giuliano

lunedì 10 settembre 2018

intermezzo con ... URLA CONTRO 'INVETRIATA' ... (lo prenda all'alba...) (2)











































Precedente capitolo:

Urlano contro 'Invetriata'

Prosegue in:

Dialogo con un Ronzino e un cavallo stracco (2)













I medici solamente possono ammazzarci, e ci ammazzano senza timore alcuno e a piè fermo, senza sguainare altra spada che quella d’una ricetta, o al pari del giudice, d’una sentenza sbagliata; né v’è paura che i loro delitti siano scoperti, perché subito li ficcano sotterra previa l’onesta complicità di un barone al pari loro. Mi rammento che, quand’ero uomo di carne, e non di vetro come ora sono, un medico di codesti di seconda categoria e che a furor di popolo, come lo fu’ Barabba, divenne di prima categoria, fu liquidato da un infermo che voleva farsi curare da un altro e di lì a quattro giorni gli capitò di passare dalla farmacia che preparava le medicine del secondo (o primo che sia..), e chiese allo speziale come andasse l’infermo che prima curava e se il nuovo medico gli aveva prescritto qualche purga.




Lo speziale gli rispose che aveva sottomano proprio una ricetta di purga che il giorno appresso l’infermo avrebbe dovuto prendere; quegli se la fece mostrare, e vide che in fine c’era scritto: “Sumat diluculo”, e disse: “Tutto ciò che c’è sulla ricetta mi par che vada bene, tranne questo  ‘diluculo’ (… lo prenda all’alba…), perché è un po’ troppo umido…’.
… Durò due anni o poco più in questa malattia, perché un religioso dell’Ordine di San Gerolamo, che aveva un suo metodo particolare nel fare udire i muti e nel farli parlare in certo modo, e nel guarire i pazzi, si assunse l’incarico di risanare Invetriata, mosso a compassione di lui; e lo curò e lo risanò, rendendogli il suo primitivo giudizio, l’intelletto e la ragione. E come lo vide guarito, lo fece rivestire da avvocato e lo fece tornare alla capitale, dove mostrando la sua saggezza come aveva mostrato la sua pazzia, avrebbe potuto esercitare la sua professione e rendersi con essa famoso.




Così fece, e, assumendo il nome di avvocato Ruota, invece di quello di Rotella, tornò alla capitale, dove, appena vi fu entrato venne riconosciuto dai ragazzi: ma questi, vedendolo in abito tanto diverso dal solito, non osarono gridargli dietro né fargli domande; tuttavia lo seguivano e si dicevano l’un l’altro: ‘Costui non il pazzo Invetriata? Parola mia, è lui! Può darsi che, vestito bene, sia altrettanto pazzo, che quando era malvestito: domandiamogli qualche cosa così usciremo dal dubbio’.
L’avvocato ascoltava e taceva, e andava avanti, più confuso e impacciato di quando era privo di senno. Dopo i ragazzi lo riconobbero anche gli uomini, e, prima ancora che l’avvocato arrivasse al cortile del tribunale, gli venivano alle costole più di duecento persone d’ogni risma. Con questo corteo più numeroso di quello che suole accompagnare un dotto professore d’università arrivò quindi nel cortile, e lì finirono per circondarlo tutti quelli che vi sostavano. Egli, vedendosi tutta quella folla dattorno, alzò la voce e disse:




‘Signori, io sono l’avvocato Invetriata, ma non sono più quello di prima; sono adesso l’avvocato Ruota. Fatti e disgrazie, di quelli che sogliono avvenire nel mondo col beneplacito del cielo, mi tolsero il senno, ma la misericordia di Dio me l’ha restituito. Delle cose che dicono ch’io dicessi, quand’ero matto, potete argomentare quelle che farò e dirò stando in senno. Ho avuto la laurea in legge a Salamanca, dove studiai da poveretto, e dove ottenni il secondo posto nella laurea; e da questo si può dedurre che il grado che posseggo me l’ha dato più il merito che il favore. Son venuto qua, in questo gran mare della capitale, per far l’avvocato e guadagnarmi così la vita; ma, se non mi lasciate stare, sarò invece venuto a faticare e a guadagnarmi la morte.




Per amor del cielo, fate in modo che il seguitarmi non diventi perseguirmi, e che quel che mi acquistavo con la mia pazzia, vale a dire il sostentamento, non lo perda ora che sono saggio. Quel che prima solevate domandarmi in mezzo alle piazze, venite adesso a domandarmelo in casa mia, e vedrete che chi sapeva rispondervi bene, a quel che si dice, improvvisando, vi risponderà ancor meglio riflettendo. 
Date voce agli ingegni e mostrate il numero per il Ruota, e anco se pur mi seguitate e perseguitate per questo mio dire assennato e saggio, io vi rispondo di rimando: ‘Oh, capitale che dài pascolo alle speranze dei temerari attivisti e le tronchi ai virtuosi modesti, tu alimenti riccamente i corrotti svergognati e fai morir di fame i saggi che hanno un briciolo di pudore e di senno confuso per altro al tuo triste e secolare calvario…’.'.

(Miguel de Cervantes accompagnato   dalle fotografie di: Z. Gaudrillot-Roy















          


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