giuliano

mercoledì 16 aprile 2014

IL TEATRO DEL LORO AGIRE (fra una pagina e l'altra dello 'Straniero') (40)









































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Ore 2,15: la partenza (con l'anima in spalla..) (39) &

con Pietro Autier sulle orme del Payer (1)   (2)   (3)

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Gli ultimi Velieri (41) 













Tra i detriti di forre, aggirando a sinistra la parete di ghiaccio, ci volgemmo verso la cresta del monte, uscendo così dalla zona dell’ombra, che fino ad allora era stata così provvidenziale. La cresta era formata da lame di neve sporgenti e da ampie volte. Seguimmo a lungo in leggera salita le sue tortuosità mentre a 5000 piedi sotto di noi si scorgeva la valle di Solda, da dove ci stavano osservando.
La cresta perdeva ora la sua dolcezza. Seguiva una parete di ghiaccio che saliva bruscamente, la seconda parte difficile. Pinggera scavò qualche dozzina di gradini; più sopra, si proseguì comodamente. L’aspetto sempre mutevole dell’Ortles e i suoi impressionanti strapiombi sulla Valle di Solda catturavano incessantemente la mia attenzione.




Incontrammo un’altra parete ripida, con un’inclinazione di buoni 50°: per salirla in obliquo furono necessari quindici scalini o gradini. Dopo aver superato alcune vedrette in leggera pendenza, arrivammo finalmente sul dolce pendìo della piana superiore dell’Ortles sovrastata dall’ultima struttura alta circa 150 piedi, un costone di ghiaccio che si erge solitario. Eravamo ad un’altitudine di 12000 piedi e piantammo nella neve la terza bottiglia di vino svuotata: dal Passo Tabaretta non avevamo fatto praticamente alcuna sosta ed avevamo anche bevuto camminando.
Io proposi di scavare dei gradini per salire alla bella Cima Ortles direttamente lungo la dura parete di ghiaccio, ma Pinggera era per un aggiramento. Perciò procedemmo ancora per un tratto verso sud fino a raggiungere il dolce pendìo del fronte meridionale del tetto di ghiaccio. Questo pendìo dolce si trasforma quasi improvvisamente in un affilata lama di neve. Si aggiunga che questa lama, proseguendo verso nord, acquista una certa pendenza, anche se minima, che essa sporge talvolta sulla sinistra, che inizialmente è larga 1 piede e mezzo e poi solo un piede, che sulla destra, a 4000 piedi di profondità, si scorge la Vedretta di Solda verso le cui profondità strapiombano, a poca distanza dai nostri piedi, pareti e lingue di ghiaccio impressionanti, e si avrà la misura della difficoltà di questo passaggio, difficoltà che ha già frustrato diversi tentativi di raggiungere la vetta più alta.




Senza difficoltà arrivammo sulla vetta alle 10, e perciò dopo una marcia di 7 ore e mezza comprese le soste… Il tempo era splendido e senza nuvole fino ai confini più lontani, l’atmosfera straordinariamente tersa, tanto che consentiva di riconoscere in dettaglio i contorni più remoti, limitati solo dalla rotondità della terra; non si muoveva un filo d’aria, all’ombra il termometro segnava + 3°R., nulla disturbava il sublime godimento della natura sulla poderosa torre di ghiaccio.
Iniziai subito a lavorare alla carta; vedevo la regione orientale di Solda sotto di me come un modello neoplastico; poi annotai la veduta e tracciai qualche schizzo panoramico. Davanti a noi si estendeva un mondo di montagne; migliaia di cime selvagge con ogni sfumatura di forme e di toni, catene e catene allineate e separate in gruppi, coperte da vedrette luccicanti, infinitamente articolate e spezzate si estendevano tutt’intorrno  come onde gigantesche – 300 miglia quadrate di tutte le immaginabili conformazioni di terreno erano spiegate davanti ai miei occhi estasiati – da nessuna parte una striscia di terreno pianeggiante degna di nota, solo monti dopo monti senza fine, territori multiformi senza demarcazioni di colore politico, differenziati solo dai toni della prospettiva!




Com’è strana la visione di un mondo immobile, senza vita, di una quiete solenne e la consapevolezza di un isolamento totale! Dal sublime distacco di una vetta, quasi non ci si ricorda delle attività e degli affanni là sotto, del loro intenso coinvolgimento nell’amore e nell’odio, della loro destrezza nel fingere e nel nascondere; a noi quassù queste cose non dicono nulla, noi vediamo solo il teatro del loro agire e, per qualche attimo distanti dalla profana quotidianità, sorridiamo filosoficamente sulla microcosmicità della loro esistenza. 

(L'esplorazione alpinistica dell'Ortles Cevedale)
















  

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