giuliano

mercoledì 21 aprile 2021

(mani sporche) IN TERRA PULITA (10)

 










Precedenti capitoli:


Di mani sporche... (9/1)


Prosegue con...:


L'antologia del fu spugna senza più River (11)








Quanto alla tesi del golpe, un briciolo di buon senso sarebbe sufficiente a ricordare che chi fa affermazioni così devastanti dovrebbe adempiere all’onore di supportarle con fatti. Rimane il fatto che in quella vicenda gli esiti delle indagini furono diversi da quelli di procedimenti anteriori e successivi, pur talvolta condotti dalle stesse persone fisiche, con uguale determinazione.

 

 

La restaurazione:

 

 

In realtà il sistema politico (della pratica circa la diffusa istituzionalizzata corruzione di stato) si è rapidamente ricomposto in forme nuove, continuando tuttavia a calpestare sia la volontà dell’opinione pubblica (ad esempio aggirando l’esito del referendum sull’abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti politici, che oggi ottengono dallo Stato più denaro di prima del referendum, giustificato come rimborsi per spese elettorali) che le esigenze, imposte anche da istanze internazionali (Onu, Consiglio d’Europa, Unione europea, Fondo monetario internazionale, Ocse), di ridare legalità e trasparenza alle istituzioni e al mercato.

 

Da allora (e fino a non molto tempo fa) è invece stato avviato un tentativo di restaurazione, che ha ottenuto il duplice risultato di far crollare il numero delle condanne per corruzione e di far precipitare l’Italia, negli indici della corruzione percepita, al penultimo posto (nel senso degli ultimi della classe) nel mondo occidentale, dietro molti paesi africani e asiatici.




Il numero di condanne per corruzione, ridotto a un decimo di quello dei primi anni Duemila, non appare dunque frutto di una riduzione della corruzione, ma della difficoltà a fronteggiarla. Il clima in cui da anni operano i magistrati (attaccati da ogni parte e perennemente minacciati di riforme volte a ridurre la loro indipendenza e la loro possibilità di azione) e lo sfascio della giustizia non impedito e talora accentuato da parte delle maggioranze parlamentari che si sono trasversalmente avvicendate in questi cinque lustri, spiegano sia le maggiori difficoltà delle indagini che l’esito negativo dei processi, sempre più spesso conclusi con pronunzie di prescrizione.

 

Non ci si deve quindi stupire se la corruzione è probabilmente aumentata e, se mai, ci si deve domandare perché questi reati dovrebbero emergere in procedimenti giudiziari. La normativa sulla corruzione, per il numero e la frammentazione delle fattispecie, consente di inquinare agevolmente le prove: basta un’occhiata d’intesa fra due soggetti per passare, con lievi modifiche delle dichiarazioni, dalla concussione alla corruzione, dalla corruzione propria a quella impropria, con rilevanti effetti sia sulla pena che sulla prescrizione.




 Perciò non si può indagare su un caso di corruzione se i protagonisti possono comunicare fra loro.

 

Inoltre la serialità e diffusività di questi reati integra pressoché sempre il pericolo di reiterazione dei reati. L’esperienza insegna anche che questo pericolo non viene meno neppure con l’allontanamento dei corrotti da incarichi pubblici, perché li si ritrova di lì a poco a svolgere il ruolo di intermediari fra i vecchi complici non scoperti.

 

In un interrogatorio reso nel 1992, una persona sottoposta a indagini, riferendo di appalti relativi a un importante ente pubblico a livello nazionale, dichiarò che esisteva un cartello di circa duecento imprese che si spartivano tali appalti, che si pagava praticamente chiunque, sia con riferimento alla struttura dell’ente sia ai segretari amministrativi dei partiti di maggioranza e dei principali partiti di opposizione, e che ciò è standardizzato da almeno vent’anni.




Essendo questo il quadro, secondo le regole del codice di procedura penale, nessuno dei soggetti che delinquono da anni, inseriti in un contesto criminale e criminogeno, dovrebbe essere in stato di libertà.

 

Ma le campagne mediatiche contro le presunte manette facili (chissà perché riferite solo ai crimini dei colletti bianchi e non, ad esempio, agli scippatori) hanno sortito effetto: oggi i magistrati arrestano molto meno per questi reati e comunque si ricorre la maggior parte delle volte agli arresti domiciliari, anziché alla custodia in carcere, con il risultato che molte indagini vengono irrimediabilmente inquinate.

 

Gli indagati, anche quando fingono di collaborare, confessano solo quel che non possono negare o che immaginano sarà comunque provato e lo raccontano a modo loro, spesso dopo aver concordato versioni di comodo con i complici e ritagliando spazi di omertà da far valere per assicurarsi un futuro politico ed economico basato sulla capacità di ricatto acquisita con il silenzio mantenuto.




 Nel sistema ci sono meno smagliature in cui gli inquirenti possono infilarsi per scoprire la verità. La legge elettorale vigente fa dipendere l’elezione dalla collocazione in lista, sicché i vincoli verso coloro che formano le liste elettorali si sono rinsaldati e la tendenza a fare quadrato prevale su ogni altra considerazione. D’altro canto a rapporti diretti di corruzione sembrano essersi affiancati comitati d’affari che rendono ancora più difficile ricondurre le relazioni a fattispecie penali, non essendo stato inserito nel codice penale il delitto di traffico d’influenza, alla cui introduzione pure le convenzioni internazionali obbligano l’Italia.

 

L’unica spinta di segno contrario alla protezione della corruzione proviene infatti dalle istanze internazionali.

 

 

Oggi, come nel 1992:

 

 

Per l’insipienza di chi li sferrava, gli attacchi hanno investito non solo i magistrati del pubblico ministero, ma anche tutti i giudici di ogni grado, fino alle Sezioni unite della Corte suprema di cassazione, così ottenendo il risultato di tenere uniti i magistrati.




Il fatto che in tutta Italia ci siano ancora inchieste e processi sui reati della classe dirigente, nati quasi sempre da iniziative giudiziarie e quasi mai dalle forze di polizia (che non hanno le guarentigie di indipendenza dal potere politico che tutelano i magistrati, sicché tale iniziativa non è da loro esigibile), è segno che la magistratura è riuscita a conservare la sua indipendenza.

 

La crisi economica che oggi, come nel 1992, grava sul paese probabilmente ridarà slancio a iniziative serie per ridurre la corruzione e di conseguenza a una repressione più incisiva. Tuttavia tanti anni sono passati invano ed è necessario ricominciare dall’inizio a fronteggiare questi fenomeni, che contribuiscono a rendere l’Italia poco efficiente e poco credibile sul piano internazionale, per l’ingente sperpero di risorse pubbliche, i tempi biblici per la realizzazione di opere pubbliche e la scarsa qualità dei beni e servizi acquistati dalle pubbliche amministrazioni, quantomeno sotto il profilo qualità-prezzo.




 Allora è necessario ricordare i fatti accaduti venticinque anni or sono perché quello è stato il momento in cui le reali dimensioni della corruzione in Italia sono cominciate a emergere e dai fatti accertati possono essere tratti elementi utili per fronteggiare seriamente queste attività delittuose.

 

Oggi peggio di allora, infatti, accanto ai delitti commessi emerge con nitore l’incapacità (se non peggio) della classe dirigente di questo paese di creare le condizioni perché si possa vivere secondo le regole comunemente accettate del mondo occidentale, del quale dichiariamo di voler far parte. 


(P. Davigo)

 







Nessun commento:

Posta un commento