, e per ricche loggie, et ampie sale,

Poi ritrovato in qualche casa rotta.




Tal’hora par ch’io voglia senza scale

Salir sopra d'un tetto, e mentre saglio

Si lascia il muro, e par trattarmi male.

 

Ho sentito di quei ch’in gran travaglio

Dicono d'esser stati, nel sognarsi

Mentre la mente se ne va a guinzaglio:

 

Come cader in acqua, et annegarsi,

Ovver da un lato o l’altro esser passati,

O di saltar nel foco, ed abbruciarsi.




Molti si sognan di essere impiccati,

Ed n’han dentro di lor tanta agonia,

Che sudan anco se ben son svegliati.

 

Mi son sognato d’esser in Turchia,

E haver nuotato dentro del Mar rosso,

Qual poi parea un fiascon di malvasia.

 

Tal hor mi sento si gran peso addosso

Ch’ al trar il fiato duro gran fatica,

E vorrei risvegliarmi, ma non posso.




Hora sono in carroccia, hora in lettica,

Hor pesco, hor vado a caccia, hor a la guerra,

Hor son ne l’herba fresca, hor ne l’ortica.

 

Tal’ hor mi sogno entrare in una terra

Qual mi par Roma, e poi mi par Messina,

Hor Napoli, hor Milan, Lucca, o Volterra.

 

Hora mi sogno d’essere in cucina,

Poi mi ritrovo in cima d’un granaio,

O veramente in fondo a una cantina.




 Hora d’entrar m’è parso in un pollaio,

E non potendo ritrovar l’uscita

Mi son trovato in cima d’un pagliaio.

 

Tal hor cercando di scampar la vita

Mi son cacciato in certe stanze oscure

Poi la casa, e ogni cosa, è via sparita.

 

Stato son in bellissime verdure

In ameni giardini, e ho mangiato.

Frutti soavi e uve dolci, e mature.




In un buco tal hora sono entrato,

Né innanzi ho mai potuto gir né indietro

Ben ch’uscir mille volte habbi provato.

 

Ho tal’hora sonato un dolce pletro,

E fatto un suon armonico, e soave,

Poi mi pareva un boccalon di vetro.

 

Tal’hor mi sogno in certe scure cave

Esser tirato per gli piedi, dove

Il cor ben spesso ne sgomenta, e pave.




Tal’hor addosso già dal ciel mi piove legni,

Foco, acqua, zolfo, marmi, e sassi,

E ’l piede indarno per fuggir si muove.

 

Tal’hor per certi lochi par ch’io passi

Ove son quarti d’huomini attaccati

Né gli posso schivar ben ch’io m’abbassi.

 

Tal’hora ho havuto un monte di ducati,

E delle doble in magna quantitate,

Quai poi tutti carbon son diventati.




Ho havuto in sogno mille coltellate,

Mille picche, e sponton fitti nel petto,

E fin a le budella fuor cavate.

 

Mi son sognato esser infermo in letto,

E che signato m’han con la candela,

E fin disteso sopra il cataletto.

 

Andai per l’aria l’altra notte a vela,

E sopra un alto monte restai preso,

E fui cacciato in un borsel di tela.




Tal’hor son stato levato di peso,

E portato ’in un pozzo e ’l pozzo farsi

Una lanterna, ed io un moccolo acceso.

 

Mi son dormendo molte volte apparsi

Fantasmi, streghe, mostri, e spirti rei,

E sendomi svegliato son disparsi.

 

Mi sognai una notte che gli hebrei

Mi volean circoncider, e parea

Che muover non potessi man né piei.




E ch’io mi dibattevo, e ch’io piangea,

E ch’al fin venir vidi un’huomo armato,

Che da que’ badanai mi difendea.

 

Parvemi l’altra notte esser chiamato

Fuor di casa, e a l’aprir ch’io fei la porta

Fui da un todesco subito ammazzato.

 

Mi raccordo esser stato in una sporta

Poi esser doventato un barbagianni,

E pianger una scimmia ch’era morta.




In una sala sopra mille scanni

Saltat’ho in sogno, e mi parea vedere,

Ch’io ero in scena, e ch’io facevo il Zanni.

 

Ben mille volte fra l’armate schiere

Son stato, e mi parea che ’l capitano,

Per terra camminasse col sedere.

 

Ho cavato tesoro, oh caso strano,

E quando poi è stato la mattina,

Mi son trovato senza nulla in mano.

 

Mi son sognato prender medicina,

E farmi metter cure, e servitiali,

E siringarmi per cagion d’orina.




 Ho rotto in sogno bicchieri e boccali,

Son stato pazzo, e fatto questione,

Con mille altre sorte d’animali.

 

Ho cercato d’intorno ogni cantone,

E scorse tutte le città del mondo

Portando un trave in spalla per bordone.

 

Tal’hor caduto son d’un fiume in fondo,

Poscia mi son trovato in una botte

E giù d’un monte sdrucciolare a tondo.




Mi sognai una volta ch’io havea rotte

A un bu’ le corna e ch'esso le rimesse,

E ne’ fianchi mi diede amare botte.

 

Pareami ancor che l’altra notte havesse

Più di cinquanta braccia longo il naso,

E ch’ognun mel tirasse, e mel torcesse.

 

Hora son stato vestito di raso,

Hor di velluto, hor di broccato d’oro,

Poi la mattina frusto son rimaso.




 Son stato imperator, e con decoro

A varie forti genti ho comandato,

E havutone tributo, e some d’oro.

 

Son stato a nozze, e mentre havrò mangiato

Qualche boccon, che mi piacesse al gusto,

Il banchetto e la casa è profondato.

 

Hora ho perso le maniche, hora il busto

Hor son andato scalzo sopra il ghiaccio,

Hor mi son preso al torto, et hora al giusto.




Così dormendo tai sogni mi faccio,

Che se fussero qui tutti raccolti,

Sarian più che le prose del Boccaccio.

 

Ma udito ho raccontar che vi son molti,

Che l’armi in man dormendo prenderanno,

Mentre nel maggior sonno son soffolti.

 

Altri che giù dal letto salteranno,

E si porranno in sogno i panni indosso,

E per le strade addormentati andranno.




Molti gridano in sogno a più non posso,

Molti ridono, e molti fan spaventi,

Come s’havesser mille spirti adosso.

 

Assai vi son che s’odon far lamenti,

E voci meste, et altri braveggiare,

Altri a tirar grosse correggie intenti.

 

Molti son che si sognan d’orinare,

Et orinan nel letto da dovero,

E molti ancor vi soglion peggio fare.

 

Altri poi c’hanno un sonno si leggiero,

Che senton fin a i topi, che d’intorno

Vanno, altri dormiriano un anno intiero.




Molti vi son che havendo fatto il giorno

Pensier d’andar in qualche lor viaggio

Vi vanno in sogno, e a casa fan ritorno.

 

Molti che soglion fare onta, et oltraggio

A quei, che dormon seco, e matte pugna

Date sul viso, e assai n’han fatto il saggio.

 

Molti ch’adoperar i denti, e l’ugna

Sogliono, et altri giù del letto in fretta

Saltar, facendo in sogno qualche pugna.




Altri trar tremolazzi, altri a staffetta

Vanno, e altri rocheggian tanto forte,

Che paiono sonare una cornetta.

 

Molti ch’in sogno si son dati morte

Cadendo giù per qualche scala, o tratti

Giù d’un balcon con miserabil sorte.

 

Di molti ho udito che si son fatti

Certi sogni si horrendi, e paurosi,

Che la mattina son testati matti.




 Altri poi di sì belli, e graziosi,

Che ’l giorno n’hanno havuto gran diletto,

Come tirar danari, o d’esser sposi.

 

In somma per concludere il soggetto,

Non posso immaginar, dove deriva,

Che l’huom dormendo facci tal’effetto.

 

So che molti vi son ch’a questa piva

Han messo man, e adutto la ragione,

Ma par che variamente ognun ne scriva.

 

Chi al cibo dà, chi a la complessione,

La colpa, chi al pensier che s’ha vicino,

Ma io per dirvi la mia opinione

Credo che sia da ber senz’acqua il vino.




 IL FINE NON SOLO CIO DETTO SPERANDO PER MIO SPERANZOSO E NON PIU ISPIRATO DILETTO AFFICHE TAL SONETTO RINNOVI LA JIUSTICIA ABDICATA ALLA FUGACE RITROVATA BALLATA DI CODESTA ACCOMPAGNATA RIMA & IL SOGNO DIVENIR POESIA NON PIU PERSEGUITATO TORMENTO CON LA SPERANZA PER TUTTI &d OGNUN COMPRESO POTER SOGNARE LA PROPRIA STROFA GIAMMAI INQUISITA DALL’HUMANA BESTIA VESTITA NEL PENTAGRAMMA DEI SOGNI ALTRUI RESTITUITI NELL’INCOLTA FARSA DELLA RAGIONE INSCENATA & ALLA BESTIA MIA AMICA PROMETTO RINNOVATA RINASCITA AL PALCONESCICO DELLA VITA TERRENA DI NUOVO TRANSIATA NON MENO DELLA JIUSTIZIA NEGATA ACCOMPAGNATA DALLA PROMESSA DELL’INCUBO CONTRACCAMBIATO PER LA COMUNE INGIUSTIZIA SUBITA!