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Circa l'orrore (7) (& capitolo completo... sono sempre al completo...)
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Nel 1452 era pervenuta ai Savoia, al termine
di una catena di eredità e donazioni, la Sindone, il sudario di Cristo, ma al
momento del viaggio degli armorari di Milano non era ancora ultimata la Sainte
Chapelle, al suo trasferimento a Torino.
La
Loira è il più lungo fiume di Francia (1020 Km). Scende dal Massiccio Centrale
scorrendo sinuosamente verso settentrione; molto a valle di Roanne, a Nevers,
riceve il suo principale affluente, l’Allier; poi per oltre 500 chilometri,
bagnando Berry, Orleanese e Angiò, descrive un grande arco verso occidente, con
l’apice settentrionale a Orleans, per allargarsi infine nell’estuario
sull’Atlantico. Il tratto da Gien ad Aners e le plaghe ai due lati del fiume,
il ‘paese della Loira’, che Rabelais amerà è considerato il giardino di
Francia, quanto di più francese si possa immaginare. Probabilmente si pensava
già così quando i mercanti di Milano scendevano il fiume: vigneti al bordo
delle colline, pioppi e salici nella larga valle dell’Orleanese, scorrere lento
di acque azzurre tra banchi di sabbia dorata nella luce della Turenna.
Era il paesaggio amato dai re, che in quest’epoca soggiornano sulla Loira: Carlo VII a Chinon, Luigi XI a Plessis-les-Tours, Carlo VIII ad Amboise.
Re
e principi che prediligevano i cani e la caccia, la falconeria e gli uccelli
esotici, che tenevano scimmie e leoni nei fossati dei castelli, pappagalli in
camera da letto; rinnovavano col meglio del garbo gotico arcigne dimore,
cominciavano a impiantare piacevoli giardini con pergole, fresche fontane e
tappeti fioriti, anche prima che il religioso napoletano don Pacello di
Mercogliano, portato da Carlo VIII dal suo nuovo regno mediterraneo, sistemasse
‘all’italiana’ i giardini di Amboise e Blois. Le aiuole fitte di fiori, che
allietavano il duca Jean de Berry e il re Renato d’Angiò, passano negli sfondi
turchini o rosa degli arazzi delle manifatture della Loira denominati
‘mille-fleurs’, nei quali le idilliche scene di vita cortigianesca o pastorale
si svolgono contro un tappeto di fiori frammischiati a scoiattoli, pavoni,
pernici e leprotti.
Per recuperare l’immagine del ‘giardino di Francia’ nell’ultimo scorcio del XV secolo, occorre ricordare che la ‘Renaissance’ non era ancora cominciata. La regione della Loira era piena di castelli, ma i più celebri dei ‘castelli della Loira’ – espressione in cui la parola castello ha un’eccezione particolarissima – non esistevano: Chenonceaux di Diana di Poiters, che è sulla Cher e si allunga tra le due rive del fiume, non era stato ancora cominciato; Azay-le-Rideau si chiamava Azay-le-Brulé, poiché il delfino che era passato di lì, nel 1418, era stato insultato dalla guarnigione e allora aveva assaltato il luogo, fatto giustiziare il capitano e i suoi 350.000 uomini, bruciato il villaggio; nella foresta a qualche miglio da Blois, dove Francesco I farà costruire l’immaginoso castello di Chambord, dalle candide pareti e la fantasmagorica terrazza con gli infiniti pinnacoli, comignoli e frecce intorno alla lanterna, c’era solo una rocchetta per le caccie del signore di Blois.
C’era il pericolo dei banchi di sabbia e delle piene, il disturbo delle derivazioni per le ruote ad acqua e dei pedaggi, tuttavia la navigazione sulla Loira era ben organizzata e veloce; si andava in sei giorni da Orléans a Nantes e ne potevano bastare da 15 a 20, con po’ di fortuna per tornare controcorrente, i venti regolari dall’Atlantico soffiavano nelle vele e nelle pale dei mulini sulle creste delle colline. Dal 300 una Communauté des marchands, con sede a Orléans, provvedeva a certe necessarie manutenzioni lungo la via d’acqua e percepiva un obolo, che si doveva deporre in cassette speciali lungo le rive del fiume. I marinai fiumaroli erano tipi robusti, eccessivi nei modi, turbolenti nelle osterie.
Il castello di Blois su un costone dirupato a dominio della città, era ben diverso da quello attuale, che è uno dei luoghi classici della Renaissance. Già Carlo d’Orleans, il poeta, l’aveva tuttavia illeggiadrito e vi aveva tenuto corte, dopo il ritorno dai venticinque anni di prigionia e fino alla morte (1465), fra eleganti dame, letterati col vizio dell’allegoria e contese poetiche. A una giostra di poesia aveva preso parte Francois Villon e aveva vinto (1457) con la ballata ‘Je meurs de soif auprès de la fontaine’. Oltre che in quello del titolo, c’erano altri conturbanti aforismi, giochi d’intelligenza in cui l’accorato sconforto d’amore sprizza dall’accostamento di contradditori concetti, nei versi del celebre componimento poetico, ‘Je ris en pleurs et attends sans espoir’ e ‘Rien ne m’est sur que la chose incertaine’.
Il principe Carlo, due volte vedovo, a cinquant’anni si era sposato con una quattordicenne e a settantuno aveva avuto un figlio, il ribelle che sarà battuto nella guerra a cui i milanesi correvano per vendere armature, il prossimo re Luigi XII. Francois Villon, invece, sulle rive della Loira era poi finito per un periodo in prigione, a Meung-sur-Loire nel castello del vescovo di Orléans. Il castello di Amboise aveva in comune solo la sua posizione sopra i tetti del borgo con la fastosa residenza reale che faranno costruire Carlo VIII di ritorno dall’Italia, Luigi XII e Francesco I, che sulla terrazza faceva combattere cinghiali, mastini e leoni.
Carlo
VIII vi morirà per aver battuto la testa in una delle gallerie che stava
facendo costruire. Suo padre, Luigi XI, ci aveva sistemato la moglie a cui fu
fedele, almeno a partire da un certo anno, ma che visitava di rado. Carlo VIII
era nato e cresciuto ad Amboise, vi era diventato re bambino, sotto la reggenza
della sorella Anna di Beaujeu e qui era stato fidanzato a Margherita d’Austria,
che però non sposerà mai; alla cerimonia che si era svolta in gran pompa lui
aveva tredici anni, la promessa tre. Nella chiesa di Saint-Denis facevano
vedere una gabbia di legno in cui rinchiudevano i pazzi: in undici giorni
ritornavano sani.
Ancora ad Amboise era già stato costruito il Clos-Lucé, la garbata dimora gotica in cui vivrà gli ultimi anni Leonardo. Il cardinale d’Aragona che visiterà in casa il vecchio artista, due anni prima della fine, vi vedrà tra gli altri quadri ‘tucti perfectissimi’, il ritratto di ‘certa donna firentina, facta di naturale’; è la Gioconda.
A
Tours affacciata alla Loira e vicina alla Cher, si lavoravano i drappi di seta
intessuti d’oro. Oltre alla non finita cattedrale di Saint-Gatien dalle
meravigliose vetrate, si vedeva ancora in piedi la basilica di Saint-Martin,
poi saccheggiata dagli ugonotti e lasciata in abbandono fino al crollo delle
volte durante la rivoluzione. Conteneva la tomba di Martino di Tours, il
legionario che divise il mantello col povero e che poi fu vescovo di Gallia. Più
a valle si passava da Langeais.
Luigi XI aveva fatto costruire il castello, proprio in questo castello Carlo VIII (1491) sposerà Anna di Bretagna, la signora del prezioso ducato, la cui potenza era stata umiliata nella battaglia di Saint-Au-bin-du-Cormier. Probabilmente i mercanti di armature saranno sbarcati alla confluenza della Maine, per recarsi alla vicina Angers e poi avviarsi verso la Bretagna seguendo la valle della Mayenne, in cui il fiume scorre tra pendii ripidi coperti di castagni e ginestre. Nell’Angers che si lasciavano alle spalle, il castello rinnovato da san Luigi, tutto a bande di ardesia e di pietra bianche, aveva le diciassette torri che ancora finivano con merli, caditoie a cono. I mercanti di armature si spinsero fino al Mont-Saint-Michel. Forse si unirono ai pellegrini che rischiavano di finire annegati nel traversare la baia fino allo scoglio roccioso per venerare il santo, e compravano come ricordo ampolle di piombo da riempire della sabbia della riva.Anche i mercanti d’armi credevano negli arcangeli.
(Prosegue con la visita completa presso i cantieri dell'orrore...)
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