giuliano

domenica 26 dicembre 2021

SPERO (2)

 










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Spero  (1)


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il Capitolo quasi completo  [3]


Seguito dall'ascensione della Vergine  (4)







Il Sole tramontava più piccolo di quanto siamo soliti a vederlo; fremiti armoniosi sconosciuti alla Terra scorrevano per l’aria, e insetti grandi come uccelli si aggiravano e volteggiavano su alberi senza foglie, coperti di giganteschi fiori rossi. Io mi levai scattando dalla meraviglia a guisa di una molla d’acciaio, e in modo sì energico da trovarmi d’un subito in piedi, sentendomi d’una singolare leggerezza. Avevo appena fatti alcuni passi che più della metà del peso del mio corpo parvemi fosse evaporata durante il sonno; e questa sensazione intima mi colpì ancora più profondamente della metamorfosi della natura che si stendeva davanti a miei occhi.

 

Già le stelle più scintillanti si accendevano negli spazi celesti, e vi si riconoscevano Arturo dai raggi d’oro, Vega, così bianca e pura, i sette astri del settentrione, e molte costellazioni zodiacali. La stella della sera, il nuovo Espero, mandava i suoi raggi allora nella costellazione dei Pesci. Dopo aver studiato per alcuni istanti la sua  posizione nel cielo, ed essermi orientato io stesso dietro la scorta delle costellazioni, dopo aver esaminato i due satelliti e riflettuto sulla leggerezza del mio peso, non tardai a farmi convinto che io mi trovavo sul pianeta Marte e che quella vaghissima stella della sera era... la Terra.




I miei occhi s’arrestarono su di essa, impregnati di quel melanconico sentimento d’amore che stringe le fibre del nostro cuore allorché il nostro pensiero trasvola verso un essere prediletto da cui ci separa una crudele distanza, e contemplai a lungo quella patria in cui tanti sentimenti diversi si avvicendano e si urtano nelle fluttuazioni della vita, e pensai:

 

Com’è deplorevole che gli innumerevoli esseri umani che abitano in quel piccolo globo non sappiano ove sono! Essa è pur bella, questa minuscola Terra, così rischiarata dal Sole, colla sua luna più microscopica ancora che sembra un punto a fianco d’essa! Portata nell’invisibile dalle leggi divine dell’attrazione, atomo errante nell’immensa armonia dei cieli, essa occupa il proprio posto e si libra nelle regioni aeree come un’isola angelica, ma i suoi abitanti lo ignorano.

 

Singolare Umanità!

 

Essa ha trovato la terra troppo vasta, s’è divisa in gruppi, e passa il suo tempo a combattere, uccidendosi gli uni gli altri come se nulla fosse. Vi sono in quest’isola celeste altrettanti soldati quanti abitanti! Essi sono tutti armati gli uni contro gli altri, mentre sarebbe stata cosa sì semplice il vivere tranquillamente, e trovano glorioso il cangiare di tratto in tratto i nomi dei paesi e il colore dei vessilli.




È questa l’occupazione favorita delle nazioni e la prima educazione dei cittadini: e da ciò in fuori impiegano la loro esistenza ad adorare la materia. Essi non apprezzano il valore intellettuale, rimangono indifferenti ai più meravigliosi problemi della creazione e vivono senza scopo.

 

Peccato davvero!

 

Ah! S’essi potessero vedere la Terra da qui, con qual piacere vi ritornerebbero e quanto ne andrebbero trasformate tutte le loro idee generali e particolari! Conoscerebbero essi almeno il paese che abitano, e sarebbe già un buon principio: studierebbero progressivamente le realtà sublimi che li circondano invece di vegetare sotto una nebbia senza confini, e vivrebbero bentosto della vera vita, della vita intellettuale!

 

Quali onori gli rende! Si direbbe davvero ch’egli abbia lasciato più d’un amico in quel bagno da forzati laggiù!




 Io non avevo parlato punto, ma udii assai distintamente quella frase che sembrava rispondere alla mia conversazione interiore.

 

Due abitanti di Marte mi stavano guardando, e mi avevano compreso in virtù di quel sesto senso di percezione magnetica di cui si è detto più sopra. Io fui alcun poco sorpreso, e, lo confesserò dunque, piuttosto ferito dell’apostrofe:

 

‘Dopo tutto, pensai io, amo la Terra; è il mio paese ed ho una certa dose di patriottismo!’

 

I miei vicini risero questa volta tutti e due insieme.

 

Sicuro – riprese l’un d’essi con una bontà inattesa – voi avete del patriottismo, e si vede bene che voi venite dalla Terra.

 

E il più anziano aggiunse:

 

Lasciate dunque laggiù i vostri compatrioti! Essi non saranno mai né più intelligenti né meno ciechi d’oggidì. Sono ben ottantamila anni che si trovano a quel punto. E, l’avete confessato voi stesso, non sono ancora capaci di pensare!...

 

Voi siete veramente ammirabile nel guardare la Terra con occhi così inteneriti, ma via, c’è in ciò soverchia ingenuità!




Non vi siete mai, lettori, incontrati talvolta con qualcuno di quegli uomini tutti invasi d’un imperturbabile orgoglio e che si credono sinceramente e in modo irremovibile al disopra di tutto il resto del mondo?

 

Allorché questi fieri personaggi si trovano in faccia a una persona di merito superiore, essa riesce loro esternamente odiosa, e non ne sopportano la presenza.

 

 Ebbene!

 

Durante il ditirambo che precede (e di cui non venne data poco fa che una pallida traduzione), io mi sentivo assai superiore all’umanità terrestre dopo di che prendevo a commiserarla ed invocavo per essa giorni migliori.

 

Ma allorché quei due abitanti di Marte sembravano commiserarmi alla loro volta, ed io credetti riconoscere in essi una fredda superiorità a mio riguardo, fui per un istante uno di quegli inetti orgogliosi, e pur contenendomi per certo resto di garbatezza, aprii la bocca per dir loro:

 

‘Dopo tutto, signori, gli abitanti della Terra non sono così stupidi quanto voi sembrate crederlo e valgono forse assai meglio di voi’.




Sgraziatamente, essi non mi lasciarono nemmeno incominciare la mia frase, poiché l’avevano indovinata mentre si formava per mezzo della vibrazione del midollo del mio cervello.

 

Permettetemi innanzi tutto di dirvi fin d’ora,

 

fece il più giovane,

 

che il vostro pianeta è assolutamente deficiente, per effetto di una circostanza che data da una decina di milioni d’anni. Era nel tempo del periodo primario della genesi terrestre. Vi erano già piante e piante ammirabili in gran numero, e nel fondo dei mari come sulle rive apparivano i primi animali, i molluschi senza testa, sordi, muti e sprovvisti di sesso.

 

È noto che la respirazione basta agli alberi pel loro integrale nutrimento e che le querce più robuste e i cedri più giganteschi del soggiorno terrestre non hanno mai nulla mangiato, ciò che non tolse loro di farsi grandi e vigorosi, – nutrendosi essi per mezzo della loro respirazione.




Disgrazia e fatalità vollero che un primo mollusco avesse il corpo attraversato da una goccia di acqua più densa dell’ambiente in cui viveva, e forse ciò riuscì di suo genio. Fu l’origine del primo tubo digestivo, che doveva esercitare un’azione sì funesta sull’animalità tutta quanta, e più tardi sulla stessa umanità.

 

Il primo assassino fu il mollusco che ebbe a mangiare.

 

Qui non si mangia, non si è mai mangiato, né si mangerà mai. La creazione vi si è svolta gradatamente, pacificamente, nobilmente com’essa aveva incominciato. Gli organismi si nutrono, o come si dice altrimenti rinnovano le loro molecole per mezzo di una semplice respirazione, come lo fanno i vostri alberi terrestri, ogni foglia dei quali è un piccolo stomaco.

 

Nella vostra cara patria, voi non potete vivere un sol giorno se non uccidendo. Fra di voi la legge della vita è legge di morte; qui invece non è mai venuto a nessuno l’idea di uccidere neppure un uccelletto.

 

Voi siete tutti, dal più al meno, veri macellai.




Avete le braccia piene di sangue e i vostri stomachi sono rimpinzati di cibo. In qual modo volete voi che, con organismi così grossolani quali i vostri, possiate avere idee sane, pure, elevate – e dirò anche (vogliate perdonare la mia franchezza) idee pulite?

 

Quali anime potrebbero abitare corpi consimili?

 

Riflettete dunque, un istante, e non cullatevi più di cieche illusioni troppo ideali per un tal mondo!

 

‘Come!’

 

– scattai io interrompendo –

 

‘ci rifiutate voi dunque la possibilità di avere idee pulite, e prendete forse gli esseri umani per animali? Omero, Platone, Fidia, Seneca, Virgilio, Dante, Colombo, Bacone, Galileo, Pascal, Leonardo, Raffaello, Mozart, Beethoven, non hanno essi mai avuto alcuna aspirazione elevata?

 

Voi trovate i nostri corpi rozzi e disaggradevoli, ma se aveste visto passare a voi davanti Elena, Frine, Aspasia, Saffo, Cleopatra, Lucrezia Borgia, Agnese Sorel, Diana di Poitiers, Margherita di Valois, la Borghese, la Tallien, la Récamier e le sue meravigliose rivali, pensereste forse in modo differente.




Ah! caro Marziano, permettetemi alla mia volta di rimpiangere che non conosciate la Terra che assai da lunge’. 

 

V’ingannate; io ho abitato cinquant’anni in quel mondo; ciò mi è bastato, e non vi farò certo ritorno. Tutto vi è mal riuscito, perfino... quel che vi sembra più seducente.

 

Vi immaginate voi dunque che su tutte le Terre del Cielo, i fiori diano vita ai frutti nello stesso modo?

 

Non sarebbe cosa un po’ crudele?

 

Quanto a me, amo le margherite e le rose in bocciolo.

 

‘Ma’

 

 – ripresi io –

 

‘vi furono nondimeno, e contro ogni malvolere, grandi intelligenze sulla Terra e creature veramente sorprendenti. Non è lecito forse cullarsi nella speranza che la bellezza fisica e morale andrà perfezionandosi sempre più, come fece sin qui, e che le menti umane si faranno progressivamente sempre migliori?




Non si passa tutto il tempo della vita intenti a mangiare, e gli uomini finiranno pure, nonostante i loro lavori materiali, per consacrare ogni giorno alcune ore allo sviluppo della loro intelligenza. Allora, senza dubbio, non continueranno più a fabbricare piccoli dèi a loro immagine, e fors’anche sopprimeranno essi le loro puerili frontiere per lasciar regnare l’armonia e la fraternità’.

 

No, amico mio, giacché se lo volessero, essi lo farebbero già fin d’ora.

 

Ora essi se ne guardano bene!

 

L’uomo terrestre è un animaletto che da una parte non prova più il bisogno di pensare, non avendo neppure l’indipendenza dell’anima, e che, d’altra parte, ama battersi e fonda netto e schietto il diritto sulla forza.

 

Tale è il suo buon piacere, e tale è la sua natura.




Non farete mai che una fronda di biancospino abbia a portare pesche. Pensate dunque che le più vaghe ed incantevoli bellezze terrestri a cui faceste allusione testé, non sono che mostri grossolani a petto delle nostre aeree donne di Marte che vivono dell’aria delle nostre primavere, dei profumi dei nostri fiori, e sono sì voluttuose, nel solo fremito delle loro ali, nel bacio ideale d’una bocca che non mangiò mai, che se la Beatrice di Dante fosse stata di tale natura, non mai l’immortale fiorentino avrebbe potuto scrivere due cantiche della sua Divina Commedia: egli avrebbe incominciato il suo poema dal Paradiso e non ne sarebbe mai disceso.

 

Pensate dunque che i nostri adolescenti hanno altrettanta scienza innata quanto Pitagora, Archimede, Euclide, Keplero, Newton, Laplace e Darwin dopo tutti i loro laboriosi studi; i nostri dodici sensi ci mettono in comunicazione diretta coll’universo; noi sentiamo di qui, a cento milioni di leghe, l’attrazione di Giove che passa e vediamo ad occhio nudo gli anelli di Saturno: indoviniamo l’approssimarsi d’una cometa e il nostro corpo è impregnato dell’elettricità solare che mette in vibrazione tutta la natura.




Non vi sono mai stati qui né fantasmi religiosi, né carnefici, né martiri, né divisioni internazionali, né guerre; ma, fin dai suoi primi tempi, l’umanità, naturalmente pacifica e affrancata da ogni bisogno materiale, ha vissuto indipendente di corpo e di mente, in una costante attività intellettuale, elevandosi senza tregua nella cognizione della Verità.

 

Ma venite piuttosto fin qui.

 

Io feci alcuni passi coi miei interlocutori sulle cime della montagna, e giungendo in vista dell’altro versante, scorsi una moltitudine di luci dai diversi colori che danzavano vagamente nell’aria.

 

Erano gli abitanti che, nelle ore di notte, divengono, quando lo aggradiscano, luminosi.

 

Carri aerei, che parevano formati di fiori fosforescenti, traevano seco orchestre e cori, e venendo uno d’essi a passarci vicino, vi prendemmo posto in mezzo ad una nube di profumi. Le sensazioni ch’io provavo erano in modo singolare estranee a tutte quelle da me gustate sulla Terra, e quella prima notte su Marte passò come rapido sogno, in quanto che, all’aurora io mi trovavo ancora nel carro aereo intento a discorrere coi miei interlocutori, coi loro amici e colle loro indefinibili compagne.

 

Quale panorama allo spuntar del Sole!




Fiori, frutti, profumi, palazzi da fate si ergevano sopra isole dalla vegetazione aranciata; le acque si stendevano quali limpidi specchi e gaie coppie aeree discendevano danzando a volo su quelle rive incantatrici. Là, tutti i lavori materiali sono compiuti da macchine e diretti da alcune razze animali perfezionate, la cui intelligenza è press’a poco della stessa natura di quella degli abitanti umani della Terra.

 

Gli abitanti di Marte non vivono che di puro spirito e per lo spirito; il loro sistema nervoso è giunto ad un grado tale che ognuno di quegli esseri, ad un tempo oltremodo delicato e di gran vigoria, sembra un apparecchio elettrico, e che le loro impressioni d’ordine sensitivo, risentite assai più dalle loro anime che non dai loro corpi, sorpassano del centuplo tutte quelle che i nostri cinque sensi terrestri possano mai offrirci...

 

Una specie di palazzo d’estate, illuminato dai raggi del Sole sorgente, s’apriva al disopra della nostra gondola aerea, e la mia vicina, le cui ali fremevano d'impazienza, posò il suo piede delicato su un cespo di fiori che si levava tra due zampilli di profumi.




Ritornerai tu sulla Terra?

 

disse ella tendendomi le braccia?

 

‘Giammai!’

 

gridai io...

 

E mi lanciai verso di essa...

 

Ma, in quel medesimo istante, mi ritrovai solitario, presso il bosco, sul versante della collina ai cui piedi serpeggiava la Senna dai giri tortuosi.

 

Giammai!... ripetei io, cercando di raccogliere il dolce sogno dissipatosi.

 

Dov’ero io dunque?

 

Oh! era pur bello!

 

Il Sole era appena tramontato, e già il pianeta Marte, allora splendidissimo, s’accendeva nel cielo.




Ah!

 

feci io, attraversato quasi da un baleno fugace

 

 io ero là!

 

Cullati dalla medesima attrazione, i due pianeti vicini si guardano attraverso lo spazio trasparente. Non avremmo noi, in questa fraternità celeste, una prima immagine dell’eterno viaggio?

 

La Terra non è più sola nel mondo. I panorami dell’infinito incominciano a dischiudersi, e si soggiorni qui od altrove, noi siamo, non i cittadini d’un paese o di un mondo, ma, per vero, i cittadini del Cielo.

(C. Flammarion)


[Prosegue con il Testamento di Spero, ovvero il capitolo quasi completo]








 

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