giuliano

lunedì 27 settembre 2021

LA PERCEZIONE DELLA REALTA' ovvero, IL PATRIMONIO NATURALE (45)

 






























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Circa il patrimonio naturale (44)


Prosegue ancora con...:


La percezione della realtà,


ovvero, LA CREAZIONE


Fra Verità & Menzogna (47)


& la realtà della percezione (48/51)









La maggiore quantità e qualità dei dati telerilevati multi-piattaforme ad accesso aperto e le nuove capacità di elaborazione offerte da sistemi di High Performance Computing e dalle infrastrutture cloud, aprono a nuove possibilità per la produzione di informazioni forestali.

 

Questo contributo riporta brevemente gli sviluppi storici degli approcci al monitoraggio su larga scala degli ecosistemi forestali e presenta le nuove possibilità offerte dall'integrazione di più piattaforme di telerilevamento per applicazioni forestali.

 

Vengono presentate alcune applicazioni relative alle esperienze nell'uso del telerilevamento per la stima di variabili forestali quali disturbi forestali, biomassa, struttura forestale e biodiversità con esempi provenienti da diversi paesi. Viene poi illustrata la situazione in Italia con la presentazione dei risultati di progetti recenti e in corso di applicazione. Infine il contributo presenta le future potenzialità per lo sviluppo di digital-twin forestali.




L’Italia è un paese caratterizzato da una straordinaria eterogeneità ambientale che determina un mosaico ecologico molto diversificato con una diffusa potenzialità forestale in termini di foreste e di specie arboree e arbustive. Oltre il 90% del territorio nazionale ha una chiara potenzialità forestale con un numero molto elevato di specie legnose (oltre 500).

 

Abbiamo ambiti con un clima temperato di tipo centro europeo e settori dell’Italia meridionale prossimi alle situazioni subtropicale con aspetti di clima mediterraneo a forte aridità estiva ed aspetti di clima mediterraneo umido e sub-umido.

 

Tutto questo ha permesso di riconoscere ai botanici e ai fitosociologi a livello nazionale circa 280 tipologie di vegetazione naturale potenziale in prevalenza legate a formazioni forestali.

 

Recentemente si sono studiati e cartografati a livello nazionale gli ecosistemi e si è realizzata la Carta delle Ecoregioni d’Italia. Pur trattandosi di sintesi a scala nazionale, si sono cartografati ben 44 ecosistemi forestali mentre a livello europeo la Carta degli ecosistemi prevede per tutta l’Europa solo 4 tipologie ecosistemiche forestali.




Molto recentemente si è studiato lo stato di conservazione degli ecosistemi e si è realizzata la red list degli ecosistemi d’Italia secondo gli indicatori proposti dall’IUCN. Purtroppo, sono diversi gli ecosistemi forestali ripariali e di pianura che presentano un critico livello di vulnerabilità.

 

Conoscere lo stato di conservazione degli ecosistemi è essenziale se vogliamo che anche in relazione alla tutela della biodiversità forestale si sia in linea con quanto previsto dal Next Generation Eu e dalle Strategie europee Biodiversità, Farm to Fork e, in particolare, dalla Strategia forestale. In Italia La strategia forestale, oltre ad essere coerente con la strategia europea in termini di tutela della biodiversità forestale, si pone anche l’obiettivo di realizzare nel nostro Paese una vasta rete di foreste vetuste. In queste strategie è obiettivo comune mettere a dimora oltre 3 miliardi di alberi nei prossimi 10 anni.




Tutto questo è strettamente legato anche alla Strategia del Verde Urbano. Strategia che, prima della pandemia, aveva già evidenziato l’esigenza di riportare la natura in città mediante importanti interventi di riforestazione urbana. Questo obiettivo è stato ripreso nel PNNR e pertanto è previsto che nei prossimi anni verranno messi a dimora 6.600.000 alberi nei sistemi urbani grazie a un investimento di 300 milioni di euro.

 

Il riconoscimento del bosco come “capitale naturale” stimola una serie di riflessioni che hanno importanti ricadute sul piano pratico-operativo, al fine di delineare le prospettive attuali della selvicoltura e della gestione forestale.

 

Oggi la definizione di capitale naturale si discosta da quella classica, che considerava le risorse naturali come un capitale che produce un flusso di reddito, rappresentato dalla produzione di beni con valore di mercato. A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso vi è stata la crescente consapevolezza che questo concetto di “capitale naturale” dovesse essere esteso a considerare non solo i prodotti ottenuti dalle risorse naturali, ma anche tutte le utilità che gli ecosistemi forniscono alla società umana.




Coerentemente, il bosco è oggi considerato come un sistema biologico complesso e adattativo, ribaltando completamente la concezione che vede nel bosco solo un insieme di alberi di interesse economico-finanziario.

 

Di fronte a un futuro incerto e alla nuova sensibilità sociale e ambientale, non si può più trascurare il fatto che vi deve essere una relazione di reciprocità fra bosco e società, che metta in primo piano la difesa del bosco, ecosistema prezioso e fragile allo stesso tempo, dai rischi che lo minacciano.

 

In questa prospettiva la selvicoltura e la gestione forestale sistemica, superando la visione monofunzionale del bosco, rappresentano un’opportunità per rendere più coerenti le aspettative della società con la realtà del bosco, favorendo la sua conservazione in quanto ecosistema complesso, ricco di valori non solo economici, ma anche ambientali, culturali e sociali, cioè un vero e proprio capitale naturale, una immensa ricchezza per la collettività.




 Il patrimonio forestale nazionale ha raggiunto il 40% di estensione rispetto alla superficie italiana e fornisce un contributo importantissimo al capitale naturale nazionale. Tramite l’elaborazione attenta di una politica forestale nazionale, che abbia piena contezza della multifunzionalità delle foreste, la Direzione generale Economia montana e foreste, d’intesa con le Regioni e con la collaborazione di moltissimi stakeholders, sta attuando le previsioni del Testo unico delle foreste e delle filiere forestali (Dlgs 34 del 2018).

 

Obiettivo di tutti i relativi decreti attuativi, e delle attività collaterali che si stanno mettendo in atto anche grazie al Fondo foreste nelle varie annualità, è quello di incrementare il capitale forestale nazionale. Elementi a sostegno di quanto si sta mettendo in atto emergono dai 4 rapporti sul capitale naturale pubblicati dal Mite dal 2018 ad oggi.

 

(ACCADEMIA DEI GEORGOFILI 22/09/2021)




 [2] LA REALTA’ 

 

Domenica sera, 12 settembre , un super-pod di 1428 Atlantico White-Sided delfini è stato inseguito per molte ore e per circa 45 km da motoscafi e pescherecci d’acqua in acque poco profonde nella spiaggia di Skálabotnur nelle isole danesi Fær Øer, dove ognuno di loro è stato ucciso.

 

Sea Shepherd ritiene che questa sia la più grande caccia di delfini o globicefali nella storia delle Isole Faroe (la successiva più grande è stata di 1200 globicefali nel 1940), ed è forse la più grande caccia di cetacei mai registrata in tutto il mondo.




 Mentre Sea Shepherd ha combattuto per fermare il Grind dall'inizio degli anni '80, questo ultimo massacro di delfini è stato così brutale e mal gestito che non sorprende che la caccia venga criticata dai media delle Isole Frøer e persino da molti dichiarati sostenitori delle balene e politici delle Isole Faroe.

 

Secondo la gente del posto che ha condiviso video e foto con Sea Shepherd, questa caccia ha infranto diverse leggi faroesi che regolano il Grind. In primo luogo, il caposquadra di Grind per il distretto non è mai stato informato e quindi non ha mai autorizzato la caccia. Invece, è stato il caposquadra di un altro distretto a chiamare il Grind senza l'autorità appropriata.




In secondo luogo, molti partecipanti alla caccia non avevano la licenza, che è richiesta nelle Isole Faroe, poiché comporta un addestramento specifico su come uccidere rapidamente globicefali e delfini. Tuttavia, il filmato mostra che molti dei delfini erano ancora vivi e si muovevano anche dopo essere stati gettati a terra con il resto del loro branco morto.

 

In terzo luogo, le foto mostrano che molti dei delfini erano stati investiti da motoscafi, essenzialmente violati da eliche, che avrebbero provocato una morte lenta e dolorosa. Secondo la gente del posto, la caccia è stata denunciata alla polizia faroese per queste violazioni.




 Normalmente la carne di un grindadrap viene condivisa tra i partecipanti e l'eventuale resto tra i locali del distretto in cui si svolge la caccia. Tuttavia c'è più carne di delfino da questa caccia di quanta chiunque voglia prendere, quindi i delfini vengono offerti ad altri distretti nella speranza di non doverli scaricare.

 

Il quotidiano danese Ekstra Bladet ha pubblicato interviste con la gente del posto, i cui nomi completi sono stati oscurati per la sicurezza delle loro famiglie, spiegando come molti faroesi siano furiosi per quello che è successo.

 

‘La mia ipotesi è che la maggior parte dei delfini verrà gettata nella spazzatura o in un buco nel terreno’, ha detto uno.




 ‘Dovremmo avere quote per distretto e non dovremmo uccidere i delfini’, ha detto un altro.

 

Un locale ha chiesto al primo ministro danese Mette Frederiksen di indagare sulla questione, dicendo:

 

‘Se esprimerà le sue critiche, sarà anche più facile per i locali che vogliono che questa tradizione barbara venga interrotta’.

 

Altri esprimono preoccupazione per il fatto che la stampa internazionale che mostra i delfini macellati metta a rischio le loro esportazioni (le Isole Faroe esportano salmone nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Russia).




 Anche la stampa locale faroese , solitamente riluttante a pubblicare qualcosa contro la caccia, cita Hans Jacob Hermansen, ex presidente del Grind, dicendo che l'uccisione non era necessaria.

 

Per avere un senso di scala; questa singola caccia di 1428 delfini dalla parte bianca dell'Atlantico a Skálabotnur si avvicina alla quota del governo giapponese per l'intero periodo di sei mesi di uccisione/cattura di delfini nella famigerata 'Cove' a Taiji in Giappone, e supera significativamente il numero effettivamente ucciso negli ultimi anni del La stagione delle uccisioni del Taiji.

 

Questa caccia crudele e non necessaria è stata effettuata verso la fine dell'estate, quando i faroesi hanno già ucciso 615 globicefali, portando il numero totale di cetacei uccisi nel 2021 nelle Isole Faroe a un impressionante 2043.




‘Considerando i tempi in cui ci troviamo, con una pandemia globale e il mondo che si ferma, è assolutamente spaventoso vedere un attacco alla natura di questa portata nelle Isole Faroe’, ha affermato il Capitano Alex Cornelissen, CEO di Sea Shepherd Global. ‘Se abbiamo imparato qualcosa da questa pandemia è che dobbiamo vivere in armonia con la natura invece di spazzarla via’. 

 

Ogni anno, Sea Shepherd incontra sempre più abitanti delle Isole Faroe che si oppongono al Grind, ma che non sono in grado di parlare pubblicamente per paura di rappresaglie. Continueremo a sostenere i loro sforzi per porre fine al massacro in corso di globicefali e altri delfini.

 

(Sea Shepherd)









 

LA PERCEZIONE DELLA REALTA' (43)

 






























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Circa la percezione della realtà (42)


& una visione della stessa...


Prosegue con il...:


Patrimonio naturale (44/5)








Che l’animale non parli è così una teoria generale che condanna l’animale a non parlare in un modo preventivo e universale, pre-scrivente (alla lettera), discorso dunque violento, discorso sull’animale, padronanza innaturale sull’animale. Discorso che non si dispiace dell’ostinazione dell’animale a non parlare, discorso che anzi se ne compiace rassicurandosi sulla propria superiorità giuridica, ontologica, religiosa. Salvo poi in un’economia distorta, se non perversa, rivendicare dei diritti per gli animali, animali che sono stati preventivamente separati, sequestrati dalla vita dell’uomo e dal suo proprio limite.

 

Il sequestro raddoppiato e violento, falsamente universalizzante, dell’animale come vivente che non parla, si struttura originariamente in una relazione bipolare: uomo e animale. Perciò il rigore di questa posizione implica che la dottrina dell’animale come non parlante si costituisca come dottrina dell’animale come non rispondente.

 

L’animale potrebbe, eventualmente, anche parlare. L’evoluzione della natura potrebbe portare gli animali (pensiamo agli animali domestici sempre più abitati, sempre più avvolti dal luogo del nostro desiderio) a parlare. Ma in ogni caso gli animali non potrebbero rispondere. È nella risposta lo strappo dalla bestia, il costituirsi del simbolico, la capacità di un rapporto cosciente.




Derrida incalza nell’attaccare implacabilmente questa strategia di discorso che coincide per lui come una battaglia per una diversa e più umana concezione della ragione.

 

Proprio di un certo male che è insito in questa parola vorrei cercare di parlare cominciando col balbettare alcuni chimerici aforismi.

 

L’animale che sono, parla?

 

È una domanda intatta, vergine, nuova e a venire, una domanda del tutto nuda.

 

Al di là del racconto biblico – nota Derrida – sembra che nel discorso occidentale ricorra un identico schema.

 

Quale schema?

 

Il proprio dell’uomo, la sua superiorità sull’animale come della Natura, il suo stesso diventar-soggetto, la sua fuoriuscita dalla natura, la sua socialità, il suo accesso al sapere e alla tecnica, tutto questo e tutto ciò che costituisce il proprio dell’uomo (in un numero infinito di predicati), deriverebbe da questa mancanza originaria, da questo difetto di proprietà, da questa proprietà umana come mancanza di proprietà – e al “si deve” che trova qui la sua forza e il suo impulso.




 Heidegger è l’ultimo dei grandi autori della tradizione filosofica che Derrida esamina in questo testo nel suo corpo a corpo con la pensabilità dell’animale, problema intrecciato in modo originario quanto enigmatico alla pensabilità dell’umano. Il testo preso in considerazione dal filosofo francese è il seminario degli anni ’29-’30 che si intitola: Concetti fondamentali della metafisica.

 

Il nodo cruciale di questo testo heideggeriano, da cui prende l’avvio e a cui ritorna la lettura derridiana, è la questione dell’‘in’ quanto tale come ciò che manca all’animale (e quindi dell’intera Natura qual vero specchio e riflesso della stessa). È l’‘in’ quanto tale, come struttura, che manca all’animale. Heidegger, osserva Derrida, tiene a sottolineare che questo in quanto tale non dipende dal linguaggio, dal logos.

 

‘Quando si dice in effetti che l’animale non ha il logos, questo vuol dire, innanzitutto, che egli non ha l’‘in’ quanto tale che fonda il logos’.

 

Ecco perché è alogon.




 D’altra parte il logos è ingannevole, perché è in grado di far credere che è quello che non è: allora il logos mette in secondo piano. All’animale-Natura-Mondo- il logos non è dato perché l’animale ‘mondano’ è assorbito dal conflitto pulsionale del suo comportamento: ciò con cui l’animale è in relazione non gli è dato nel suo essere in quanto tale.

 

Per Heidegger l’‘in’ quanto tale è una determinazione essenziale della struttura del mondo. Da ciò segue che l’‘in’ quanto è dato come un possibile punto di attacco del problema del mondo. L’‘in’ quanto infatti funziona come un’enunciazione che è la forma ordinaria della parola umana. Riferire il problema dell’animale al problema della parola è, per l’Heidegger, inserire tale problema nel quadro di una triade di termini che è: mondo (Welt), finitezza (Endlichkeit), solitudine (Einsamkeit).

 

Derrida esordisce con l’avvertirci che per Heidegger in questo testo del ’29, animalità è nozione parlabile in relazione alla nozione di tonalità (Stimmung). La Stimmung è nozione non completamente padroneggiabile in una forma di pensiero razionale e cosciente, d’altra parte non sembra adeguatamente circoscrivibile all’interno dell’opposizione tra conscio e inconscio. Semmai sarebbe padroneggiabile in quell’altra opposizione tra sonno e veglia, che si annuncia come più radicale della prima.




Secondo Aristotele il sonno non significa non essere svegli, ma costituisce piuttosto un tipo di legame, un legame più stretto, che non permette di accogliere l’altro.

 

Che cosa vuol dire destare una tonalità?

 

Le questioni della tonalità, del tedio, sono poste, nella seconda parte di questo seminario, come indisgiungibili dalla questione del mondo. Il mondo del resto si intreccia alla solitudine e alla finitezza e, con questi altri due termini si radica nella questione del tempo, secondo una mossa già presente in Essere e Tempo.

 

L’animale [come la Natura] ha il tempo?: questa domanda  spiazza e ridefinisce la formulazione classica della domanda sull’animale:

 

‘L’animale (così come la Natura) ha la parola?’.

 

Per Heidegger la questione dell’animale è la questione del tempo, che si pone in rapporto al mondo. In definitiva, nota Derrida, la questione del mondo coincide con la questione dell’istante (Augenblick).

 

Che cosa è l’istante?




A tale questione si riconducono anche le questioni su che cosa è la finitezza e su che cosa è la solitudine. Curiosamente – qui Derrida coglie una classica movenza della strategia heideggeriana –, poche righe dopo il filosofo tedesco dice che la finitezza è l’elemento unificante dei tre. Non è più la temporalizzazione, ma è invece la finitezza che è dichiarata comandare il percorso del seminario. Esattamente come in Essere e Tempo, il tempo è concepito come orizzonte trascendentale della questione dell’essere.

 

Allora ciò che l’uomo e l’animale (ovvero la Natura) hanno in comune è la finitezza, una certa finitezza. Sono mortali tutti e due. Non c’è finitezza della pietra: l’animale è finito come l’uomo, ma non propriamente come l’uomo. L’animale non ha la finitezza come l’uomo, come non ha la parola, come non muore. Nel par. 42 (II parte, Cap. II) Heidegger propone di paragonare tre tesi:

 

1. La pietra è senza mondo,

 

2. L’animale è povero di mondo,

 

3. L’uomo è formatore di mondo.

 

Queste tesi, osserva Derrida, sono tesi che riguardano il mondo, più che la pietra, più che l’animale, più che l’uomo.




 Ma che cosa è il mondo perché Heidegger possa dire queste cose?

 

Sembra che Heidegger confessi: non sappiamo che cosa è il mondo!

 

Heidegger ci propone in questo seminario, commenta Derrida, un nuovo e terzo modo di interrogarsi su che cosa è il mondo.

 

Ciò avviene secondo tre cammini.

 

Il primo cammino è dato dalla storiografia: la storia della parola mondo. Ma questo è solo un’appendice.

 

Il secondo cammino è la storia della formazione del concetto racchiuso in tale parola. Questo cammino riguarda il rapporto tra il cosmo greco e la concezione cristiana del mondo, che si sedimenta nella nozione di realtà creata. L’uomo è parte di tale realtà ma è anche uno che è di fronte al mondo e ha il mondo. L’uomo è perciò padrone e servitore del mondo.

 

Ma ad Heidegger interessa – dice il filosofo francese – un terzo cammino che è proprio quello intrapreso in questo seminario. Come afferrare il fatto che l’animale-Natura non ha il mondo come l’uomo?




Bisogna riandare alle tesi sulla pietra, sull’animale, sull’uomo. Anche qui il termine medio, questa volta l’animale, ha il privilegio di chiarire e unificare gli altri due. L’animale è povero di mondo… Si coglie qui l’essenza dell’animalità dell’animale, la natura vivente del vivente.

 

Ora la natura dell’animalità dell’animale e la natura dell’umanità dell’uomo hanno in comune ‘la possibilità di morire’. Siccome l’animale muore, a partire da ciò Heidegger pone la questione dell’essenza dell’animalità a partire dall’essenza del vivente.

 

Ma il Dasein è un esistere che non è essenzialmente un vivente. Questa circolarità (animale-uomo-vivere-morire-esistere) è vertiginosa, dice Heidegger. Costituisce una vertigine perturbante.

 

Che è l’animale?

 

Domanda che significa, nel contesto di/per Heidegger chiedersi: che cosa è il mondo?




L’animale, affermava prima il filosofo tedesco, è povero di mondo, povero non nel senso di un meno ma nel senso di una privazione: l’animale è privato del mondo. Il privato, il non proprio, lo si coglie nell’animale: l’animale ha il mondo nel modo del non averlo.

 

Heidegger dice che l’animale si sente povero di mondo. Si tratta di una tonalità, di un sentimento: l’animale si sente privato del mondo. Egli è come chiuso, rinserrato in questo sentimento di stordimento. La lucertola, ripete mille volte Heidegger, ha rapporto con le pietre, ma non in quanto tali, ha rapporto con il sole, ma non in quanto tale. Si potrebbe azzardare l’affermazione secondo cui per il filosofo tedesco l’animale è l’essere in cui si manifesta che il proprio è il significato, ma che tale significato propriamente non lo si ha.

 

Tuttavia ciò sembra accessibile per Heidegger nel modo del sentimento, in questo discostandosi dalla grande tradizione della filosofia, da Platone a Lacan, che pone la povertà di mondo, la privazione in un discorso che implica, come Derrida richiama, l’illusione, la violenza, lo spergiuro, la menzogna.

 

In ogni caso parlando dell’animale si parla sempre dell’uomo, nella tenerezza e anche nella mostruosità dei bestiari medievali, fitta popolazione di personaggi ironici, mentitori, rappresentanti di passioni umane.

 

(G. Dalmasso)










giovedì 23 settembre 2021

ALLA FARMACIA DELL'ELEFANTE (39)

 










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Del Cosmopolita (38)


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fascismo che verrà (40)


& Il patto alchemico (41)









Un giorno d’autunno del 1702, la sala della farmacia “All’elefante” era piena di politici, chiasso, fumo di tabacco e aroma di caffè.

 

– Vogliate scusarmi – gridò al farmacista Zorn un grasso borghese dalle guance paffute, commerciante di stoffe e degno membro della comunità, dandogli una pacca sulle spalle – scusatemi, ma qui non abbiamo né voce né voto! Quanto incide sul vostro bilancio il fardello di tasse che grava su di noi, poveri cittadini e commercianti?

 

– E perché non dovrebbe incidere? – rispose il signor Zorn – O forse credete che le mie miscele e pillole vengan su dal nulla e si producano sul palmo della mano?




 Il gruppo di cittadini all’intorno scoppiò a ridere, ma il commerciante di stoffe non si intimorì. Scrutò con occhiate di sufficienza quelli che lo attorniavano e disse al farmacista:

 

– Sì, sì, le vostre miscele, caro amico, questo lo sappiamo tutti, costano una fortuna. Chi meglio di noi può dirlo che ci tocca pagarle? Quindi, a conti fatti, di queste entrate, per cospicue che siano, gran parte se ne vanno al fisco. Ma non è di questo che volevo parlare.

 

E mentre il saggio consigliere comunale si voltava con comica importanza in direzione dei presenti che lo attorniavano in cerchio, proseguì alzando il dito.

 

– Mi riferisco al fatto che il nostro erudito signore tiene nella farmacia un “puzzolente Heinz”, quel forno chimico scoppiettante di fuoco sotto un enorme mantice, da basso nel laboratorio! Da esso zampillano, come se fosse la sorgente di Mosè, fiotti d’oro e d’argento! E qui sopra lui invece sospira con noi poveri cittadini per il pesante onore che ci ha concesso la volontà reale, a noi, di pagare le imposte!




 – Non state a credergli – si difese il farmacista sorridendo amaramente e in visibile imbarazzo – la storia del “puzzolente Heinz” è tutta una balla! L’ho detto spesso e qui lo ripeto: la storia dell’alchimia è una truffa, un imbroglio, e nessuno dovrebbe sperperare inutilmente i suoi beni sopra voraci crogioli.

 

Ci fu un movimento nel gruppo dei cittadini che ascoltavano. Con riguardosa cortesia fecero largo a un uomo proveniente dall’ingresso del negozio che si stava dirigendo dritto verso il farmacista. Con voce bassa, abituata a dare ordini, disse al signor Zorn:

 

– In ciò, menti, maestro!

 

Gli sguardi intensi dei clienti si diressero verso un uomo il cui aspetto avrebbe richiamato l’attenzione anche nella Berlino di oggi, in cui gli stranieri che provengono da tutte le parti del mondo non fanno che aumentare di numero. Questo straniero era di media altezza, però la sua andatura impettita e orgogliosa gli conferiva una maggiore prestanza. La testa, dai capelli neri e folti, era priva di cipria e di treccia. Sotto una fronte chiara brillavano due occhi scuri di tipo mediterraneo. Il naso pronunciato, le labbra fini, il corpo ben formato con mani delicate e gambe snelle, tutto confermava l’impressione che doveva trattarsi di persona di nobili origini.




 Le parole schiette e sorprendenti con cui aveva appellato improvvisamente il farmacista, non erano state dette con tono offensivo o perlomeno, per strano che possa sembrare, non furono prese come tali da chi le aveva ascoltate. Furono però dette con solennità e fecero effetto sul gruppo di cittadini. Il signor Zorn, da parte sua, mascherò il suo disappunto con un rispettoso inchino. Nel frattempo lo straniero aveva abbozzato un gesto con la mano sia verso il farmacista che verso i presenti, quasi che volesse andare verso di loro, e proseguì parlando con tono meno compiacente:

 

– Non denigrate, caro maestro, la forza misteriosa per la cui indagine manca solo la chiave. La Chiesa, signori miei, è onnipresente ed eterna, come il mondo. Solo che non a ogni occhio né a ogni mano si apre la porta santa. Dipende dai vostri sforzi, signor farmacista, se non si debba aprire mai nonostante le sollecitazioni. Se i signori qui presenti, per quanti siano, vorranno essere qui anche domani, a questa stessa ora, potranno assistere a qualcosa di straordinario.




Lo straniero, dopo queste parole, per le quali non riteneva di dover dare alcuna spiegazione, passò a fianco al signor Zorn e si diresse alla porta che si trovava di fronte all’ingresso, dietro cui c’era il laboratorio della farmacia. Zorn si affrettò ad aprirla con un gesto di affettata esagerazione. Lo sconosciuto l’attraversò senza voltarsi e scomparve nei penetrali della farmacia. Gli occhi dei clienti seguirono perplessi e non senza un certo timore quella strana apparizione.

 

Friedrich, il commesso, si affrettò a seguire il nobile ospite; attraverso la porta trasparente di vetro, poterono vedere come costui si affannasse per venire incontro ai desiderata di quel nobile sconosciuto e assecondarlo con la massima celerità.




Fuori, in sala, il commerciante di stoffe riprese a dire:

 

– Eh, che strano personaggio! Dall’aspetto e dall’accento sembra uno straniero. È un nobile polacco?

 

– Non lo so – rispose il farmacista con sconcerto appena trattenuto –. Non è polacco, viene dalla Grecia, per quel che ho potuto sapere. Sembra che abbia viaggiato molto. Quando lo conobbi, molti anni fa, portava il saio da monaco. Pare che ami le trasformazioni.

 

Un cittadino commentò sghignazzando:

 

– Come un frate alchimista!




E un terzo, che aveva estratto il suo orologio d’argento dal taschino del pantalone, commentò:

 

– Manca poco alle sei in punto; domani, a questa stessa ora, conosceremo il segreto.

 

Mentre si dicevano queste cose, l’attenzione di tutti era sempre concentrata su ciò che succedeva dietro il vetro della porta. Si poteva intravedere qualcosa di ciò che avveniva, ma chiaramente solo l’andirivieni del commesso Friedrich: lo straniero era seduto in un angolo della stanza e solo le sue mani sembrava che dessero ordini. Dopo un po’ il greco uscì dal laboratorio, andò dal signor Zorn e gli disse in tono apparentemente casuale ma che non sembrava ammettere alcuna replica:

 

– Vi prego, maestro caro, di farmi trovare per domattina presto un crogiolo con la necessaria quantità di metallo. Lascio scegliere a voi. Domani tornerò alla stessa ora per presentare a voi e a lor signori la veridicità del procedimento ermetico, anche solo per avere soddisfazione delle battute e dei rimproveri che ho sentito.




Chiunque sia capace di percepire lo spirito di quei tempi, avrà capito che il giorno dopo il negozio del farmacista sarebbe stato talmente zeppo di clienti che non vi sarebbe passato un chiodo e lo stesso maestro Zorn e il suo assistente avrebbero avuto le mani occupate a soddisfare le richieste di caffè e liquori di quella chiassosa e confusa massa di cittadini.

 

L’unico che non si fece vedere in farmacia quando suonarono le sei, al contrario di quel che si sperava, fu proprio lo straniero. Ogni minuto che passava la gente si faceva sempre più impaziente, poiché a casa le mogli avevano preparato la cena. Pareva che l’arrogante sconosciuto del giorno prima non avrebbe mantenuto la promessa e già i degni cittadini fremevano per l’irritante disappunto che suole colpire gli animi dei curiosi quando la loro esigenza non viene soddisfatta. Tanto più si stizzirono, di conseguenza, quando capirono che non avrebbero potuto raccontare alle mogli alcunché di tutto quel che avevano discusso durante il giorno sul misterioso millantatore.

 

Alle sette un sorridente Friedrich si accostò al maestro e gli sussurrò all’orecchio della crescente insoddisfazione che serpeggiava tra gli ospiti. Il signor Zorn scosse la testa, allora l’assistente gli parlò con maggior chiarezza, quasi volesse convincerlo a fare una dichiarazione.




Alla fine il farmacista proruppe con un sospiro di malumore:

 

– Va bene, in nome di Dio, farò come consigli. Però lascia che ti dica una cosa, non dare la colpa a me quando ti accorgerai della maledizione che sembra sovrastare su tutti quelli che hanno qualcosa a che spartire con le arti ermetiche.

 

Rivolgendosi agli ospiti sorpresi, continuò:

 

– Fatevi da un lato, se potete. Lo aspettiamo già da un po’ quel greco, che, se ben lo conosco, a quest’ora sarà alquanto lontano da Berlino. È questo il tipico comportamento degli adepti itineranti. Gente strana che si dà arie di mistero. A mezzogiorno un corriere mi ha consegnato questo pacchetto sigillato. Il greco, che si chiama Laskaris, vuole che io abbia ciò che ha promesso grazie al suo contenuto, il che prescinde dal fatto che sia presente o meno. Così lo consegno al mio assistente insieme alla virtù della polvere che sento contenuta in questa piccola borsa.

 

Mentre parlava il signor Zorn ruppe il sigillo ed estrasse dai vari involti una piccola busta, una di quelle in uso tra i farmacisti, che lacerò da un lato, mostrando ai presenti che lo attorniavano, dentro a una carta, una piccola dose di una sostanza grigia e granulosa.




Si fece subito un silenzio profondo e solenne. Friedrich aprì la porta del laboratorio e silenziosamente in fila indiana gli spettabili cittadini entrarono nella camera di lavoro della farmacia. Sopra una specie di braciere si poteva vedere già il crogiolo col mercurio caldo. Il giovane assistente si mosse con grande abilità e fece tutto il necessario acciocché il mercurio bollisse.

 

– Un po’ di questa sostanza avvolta da un rivestimento di cera – spiegò il farmacista Zorn – basterà, a quanto mi ha detto Laskaris, per trasformare questo metallo in oro puro.

 

Mentre parlava, e mentre Friedrich metteva in atto le sue parole, gli sguardi dei presenti si erano fissati sulla massa traslucida, che si liquefece producendo un lieve sibilo. All’occhio dei presenti il processo verificatosi in quel mentre risultò del tutto incomprensibile, nonostante possedessero già dei rudimenti di chimica.




Allo stesso tempo successe ciò che molte cronache e testimonianze avevano già confermato nel passato: il mercurio assunse una colorazione rossa e scura. Il metallo cominciò a borbottare. Una successione di colori, dal viola all’azzurro, da quest’ultimo al verde e poi al giallo avvolse il crogiolo e il suo contenuto. Poco dopo si vide come la massa incandescente passasse dal color rosso a un giallo brillante. Quando Friedrich versò il contenuto del crogiolo nell’abituale mortaio della farmacia, il metallo risultò di color giallo oro e quando poi lo immerse nell’acqua facendogli emettere un sibilo, lo testò con la pietra di paragone, con l’acido cloridrico, l’acido solforico e l’acqua regia. Tutte le prove dimostrarono che il metallo ottenuto non era altro, e non poteva essere altro, che oro della migliore qualità.

 

Non appena tutti si furono capacitati della verità e della correttezza del procedimento, la masnada di obesi cittadini, soddisfatti di quel che avevano visto, si precipitò di colpo, come massa compatta, fuori del negozio disperdendosi in ogni direzione. Ognuno voleva essere il primo a riportare a casa la notizia dell’incredibile esperimento, cosicché la novità della stupefacente trasmutazione aurea nella farmacia “All’elefante” si propagò istantaneamente per tutte le strade e i vicoli di Berlino.

 

Poco più tardi, quando la notizia si era diffusa in tutti i sobborghi della prospera città, arrivò anche nelle stanze del palazzo del re.




Il farmacista era intanto rimasto solo con l’aiutante. Con le braccia appoggiate alla poltrona, il signor Zorn stava seduto con i suoi pensieri e di tanto in tanto gettava uno sguardo al metallo luccicante, mentre gli occhi del giovane brillavano tutti d’inesprimibile contentezza.

 

– Stupido di un Johann Friedrich, caro e inesperto collega! – disse alla fine il farmacista, allontanando con forza i pensieri poco piacevoli che un momento prima sembravano precipitarsi su di lui – Credi davvero che alla fine la spunteremo con questa vittoria della scienza segreta?

 

Credi che la mia vanità sia sufficiente a ricevere una qualche soddisfazione per il chiasso che stanno facendo là fuori i nostri degni vicini?

 

La cosa non mi piace per niente. Credo che non ci porterà nulla di buono. Forse che non ho fatto questa stessa cosa già da molti anni, non ho sperperato buona parte del mio patrimonio per realizzare ciò che abbiamo sotto gli occhi, secondo la legge rigorosa della natura e delle regole dell’arte?




Hai visto un qualche risultato, per insignificante che esso sia? Caro e giovane amico, ti ho ripetuto spesso che sulla mia tomba si dovrà leggere la stessa cosa che si può leggere sull’epitaffio del signor von der Salzburg, di Norimberga, or sono più di quattrocento anni: “Dedicò molto tempo all’alchimia e molto dilapidò!”. Oggi io proseguo affermando: quello che hai visto non è autentico. Non è altro che una pia illusione. I metalli non si trasformano. È solo uno spirito maligno che si mescola a essi e assume le false apparenze ai nostri occhi.

 

L’alchimia è un’arte che non va d’accordo con la conoscenza!

 

L’aiutante guardò il maestro con occhi increduli. Era tanto felice e orgoglioso per aver avuto l’onore di assistere e partecipare all’Opus. Con un fondo di delusione e un leggero tono arrogante che celava un certo disprezzo, si rivolse torvo al padrone e rispose:

 

– Quello che hanno visto i miei occhi e che hanno confermato la pietra di paragone e gli acidi, è più autentico di tutta la scienza aritmetica e di qualunque conoscenza indimostrabile. Venerato maestro, la verità ce l’abbiamo davanti!

 

Come posso condannare con invidioso egoismo quello che non siamo capaci di fare?

 

(Gustav Meyrink)