giuliano

domenica 30 ottobre 2016

UNA PASSEGGIATA (Giacobbe lotta) (2)


















Precedente capitolo:













Una passeggiata














.... Lanciato la maledizione sulla terra dopo la caduta dei primi uomini?”.
Durante quest’arringa incoerente, lo sconosciuto mi guardava con lo stesso sorriso indulgente, senza tradire alcuna impazienza, ma quando fui alla fine del discorso, s’era eclissato, lasciando intorno a me un’atmosfera soffocante d’ossido di carbonio; e mi ritrovai solo nella rue Médicis, scura, fangosa, autunnale…..




Scesa la sera, ardo dal desiderio d’intrattenermi ancora con lo sconosciuto, ben deciso questa volta a confessare tutto, e a difendermi prima d’essere condannato…
Terminata la triste scena, risalgo dunque la ‘via crucis’ di rue Bonaparte. Mai m’è sembrata così immensa come stasera e le vetrine s’aprono come abissi dove il Cristo si moltiplica, sia torturato, sia trionfante. E io cammino, cammino, sudando a goccioloni, con le suole degli stivali che mi bruciano sotto le piante dei piedi, cammino senza avanzare d’un passo. Sono dunque Ahasvero? Ho rifiutato un bicchiere d’acqua al Redentore e sono incapace d’avvicinarlo, adesso che vorrei seguirlo e imitarlo?
Finalmente, senza sapere come, mi trovo davanti alla porta Fleurus, poi nel parco: buio, umido, silenzioso. Un colpo di vento fa improvvisamente vibrare gli scheletri degli alberi, ed ecco lo sconosciuto emergere, più che avvicinarsi, nel suo guscio di luce e d’estate.
Lo stesso sorriso m’invita a parlare…




E io parlo!
“Che desideri da me, e perché mi tormenti col tuo Cristo? L’altro giorno m’hai messo nelle mani, con un’intenzione veramente troppo scoperta, L’Imitazione di Cristo, e io l’ho letta come quando ero giovane (e non farti sentire, che fra qualche anno, un nuovo pastore udirà le tue parole…, e potrebbe valutare il nostro parlare in una diversa dimensione…) quando ho imparato a disprezzare il mondo.
Come posso avere il diritto di disprezzare la creazione e l’Eterno e la bella terra? E dove m’ha condotto la tua saggezza? A trascurare i miei affari, al punto che sono diventato un peso per il mio prossimo, e ho finito per mendicare. Questo libro che vieta l’amicizia, che proibisce di frequentare il mondo, che esige la solitudine e l’abnegazione, è scritto per un monaco, e io non ho il diritto di farmi monaco, se non voglio lasciar morire i miei figli. Guarda dove l’amore per la solitudine mi ha condotto!




Da una parte mi ordini la vita solitaria, ma appena mi sono ritirato dal mondo, i dèmoni della follia m’assalgono, i miei affari corrono pericolo, e l’isolamento mi priva del soccorso d’un amico. D’altra parte, quando cerco gli uomini, trovo sempre i peggiori, il cui orgoglio tanto più mi tormenta in quanto io sono umile e li tratto da eguali, fino al momento in cui mi calpestano, ed eccomi come il verme che alza la testa impotente a mordere…
Che desideri dunque da me?
Vuoi tormentarmi a tutti i costi sia che faccia la tua volontà sia che la disprezzi? Troppo onore per me, non ne ho la vocazione. E d’altra parte non posso mettermi a fare il profeta, poiché quelli che ho conosciuto hanno finito per rivelarsi mezzi ciarlatani e mezzi pazzi, e le loro profezie sono sempre fallite. E se m’avessi riservato una vocazione, allora sarebbe stato necessario munirmi della grazia dell’elezione per liberarmi da tutte le passioni funeste che avviliscono un predicatore, e sarebbe stato bene incominciare a proteggere la mia carriera nella vita, invece di macchiarmi con la miseria che degrada e lega le mani.
E’ vero, e lo confesso, che il disprezzo del mondo m’ha condotto a disprezzare me stesso, a forza di trascurare la mia reputazione sdegnando la gloria, ammetto d’aver curato poco la mia persona, però solamente a causa della superiorità del mio migliore Io, il quale s’infischiava di questa sporca custodia in cui hai infilato la mia anima immortale…..




Già da bambino amavo la purezza e la virtù, sì…
E la mia vita s’è trascinata fra sudiciume e vizi, di modo che mi capita spesso che i peccati mi vengano imposti come supplizi, atti a ingegnare un disgusto durevole perfino della vita.
Perché m’hai condannato all’ingratitudine, il più detestabile dei vizi per me? Dotato d’una natura abbastanza riconoscente, m’hai teso trappole per forzarmi a mendicare i favori del primo venuto. Così, coinvolto nella dipendenza e nella servitù, poiché i benefattori chiedono in cambio i tuoi pensieri, i tuoi desideri, i tuoi gusti, i tuoi affetti, insomma l’anima tua, ero sempre costretto a ritirarmi indebitato e ingrato, per salvare la mia individualità e la mia dignità d’uomo; a rompere i legami che volevano strangolare la mia anima immortale; e questa fuga, accompagnata dalle sofferenze e dai rimorsi d’un ladro che se ne va con la proprietà altrui….
E adesso che incomincio a curare la mia anima secondo le prescrizioni dell’Imitazione, è ragionevole esigere da un uomo che prenda addirittura Dio come modello, che s’immagini d’essere in condizione d’acquistare la perfezione del Perfetto?
Ce n’è abbastanza per avviarlo verso la mania di grandezza! E se, rendendosi conto di non poter imitare il Salvatore, s’accorge dell’assurdità dei suoi intenti, non cadrà nella disperazione e non troverà consolazione se non nell’adempiere dei suoi compiti mondani e nei piaceri intellettuali?....".

(A. Strindberg, Giacobbe lotta)




















sabato 15 ottobre 2016

AL DI LA' DEL VETRO (16)











































Precedenti capitoli:

Al di là del vetro (15/1)

Prosegue in:

Paesaggi della paura (17)















Lo cerco per sempre,
fuori da ogni porta in mezzo
alla strada,
per ogni incrocio senza un’anima,
dove l’uomo insegue una speranza
nominata ricchezza.
Lo cerco in ogni vetro che lavo,
in ogni  finestra e occhio indiscreto
che diviene il loro sguardo ottuso,
accompagnato con solo la rima
del vero disgusto.
È la loro parola con solo
una bocca,
per comporre una smorfia,
un inno alla ricchezza nascosta.
Viaggia sicura e porta parola
della dottrina che segna ogni via. 
Mi indicano come la bestia fuggita
da una fine certa,
mi guardano volti non visti,
sguardi tristi colmi di rancore
bava alla bocca di un odio mai morto.
Chi urla e incita la folla,
vuole giustizia senza perdono,
per un uomo che muore senza peccato
e senza il suo trono,
dopo averci donato solo il suo Regno.
Crepa come una bestia per un amore
durato una notte,
senza la voglia che diventa
repressa,
sul mio corpo che chiede solo
una carezza. (29)

Della carezza mi fece dono,
giammai per un sogno represso
rubato nel gesto ingordo di un solo
momento.
Illuminò l’intera notte divenuta
parola,
poi confessione di un Universo
creatore,
in nome del suo vero e Primo Dio,
senza neppure un nome.
Fra un nuovo ed il vecchio Testamento
che avanza,
la sola eresia di un uomo che parla,
cui hanno rubato verità e desiderio.
Una vita che vuol conoscere la gioia
senza dolore e senza il sacrificio,
di un agnello che muore per un rito
nominato mito.
Il sogno di un Dio che vuol vedere
la bestemmia del suo nome,
riflessa negli occhi dell’uomo
che crocefisse con tanto rancore.
Regalando solo dolore senza perdono
alla verità incarnata divenuta uomo. (30)  

Questa eresia
ha impresso sulla bocca
con un bacio di fuoco,
e dopo la tempesta….
ha composto la vita
per un nuovo principio.
Anima di ogni essere
che avanza,
discesa nella materia,
in cerca della sua Prima Creanza.
Come un’eterna rima
mai letta,
….nella ricca preghiera dell’uomo. (31)




Ancora vago in quel ricordo
mai morto,
ancora attraverso tante stagioni:
una donna che mai invecchia
per questa antica certezza.
Ancora cerco la mano dell’uomo,
perché non mi donò moneta.
Ancora leggo al lume di candela
le parole di nuovi e vecchi Dèi,
perché cercano la vera strofa
della sua poesia. 
Hanno occultato la verità
spacciandola per eresia,
al mercato della teologia
sulla tomba della morta filosofia.
L’ortodossia non vuole la sua parola
divenire principio di vita.
L’hanno barattata con oscura
dottrina,
legge inviolata di una sola gerarchia
divina. (32)

La sua Parola illumina diverso
principio,
perché non conosce imposizione
in suo nome.
La religione custode della Verbo
tramuta in prigione un ristretto
convento,
e rinchiude lo spirito in un libro
troppo corto per essere letto.
Per poi bruciare il mio
su di un rogo…
in nome di Dio.
Studia la Scrittura con gli occhi
privati della mente,
specchio della coscienza antica,
perché in quella litania rimane
per sempre assopita. 
La sua luce è oscura,
prima di ogni nascita e morte
per questa venuta.
Stella che passa veloce
per un pensiero divenuto illusione.
Incide parola e dona conoscenza
confusa con la pazzia,
una coscienza appena intuita.
Sull’uscio di una vita
specchio di questo Universo,
mai visto né letto. (33)

L’uomo che commercia il verbo
Divino,
ha udito il racconto della donna
con il suo fagotto.
Ha udito parola pur se andava
di fretta,
ha visto la pelle più scura
di un’altra natura.
Ricorda la macchia e l’infamia
senza casa e lavoro,
cui il suo popolo non concede
perdono.
Vede gli occhi di un altro colore,
forse quelli un Diavolo tentatore.
Seduce con la bellezza
solo un uomo che passa di fretta.
Solo un Dèmone antico
che forgia il chiodo di un Dio. (34)




Forse il peccato che tenta il pensiero
di una parola.
Sporca eresia.
Forse la serpe che striscia fra l’erba
per offrire la sua mela.
Forse il lupo vestito da agnello
tenta il gregge a cui dono parola.
Forse la maschera di una Dèa
che cerca solo vendetta.
Forse l’antica indovina,
alla Madonna ha rubato
la rima  nell’antica grotta,
perché prima di lei in quella
scura rovina.
Forse l’oracolo che legge il pensiero,
di un uomo e il suo Dio,
trascina il verbo per questa strada,
e diviene incerta preghiera. (35)

Ed il cielo ora si copre
di tanto ..troppo dolore,
sono nuvole cariche di incenso
venute a bagnare il mio tempo.
Rendono il passo difficile
ed incerto.
È il mio mestiere!
Poi la nebbia sale,
come quando è solita parlare
sul far di ogni mattino
e sera,
annuncia la sua ora
da una terra confusa.
E muta la paura in preghiera.
Io porto nella bisaccia
il sano e duraturo medicamento:
spirito divenuto moneta.
Per la mia casa,
per il mio regno,
per il mio feudo,
….che piano avanza. (36)

Per il mio sovrano ed il suo papa
che lo aspetta,
per mutar lo spirito in nuova guerra
perché non conosce paura.
Per questo la trasporto dall’uno
all’altro porto.
Dall’uno all’altro convento,
dall’uno all’altro paese,
dall’una all’altra chiesa,
….dall’una all’altra bottega,
dell’intera congrega….
…di questo grande pianeta. (37) 




La parola di un profeta
scritta e stampata,
foderata e rilegata
in nera e lucida pelle.
Prima del rogo
di tante e troppe preghiere,
accompagnano l’eresia
della povera anima mia. 
La parola dell’uomo
non conosce perdono,
uccide quel Dio sul suo trono
in cima ad un monte a forma
di teschio.
Dal suo popolo e chi lo governa
per questo ne han chiesto la testa.
La parola del suo popolo
muta la ricchezza in oro
per forgiare il ferro:
dell’infedele mozza la lingua
e del nuovo profeta brucia
la parola in mezzo all’ortica.
Poi lo cingono con la corona
e il corpo vestono con abito
di spine.
In nome della sua eresia
che semina il dubbio
sull’antico dire. (38)

E con lui la rivolta
di una nuova dottrina,
un Dio che non conosce
l’oscuro sapore dell’eterna
vendetta.
Condita con tanto….
…troppo dolore,
e prega per suo figlio
morto a stento,
su una croce di legno. (39)   

Vedo la sua mano cercare
il conforto negli occhi
di un sogno mai morto,
divenuto ossessione e raccontato
con passione.
Un orto coltivato e una maschera
antica,
troppo bella per morire in mezzo
all’ortica.
Troppo bella questa Dèa che ingombra
la via,
tramuta il sole in acqua
che sgorga,
dona ansia e incertezza
di un corpo divino,
bello come la terra che l’ha partorito.
Bella questa donna vicino
al torrente,
più bella di una Madonna
ed il suo strano ventre.  
Accanto ad un orto
dono di un uomo
forse mai morto.
Maschera antica di sapienza
e amore,
resuscitata da un regno
senza la memoria dell’inutile
tempo. (40)




Civiltà sepolta e dimenticata
neppure osservata,
come quella stella che lontano
ci guarda,
e con la luce ci sprona.
Pur navigando
nelle acque del tempo,
quando la sua strofa
illumina la mia poesia
e la sua rima è ora assopita.
Chiusa nel vortice della materia
da un Secondo Dio condannata,
e arsa al rogo di una lunga traversata.
Anima inquieta naviga nel mare
del tempo,
lei madre del vento e di ogni elemento,
e di ogni sogno raccolto per questo
Universo costretto.  
Troppo bella per essere vista 
anche se in quel mare d’illusione,
il suo bagliore è rima d’amore. (41)   

Senza più gloria
nasce e muore nella materia,
…..mia povera stella.   
Profezia di un’epoca lontana
ai primordi della coscienza
mai narrata.
Senza guerra né odio,
entro e fuori il regno
della sua parola.
Perché frutto di un sogno
mai morto prima della spirale
del tempo. 
Giammai conosce fine prematura:
un uomo e la sua strana
parola.
Anima senza tempo segna la storia
della nostra triste ora. (42)

Bella questa fuggevole tentazione,
ricordo partorito dal ventre
di un lupo mai morto
e uno strano sogno.
Nata dall’occhio di una bestia
feroce,
cui ho donato un mondo migliore
senza più la luce del sole.
Ho bruciato così quel sogno
lontano,
perché aveva osato e navigato.  
E ingannato la pia illusione
di un mondo governato
per diritto sovrano.
A cui vendo sicura visione
governata con solo il terrore!
Sano e robusto medicamento,
l’agnello e il suo tempio,
e tanti uomini ad ingombrarne
l’altare,
in nome della guerra
bandiera di una sola Chiesa.
Giammai sogno contorto
di un lupo
e il suo spirito risorto,
ora corre veloce
in una blasfema eresia
d’amore.
Solo pasto ingordo
di un mondo
che pretende essere il migliore.  
E pensa conoscere tempo
e sorriso di una Dèa,
specchio riflesso di un’eterna
preghiera. (43)


 

Mi prende la mano,
vuole leggere la linea che conduce
dritto all’inferno,
noi tutti della congrega condanniamo
l’oscuro rito.
Negromanzia,
questo il pensiero non ancora
morto:
raccontare viscere sparse
nel ventre,
olio che galleggia sogno di  
fattucchiera.
Gatto che parla con il suo occhio
per svelare un sogno risorto. 
Droga che dona oscura visione
intruglio bollito in un pentolone,
dove noi celebriamo il nostro
misero agnello,
con l’erba che gli fa solo da
sostentamento,
in questo triste momento.
Forse il nostro Dio è più saporito
della preghiera della povera strega. (44)

Mi guarda negli occhi.
Io stringo i denari.
Mi aggrappo alla sella,
ho solo paura della bellezza
accompagnata alla strana sua
parola.
Ho paura che ciò che legge
con gli occhi della mente,
non sia scritto nel tempio  
della vera legge.
Ho paura di quello che vede,
oracolo della mente,
perché non è visione di profeta.
Ho paura dell’occhio che penetra
il mio abito distinto,
dimora di un più antico Dio.
Ho paura della sua verità
da sibilla:
muta la parola in urlo
e assomiglia ad un ululato
di lupo. (45)

Senza i denari di un tempio
perché scrive la sola legge
di Dio,
il suo urlo
diviene misera convulsione,
…poi solo possessione.
L’occhio dominato da uno 
strano bagliore,
dèmone o diavolo tentatore…,
non cambia la mia religione.   
Rimango seduto,
la paura mi prende allo stomaco.
La donna ora dice strane parole,
una lingua antica come una
lontana eresia,
più antica del sogno
del mio Dio creatore.
La vedo tremare come la zolla
prima dell’oscura bufera,
trascina e distrugge ogni certezza
su questa lurida terra.
La vedo sudare dai pori della pelle
come la roccia che s’apre in torrente,
dopo il fremito della lunga sete.
Parla una strana parola dal fondo
della grotta,
ora è solo la sua bocca.
Parla una strana lingua
dalla maschera che galleggia
lungo la via.
Naviga uno strano vascello
….in questo momento.
La paura mi cinge le spalle e le gambe,
divento un tronco appena piantato
sulla sottile terra che a stento…
mi tiene fermo sulla mia sella. (46)




Quando poi mi ridona la mano
tutto tace attorno,
come nel regno di un primo
sovrano.
Il sole torna a sorridere lieve,
come se il vento avesse acceso
mille candele.
E spazzato ogni peccato,
frammento di una donna
e la sua prima parola.
Frammento di un rito strano
e malsano,
dono di un primo sciamano.
Padre di una strega,
dispensa eretica e sensata
parola.
Diavolo di un altro mondo,
cui destino il fuoco
di una diversa comprensione:
rogo dell’insensata parola
senza onore e comprensione
dell’intera nostra storia. (47)

Le prendo le mani,
la stringo forte al mio petto.
Poi la lego come un capretto.
La trascino via dall’Olimpo
dove è rimasta assisa
senza neppure un sorriso.
Forse per un minuto
che è sembrato il parto
dell’intero universo compiuto…
Non so per quanto tempo…
mi è sfuggito di mano,
quando lei ha guardato la linea
dell’inferno
e il fuoco è scaturito
dal secolare gesto.
Perché deve tacitare ciò
che non va detto. (48)

La sua fine so certa,
anche se domanda perdono
come una gentil donzella
a cui hanno strappato la verginità
troppo in fretta.
La cenere l’aspetta,
questo so con certezza.
E il fuoco cancellerà ogni parola
di questa strega….,
….zingara maledetta!
Ha letto troppo in fretta
il libro della vita,
solo per confondere il pensiero
con una falsa certezza,
come l’eresia di ogni strega.
… Che sia per sempre maledetta! (49)




Il mio compito oggi
come ieri,
è donare la giusta certezza
ad ogni anima eletta.
Illuminerà il cammino
di una sana e giusta guerra
in nome della divina parola,
che vendo oggi come allora.
Toglierò a lei ogni diritto
oltre la parola,
come al suo falso Dio
e ad ognuno che prega
la blasfema sua bestemmia.
Al suo posto dono il mio umile
e solo conforto:
sacro Verbo nell’alto
della chiesa,
ogni giorno che Dio l’aspetta…..
A lei,
che di nuovo qui mi prega,
solo cenere e fuoco che purga
ogni peccato.
….Strega maledetta…..(50)

Diavolo tentatore,
per un attimo o forse
una vita intera,
diverrai la mia pena.
Per ogni volto simile al tuo
io per sempre farò ritorno,
è la nostra eterna guerra.
Cingere il mio ventre satollo
con il tuo fragile corpo,
mutar il gesto e condurlo
al giusto porto del suo eterno
dono.
Sesso a pagamento,
il solo frutto della tua bellezza,
a me l’eterno conforto della tua
ricchezza,
rubata alla tua terra.
Assieme al segreto
che brucio dopo…,
su di un rogo.
Per ornare il mio trono
dopo averti straziato il corpo. (51) 

Sesso a pagamento,
pochi denari nella stanza buia
dell’osteria,
dove il ricordo di una strega bruciata
su un rogo,
è solo il salvacondotto
per un desiderio contorto. (52)




Quando vidi la pelle gemere
con solo le catene,
nuda sollevata alla corda …,
io piangevo
solo per il perdono,
di una donna che sapevo
già morta.
Una lingua antica aveva letto
fin dentro l’anima mia,
una guerra che non conosce
la sua profezia.
La mia mano accarezza solo
il desiderio
di un corpo che geme
del mio eterno piacere.
Lasciando a lei solo l’eterno tormento
di espiare il peccato che vendo
per ogni quartiere….,
….dopo l’ingordo piacere! (53)
   
È letto d’amore penetrato
in ogni orifizio,
affittato e pagato ad ore.
Profano così ogni pudore
posto sopra il mio ventre
ubriaco di vino.
È sangue di un uomo che
muore
gravido di pane e sudore,
accompagna il nutrimento
di un agnello sacrificato
in ogni momento. (54)

Ora di nuovo quelle mani
rivedo,
mentre rubo e profano la vita
e la rima.
Una bella pulzella a cui ho donato
la mia bibbia,
e qualche soldo per goderla
da un bel di dietro,
per poi inondarla del mio seme.
Per vederla china sul mio
attributo,
parlare con la lingua che prega
la verga,
per seminare poi il suo viso,
terreno incolto del mio paradiso.
Dona generosa semenza
ad una fanciulla,
perché è lontano ricordo di strega.
Incontrata vicino ad un orto,
forse anche vicino ad un torrente,
ma sempre vicino ad una fossa,
ma bella più di una Dèa antica. (55)




Sul quel viso getto il seme,
scavo il mio orto.
Poi quando l’orgasmo diventa
potente come un boccale di vino,
di aceto cospargo il suo
giovane corpo.
Le stringo piano i fianchi,
la metto sopra al fagotto,
ora è solo un morbido
cuscino,
ripiano di un sedere divino.
Pianto i chiodi della mia lussuria
fino a vederla gridare di piacere,
da un fuoco che sgorga
dalle mie vene.
Un fuoco che sboccia dal ventre
di una piazza antica,
urla e impreca ne chiede ancora, 
poi come antico dovere
domanda moneta per la legge di Dio.
Chiede i denari della gloria
dipinta nell’alto della volta,
per ridare al mio corpo
il desiderio mai morto,
di un uomo….
….che vende parola. (56)

Ora il ricordo avanza di nuovo,
ora la parola torna memoria,
una bufera scritta nella parola.
Ora la preghiera prende alla gola,
quando rimembro la povera donna 
bruciata come una strega.
Ed il suo compagno morire
prima o dopo,
non v’è ordine in questo ardire,
vuol la parola costretta
al dono della memoria…
…..maledetta!
Pensata e pregata da un alto prelato,
non da un uomo ed il suo primo Dio.
Sono io quell’uomo
che non ha confuso l’amore
con il vino,
e il pane con inutile sacrificio.
Forse un’eresia mai compresa
dettata dalla coscienza senza ora…,
nel tempo immobile della loro storia. (57)

Parla senza vendere parola
di quella ne dona memoria,
la compone in rima per lo stretto
scaffale della stessa storia.
Trascritta e interpretata
da una coscienza
come un’anima sospesa,
nell’inutile attesa nominata
…..vita.
Traccia la pittura di una figura
mai vista,
dipinta nell’oscura caverna
come il vagito della prima parola
…. divenuta prosa. (58)




Il profilo pensano di aver scorto,
l’insegnamento di aver colto,
l’agnello di aver sacrificato,
un Dio aver umiliato e poi innalzato
alla gloria di un nuovo Creato
divenuto eterno peccato.
Un mito mai del tutto compreso
all’ombra di un sacrificio,
vuole l’uomo peggio della bestia
vano tentativo della perfezione,
e triste sogno chiuso in una strana
illusione.
Eterno circolo della memoria
del tempo contato e narrato
nel nome della storia. (59)

Tempo scorre nel muto circolo
nella stagione che scopre
il suo principio.
Muteranno anche quella,
quando l’ora diverrà troppo
stretta.
In nome della bisaccia
e i suoi denari: 
pane vino e vana gloria
e una puttana a saziare la verga.
Tracannano quel poco che rimane, 
fin quando l’intero banchetto diverrà
rutto muto:
cornice d’un grasso putto,
un ventre già tronfio del troppo
ricevuto. (60)

Divorano senza ritegno
convinti di esser Dio
in questo regno.
Tutto il resto inutile contorno
di una Natura che muore
ogni giorno.
Tutto il resto bestie insensate
che divora la fame.
Tutto il resto inutile dire 
perché di verde illude la mia iride. (61)



 
Un quadro e la sua eterna cornice,
il popolo e il suo lento morire.
A loro il dipinto e la figura,
monotona natura che orna
la divina ricchezza.
Una fortezza,
una chiesa,
un castello e tutta la sua corte,
assisi sopra un trono divino 
e comandato direttamente
dal volere di Dio.
Se poi diventa poltrona,
non v’è differenza nel circolo
di questa inutile storia.
Noi siam popolo che lavora
per l’eterno quadro
che compone la storia.
Con sempre una casta
e un Dio che li comanda,
e mai nessun oltraggio
a subire…,
per il nostro eterno patire.
Che Dio conceda loro perdono
per l’eterna ….bestemmia!
Riposta e dipinta con cura
sullo scaffale di questa loro
storia indegna. (62)

Per sempre costretta
e custodita nella grande biblioteca
del solo mio dire,
….che Dio prenda atto del mio
valoroso ardire!
Dono della favella e della 
sacra parola.  
La vita senza ritegno dell’eretico
e la sua zingara,
la strega ed uno strano lupo,
in questa congrega che sa’ di fiera
non venga qui mai custodita
né letta,
per il bene dell’intera congrega.
Questa bestia maledetta non attenti
la pecunia
del mio gregge che bela e lavora,
e prega la mia eterna ora.      
La loro abominevole eresia
trascinate fuori dalla mia vista,
perché io vendo la Bibbia
foderata e rilegata,
parola di un Nuovo e Vecchio
Testamento.
Per me non v’è gran differenza
sotto questo grande cielo....,
che è tutto il mio regno! (63)


(G. Lazzari, Il Primo Dio, Terzo Dialogo)