giuliano

venerdì 3 settembre 2021

I PECCATORI DELLA NOSTRA CIVILTA' (17)

 























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Mito (18)








Il senso estetico e quello morale sono evidentemente strettamente collegati, e gli uomini che sono costretti a vivere nelle condizioni sopra descritte vanno chiaramente incontro all’atrofia di entrambi.

 

Sia la bellezza della natura sia quella dell’ambiente culturale creato dall’uomo sono manifestamente necessarie per mantenere l’uomo psichicamente e spiritualmente sano. La totale cecità psichica di fronte alla bellezza in tutte le sue forme, che oggi dilaga ovunque così rapidamente, costituisce una malattia mentale che non va sottovalutata, se non altro, perché va di pari passo con l’insensibilità verso tutto ciò che è moralmente condannabile.

 

Coloro cui spetta la decisione di costruire una strada, o una centrale elettrica o una fabbrica che deturperà per sempre la bellezza di una vasta zona sono del tutto insensibili alle istanze estetiche. Dal sindaco di un piccolo paese al ministro dell’economia di una grande nazione, tutti sono d’accordo nel ritenere che non valga la pena di fare sacrifici economici, e tanto meno politici, per difendere la bellezza del paesaggio.




I pochi scienziati e difensori della natura che vedono lucidamente approssimarsi la tragedia sono totalmente impotenti. Avviene infatti che un comune che possiede piccoli appezzamenti di terreno sul limitare di un bosco scopra che questi aumenteranno di valore se saranno collegati da una strada; e ciò basta perché il grazioso ruscello che attraversa il paese venga deviato, incanalato e ricoperto di cemento, e perché un bel viottolo di campagna venga immediatamente trasformato in una orrenda strada di periferia.

 

Nel primo capitolo ho spiegato come e perché, nei sistemi viventi, la funzione dei circuiti regolatori, anzi, di quelli a retroazione negativa, sia indispensabile ai fini del mantenimento di uno stato costante (steadystate); e inoltre come e perché la retroazione positiva, in un circuito, comporti sempre il pericolo di un aumento a valanga di un singolo effetto. Un caso specifico di retroazione positiva si verifica quando individui della stessa specie entrano tra loro in una competizione che, attraverso la selezione, ne influenza l’evoluzione. Al contrario della selezione causata da fattori ambientali estranei alla specie, la selezione intraspecifica modifica il patrimonio genetico della specie considerata attraverso alterazioni che non solo non favoriscono le prospettive di sopravvivenza della specie, ma, nella maggior parte dei casi, le ostacolano.




Il mio maestro Oskar Heinroth diceva, nel suo solito modo drastico:

 

Dopo lo sbatter d’ali del fagiano argo, il ritmo di lavoro dell’umanità moderna costituisce il più stupido prodotto della selezione intraspecifica.

 

Al tempo in cui fu pronunziata, questa affermazione era decisamente profetica, ma oggi è una chiara esagerazione per difetto, un classico understatement. Per l’argo, come per molti altri animali con sviluppo analogo, le influenze ambientali impediscono che la specie proceda, per effetto della selezione intraspecifica, su strade evolutive mostruose e infine verso la catastrofe. Ma nessuna forza esercita un salutare effetto regolatore di questo tipo sullo sviluppo culturale dell’umanità; per sua sventura essa ha imparato a dominare tutte le potenze dell’ambiente estranee alla sua specie, e tuttavia sa così poco di se stessa da trovarsi inerme in balìa delle conseguenze diaboliche della selezione intraspecifica.




Homo homini lupus: anche questo detto, come la famosa frase di Heinroth, è ormai divenuto un understatement. L’uomo, che è l’unico fattore selettivo a determinare l’ulteriore sviluppo della propria specie, è, ahimè, di gran lunga più pericoloso del più feroce predatore.

 

La competizione fra uomo e uomo agisce, come nessun fattore biologico ha mai agito, in senso direttamente opposto a quella potenza eternamente attiva, beneficamente creatrice e così distrugge con fredda e diabolica brutalità tutti i valori che ha creato, mossa esclusivamente dalle più cieche considerazioni utilitaristiche.

 

Sotto la pressione di questa furia competitiva si è dimenticato non solo ciò che è utile per l’umanità intera, ma anche ciò che è buono e vantaggioso per il singolo individuo. La stragrande maggioranza degli uomini contemporanei apprezza soltanto ciò che può assicurare il successo nella concorrenza spietata, ciò che permette loro di superare i propri consimili.




 Ogni mezzo che serve a questo fine viene considerato, a torto, un valore in sé. L’errore dell’utilitarismo, gravido di conseguenze deleterie, sta proprio in questo: nel confondere il fine con i mezzi.

 

Il denaro era in origine un mezzo, e infatti nel linguaggio di tutti i giorni si dice ancora: è una persona con molti mezzi. Ma quanta gente è oggi ancora in grado di capirci quando cerchiamo di spiegare che il denaro in sé non ha valore alcuno?

 

Lo stesso si può dire per il tempo: Time is money significa, per coloro i quali attribuiscono al denaro un valore assoluto, che essi apprezzano in egual misura ogni secondo risparmiato. Se è possibile costruire un aereo in grado di sorvolare l’Atlantico in un tempo leggermente inferiore a quello attuale, nessuno si chiede quale sia la contropartita nel necessario prolungamento delle piste degli aeroporti, nella maggiore velocità di atterraggio e di decollo che comporta rischi maggiori, nell'aumento del rumore, ecc'. La mezz’ora guadagnata rappresenta agli occhi di tutti un valore intrinseco per il quale nessun sacrificio è troppo grande. Ogni fabbrica di automobili deve cercare di produrre un nuovo tipo di vettura che sia più veloce di quello precedente, tutte le strade vanno allargate, tutte le curve rettificate, col pretesto della maggiore sicurezza: in realtà soltanto per poter guidare un po’ più velocemente, e quindi più pericolosamente.




 Sorge spontaneo il quesito se all’anima dell’uomo odierno procuri maggiore danno l’accecante sete di denaro oppure la fretta logorante.

 

Qualunque sia la risposta, coloro che detengono il potere, indipendentemente dall’orientamento politico, hanno interesse a favorire entrambi questi fattori e a ingigantire le motivazioni che spingono l’individuo alla competizione.

 

Non mi risulta che esista finora una analisi psicologica profonda di queste motivazioni; ritengo tuttavia molto probabile che, oltre alla brama del possesso e all’ambizione di ottenere una posizione di rango più elevato, un ruolo molto importante sia svolto in entrambe dalla paura: paura di essere superati dai concorrenti, paura di diventare poveri, paura di prendere decisioni sbagliate e di non essere, o non essere più, all'altezza di una situazione estenuante. L’angoscia in tutte le sue forme è certamente il fattore determinante nel minare la salute dell’uomo moderno, ed è causa di ipertensioni arteriose, di nefrosclerosi, di infarti cardiaci precoci e di altri bei malanni del genere. L’uomo che ha perpetuamente fretta non insegue solo il possesso, poiché la meta più allettante non potrebbe indurlo a essere tanto autolesionista: egli è spinto da qualcosa, e ciò che lo spinge è solamente l’angoscia.




 La fretta e l’angoscia, inscindibili come sono l’una dall’altra, contribuiscono a privare l’uomo delle sue qualità essenziali. Una di queste è la riflessione. Come ho già detto nel mio studio Innate Bases of Learning, è molto probabile che una tappa decisiva nel misterioso processo della evoluzione dell’uomo sia rappresentata dal giorno in cui un essere, che stava esplorando con curiosità il suo ambiente, fermò la sua attenzione su se stesso. Questa scoperta del proprio io non coincide necessariamente con il momento in cui l’uomo provò stupore per ciò che, sino allora, gli era sembrato del tutto naturale, momento che segnò la nascita della filosofia.

 

Il semplice fatto, per esempio, di percepire e riconoscere la propria mano che tasta e afferra, accanto alle cose tastate e afferrate, come qualcosa di appartenente al mondo esterno, deve avere instaurato una nuova relazione i cui effetti sono stati d’importanza capitale. Un essere che non abbia ancora preso coscienza del proprio io non può essere in grado di sviluppare né un pensiero astratto, né un linguaggio, né una coscienza o una morale responsabile.

 

Un essere che non riflette più corre il rischio di perdere tutte queste qualità e attività specificamente umane.




 Uno dei peggiori effetti della fretta, o forse dell’angoscia che ne è la causa diretta, è l’evidente incapacità degli uomini moderni di rimanere soli con se stessi, sia pure per breve tempo. Essi evitano con scrupolo ansioso qualsiasi possibilità di meditazione e d’introspezione; forse temono che la riflessione possa metterli di fronte a una agghiacciante immagine di se stessi, come quella descritta da Oscar Wilde nel suo classico romanzo dell’orrore Il ritratto di Dorian Gray.

 

Il dilagante bisogno di rumore, che sembra paradossale se si considera la nevrastenia degli uomini d’oggi, si spiega soltanto col bisogno di soffocare qualcosa. Durante una passeggiata nel bosco mia moglie ed io fummo un giorno sorpresi dal rapido avvicinarsi degli strilli di una radiolina che un solitario ciclista di circa 16 anni portava con sé sul portapacchi. Mia moglie osservò:

 

Questo ragazzo ha paura di sentir cantare gli uccelli!

 

Penso che egli temesse soltanto il pericolo di potere, per un attimo, incontrare se stesso.




Gli uomini, dunque, soffrono per la tensione nervosa e psichica che vien loro imposta dalla competizione coi loro simili. Sebbene essi vengano addestrati sin dalla primissima infanzia a vedere un progresso in tutte le folli aberrazioni della concorrenza, sono proprio i più progrediti tra loro a portare con maggiore chiarezza l’angoscia negli occhi, e sono i più capaci, quelli che maggiormente vanno coi tempi, a morire precocemente di infarto.

 

Anche volendo accettare l’ipotesi ingiustificatamente ottimistica che la popolazione della terra non continuerà ad aumentare al ritmo minaccioso di oggi, dobbiamo riconoscere che la competizione economica in cui l’umanità si è lanciata è sufficiente ad annientarla.




Ogni meccanismo di regolazione a retroazione positiva porta prima o poi alla catastrofe; e il processo di cui parliamo ne contiene più d’uno. Oltre alla selezione economica intraspecifica che tende a instaurare tempi di lavoro sempre più stretti, esiste un secondo pericoloso meccanismo a retroazione positiva di cui Vance Packard parla in molti dei suoi libri e che porta al progressivo aumento dei bisogni dell’uomo. Per motivi del tutto ovvi, ogni produttore cerca di incrementare il più possibile nei consumatori il bisogno dei suoi prodotti. Molti istituti scientifici di ricerca si occupano esclusivamente del problema di identificare i mezzi più idonei per raggiungere questo fine assolutamente spregevole. La gran massa dei consumatori è abbastanza stupida da lasciarsi manipolare dai metodi elaborati sulla base dei sondaggi di opinione e della pubblicità. Nessuno, ad esempio, si ribella al fatto di dover pagare per ogni tubetto di dentifricio o per ogni pacchetto di lamette da barba un imballaggio di tipo reclamistico che spesso costa quanto la merce o anche di più.

 

Le forme lussuose di vita, che sono il risultato del terribile circolo vizioso instauratosi tra aumento della produzione e crescita dei bisogni, diverranno fatali ai Paesi occidentali quanto orientali.  Sarà indice di ben poca lungimiranza da parte dei dirigenti del capitalismo il voler proseguire sulla via sin qui percorsa, cercando di premiare il consumatore con il miglioramento del suo tenore di vita e, così, di condizionarlo perché continui a competere col suo prossimo in una gara che gli provoca l’ipertensione e l’esaurimento nervoso.

 

(K. Lorenz)









 

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