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L'inchiesta dell'Inquisitore (46)
Il sole di Pentecoste fu determinante. Mentre il capitano scriveva il suo addio al mondo nella cabina di poppa, la neve fondeva sulla costa meridionale del promontorio. Di notte gelò ancora di qualche grado e un gemito morente sfuggì al Minotauro bianco, ma non era nulla in confronto al mugghiare che era risuonato nelle lunghe notti d’inverno quando le spaccature si aprivano da una riva all’altra.
Il vento girò dolcemente a sud, ci furono giorni di nebbia, l’aria si
riempì di odore di terra, il ghiaccio si fece vitreo come gli occhi dei marinai
morti e quando il sole ricomparve, sfavillò su un paesaggio luccicante di
umidità che rinverdiva sotto il cielo limpido.
Porto Munk giaceva abbandonato in mezzo a questo splendore. Non un uomo
nei pressi delle due navi ma, man mano che la neve fondeva, affioravano le
tracce dell’inverno e ovunque, sul ghiaccio come a terra, spuntavano oggetti
dell’equipaggiamento: un barile distrutto, una tela corrosa dall’umidità, un
pezzo di cordame, una scarpa, un coltello arrugginito.
Il sole scaldava, pelli e badili sprofondavano nelle pozzanghere che si
erano formate sul ghiaccio, in alto, sulla collina, una ridicola slitta piena
di legna pareva arenata con i pattini nell’erba. Nuovi stormi di oche
selvatiche continuavano a sorvolare il luogo che, dalla loro visuale, doveva
apparire come un campo giochi dove i bambini avevano gettato in fretta e furia
tutto ciò che avevano in mano per correre in un altro che pareva più
allettante…..
Dopo le tempeste dell’inverno il sartiame delle navi pendeva a
brandelli, sulla collina l’orso bianco era andato a frugare nelle tombe dei
morti. Per tutto il Tempo che era durato il gelo, i cadaveri erano rimasti duri
come pietre, ora, però, cominciavano a sciogliersi, non sentivano il calore
penetrare i loro corpi, ma era vero, la primavera era arrivata….
La storia non è un prodotto di risultati di vittorie, ma una somma di
inizi, un avvicendarsi continuo di famiglie, come le onde, si alzano e si ritirano.
Ripartano da niente, rimettono un po’ d’ordine tra le proprie macerie,
diventano feudatari e birrai… E si ritirano di nuovo…
Così parla il cronista….
Resta ancora lui…
O giunti a questo punto, dobbiamo rivelare la verità e confessare che
non è mai esistito?
Perché no?
Non c’è nulla di strano.
Quando i personaggi sono reali, bisogna pure che l’Autore sia
inventato, o meglio che il cronista il povero ed umile cronista di questa e
molte altre storie sia una comparsa di Universi ancora vivi….
Il mare dimentica le nostre tracce ancora più in fretta della sabbia,
che dimentica ancora più in fretta del fango, che dimentica molto più in
fretta. Navigare è sognare. Sognare è necessario, vivere no.
Il sogno copre i tre quarti del mondo ed è composto più o meno della
stessa soluzione delle lacrime umane. Nel sogno siamo soli, ma mai così soli
come a Genova (ove conosco un genovese che lotta e naviga in un mondo di morti
che pensano di essere vivi per insegnare loro che quella che costruiscono non è
vita, che ciò che edificano non è saggezza, che ciò che legiferano non è …
giustizia…).
Nel sogno nulla è vano.
E’ la realtà e essere vana.
Per concludere la breve Storia di una vita intera, breve nel fraseggio
di questa cronaca, il cronista ed il capitano dividono una qualità in comune:
era il 1619, immediatamente prima della sua partenza per la Baia di Hudson,
godeva ancora di un certo favore presso il re, aveva ancora la speranza di
rifarsi una vita. Jens Munk si era visto assegnare il terreno d’angolo che dà
su…. dove Burmeister & Wain nel 1851 edificarono una sala macchine che vi
si trova ancora oggi.
Il suo nome figura nel registro del commesso, ed è l’ultima volta che
compare nelle fonti dell’epoca. Figura come il numero 19 della lista, ma in
questo caso il commesso non ha bisogno di perdere troppo tempo in descrizioni,
queste sono le sue uniche parole:
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