giuliano

mercoledì 4 aprile 2018

IL SACRIFICIO (10)


















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La (co)scienza dell'Universo sottratta all'umana violenza (9)

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Il Sacrificio ovvero: sfidare la violenza (11)














Il problema del controllo della violenza emerge ora più che mai in tutta la sua gravità: se ‘quella strana attività che chiamiamo ‘guerra’ poté vedere la luce, evidentemente erano già stati sviluppati meccanismi che preservano dai comportamenti aggressivi un’area ben delimitata, i cui confini non hanno nulla di naturale:  

La guerra si sviluppa in maniera evidente tra gruppi molto vicini, ossia tra uomini che nulla obiettivamente distingue sul piano della razza, del linguaggio, delle abitudini culturali. Tra l’esterno nemico e l’interno amico, non c’è reale differenza e non si capisce come dei montaggi istintuali potrebbero spiegare la differenza di comportamento.  




Affermare che esiste un istinto naturale a preservare i propri congiunti è evidentemente privo di senso, dal momento che, come è ben visibile, tra gli umani l’assassinio intrafamigliare esiste, anche se non è la regola. Si deve quindi supporre che, proprio quando l’aumento dell’aggressività mimetica ha messo ha rischio la nascente specie umana, un meccanismo nuovo si sia innescato; si tratta, secondo Girard, del fenomeno della vittimizzazione del capro-espiatorio:

Oltre una certa soglia di potenza mimetica, le società ‘animali’ diventano impossibili. Questa soglia corrisponde dunque alla soglia di apparizione del ‘meccanismo vittimario’; è la soglia dell’ominizzazione.




Tale meccanismo non è del tutto assente negli animali; Girard cita a riguardo alcune notissime osservazioni di Lorenz:

Quando due oche avvicinandosi mostrano segnali di ostilità, il più delle volte convogliano la loro aggressività reci-proca contro un oggetto terzo.

Questo comportamento cementa il legame tra gli individui dal punto di vista che,  scrive Lorenz, ‘l’aggressività discriminatoria verso gli estranei e il vincolo fra i membri del gruppo si intensificano a vicenda’.

Tale fenomeno può essere considerato come il primo abbozzo del futuro meccanismo vittimario proprio nel suo ruolo di forza ‘idraulica’ che tende a scaricare l’aggressività interindividuale su terzi, ma l’insufficiente potenza mimetica di cui sono dotati gli animali non-umani impedisce che al processo partecipi l’intero gruppo.




Non scatta cioè, negli animali, quel meccanismo che sembra essere il vero segreto dell’umanità, ossia l’omicidio collettivo; perché ciò accada, è necessario che la crisi dovuta alla rivalità tra due individui sfoci in quella lotta generalizzata di tutti contro tutti che, secondo l’intuizione hobbesiana, costituisce la minaccia gravante in permanenza sui gruppi umani.

L’inizio dell’umano deve perciò essere posto nel momento di massima crisi, al culmine di quell’implosione sociale che colpisce un gruppo ormai incapace di conformarsi ai ‘dominance patterns’, così efficaci per animali dotati di una potenza mimetica inferiore. Nulla, nella costituzione umana, mira a quest’inizio: è altamente probabile che molti gruppi non abbiano una soluzione né istintuale né culturale al problema e si sono semplicemente estinti. Ma alcuni gruppi hanno trovato il mezzo per sopravvivere proprio nel momento più difficile, ridirigendo la violenza di tutti contro tutti verso un unico individuo. Proprio la potenza della mimesi ha convogliato su un’unica vittima gli impulsi violenti: la violenza indiscriminata ha prodotto un fenomeno di capro-espiatorio, ossia l’uccisione collettiva di un ‘unico’ individuo che si è trovato a essere in condizione di estrema debolezza, non difeso da nessuno.




Si tratta della tesi girardiana del ‘linciaggio fondatore’, da lui elaborata in relazione alla nascita di un ordine culturale dopo una crisi ma applicabile anche alla nascita dell’umano in senso assoluto, a partire da crisi remotissime intervenute nelle prime fasi dell’evoluzione, quando l’accresciuta potenza imitativa appena conseguita con l’incremento delle facoltà cerebrali ha infranto l’equilibrio sul quale si fondavano i gruppi pre-umani.

Non vi è ragione per pensare che la violenza sia in grado di dirigersi da sé verso l’esterno: al contrario, la rabbia, quando ci si abbandoni a essa, è centripeta. Più è esasperata, più tende a orientarsi verso gli esseri più vicini e più cari, quelli che in tempi normali sono meglio protetti dalla regola della non-violenza. E’ fondamentale comprendere come Girard non riconduca il problema del sovrappiù di aggressività degli esseri umani a un inspiegabile ‘istinto’, a una tendenza al male innata nell’essere umano: ‘esso fa tutt’uno con il sovrappiù di mimetismo legato all’accrescimento del cervello’.




Gli umani non sono né più buoni né più malvagi degli altri animali: semplicemente, imitano più intensamente, portando così all’estremo sia gli elementi positivi della facoltà di apprendere dai propri simili sia quelli negativi consistenti nello scatenare conflitti privi di soluzione pacifica. Se le rivalità umane hanno assai di frequente quale risultato finale l’assassinio, come è largamente constatabile, le teorie che postulano un accordo con cui gli umani avrebbero deciso di sospendere la violenza peccano di ingenuità: nell’escalation della violenza la probabilità che i contendenti si siedano intorno ad un tavolo per fissare regole e divieti è nulla.

Porre quindi l’origine delle società umane in un ‘patto sociale’, come hanno fatto per secoli filosofi contrattualisti, è indulgere a una visione eccessivamente razionalistica delle cose umane. La violenza può essere fermata solo da un evento dal forte impatto emotivo, che doni la pace al gruppo quasi senza che gli umani sappiano come e perché. Il carattere congetturale di questa ricostruzione è potenzialmente rafforzato dall’esame dei miti fondatori dei popoli dell’intero pianeta: all’inizio vi è, quasi sempre, un omicidio, dal quale sono scaturite le istituzioni sociali e, in primo luogo, ‘la religione’ con i suoi riti e i suoi divieti.




Per spiegare l’assoluta preminenza del religioso nelle società arcaiche e, al suo interno, di riti di distruzione quali il sacrificio, è necessario formulare l’ipotesi che l’atto fondativo del sacro abbia coinciso con l’origine della società stessa e sia stato un atto violento. Possiamo cioè supporre che, all’apparire di una prima crisi di violenza interna, il parossismo mimetico abbia portato la collettività a far convergere l’aggressività verso un ‘unico individuo’, ucciso unanimemente da tutti gli altri: la furia, oramai priva di un oggetto, cessa improvvisamente, provocando un mutamento emotivo talmente brusco da far concentrare tutta l’attenzione del gruppo sulla vittima. Essa viene vista come responsabile dello straordinario passaggio dall’eccitazione alla calma, assumendo così agli occhi dei suoi linciatori uno ‘status’ del tutto eccezionale, preludio alla sua collocazione in una categoria differente da quella degli individui comuni.




Davanti al cadavere della vittima si ha l’inizio del sacro, da intendersi come la categoria dell’assolutamente eterogeneo. L’ambivalenza dei sentimenti provati dalla vittima, prima accusata e fatta a pezzi, poi ritenuta autrice della rinnovata concordia sociale, spiega la duplice natura del sacro, al tempo stesso malefico e benefico. La calma ritrovata può, però, essere nuovamente perduta con grande facilità; la vittimizzazione del capro-espiatorio è insufficiente a spiegare la stabilità dei gruppi umani, a meno che non sia possibile ricavarne un meccanismo capace di prolungare la durata dell’effetto pacificatore. Tale pratica, attestata presso tutte le civiltà, è il sacrificio, che può essere definito come la prima manifestazione della religione e, con essa, dell’intera cultura.

La classificazione degli esseri dipende, nella prospettiva di Girard, dalle pratiche sacrificali, prima scuola di pensiero dell’uomo e luogo in cui si sono forgiati gli strumenti intellettuali che hanno caratterizzato la successiva evoluzione. Sarà dunque qui che andrà ricercata la prima origine del giudizio con cui l’uomo si attribuisce le prerogative divine, trasceglie e separa se stesso dalla folla delle altre creature, fa le parti agli animali suoi fratelli e compagni, e distribuisce loro quella porzione di facoltà e di forze che gli piace.

 (M. Calarco, di fronte al volto degli animali)
















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