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Quando la strada sale dolcemente su pendici aride pervase nell’estate
avanzata dall’intenso aroma dell’elicrisio e si inoltra in breve in un giovane
bosco artificiale di pino silvestre. Dalle svolte della rotabile, che si
innalza progressivamente sul versante sud-orientale del Monte Sibilla,
cominciano comunque ad aprirsi le visioni panoramiche che costituiranno la
splendida costante dell’intera escursione. Superato il bosco di conifere, che
appare composto da specie con sinecologia assai differenziata (pini, pecci, abeti, larici, ecc…) quasi
a confermare l’empirismo che ha guidato l’opera stessa di ricostruzione del
manto boschivo, si prosegue attraverso il versante denudato. Folte e splendide
cortine fiorite di epilobio accompagnano nell’estate avanzata il primo tratto
della rotabile mentre nelle esili frange di prato che si alternano al bosco si
aprono, ispidi e luminosi i fiori di Carlina
acaulis e quelli, grandi e dorati della rara Carlina utzka.
Qualsiasi divinità aleggi su questi orizzonti, essa è comunque
vicinissima ed è facile intuire le ragioni profonde dei miti, delle leggende,
del sacro e del profano che i Sibillini hanno ispirato e stimolato nell’animo
umano. Ciò che rimane del leggendario antro della Sibilla è peraltro proprio
qui, a pochi passi dalla vetta, sul versante sud ed appare d’obbligo una breve definizione
alla ricerca di ulteriori emozioni.
Area sommitale del Monte Sibilla non offre però soltanto stupendi
orizzonti azzurri: essa è infatti zona di particolare interesse floristico come del resto l’intera dorsale ovest, che
congiunge la vetta con la successiva Cima Vallelunga (m. 2221). Vi sono
rappresentate le tipiche associazioni vegetali erbacee del pascolo alto-appeninico,
con formazione aperte a Sesleria
tenuifolia sui versanti più scoscesi, formazioni chiuse a Festuca ovina e Brachypodium nei tratti meno acclivi e formazioni discontinue e
gradonate a Festuca dimorpha lungo le
pendici detritiche. Nei piccoli avvallamenti di cresta crescono, sparsi, i
ginepri prostrati e sono proprio le fronde di questi stessi a proteggere i
piccoli arbusti dell’uva ursina,
prezioso relitto floristico assai raro nei Sibillini.
Sulla calotta erbosa di vetta, nell’estate, si osservano le fioriture
di Myosotis alpestris di Renunculus alpestris, della splendida Gentiana dinarica e della delicata Viola eugeniae. Lungo la cresta ovest,
infine, tra roccette e lembi di prato sono frequenti Pulsatilla millefoliata, Edraianthus
graminifolius e il grazioso Aster
alpinus, oltre ovviamente alle rupestri sassifraghe, tra cui Saxifraga pani culata e le endemiche Saxifraga porophylla.
Lo stesso ecosistema d’alta montagna, che permette la vita di tutte
queste reliquie, ospita anche una fauna più comune ma non meno interessante,
che si diversifica in relazione alle caratteristiche ambientali.
Ambiente dalle pareti rocciose e dai bastioni calcarei: il Gracchio corallino, un bel corvide dal
volo agilissimo, nero carbone con becco e zampe coralline, abbastanza raro,
abita, con una numerosa colonia, le pareti di Palazzo Borghese; Scoglio del
Lago, Quarto S. Lorenzo, Sasso Borghese ospitano il Picchio Muraiolo, dagli smaglianti colori; il Rondone e il grande Rondone
alpino sono abbastanza frequenti, il Gheppio
è presente con diverse coppie nidificanti su varie pareti; l’Aquila reale è un elemento
caratteristico del gruppo del Vettore; ambiente dei pascoli e dei ghiaioni il Fringuello alpino dal bel piumaggio
bianco e nero è relativamente frequente sia sul Vettore che sull’Argentella, in
piccoli gruppi o in coppie; lo Spioncello,
l’Allodola e il Prispolone, sono uccelli di terra relativamente comuni; il Culbianco e il Codirosso spazzacamino frequentano i luoghi sassosi; la Quaglia nidifica su Pian delle Cavalle,
ed in altre aree con pascoli rigogliosi la Lepre,
la Volpe, la Donnola, sono relativamente abbondanti in tutto il gruppo; la Donnola di queste montagne, in inverno,
assume colore parzialmente o completamente bianco; per il bene della sua specie
non parliamo troppo del Lupo appeninico…
COME CINQUE UOMINI
ENTRARONO
NELLA CAVERNA
Non saprei che altro dire delle cose e meraviglie che vi sono. Io infatti, non andai più avanti, né il mio scopo principale era di occuparmene. D’altronde, se anche avessi voluto, non sarebbe stato possibile senza mio grave pericolo. Perciò, in verità, non saprei più che dirne, tranne solo che vi andai con il dottore del paese chiamato signor Giovanni di Sora che mi guidava, e con le persone del paese di Montemonaco che ci accompagnarono fin lassù senza fare altro.
Essi udirono
contemporaneamente a me una voce gridante a somiglianza del pavone, che
sembrava venire da lontano. La gente che era con me diceva che era una voce del
paradiso della Sibilla. Ma io non vi
credetti: ritenni che fossero i miei cavalli che stavano ai piedi del monte,
benché fossero molto in basso e lontani da me. Né altro vidi oso tranne
soltanto che quanto le persone del luogo e del paese suddetto me ne
raccontarono.
Alcuni se ne ridono e
altri ci credono fermamente in base alle antiche storie del popolino, e ora
anche per il racconto dei cinque uomini del detto paese di Montemonaco che si
spinsero più avanti degli altri in quel tempo. Io parlai con due di essi, i
quali mi raccontarono che in cinque, narrandosi in buona compagnia le avventure
intorno alla grotta, tutti d’accordo stabilirono di andare fino alle porte di
metallo che battono giorno e notte come dirò poi. Si fornirono essi di corde
grosse e piccole, lunghe seimila tese, che legarono all’ingresso per ritrovare
il cammino; portarono anche lanterne, pietre focaie e acciarini, viveri per
cinque giorni e altri oggetti necessari poi vi entrarono.
Dicono che la parte
anteriore della grotta è stretta per circa un buon tratto di balestra; dopo è
abbastanza larga per andare agevolmente l’uno appresso all’altro, e in qualche
punto anche in due o tre. Si avanzarono per questa parte larga della grotta
sempre discendendo secondo loro almeno tre miglia. Allora trovarono una
fenditura attraversante la grotta, da cui usciva un vento così orrido e strano
che non vi fu chi osasse fare ancora un passo o mezzo passo: perché appena essi
si avvicinavano,pareva che il vento li trascinasse via.
Ebbero tale paura che
deliberarono di tornare indietro lasciando sul posto la maggior parte di quello
che avevano portato. Si erano dedicati a tale impresa così come suggerisce
spesso la giovinezza alle persone oziose.
DON
ANTONIO FUMATO E I
DUE TEDESCHI
In quella caverna vi
sono molte cose strane e meravigliose secondo quanto comunemente dicono gli
abitanti per quanto sian cose che non possono testimoniarsi con evidenza. Oltre
ciò che ho fin qui detto, mi fu ancora narrato da ecclesiastici e da altri,che
nel detto castello di Montemonaco, c’era un prete chiamato don Antonio Fumato,
il quale era un poco strano e malato di mente. A causa della sua malattia
andava in molti luoghi dicendo cose strane, così come sogliono fare le persone
malate di tale malattia e di poco buon senso. Egli però parlava ed agiva senza
far male ad alcuno.
Questo prete ha più
volte detto e assicurato senza mutamenti, che è andato fino alle porte di
metallo che giorno e notte battono senza posa aprendosi e chiudendosi.
Ma poiché costui dava ogni tanto segni di pazzia come ho detto, pochi gli credevano. Dicesi che quel prete narrasse di aver ivi condotti due tedeschi che entrarono nel regno della Sibilla per le porte di metallo.
Ma poiché costui dava ogni tanto segni di pazzia come ho detto, pochi gli credevano. Dicesi che quel prete narrasse di aver ivi condotti due tedeschi che entrarono nel regno della Sibilla per le porte di metallo.
COME IL CAVALIERE E IL
SUO SCUDIERO….
La gente del paese di
Montemonaco racconta che è vero che detto cavaliere e il suo servitore
entrarono nella grotta. Essi narrarono che quando giunsero nella piazzetta che
è dopo le porte di metallo, videro un’altra bellissima e ricca porta
risplendente al lume che portavano; e similmente videro risplendere la caverna
come se tutta fosse di cristallo. Dopo aver molto bene osservato ogni cosa,
ascoltarono a lungo, ma senza mai sentir nulla. Per la qual cosa rimasero molto
meravigliati; perché prima, quando erano davanti alle porte di metallo, essi udirono grandissimo rumore e
mormorio di gente, ora che erano dentro, non sentivano più il minimo rumore.
Il cavaliere vi dimorò
così per lo spazio di 300 giorni, dei quali ben teneva il conto. Egli così
conobbe di aver tanto grandemente mancato verso il Creatore, sia per tante cose
mondane che aveva fatto contro il suo volere e contro i suoi comandamenti, sia,
specialmente, per l’orribile peccato in cui viveva; a cagione del quale lo
aveva completamente dimenticato per lo spazio di 300 giorni, trascorsi in
compagnia del DEMONIO; in quanto egli ben s’accorse che lì era veramente il
DEMONIO.
COME IL CAVALIERE E IL
SUO CUDIERO ANDARONO…
Dopo aver narrato per
esteso come egli avesse disobbedito al suo Creatore per le grandi (E)delizie e
piaceri mondani goduti per lo spazio di 330 giorni, il papa rimase corrucciato
e dolente, pur essendo molto contento, d’altra parte, di vederlo così pentito. Sul
momento non volle né perdonarlo né assolverlo. Quindi assai rudemente, come
uomo perduto, lo scacciò dalla sua presenza. E ciò, non perché non volesse o
potesse perdonarlo, ma per far conoscere a tutti il gravissimo peccato in cui egli
era per tanto tempo rimasto tra i vani piaceri di quella regina Sibilla, e
perché nessuno avesse speranza d’ottenere facile perdono.
Il cavaliere se ne
partì così sconfortato che nessuno poté nascondere la pietà al vederlo e
udirlo. Nei suoi pietosi lamenti egli malediceva la sua dolcissima vita. Vi fu
allora un cardinale che n’ebbe pietà, lo fece venire in sua presenza, lo
confortò nel miglior modo possibile, lo distolse dalla disperazione, e gli fece
sperare di ottenergli il perdono. Ne fece, infatti, ripetute richieste al papa;
ma questi fingeva di negarlo, affinché ciascuno prendesse esempio e lasciasse
la speranza di una facile grazia.
Il cavaliere che era
tanto pentito da esser pronto a sopportare qualsiasi pena pur di ottenere il
perdono, andava e veniva spesso dai cardinali, dai prelati e da altre
personalità. Ma il diavolo che è astuto, e giorno e notte non smette di
fuorviare gli amici di Dio, mise nel cuore dello scudiero una tale brama di
ritornare, che non passava un’ora senza desiderare e rimpiangere i grandi
piaceri che aveva lasciato.
Si lamentava di giorno
e di notte e tanto insistette, che fece annoiare il cavaliere per il gran ritardo
del suo perdono. Tuttavia egli avrebbe ancora pazientato, se lo scudiero, per tentazione
del demonio, non l’avesse una volta convinto, e le altre volte persuaso, a
ritornare nella grotta. Per riuscire al suo scopo, lo scudiero si presentò al
cavaliere correndo con grande finzione, e dicendo, come se l’inseguissero: “Ah!
Signore, per carità, salviamoci! Ho incontrato poco fa molti vostri amici, il
tale e il tale, che vi cercano per avvertirvi che il papa ha fatto il processo
e che ci fa cercare per farci morire….
Epilogo….
(Mediti il cavaliere
quanto il suo scudiere giacché il Papa non solo nel peccato udito ma
accompagnato da altro e retto pensiero che pur non giudica che per se stesso
lasciando al Tempo di poter maturare consono perdono ma sempre e quantunque
alla Natura avverso…)
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