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Prosegue con il...:
Capitolo quasi completo,
ovvero: un RE leggermente più alto!
Il violino,
risultato di un lungo processo di ottimizzazione nei secoli, passato attraverso
le magiche mani di Gasparo da Salò, degli
Amati, di Stradivari, di Guarneri, è lo strumento emblematicamente più
perfetto, sia per la bellezza del suono, sia per la sonorità, soprattutto in
considerazione delle piccole dimensioni e del peso. Il bel suono nasce,
naturalmente, dalla straordinaria rispondenza delle risonanze della cassa alla
gamma di frequenze che allo strumento si chiede di coprire.
In questo
ventesimo secolo prosaico e materialista, che crede in poco oltre al denaro,
non c’è paura che nessuna delle nostre meraviglie del violino sia associata all’arcidemone.
Possono essere considerati problemi
fisici, ma il soprannaturale viene eliminato dallo studio.
Ma Paganini non visse nel ventesimo secolo, e ai suoi tempi il diavolo era un personaggio molto reale, nonostante il temporaneo rovesciamento di molte credenze attraverso la rivoluzione francese e l’intronizzazione della dea della ragione nella chiesa di Notre Dame, Parigi.
Può
sembrare assurdo, ora, anche solo ricordare queste calunnie di un Paganini diavolo e assassino; ma dobbiamo fare i conti con l’ambiente di un
grande genio, per studiare la causa del suo fallimento nel diventare grande
come uomo; perché sicuramente era un grande personaggio. Che egli attraversi la
maggior parte dell’Europa, inseguito da racconti di diavolerie e omicidi, è uno
dei commenti più tristi di quel periodo; che il ferro è entrato nella sua anima
e l’uomo capace di affetto è diventato un avaro e un misantropo, è ancora più
triste.
È l’olandese volante del violino.
Com’è stato
che il diavolo e il violino sono entrati in relazione?
Abbiamo l’autorità di Martin Lutero che il diavolo odia la musica. Lutero non solo credeva nel diavolo, ma credeva di vederlo: e nella stanza del castello di Wartburg si può ancora vedere il segno sul muro, dove lanciò il calamaio al demonio, che cercò di ostacolare la sua opera di tradurre la Bibbia.
È curioso
che l’unico strumento su cui, per quanto ne sa chi scrive, Satana è stato
rappresentato mentre suonava, sia uno dei precursori del violino.
C’è un pezzo di scultura nella Cattedrale di Amiens, raffigurante Satana che suona su una Vielle ovale a tre corde, del XIII secolo.
La storia
di Tartini e del suo sogno, quando il
diavolo suonava così meravigliosamente il violino, è nota a tutti, ed è,
inoltre, perpetuata nella sonata Il
Trillo del Diavolo. Si narra di Thomas
Baltzar, il primo grande violinista mai ascoltato in Inghilterra, che
quando suonava a Oxford stupiva tutti facendo scorrere le dita fino alla fine
della tastiera. John Wilson, il professore di musica di Oxford, il più grande
giudice di musica che sia mai stato, secondo Anthony à Wood, si è chinato ai piedi
di Baltzar, secondo il suo modo umoristico, per vedere se era un diavolo o no,
perché agì al di là e al di sopra delle capacità umane.
Dato che
ciò avveniva nel 1658, c’erano delle
scuse per l’oscura cupa simpatia; inoltre la musica aveva subito un’eclissi e
gli artisti in questo paese erano relativamente pochi. Anche il gentile e
garbato Corelli si è dimenticato di applicare il termine, diavolo, a un altro
violinista.
Poiché la storia potrebbe non essere così conosciuta come quella precedente, la ripeterò brevemente. Nicolaus Adam Strungk (o Strunck), violinista di Ernest Augustus, Elettore di Hannover, quando a Roma (circa 1684) fece suo il compito di vedere Corelli. Presentandosi al maestro italiano come musicista, Corelli chiese quale fosse il suo strumento. Strungk rispose che poteva suonare con il clavicembalo e un po’ con il violino; ma desiderava particolarmente ascoltare Corelli su quest’ultimo strumento, la sua fama era ampiamente nota.
Corelli acconsentì cortesemente e suonò un pezzo all’accompagnamento
di clavicembalo di Strungk. In
seguito Strungk suonò una toccata,
con la quale Corelli fu così rapito
che mise da parte lo strumento per il fascino musicale udito. Quando Strungk ebbe finito di suonare il
clavicembalo, prese il violino e iniziò a maneggiarlo con noncuranza, dopodiché
Corelli osservò che aveva una buona
mano d’arco e non voleva altro che la pratica per diventare un maestro del suo
strumento. In quel momento Strungk
stonò il violino, e suonò con tanta destrezza, tentando le dissonanze provocate
dal miscuglio con tanta abilità, che Corelli
gridò in un tedesco stentato:
Mi chiamo Arcangelo, un nome che nella lingua del
mio paese significa un Arcangelo; ma lascia che ti dica che tu, Signore, sei un
Arcidemone!
Il suono del pianoforte di Beethoven e le sue composizioni hanno portato i costruttori di quello strumento a estendere la sua bussola; Liszt ha aperto la strada a un nuovo sistema per pianoforte, con effetti fino ad allora inimmaginabili, e l’impulso è venuto da Paganini. Nessun altro esempio è ricordato nell’intera storia della musica e i suoi innumerevoli interpreti, come lo strumento di un violino che rivoluziona in modo assoluto l’interpretazione musicale del pianoforte. Ho già accennato a Liszt a Parigi, di come, depresso e sofferente, si ritirò dall’arte e si seppellì in solitudine. La rivoluzione del 1830 lo destò, ma fu Paganini a riaccendere la fiamma dell’arte.
Ciò per cui
i poeti dell’epoca si sforzavano nelle loro produzioni letterarie - libertà di
forma e di soggetto - lo vedeva qui nel campo della riproduzione della musica.
Con tutto ciò i gravi difetti e l’unilateralità delle capacità e del genio del
grande violinista non sfuggirono al giovane pianista. Lo misurava in base agli
ideali della cultura artistica che brillavano davanti ai suoi occhi.
Riconosceva chiaramente l’enorme influenza che Paganini esercitava su di lui e vedeva quanto umana fosse la
missione dell’artista - si risvegliò la
consapevolezza che la cultura artistica è inseparabile dalle simpatie umane,
affinché un uomo possa diventare un grande artista.
Questa
convinzione trasse dalle sue labbra le parole orgogliose ma nobili Génie oblige.
Ora, per quanto riguarda l’accordatura di Paganini, il suo strumento è un semitono più alto del tono normale. Sarà ammesso che le diverse tonalità hanno qualità distintive, alle quali alcuni musicisti sono più sensibili di altri. Alcuni lo chiamano key-color preferisco l’espressione key-character. Sul violino alcuni tasti sono più sonori di altri. L’effetto può essere in parte mentale, e credo, anche se posso sbagliarmi, che un violinista suona con una sensazione diversa nella tonalità del Mi, rispetto a quella che sarebbe eccitata dalla chiave di Mi bemolle, e questo a parte l’estetica importazione della composizione stessa. In molti concerti i violini del coro - se così posso chiamarli - a volte suonano le stesse note con il solista, e assorbono così il tono di quest’ultimo che l’ascoltatore può sentire solo la massa del tono del violino.
È
documentato che Paganini non è mai
stato sopraffatto dai “tutti” PER TUTTI i pezzi che ha suonato (e scritto),
anche se alcuni scrittori dicono che il suo tono non era eccezionale per il
volume. La spiegazione può essere dedotta per quanto segue. Paganini aveva un’organizzazione
musicale quasi morbosamente acuta, un acuto senso dell’udito, in cui
assomigliava a Mozart e Berlioz. Paganini
ha scritto la parte solista del suo primo concerto in Re (accordando il violino
un semitono più alto) e le parti orchestrali in Mi bemolle.
Perché?
Non perché il Re fosse una chiave più facile da suonare, né perché alcuni passaggi se visti come in Mi bemolle erano meraviglie di esecuzione; ma perché sentiva la differenza nella “potenza” delle due chiavi. La Sinfonia di Mozart per violino e viola, con orchestra, è in mi bemolle, ma la parte viola è in re, e lo strumento doveva essere accordato un semitono più alto… ma la domanda rimane: il modo di suonare di Paganini ha portato un beneficio permanente all’arte?
Aveva un’influenza
permanente e, in tal caso, era ed è ancor oggi per sempre?
Per adoperare
un aspetto materiale, fu grazie a Paganini
che la fama di Joseph Guarnerius
fu pubblicata fuori dall’Italia. I nomi di Amati
e Stradivarius divennero gradualmente familiari al mondo musicale, ma Guarnerius, nelle mani di un Paganini, uscì alla fine dal proprio
confine geografico.
Questo
illustre violino era spesso accreditato del fascino che apparteneva all’esecutore;
gli effetti magici e ceppi sublimi che egli ne traeva, doveva, si pensava,
riposare sul violino. Ogni aspirante violinista, i cui mezzi gli permettevano
di indulgere nel lusso, cercò di assicurarsi uno strumento del grande Guarnerius o una Stradivari. La
richiesta così sollevata ha portato alla luce quelle gemme dell’arte del
liutaio ora in possesso di ricchi dilettanti e di pochi professori. Quando le
varie opere del dotato Guarnerius
furono portate alla luce, fu avvertita molta sorpresa che tali tesori dovessero
essere conosciuti solo da una manciata di oscuri artisti divinatori di Dio,
principalmente nelle chiese e Templi d’Italia.
Seppur venerati al di fuori della loro piccola patria!
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