Vi era ancho un Romagnuolo con una cetra & si dolcemente la sonava che pareva un Iopa; un Philamono, un’Apolle, un Terpandro, & un Dorceo…
Che cosi cantava & a Voi dotti eccelsi 'menti' dedicata:
Brentatore
Fornar
mio, io vi saluto,
Ed
a posta son venuto
Per
saper se havete havuto
Questo
mal che vien a ognun
Perché
parmi veramente
Che
tornato sia il matton.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornaro
Io
l’ho avuto, e sentomi anco
Che
mi duole il petto e ‘l fianco,
E
tal hora vengo manco,
E
vo’ tutto in tramballon,
E
ben spesso casco in terra,
Nel
voltar ch’io fo il paston.
Guarda
guarda il mal matton.
Brentatore
Anchor
io tengo in la testa
Una
doglia sì molesta
Che
par un che mi tempesta
Con
un maglio, ovver piccon,
E
al levar ch’io fo la brenta
Par
ch’io facci il pirindon.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornaro
Mi
van su certi vapori,
Certi
fumi e certi ardori
Che
mi cavan spesso fuori
De
la via de la ragion,
E
al scaldar ch’io faccio il forno
Brugio
il manico al forgon.
Guarda
guarda il mal matton.
Brentatore
Ogni
passo oimè ch’io muto,
O
ch’io tosso, o ch’io stranuto,
E
m’abbonda sì lo sputo
Ch’impirei
un carrion,
Né
so mai se tanta schiuma
Fe’
la mula di magon.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornaro
Io
son tanto mal andato
Che
s’io fossi bastonato
Non
harei tal passion,
E
ben presto a far la scunza
Casco
lì sul caldaron.
Guarda
guarda il mal matton.
Brentatore
Ho
serrata sì la gola
Ch’io
non posso dir parola
Ed
il naso ogn’hor mi cola
Come
fa proprio un dozzon,
E
ben spesso, per tal causa
Casco
là con il sponton.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornaro
Sto
la sera senza cena,
E
mi duol tanto la schiena,
Ch’io
non ho nervo né vena
Che
non doglia in conclusion.
E
ogni notte ho un po’ di febbre,
Che
m’affetta il pellizzon.
Guarda
guarda il mal matton.
Brentatore
Io
non posso haver il fiato,
Ed
ho perso l’odorato,
Ed
il cibo nel palato
Mi
par proprio sabbion.
E
mi par haver la testa
Grossa
assai più d’un ballon.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornaro
S’io
mi levo la mattina,
Sto
mezz’hora a testa china,
Né
vorrei tor medicina,
Né
siroppi, né untion,
Benché
molti m’habbian detto
Che
‘l tor sangue sarìa bon.
Guarda
guarda il mal matton.
Brentatore
Non
mi piace tal partita,
Che
‘l tor sangue tol la vita,
Ma
la strada più espedita
Si
è voltarse al boccalon,
Perché
far spesso bombina
Schiara
il sangue e lo fa bon.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornaro
Il
mio medico perito
M’ha
ordinato e stabilito
Ch’io
mi faccia un pan bollito
Con
del seme di melon,
E
per doi o tre mattine
Farmi
far le fregagion.
Guarda
guarda il mal matton.
Brentatore
Ed
il mio m’ha comandato
Ch’io
mi getti nel palato
Buon
vitello e buon castrato,
Buon
pollastri e buon cappon,
E
ch’io stia ne la cantina
Fin
che ‘l tempo torna in ton.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornaro
Questa
è assai buona ricetta,
E
mi piace e mi diletta,
Perché
par ch’ella s’assetta
A
la cosa del ventron,
Ma
il mio gusto è tanto guasto,
Ch’io
non so se vivo son.
Guarda
guarda il mal matton.
Brentatore
Vi
bisogna, a guarir questo
La
mattina bever presto,
Ma
non torre orgio né pesto,
Acqua
cotta infusion,
Ma
un boccal o due di vino,
Di
quel vecchio e di quel bon.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornaro
L’altra
sera per il fresco
Me
n’andai da quel todesco
Il
qual vende su quel desco
Quel
suo oglio così buon,
E
ne tolsi un’ampolletta,
Sol
per farne parangon.
Guarda
guarda il mal matton.
Brentatore
L’ho
sentito commendare
Per
un oglio singolare,
E
anchor io ne vo’ comprare
E
vo’ spender un teston,
Ch’io
ne voglio haver in casa
Se
verrà l’occasion.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornaro
Una
volta l’ho adoprato
Com’il
mastro m’ha insegnato,
Ed
alquanto m’ha giovato,
Ed
ha fatto operation.
E
s’io m’ungo un’altra volta,
Potrò
dir: “libero son!”
Guarda
guarda il mal matton.
Brentatore
L’oglio
è buon, che si sa certo,
E
ch’il vende è di gran merto,
Ma
bisognain tal concerto
Fodrar
prima il valison;
Perché
quel giova di fora,
Questo
al fegato e al polmon.
Guarda
guarda il mal matton.
Poi
fuggir il tristo humore,
Né
cridar, né far rumore,
Ma
tener allegro il core,
Stando
in pace ed in union
Con
gli amici e co’ i parenti,
Per
fuggir sì ria stagion.
Guarda
guarda il mal matton.
E
lassar andar l’offese,
E
dì trenta per un mese,
Che
i pensier non fan le spese
E
non pagan la pigion,
Venghi
il cancaro a la roba
E
a le forche gli avaron.
Guarda
guarda il mal matton.
Che
ci è stato un mio compare,
Qual,
volendo accumulare,
L’altro
giorno andò a portare
Il
zerletto al bastion,
E
la Morte con la falce
Lo
fe’ andare a roverson.
Guarda
guarda il mal matton.
Madonn’Anna,
mia vicina,
Anchor
lei, l’altra mattina
Haveva
perso una gallina
E
fe’ cento question,
E
si messe tanto affanno,
Che
tirò quasi i scoffon.
Guarda
guarda il mal matton.
E
l’Antonia, sua compagna,
Per
haver persa una cagna,
Si
fe’ udir fino in Romagna,
E
pareva proprio un tuon,
Ed
è stata un mese in letto,
Ancor
lei per tal cagion.
Guarda
guarda il mal matton.
Che
a volersi torre a petto
Certe
cose ch’io v’ho detto
Causan
poi cattivo effetto
E
fan ria complession,
E
chi a l’ira si dà in preda,
Non
ha sal nel suo zuccon.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornar
mio, voglio lassarvi
E
di novo vo’ pregarvi
A
nutrirvi e governarvi
A
pollastri e buon piccion,
E
lassate andar le frutte
Che
fan ria digestion.
Guarda
guarda il mal matton.
Buon
allesso e buon arrosto
Vi
farà ritornar tosto
E
lassate gir il mosto,
Perché
fa confusion
E
bollir fa le budelle,
Che
par proprio un pignaton.
Guarda
guarda il mal matton.
Né
lasciate tal ricetta
Per
ogn’altra che sia detta,
Che
gli è ottima e perfetta
E
v’ho detto le ragion.
E
però state in cervello,
E
non fate simiton.
Guarda
guarda il mal matton.
Fornaro
Io
son pronto per far tutto,
Quel
che far m’havete instrutto,
Perché
son a tal ridutto
Ch’io
vo’ tutto in ballordon.
E
però questa mattina
Vo’
mangiar un buon cappon.
Guarda
guarda il mal matton.
Ed
havendomi insegnata
Sta
ricetta tanto grata,
Vo’
portarvi una schiazzata
Col
butirr, com’è ragion,
E
una bietta di formaggio
Di
quel sodo, vecchio e buon.
Guarda
guarda il mal matton.
Brentatore
Non
resudo la profferta,
De
la qual mi fate offerta,
Ma
l’aspetto a bocca aperta,
Perch’io
son buon compagnon,
Poi
faremo ambi in cantina,
Sul
bigonzo colation.
Guarda
guarda il mal matton.
Hor,
finendo il parlar nostro,
Car
fornar, son tutto vostro,
Poi
ch’in tutto v’ho dimostro
La
ricetta del matton.
Ed
aspetto la schiazzata
Senza
alcuna eccetion.
& non è ancor finita giacche la mattina dorpo si dipartorino per
una caccia infinita & ardita & anche un poco scondita…
Cinque
compagni un giorno andorno a caccia,
E
questi furno, se ben mi raccordo,
Un
senza piedi, un muto, un cieco e un sordo,
Ed
un che li mancava ambi le braccia.
&
TUTTI ASSIEM VEDEA LA BECCACIA!
E
mentre ogn’un di questi si procaccia
L’un
più de l’altro a la campagna, ingordo,
Cercando
non da pazzo o da balordo
Ma
da bon cacciator che si procaccia.
&
IL GUARDACCACIA ASSISO COME LA BECCACCIA!
Ecco,
for da un cespuglio appresso un fosso
Una
lepre smarrita ferma stare,
Tal
ch’ li andorno tutti cinqui addosso.
Il
sordo prima udì perché squassava
Le
foglie ov’era ascosa la meschina,
E
che tacesse ogn’un così parlava.
Ma
il cieco che guardava
La
vide che fuggir facea pensiero,
E
il muto gridò forte: “Cavaliero!”
Ond’essa
sul sentiero
Sbalzò
fuggendo lieve com’un vento,
Ma
il zoppo a seguitarla non fu lento,
E
in passi più di cento
La
giunse, perché il can l’aveva uccisa,
Onde
ciascun crepava dalle risa.
E
in più parte divisa
La
miserabil lepre in quella caccia
Di
bocca a il can la tolse il senza braccia.
Hor
parmi che si faccia
Un
consiglio fra lor senza tardare,
A
chi di lor la lepre abbia toccare.
Dice
il sordo: “Mi pare
Ch’ella
debba esser mia senz’altro dire,
Perché
di voi fui il primo a udire.”
“Tu
te ne poi mentire”,
Disse
il cieco, “E la è mia di ragione,
Perché
prima la vidi nel macchione”.
“Ed
io farò questione”,
Rispose
il muto, “Se a me non la dai,
Che
il primo fui che ‘cavalier!’ gridai”.
“S’io
corsi e la pigliai”,
Soggiunse
il zoppo con voce umil e pia,
“Perché
non deve dunque ella esser mia?
Questa
non è bugia,
Che
se voi stavi saldi, io sol voleva
Correrli
dietro, s’ella non fuggeva”.
Il
monchin poi diceva:
“Che
state a contrastare, oh voi, se tocca
A
me, perché la tolsi al can di boccha.
E
vo’ con quatte broccha
Cucinarmela,
e poi da noi mangiata
Sarà
la meschinella, s’a voi quata”.
All’hor
con faccia irata
Replicò
il sordo: “Ella è mia senza dolie,
Perché
prima l’udì fra quelle folie.”
E
con maligne voglie,
Voltossi
con molt’ira al senza braccia
E
lui li diede un pugno su la faccia.
Il
cieco, a tal minaccia,
Vedendo
i doi compagni in quella stretta,
Disse
col zoppo: “Andiam a far vendetta.”
All’hora
con gran fretta
Il
zoppo corse e seco si mischiava,
E
insieme ciaschedun si pettenava.
E
ben forte gridava il muto
Col
dire: “Aiuto! Aiuto!”,
Onde
un villan fu a quel rumor ridutto,
Qual,
essendo venuto
Fori
d’un bosco con il suo bastone,
Gridando:
“Perché fate voi questione?”
Ma,
avendo la tenzone
Udita
di costor, e lor sermone,
Si
risolse di far a quei ragione,
E
levando il bastone
Incominciò
con impeto e ruina
A
dare a ciaschedun su per la schina,
E
poi, con tal rovina,
Gridò:
“Fermate! Che con questo legno
Over
darete a me la lepre in pegno”.
E
quei, con poco ingegno,
Gli
dan la lepre in mano, oh che pazzia,
Esso
la tolle e poi si fuggi via,
Onde
con pena ria
Lasciò
quelli scherniti e star in forsi,
E
d’aspettarla ogn’uno si risolse.
Ma
poi ogn’un si tolse
Di
villa e ritornaron senza caccia,
Il senza piedi, il muto, il cieco e il sordo,
E
quel che li mancava ambi le braccia.
(G.C.C.)
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