giuliano

sabato 29 maggio 2021

IL RACCONTO DELLA DOMENICA, ovvero: VECCHIO E NUOVO TESTAMENTO (25)

 










Precedenti capitoli:


Dell'articolo della Domenica (24/1)


& l'Armonia del mondo (9/1)


Prosegue con...:


Una e più sepolture...


& una premessa sempre di Domenica








Se l’anima è sola davanti alla morte (io dò), il corpo è lasciato insieme alla Chiesa e alla famiglia. All’inizio del Medioevo, la legislazione ecclesiastica aveva esitato se dare la preferenza alla famiglia oppure alla parrocchia nella scelta della sepoltura: la famiglia ebbe il sopravvento. Dal Quattordicesimo al Diciottesimo secolo, la scelta della sepoltura s’ispira dunque a due considerazioni: la pietà religiosa verso la parrocchia, un ordine religioso, un santo, una confraternita - e la pietà familiare: Alla chiesa di Saint-Sernin, la sua parrocchia, nella tomba dei suoi antenati (1690); nel cortile della chiesa di Saint-Sernin dove sono le mie due sorelle (1787); nel cimitero dei Santi Innocenti nel luogo dove sua moglie e i suoi figli deceduti sono inumati (1604).

 

Se ci si limitasse alla letteratura testamentaria, si direbbe che il senso familiare fosse riservato al periodo post mortem. Sarebbe sbagliato? Allora la famiglia non era destinata ad inquadrare la vita quotidiana, interveniva soprattutto quando la quotidianità cessava, sia nelle grandi crisi della vita, sia nella morte. A partire dal Diciottesimo secolo, la famiglia è entrata nella quotidianità e l’ha occupata quasi per intero.



Così il carattere apparentemente familiare delle sepolture, dalla fine del Medioevo, è il segno di una tradizionale solidarietà collettiva più che l’espressione di un’affettività moderna. Perciò non bisogna leggere le clausole testamentarie con il sentimento di un uomo d’oggi.

 

E prima di tutto, che cosa significava: essere seppellito accanto ai propri antenati o alla moglie?

 

Dimentichiamo per un momento quel che la storia dell’arte c’insegna con abbondanza di particolari sulla scultura funeraria.

 

Le tombe materializzate attraverso un monumento, infatti, furono per lungo tempo assai rare e riservate ai più grandi della Chiesa, della nobiltà o della Toga. La maggior parte dei testamenti non parla di monumenti. Designa il luogo della sepoltura, ma spesso non si preoccupa di renderla visibile.

 

Il luogo della sepoltura resta anonimo.




Quando un testatore sceglieva la stessa sepoltura dei suoi antenati, o del suo coniuge, ciò non significava che sarebbero stati riuniti in una stessa tomba, ma che i loro corpi sarebbero stati nello stesso recinto religioso, in una zona designata dalle stesse devozioni, e non lontani fra loro. Si auspicava soltanto: il più vicino possibile: Nella Chiesa del Val-des-Écoliers, nel luogo della sua defunta moglie, o lì accanto (1401); Ai Santi Innocenti, vicino al luogo dove furono sepolti suo padre e sua madre, o altro luogo accanto ad esso (1407); il più vicino possibile, si dice spesso nel Sedicesimo e Diciassettesimo secolo. In compenso, si preciserà con grande abbondanza di dettagli il luogo, se è stato scelto a causa di una particolare devozione.

 

Dal Tredicesimo al Diciassettesimo secolo, diventerà sempre più frequente l’abitudine di designare, per mezzo di un’iscrizione, di un’immagine dipinta, di un monumento, il luogo preciso della sepoltura o anche solo la sua vicinanza: questi segni evocheranno la famiglia, con il blasone, con il ritratto dei defunti e dei loro figli inginocchiati.




Ma qui esamineremo un altro aspetto dell’evoluzione che sottrae i morti all’anonimato, e li riunisce in quel che diventerà, nel Diciannovesimo e Ventesimo secolo, in Francia, la cripta di famiglia: è la storia di una tomba collettiva e già familiare: la cappella funeraria. Questo nome, cappella funeraria, i contemporanei non lo conoscevano. Si diceva una cappella; si fondava o si concedeva una cappella, la quale comprendeva l’edificio, il culto che vi si celebrava con determinate intenzioni, il prete o cappellano che riceveva una rendita e, infine, la cripta con soffitto a volta, per uso funerario. Vi erano cappelle private, cioè di famiglia, e cappelle di confraternite.

 

Nel Diciassettesimo secolo, non si dice più soltanto cappella, e si parla piuttosto di cripta, come se l’uso funerario avesse il sopravvento. Nel 1604, i fabbricieri della chiesa di Saint-Jean-en-Grève concedono a Jérome Séguier, consigliere di Stato, presidente del Gran Consiglio, una cripta sotto e vicino all’altare della cappella costruita dalla parte del cimitero, col diritto di mettervi uno o più epitaffi, in considerazione del dono fatto dal detto Presidente di una vetrata per questa cappella. Senza dubbio, come era consuetudine, il presidente donatore si era fatto dipingere, in atteggiamento di preghiera, in un angolo della vetrata.




Questi segni visibili testimoniavano del carattere insieme funerario e familiare della cappella, senza che fosse sempre necessario aggiungervi un monumento più esplicito: l’intera cappella costituiva la tomba.

 

A Saint-Jean-en-Grève, nel 1642, i fabbricieri accordano ai tre figli di Jehan de Thimery di far trasportare il corpo del loro padre dal luogo dov’è inumato nella detta chiesa [in piena terra, ma forse dentro una bara di piombo] in una delle cripte sotto la cappella della Comunione che è la quarta ed ultima vicino alla porta che dà accesso agli ossari, per dimorarvi in perpetuo e mettervi i corpi della sua famiglia. Nella quale cappella i fabbricieri hanno loro permesso di far mettere un epitaffio secondo le disposizioni del detto defunto.




 A Saint-Gervais, nel 1603, il sire Niceron riceve dalla fabbrica il diritto di far costruire una cappella e oratorio a sue spese, da chiudere a chiave. La dama Niceron, i suoi figli, posteri e discendenti in perpetuo potranno, in questa cappella, ascoltare il servizio divino e farvi una cripta della stessa larghezza quando sembrerà loro opportuno e farvi inumare i corpi del detto sire, figli e congiunti. Spesso i membri della famiglia assistevano alla messa all’interno di questa cappella, su banchi che erano loro riservati, sopra i loro morti.

 

Un testamento del 1652 mostra come il bilancio di una cappella comportasse nel medesimo tempo la creazione della cripta e il mantenimento di un cappellano: il testatore vuole che dopo la sua morte il suo corpo e quello della mia dilettissima defunta moglie siano portati insieme nella mia chiesa di Courson e saranno posti entrambi nella cripta della mia cappella che vi ho fatto costruire a tale scopo e per mezzo di una donazione [...] a condizione che siano prese trecento libbre ogni anno [...] per il mantenimento di un cappellano il quale io voglio e intendo che celebri tutti i giorni dell'anno in perpetuo la Santa Messa nella mia cappella della chiesa del suddetto Courson in memoria mia e della mia defunta moglie.




Queste cappelle restavano di proprietà della famiglia. Eccone una che, nel 1661, apparteneva alla famiglia Thomas da più di un secolo. Charles Thomas, procuratore allo Chàtelet, vuole essere sepolto nella chiesa dei Reverendi Padri Carmelitani della piazza Maubert, nella sepoltura dei suoi antenati che è nella cappella di San Giuseppe, sotto una grande tomba [senza dubbio una grande lastra di pietra come ne esistono molte, con l’iscrizione: Sepoltura di X e dei suoi] [...] dove sono sepolti Jean Thomas e Nicole Gilles [...] suoi avi, l’avvocato Jean Thomas, ricevitore delle imposte e altre taglie a Nemours, e Pierrette Coussé, sua moglie, suoi genitori, del quale avo Jean Thomas c’è nella detta cappella un epitaffio di rame e marmo [distinto dalla grande tomba] il quale epitaffio porta la fondazione di una messa per ogni giorno di Venerdì in perpetuo alle ore nove, essendo trascorsi più di cento anni da quando il detto epitaffio è stato posato; nella quale sepoltura sono inumate anche Catherine e Marie Thomas sue sorelle.

 

Queste cappelle sono le uniche tombe di famiglia che l’ancien régime abbia conosciuto. Era consuetudine che le cappelle laterali delle chiese appartenessero ad una famiglia o ad una confraternita. Quando, a Nizza, la cattedrale fu ricostruita dalle fondamenta nel Diciassettesimo secolo, nel quartiere basso dove la città era slittata dalla cima della sua acropoli medievale, le cappelle laterali furono costruite sia a spese dei Doria, dei Turati, dei Torrini, sia dalle confraternite di muratori e tagliapietre.




Le cappelle laterali delle chiese ad uso funerario, anche suddivise, erano insufficienti, e non potevano diventare un sistema generale di sepoltura. Appartenevano a famiglie aristocratiche e ricche. Malgrado il loro scarso numero, corrisposero, nel Diciottesimo secolo, a un’immagine ideale della sepoltura, e infatti servirono da modello alle tombe dell'età romantica.

 

È noto che, alla fine del Diciottesimo secolo, in Francia fu vietata l’inumazione nelle chiese e nelle città: nuovi cimiteri furono creati alle porte di Parigi. Vi si costruirono due tipi di monumenti: alcuni, piccoli, destinati a un individuo o ad una coppia, s’ispiravano a forme antiche e a un simbolismo tradizionale, stele, colonna spezzata, sarcofago, piramide... Altri, più grandi, erano copie di cappelle gotiche ed erano destinati a una famiglia. Nel cimitero del Père-Lachaise, la prima di questo tipo, verso il 1815, è la cappella sepolcrale della

 

Famiglia Greffulhe, riprodotta nelle guide dell’epoca.




 Così, durante la prima metà del Diciannovesimo secolo, l’usanza della tomba di famiglia è divenuta comune, e questa ha preso la forma di una cappella.

 

Le prime tombe collettive dei nuovi cimiteri sono dunque state imitazioni su scala appena ridotta delle cappelle laterali delle chiese. In seguito, verso la metà del secolo, il procedimento divenne banale; la cappella fu miniaturizzata, ridotta a una piccola edicola, ma conservò le forme e gli elementi tradizionali, il cancello d’entrata, le vetrate, l’altare, i ceri e l’inginocchiatoio: Famiglia X. In queste tombe di famiglia, decine di corpi si sono talvolta accumulati per più di un secolo, con il consenso della legge. La forma della cappella gotica fu abbandonata alla fine del secolo.

 

Nel Diciannovesimo secolo e all’inizio del Ventesimo, e ancor oggi nelle classi popolari, i francesi testimoniano un grande attaccamento a queste tombe di famiglia in cui spesso riposano tre o quattro generazioni.



In un mondo che si trasforma, in una società mobile, la tomba è diventata la vera casa di famiglia. In una località della periferia parigina, solo pochi anni fa, una vecchia lavandaia aveva comprato in fretta, mentre era ancora in vita, la sua tomba, come un principe del Rinascimento. Aveva destinato questa tomba anche ai suoi figli. Un giorno, litigò col genero. Allora, per punirlo, lo scacciò dall’unico luogo che considerasse come suo in perpetuo: Gli ho detto che non sarà mai sepolto nella mia tomba.

 

Ecco, perciò, come si passa dalle cappelle dei donatori nelle chiese dal Quattordicesimo al Diciottesimo secolo, alle cripte di famiglia dei cimiteri contemporanei.

 

Fin dall’origine, la cappella privata è stata considerata come un luogo riservato alla famiglia e ai suoi morti. In uno dei testi sopra citati, si è osservato che l’acquirente di una cappella aveva fatto esumare il corpo di suo padre per trasportarlo nella sua cripta, dove sarebbero discesi a loro volta gli altri membri della famiglia. La sepoltura nella cripta riservata ad una famiglia contrasta con l’inumazione comune, solitaria e anonima. Il bisogno di riunire in perpetuo, in un luogo riservato e chiuso, i morti della famiglia, corrisponde a un nuovo sentimento che si è poi esteso a tutte le classi sociali nel Diciannovesimo secolo: l’affetto che lega i membri viventi della famiglia è riversato sui morti. Così la cripta di famiglia è forse l’unico luogo che corrisponda a una concezione patriarcale della famiglia, in cui sono riuniti sotto il medesimo tetto parecchie generazioni e parecchi nuclei familiari.

 

(P. Arles; quest’articolo è stato oggetto di una comunicazione al convegno sulla famiglia, Cambridge, Group for Population Studies, settembre 1969).

 




 

 

 


  

L'ARMONIA DEL MONDO: Frammenti (9)

 










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Di un maestro... (8/1)


Prosegue con il...:


Capitolo quasi completo,


ovvero: un RE leggermente più alto!


& Premature sepolture (11/2)








Il violino, risultato di un lungo processo di ottimizzazione nei secoli, passato attraverso le magiche mani di Gasparo da Salò, degli Amati, di Stradivari, di Guarneri, è lo strumento emblematicamente più perfetto, sia per la bellezza del suono, sia per la sonorità, soprattutto in considerazione delle piccole dimensioni e del peso. Il bel suono nasce, naturalmente, dalla straordinaria rispondenza delle risonanze della cassa alla gamma di frequenze che allo strumento si chiede di coprire.

 

In questo ventesimo secolo prosaico e materialista, che crede in poco oltre al denaro, non c’è paura che nessuna delle nostre meraviglie del violino sia associata all’arcidemone.

 

Possono essere considerati problemi fisici, ma il soprannaturale viene eliminato dallo studio.





Ma Paganini non visse nel ventesimo secolo, e ai suoi tempi il diavolo era un personaggio molto reale, nonostante il temporaneo rovesciamento di molte credenze attraverso la rivoluzione francese e l’intronizzazione della dea della ragione nella chiesa di Notre Dame, Parigi.

 

Può sembrare assurdo, ora, anche solo ricordare queste calunnie di un Paganini diavolo e assassino; ma dobbiamo fare i conti con l’ambiente di un grande genio, per studiare la causa del suo fallimento nel diventare grande come uomo; perché sicuramente era un grande personaggio. Che egli attraversi la maggior parte dell’Europa, inseguito da racconti di diavolerie e omicidi, è uno dei commenti più tristi di quel periodo; che il ferro è entrato nella sua anima e l’uomo capace di affetto è diventato un avaro e un misantropo, è ancora più triste.

 

È  l’olandese volante del violino.

 

Com’è stato che il diavolo e il violino sono entrati in relazione?




 Abbiamo l’autorità di Martin Lutero che il diavolo odia la musica. Lutero non solo credeva nel diavolo, ma credeva di vederlo: e nella stanza del castello di Wartburg si può ancora vedere il segno sul muro, dove lanciò il calamaio al demonio, che cercò di ostacolare la sua opera di tradurre la Bibbia.

 

È curioso che l’unico strumento su cui, per quanto ne sa chi scrive, Satana è stato rappresentato mentre suonava, sia uno dei precursori del violino.

 

C’è un pezzo di scultura nella Cattedrale di Amiens, raffigurante Satana che suona su una Vielle ovale a tre corde, del XIII secolo.

 

La storia di Tartini e del suo sogno, quando il diavolo suonava così meravigliosamente il violino, è nota a tutti, ed è, inoltre, perpetuata nella sonata Il Trillo del Diavolo. Si narra di Thomas Baltzar, il primo grande violinista mai ascoltato in Inghilterra, che quando suonava a Oxford stupiva tutti facendo scorrere le dita fino alla fine della tastiera. John Wilson, il professore di musica di Oxford, il più grande giudice di musica che sia mai stato, secondo Anthony à Wood, si è chinato ai piedi di Baltzar, secondo il suo modo umoristico, per vedere se era un diavolo o no, perché agì al di là e al di sopra delle capacità umane.

 

Dato che ciò avveniva nel 1658, c’erano delle scuse per l’oscura cupa simpatia; inoltre la musica aveva subito un’eclissi e gli artisti in questo paese erano relativamente pochi. Anche il gentile e garbato Corelli si è dimenticato di applicare il termine, diavolo, a un altro violinista.




Poiché la storia potrebbe non essere così conosciuta come quella precedente, la ripeterò brevemente. Nicolaus Adam Strungk (o Strunck), violinista di Ernest Augustus, Elettore di Hannover, quando a Roma (circa 1684) fece suo il compito di vedere Corelli. Presentandosi al maestro italiano come musicista, Corelli chiese quale fosse il suo strumento. Strungk rispose che poteva suonare con il clavicembalo e un po’ con il violino; ma desiderava particolarmente ascoltare Corelli su quest’ultimo strumento, la sua fama era ampiamente nota.

 

Corelli acconsentì cortesemente e suonò un pezzo all’accompagnamento di clavicembalo di Strungk. In seguito Strungk suonò una toccata, con la quale Corelli fu così rapito che mise da parte lo strumento per il fascino musicale udito. Quando Strungk ebbe finito di suonare il clavicembalo, prese il violino e iniziò a maneggiarlo con noncuranza, dopodiché Corelli osservò che aveva una buona mano d’arco e non voleva altro che la pratica per diventare un maestro del suo strumento. In quel momento Strungk stonò il violino, e suonò con tanta destrezza, tentando le dissonanze provocate dal miscuglio con tanta abilità, che Corelli gridò in un tedesco stentato:

 

Mi chiamo Arcangelo, un nome che nella lingua del mio paese significa un Arcangelo; ma lascia che ti dica che tu, Signore, sei un Arcidemone!




Il suono del pianoforte di Beethoven e le sue composizioni hanno portato i costruttori di quello strumento a estendere la sua bussola; Liszt ha aperto la strada a un nuovo sistema per pianoforte, con effetti fino ad allora inimmaginabili, e l’impulso è venuto da Paganini. Nessun altro esempio è ricordato nell’intera storia della musica e i suoi innumerevoli interpreti, come lo strumento di un violino che rivoluziona in modo assoluto l’interpretazione musicale del pianoforte. Ho già accennato a Liszt a Parigi, di come, depresso e sofferente, si ritirò dall’arte e si seppellì in solitudine. La rivoluzione del 1830 lo destò, ma fu Paganini a riaccendere la fiamma dell’arte.

 

Ciò per cui i poeti dell’epoca si sforzavano nelle loro produzioni letterarie - libertà di forma e di soggetto - lo vedeva qui nel campo della riproduzione della musica. Con tutto ciò i gravi difetti e l’unilateralità delle capacità e del genio del grande violinista non sfuggirono al giovane pianista. Lo misurava in base agli ideali della cultura artistica che brillavano davanti ai suoi occhi. Riconosceva chiaramente l’enorme influenza che Paganini esercitava su di lui e vedeva quanto umana fosse la missione dell’artista - si risvegliò la consapevolezza che la cultura artistica è inseparabile dalle simpatie umane, affinché un uomo possa diventare un grande artista.

 

Questa convinzione trasse dalle sue labbra le parole orgogliose ma nobili Génie oblige.




Ora, per quanto riguarda l’accordatura di Paganini, il suo strumento è un semitono più alto del tono normale. Sarà ammesso che le diverse tonalità hanno qualità distintive, alle quali alcuni musicisti sono più sensibili di altri. Alcuni lo chiamano key-color preferisco l’espressione key-character. Sul violino alcuni tasti sono più sonori di altri. L’effetto può essere in parte mentale, e credo, anche se posso sbagliarmi, che un violinista suona con una sensazione diversa nella tonalità del Mi, rispetto a quella che sarebbe eccitata dalla chiave di Mi bemolle, e questo a parte l’estetica importazione della composizione stessa. In molti concerti i violini del coro - se così posso chiamarli - a volte suonano le stesse note con il solista, e assorbono così il tono di quest’ultimo che l’ascoltatore può sentire solo la massa del tono del violino.

 

È documentato che Paganini non è mai stato sopraffatto dai “tutti” PER TUTTI i pezzi che ha suonato (e scritto), anche se alcuni scrittori dicono che il suo tono non era eccezionale per il volume. La spiegazione può essere dedotta per quanto segue. Paganini aveva un’organizzazione musicale quasi morbosamente acuta, un acuto senso dell’udito, in cui assomigliava a Mozart e Berlioz. Paganini ha scritto la parte solista del suo primo concerto in Re (accordando il violino un semitono più alto) e le parti orchestrali in Mi bemolle.

 

Perché?




Non perché il Re fosse una chiave più facile da suonare, né perché alcuni passaggi se visti come in Mi bemolle erano meraviglie di esecuzione; ma perché sentiva la differenza nella “potenza” delle due chiavi. La Sinfonia di Mozart per violino e viola, con orchestra, è in mi bemolle, ma la parte viola è in re, e lo strumento doveva essere accordato un semitono più alto… ma la domanda rimane: il modo di suonare di Paganini ha portato un beneficio permanente all’arte?

 

Aveva un’influenza permanente e, in tal caso, era ed è ancor oggi per sempre?

 

Per adoperare un aspetto materiale, fu grazie a Paganini che la fama di Joseph Guarnerius fu pubblicata fuori dall’Italia. I nomi di Amati e Stradivarius divennero gradualmente familiari al mondo musicale, ma Guarnerius, nelle mani di un Paganini, uscì alla fine dal proprio confine geografico.

 

Questo illustre violino era spesso accreditato del fascino che apparteneva all’esecutore; gli effetti magici e ceppi sublimi che egli ne traeva, doveva, si pensava, riposare sul violino. Ogni aspirante violinista, i cui mezzi gli permettevano di indulgere nel lusso, cercò di assicurarsi uno strumento del grande Guarnerius o una Stradivari. La richiesta così sollevata ha portato alla luce quelle gemme dell’arte del liutaio ora in possesso di ricchi dilettanti e di pochi professori. Quando le varie opere del dotato Guarnerius furono portate alla luce, fu avvertita molta sorpresa che tali tesori dovessero essere conosciuti solo da una manciata di oscuri artisti divinatori di Dio, principalmente nelle chiese e Templi d’Italia.

 

Seppur venerati al di fuori della loro piccola patria!










domenica 23 maggio 2021

PREDICA DELLA DOMENICA: Ventinove anni dopo

 










Precedenti capitoli:


Circa gli Elementi (profanati)...


...Ancora 29 anni dopo...


& Taluni approfondimenti (2)


Prosegue con...:








Paganini, il maestro non si ripete... (8)








È difficile, se solo conoscessero cosa è la mafia in ogni luogo e come sempre espleta le proprie funzioni diligentemente distribuite per gradi e logge, e cosa – all’opposto - dovrebbe essere uno Stato ‘democratico’ e di Diritto che l’avversa (o dovrebbe), il celebrarne (con la coscienza che dovrebbe contraddistinguere la volontà di migliorare e non certo adoperarsi per ugual intenti i quali hanno per gradi causato il fatto celebrato!) una data per chi caduto (servendo lo Stato come il Diritto d’ognuno) - e non certo inciampato - nella sua trappola (di congiunte e mai disgiunte ‘mafie’).

 

E di cui ancora, dopo tanti anni a Ragione continuiamo nel sostenere che tanto lo Stato quanto i mafiosi, in ogni luogo ove indistintamente ubicati: dalla cascina dal nord al sud & dal sud al nord equamente distribuita in ugual concetto di famiglia (& mafia associata), a medesima  simmetricamente approdata - laggiù nel nord -, qual anarchica grande famiglia (nominata leghista associata alla Forza dell’Italia) protesa nell’inarrestabile industriosa opera senza limite alcuno per il danno apportato nell’equivalenza dedotta e [simmetricamente] raggiunta (ne più ne meno del vasto concetto di mafia); composta di parità d’intenti verso il capitale umano, inteso come il Diritto di partecipare equamente al bene comune, e per bene comune in questo antico dire, vogliamo intendere il bene d’ognuno esteso, non più in termini di ricchezza selvaggia e a breve termine (così come la mafia si contraddistingue) saggiamente e/o ‘sommariamente’ distribuita; bensì equità nel benessere tradotto come ricchezza di vita in ogni risorsa profanata, tanto dal mafioso quanto dalla grande famiglia in nome e per conto dell’anarchica industria nominata economia (il solo principio di economia per coloro signori uniti nell’impresa sussiste quando tradotta e distribuita nel concetto materiale di capitale e profitto unito, quindi ed altresì quotato con vasto margine di consenso al pil ottenuto indistintamente da codeste grandi famiglie celebrate per ogni passato e futuro tribunale…), beninteso con il consenso dello Stato preso in ostaggio e abdicato al pizzino numerato della loggia con vista riservata verso il vasto palcoscenico.

 

O meglio mi correggo, con il politico (incaricato dallo stesso), attore del vasto palcoscenico interpretato, non certo uomini illuminati (da una più elevata divinazione senza ispirata sceneggiatura) circa il proprio ed altrui dovere votato, bensì regi comici regnanti sino alle più alte e magistrali interpretazioni (comiche) rettamente distribuite per città paesi e fiere (tralasciamo Cime e Vette rischiamo di intasare i vari piani di salita  dell’alcolico spirito celebrato e di nuovo incarnato nella propria inarrestabile discesa Rifugio del Karma), che pur li contraddistinguono al botteghino del dovuto incasso (detto anche vitalizio, celebre al cornetto, ovvero che mangino pane avariato e non ci rompano le Ball…).

 

Si badi bene, parliamo di comici e capicomici e impareggiabili registi (sempre onesti ciarlatani e innumerabili vitalizi sino oltralpe), siano essi occulti (mandanti), che palesi derivati (quasi intoccabili), come i buoni prodotti che talvolta, seppur ben distribuiti e consumati dalla famiglia e alla parabola d’ognuno connessi, apportare il comune cancro non ben certificato ne evidenziato nell’involucro confezionato, e altrettanto ben raccomandato:

 

Vota il comico non men del capocomico per dovere dell’Euro di Stato, giacché sulla certificata ‘confezione’ dall’Europa unita risulta il miglior prodotto della piazza (o del Tempio del Dio denaro senza soluzione di continuità per il concetto e dovere nel più esteso diritto alla vita privata del morbo nominato cancro).    

 

Eppure figliuolo, direbbe il ‘direttore’ Generale sceso dalla collina: la battaglia bisogna pur vincerla, lo sporco nemico invisibile e ancor più astuto di prima, una sporca guerra insomma: il morbo colpisce ognuno e tutti gli altri (morbi) son Nessuno

 

Ricorda figliolo…:

 

“Nessuno per l’appunto fece il suo ingresso, fu cantato da un cieco (senza vitalizio alcuno), e seppur Nessuno lo conosceva o voleva conoscere, giacché si disse sempre in Viaggio, le gesta contro il grande Polifemo furono opere non certo comiche ma l’inizio della tragedia dell’uomo accecato dall’odio”…

 

“Poi fu la volta di David anche lui Re in perenne Viaggio, ma il grande Generale oppure grande Fratello, dipende molto dall’isola scelta nella millenaria discordia, seppe bene come al meglio applicare il retto giusto guadagno nell’errata concezione oppure intendimento della Filosofia: ossia il grande Capitale ottiene doppia Ragione del proprio essere (e profitto quotato onestamente in Borsa) nel momento bellico successivo all’atto magistralmente interpretato da ugual medesimo attore comico di stato, per la pace d’ognuno”.

 

Il capocomico applaude e raccomanda replica!




 Quindi da Nessuno quale sono e per di più nominato Giuliano mi astengo come antica consuetudine a danze balletti spettacoli -  da divan spettacolo - commedie e replicate comiche da replicanti interpretate…

 

Preferisco Elementi (seri) e/o alimenti al naturale, senza additivi aggiunti, odio anche le mascherine di platea come quelle di galleria, seppur son Capaci d’ogni magistrale interpretazione alla poltrona numerata cui la vita d’ognuno destinata.

 

Odio i baccanali di corte che ci affliggono per ogni Notizia equamente o iniquamente detta - fors’anche negata (così come ogni Verità apostrofata o taciuta e da codesti comici interpretata), sagre e culti dionisiaci, corse di giostre meccanizzate e palle lanciate in aria come razzi da Leonardo progettati in fase di trans-izione (mai sia detto trans…); credo che la verità regna e dimora solo nel vasto mondo predato di Madre Natura…      

 

Quindi, come dicevo e dico ancora, mi par una vera indecenza che cotal Costanzo interpreti, seppure dicono imperatore di Stato, la morte di un più retto Sovrano (da Madre Natura comandato) negato al vero atto della Storia da ogni maestro del Tempio del dio denaro!

 

Il Dramma, se ben ricordo, e non certo Commedia dai tragici toni sarà scritta da un certo Shakespeare (hora non ne abbiamo coscienza collettiva al teatro di Costanzo!), quindi l’amletico divenire, dell’essere al non essere veicolato e partecipato, per retta interpretazione circa la saggia pazzia la qual raccomanda tal dire, dispensata - se ancora ci è concessa parola in codesto grande Formicaio, mi appare più che un dovere (in onor dello Stato oltraggiato) nel rilevare l’inganno!

 

Dicevo, all’inizio di cotal predica della Domenica, che dovrebbe essere difficile, senza scadere nella comica farsa da paese in fiera, celebrare chi caduto per vil mano, chi cioè, avvelenato ‘dallo e nello’ Stato (taluni ecologisti dell’ultimo hora e dell’avvento, parlano di animali talpe e uomini lupo, noi di rimando a loro rispondiamo in onor di Plutarco: “sosteniamo che arrechiamo grave torto all’animale impropriamente nominato, giacché l’atto del tutto corrisposto dall’umano, o meglio dalla coscienza di ciò che rimasto dell’umano regredito alla bestia; cioè da quando – anche lui bestia - fagocita ogni essere vivente di questa Terra - o ogni Pianeta dell’Universo intero, beninteso condizione necessaria e sufficiente sussistere nel movimento, giacché se fosse immobile sarebbe ignorata, si guardi alle grandi steppe della Russia unita, ebbene l’immobilità assoluta confinata e premiata”…); ed in qual Tempo esentato da qual si voglia principio Filosofico scritto e/o suggellato nell’apparente paradosso, pontificarne il degrado appetibile, o meglio suscettibile ad ogni degrado edificato, e successivamente recitato non più da un comico, e chi l’ha comandato e diretto, bensì replicato da onesti pregiudicati ciarlatani ambulanti per ogni terra e cantiere…

 

Non meno del - giusto consapevole - senso economico compiuto, così come si dovrebbe rettamente costruire ogni essere cogitante, raggiungere (in congiunto passo) il grado di ricchezza  distinto da falso benessere interpretato (al teatro regio) in onor della moneta unica…

 

Anche la moneta coniata risulterebbe falsa come il resto dell’intera (nostro malgrado) Compagnia! 

 

Che Costanzo, il retto saggio grande Costanzo da ognun proclamato non più Santo, ma Primo Interprete da palcoscenico Sovrano, maschera funeraria in perenne ammonimento, aprire la Strada (ed ogni cantiere della futura Storia & Natura vilipesa ed oltraggiata) per ciò di cui la moneta coniata perirà per proprio arto non ancor mano (giacché ove coniata non può dirsi disgiunta dal ferro o oro con cui creata) al rovescio del retto profilo inciso, e posta, alla destra della mano di comando…  

 

Qualcuno (inizia a Cogitare in più elevato sentimento animato) di rimando, dal fondo della platea, Nessuno e innominato, senza più trono né scettro di comando, neppure da valido o invalido regista accompagnato apostroferà:

 

Contromano!  

 

Mano di comando Contromano al retto senso di marcia esulare dal fattore pandemico seppur ben interpretato, anche la pandemica mascherina nutre il proprio Teatro, per ciò cui Costanzo Imperatore giammai votato circa il bene d’ognuno dispensato seppur… negato!

 

I frutti dell’Imperatore saranno equamente seminati, rimembriamo un suo non lontano antenato cedere - non volendo - lieto passo accompagnato ad un futuro calvo, seppure grandi interpreti della Storia, dalla indiscussa statura umana e non certo divina coniata di profilo e incisa nella moneta unica custodita (seppur irrimediabilmente falsa come l’intera comica farsa), lo tramandano piccolo, basso di statura, e anche un po’ inetto… seppur grande sovrano e monarca di Stato.

 

L’errore nutre il fallace sbaglio dal grande ineguagliato Atto: seppure il comico di alto profilo ci condurrà al delirio da ognun agognato, mentre il passo lento dell’oca avanza ed interpreta Frammento e Parola senza lasciare lacuna alcuna della Secolar Opera; distribuisco e proclamo Verità senza palco alcuno, chi per sua natura fu elevato dal Dio che al meglio lo informò circa il destino d’ognuno.

 

E seppure questa appare una Eresia, cominciamo veramente a credere che l’Universo parla e cogita così come ogni Filosofo e non solo greco lo immaginava, giacché hora cotal divinazione impossibile dacché c’è chi lo immagina ed interpreta per noi!

 

Comunque dicevo, così come la Terra continuò l’inarrestabile evoluzione letta nella perfezione della corretta rotta a danno d’ogni dinosauro solcare impropriamente la propria ed altrui sfera compresa Madre Natura ed ogni Elemento da Lei derivato compresa la Madonna; ne interpretiamo ereticamente la virulenta meteora del male da Lei in propria  sollecita risposta e difesa partorito, per ciò cui intendiamo l’errore del dinosauro amico di suo fratello umano e Costanzo divenuto nella impropria errata evoluzione per ogni parabola satellitare a reti unificate dell’Universo intero rettamente connesso & distribuito,... e da un comico interpretato… 

(Giuliano)







venerdì 21 maggio 2021

[i quattro Elementi] PROFANATI DALL'UOMO (7)

 










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I quattro Elementi (6/1)  


Prosegue con un racconto


& una Predica... 


(sempre di Domenica)


& Paganini, il maestro non si ripete, ovvero: GLI ORFEI (8)








Per la maggior parte degli eventi influenzati dal cambiamento climatico, l’equilibrio si è spostato nella stessa direzione. Cioè, l’aumento delle temperature ha reso l’evento in questione più grave o più probabile che si verifichi.

 

Nel 10% degli eventi meteorologici estremi e delle tendenze studiate, gli scienziati non hanno riscontrato alcuna influenza visibile dall’attività umana. Per un ulteriore 11%, i dati osservativi o le tecniche di modellazione utilizzate nello studio erano insufficienti per raggiungere una conclusione affidabile (mostrata in grigio nella mappa e nel grafico a torta).

 

Nel 9% degli eventi meteorologici e delle tendenze studiati, gli scienziati hanno scoperto che il cambiamento climatico aveva reso l’evento meno probabile o meno grave.

 

Dei 132 studi di attribuzione che hanno esaminato il caldo estremo in tutto il mondo, 122 (92%) hanno scoperto che il cambiamento climatico aveva reso un tale evento più probabile o più grave. Nessuno studio ha rilevato che un’ondata di caldo fosse stata resa meno grave dal cambiamento climatico, mentre due studi (2%) non hanno identificato alcuna influenza e altri otto (6%) non sono stati conclusivi.




Uno studio suggerisce che l’ondata di caldo coreano nell'estate del 2013 era diventata 10 volte più probabile a causa dei cambiamenti climatici, ad esempio. Gli studi sul caldo estremo che non hanno trovato un ruolo per il cambiamento climatico sono stati un’analisi dell’ondata di caldo russa nel 2010 e uno studio di attribuzione rapida delle alte temperature di tutti i tempi registrate nel Rajasthan, in India, nel maggio 2016. Per quest’ultimo, gli autori ha suggerito che la mancanza di una tendenza rilevabile potrebbe essere dovuta all’effetto di mascheramento degli aerosol sul riscaldamento globale e all'aumento dell'uso dell'irrigazione.

 

Sebbene le ondate di calore siano l’evento estremo più studiato nella letteratura sull’attribuzione, stanno diventando sempre meno interessanti per i ricercatori, osserva un articolo di Bloomberg del 2020. Il dottor Friederike Otto direttore ad interim dell’Environmental Change Institute presso l’Università di Oxford e co. -leader di World Weather Attribution, un consorzio di organizzazioni scientifiche fondato nel 2014 per fornire informazioni tempestive e scientificamente affidabili su come le condizioni meteorologiche estreme possono essere influenzate dai cambiamenti climatici, ha detto a Bloomberg che il consorzio ha scelto di non indagare sull’ondata di caldo record della California di quell’anno poiché le prove sono incontrovertibili.




Una regione particolarmente ben studiata per le ondate di calore in letteratura è l'Australia, che rappresenta l’11% degli eventi legati al calore inclusi qui. E si è scoperto che il cambiamento climatico ha un ruolo in tutti i 14 eventi di calore australiani studiati tranne uno. Vale la pena notare per quell’evento, tuttavia, che sebbene lo studio fosse inconcludente per la città di Melbourne nel sud-est dell’Australia, gli autori hanno rilevato un’influenza umana sul caldo estremo lungo la costa di Adelaide.

 

Ciò solleva alcuni punti importanti. In primo luogo, scoprire che il cambiamento climatico ha contribuito a un evento non è la stessa cosa che dire che ha causato quell’evento. L’attribuzione consiste nel capire se la probabilità o l’entità di un particolare evento che accada ora è diversa da come sarebbe in un mondo che non si stava riscaldando.




 Un’analogia utile - come spiegato nel primo rapporto BAMS nel 2012 - è quella di un giocatore di baseball che inizia a prendere steroidi. Se il giocatore inizia a colpire il 20% in più di fuoricampo rispetto a prima, non sarebbe possibile dire con certezza se un particolare fuoricampo sia dovuto agli steroidi o all’abilità spontanea del giocatore. Ma è possibile dire come gli steroidi abbiano alterato la probabilità che il giocatore colpisca un fuoricampo, confrontando le loro prestazioni attuali e storiche.

 

Come dice il rapporto:

 

Dato che gli steroidi hanno determinato un aumento del 20% delle possibilità che un particolare swing della mazza del giocatore si traduca in un fuoricampo, potresti fare una dichiarazione di attribuzione che, a parità di altre condizioni, l’uso di steroidi ha aumentato la probabilità quel particolare evento del 20%.




Un altro punto importante è che nei casi in cui la scienza dell’attribuzione rileva che il cambiamento climatico sta rendendo più probabile un dato tipo di condizioni meteorologiche estreme, non ne consegue necessariamente che la possibilità di sperimentare quel tipo di tempo aumenti gradualmente ogni anno. La variabilità naturale significa che ci saranno ancora alti e bassi nella forza e nella frequenza degli eventi estremi.

 

Infine, di solito c’è un livello di fiducia associato ai risultati dell’attribuzione. Quindi, mentre due studi potrebbero entrambi trovare un ruolo per l’influenza umana in un dato evento meteorologico, il segnale potrebbe essere più forte per uno rispetto all’altro. Ai fini di questa analisi, la mappa di attribuzione non distingue tra risultati di confidenza alta e bassa, ma gli utenti possono fare clic su ogni studio per maggiori dettagli.




 Degli 81 studi per esaminare le precipitazioni o le inondazioni, 47 (58%) hanno scoperto che l’attività umana aveva reso l’evento più probabile o più grave, una percentuale molto inferiore rispetto agli studi sul calore. Nove studi (11%) hanno rilevato che il cambiamento climatico aveva reso meno probabile che l’intero evento si verificasse. Dei restanti studi sulle piogge abbondanti, 15 (19%) non hanno trovato prove di un legame con il cambiamento climatico, mentre 10 (12%) non sono stati conclusivi.

 

Il fatto che ci sia un insieme più diviso di risultati per le precipitazioni estreme che per le ondate di caldo potrebbe suggerire diverse cose. In alcuni casi, dati limitati potrebbero rendere difficile rilevare un chiaro segnale del cambiamento climatico al di sopra del rumore del tempo considerato normale per una particolare regione. In altri casi, un risultato inconcludente potrebbe riflettere il fatto che le precipitazioni o gli eventi di inondazione sono intrinsecamente più complessi delle ondate di calore, con molti modi in cui la variabilità naturale può svolgere un ruolo. Anche i fattori umani, come l’uso del suolo e il drenaggio, giocano un ruolo nel determinare se le forti piogge portano ad inondazioni.




Prendiamo ad esempio il Regno Unito. Mentre uno studio ha rilevato che il cambiamento climatico aveva aumentato il rischio di inondazioni in Inghilterra e Galles nell’autunno 2000 di almeno il 20% (e anche fino al 90%), un altro ha riscontrato poca influenza sulle piogge estive nel 2012.

 

Ciò solleva un altro punto importante. Quando si tratta di interpretare i risultati degli studi sull’attribuzione di eventi, è importante quale sia la domanda. Ad esempio, uno studio del 2013 ha chiesto se le recenti estati umide nell’Europa nordoccidentale fossero una risposta al ritiro del ghiaccio marino artico. La risposta dallo studio è stata ‘no’. Ma, come spiega una premessa del rapporto BAM di quell’anno:

 

Dati i numerosi modi in cui il cambiamento climatico potrebbe influenzare le precipitazioni in questa regione, un risultato ‘no’ per il ruolo del ghiaccio marino artico non dovrebbe essere interpretato come un’assenza di alcun ruolo per il cambiamento climatico.




 Questo è simile a un argomento fatto dal dottor Kevin Trenberth, illustre scienziato senior presso il National Center for Atmospheric Research, e colleghi in un articolo sulla prospettiva sul cambiamento climatico della natura nel 2015.

 

Il documento rileva che, in un sistema meteorologico caotico, le complesse dinamiche dell’atmosfera indicano che le dimensioni e il percorso di una tempesta o di un evento di forti piogge hanno un grande elemento di probabilità. Ciò può rendere difficile identificare dove si inserisce il cambiamento climatico, potenzialmente sottovalutandone l’influenza.

 

Pertanto, piuttosto che analizzare i modelli meteorologici che portano una tempesta in un’area, gli autori sostengono che gli scienziati dovrebbero guardare a come l’impatto di quella tempesta è stato potenziato dai cambiamenti di temperatura - noti come effetti termodinamici. Temperature più elevate significano mari più caldi, livelli del mare più alti e più umidità che evapora nell’atmosfera. Questi sono cambiamenti in cui gli scienziati possono essere più fiduciosi, scrivono gli autori, e quindi dovrebbero essere al centro degli studi di attribuzione, piuttosto che guardare ai cambiamenti nei modelli di circolazione nell’atmosfera….

 

(CarbonBrief)