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domenica 25 febbraio 2024

IL CAPRO ESPIATORIO

 








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A Chignolo, frazione di Oneta, in valle del Riso, i lupi hanno attaccato domenica, in pieno giorno, gli animali custoditi, a poche centinaia di metri da un’azienda che alleva ovicaprini e una trentina di vacche da latte. La comunicazione è arrivata dalle associazioni Pastoralismo Alpino. Tutela Rurale e il Comitato Valseriana-tutela persone e animali dai lupi. Secondo le tre associazioni i lupi sono poi tornati nella scorsa nottata, tra lunedì 11 e martedì 12 dicembre: il risultato è la morte di due capre, il ferimento di un becco, una pecore e due capre, per le quali non si sa ancora se esista una possibilità di recupero.

 

 

“Va precisato che le reti utilizzate sono quelle “alte”, dichiarate “anti-lupo” dai servizi regionali. Gli allevatori sostengono da tempo che queste reti che, secondo gli amici dei lupi (e le istituzioni) dovrebbero difendere efficacemente gli animali, servono a ben poco perché il lupo le salta in scioltezza -spiegano le associazioni in una nota-. L’episodio rappresenta l’ennesima conferma dell’espansione del lupo in Val Seriana. Oltre ai casi dell’alta valle se ne aggiungono altri che indicano una rapida discesa dei predatori verso la media valle. Veronica Borlini, la giovane allevatrice vittima della predazione, riferisce che anche lo zio ha già subito dei danni a Gorno sul monte Grem. Come Comitato per la tutela delle persone e degli animali dal lupo non possiamo non stigmatizzare la persistente tendenza a minimizzare il problema della presenza del lupo da parte delle istituzioni, in primis della Polizia provinciale che a lungo ha negato che fossero avvistati i lupi. Per discutere della situazione e delle iniziative da intraprendere in tema di lupi, si terrà, alla presenza di alcuni esponenti della Regione Lombardia, un convegno ad Ardesio il 26 gennaio”.

 

In Val Seriana il 2023 sarà ricordato come quello del ritorno ufficiale del lupo nel territorio. In particolare, l’ultima segnalazione è quella della fine di ottobre, quando furono visti, grazie alle fototrappole della Polizia provinciale, 4 piccoli lupi, figli della coppia avvistata a Gandellino all’incirca un anno fa. Si è trattato così del primo branco accertato dalle forze dell’ordine provinciali. 

(Voci locali)




 Secondo la tradizione del capro espiatorio, il lato malvagio o inferiore dell’uomo può essere trasferito da lui a un animale. In questo processo di rimozione della malattia o del peccato, lo spirito cattivo viene espulso dall’essere umano ed entra nella forma di qualche bestia. In India l’animale da fuga può essere un maiale, un bufalo, una capra o un gallo nero.

 

Gli ebrei avevano l’usanza di portare un capro alla porta del Tabernacolo e il sommo sacerdote caricava i peccati del popolo sull’animale, mandandolo poi via con il suo carico nel deserto.

 

In Tibet un capro espiatorio umano, vestito di pelle di capra, viene cacciato dalla comunità non appena la gente ha confessato i propri peccati, e ricchi Mori tengono un cinghiale nelle loro stalle affinché vi ‘entri’ lo spirito maligno cosicché i loro cavalli immuni dal suo attacco.

 

Nel luglio 1603, nel distretto di Douvres e Jeurre cadde una grande tempesta di grandine che danneggiò tutti gli alberi da frutto e furono visti tre lupi misteriosi. Non avevano coda e passarono innocui attraverso un gregge di mucche e capre, senza toccarne nessuna tranne un capretto, che uno dei lupi portò lontano senza ferirlo in alcun modo. Questa condotta innaturale rendeva abbastanza evidente che questi non erano veri lupi, ma stregoni che avevano provocato la tempesta di grandine e desideravano visitare la scena del disastro. Si diceva che il lupo più grande che guidava il branco doveva essere lui stesso il potente malvagio.

 

Nel Poitou i contadini hanno una curiosa espressione, ‘courir la galipote’, che significa trasformarsi di notte in un lupo mannaro o in un altro animale umano e inseguire la preda attraverso i boschi. Il galipote è il famiglio o folletto che lo stregone ha il potere di inviare.




Nei secoli oscuri gli stregoni capaci di questo compimento venivano trattati secondo la legge, e centinaia venivano processati per aver praticato arti oscure, essendo condannati, nella maggior parte dei casi, ad essere bruciati vivi o squartatai sulla ruota. Uno dei casi storici più noti fu quello di Pierre Bourgot, il diavolo in persona che per due anni fu processato e torturato dall’inquisitore generale Boin.

 

Una storia straordinaria su un lupo mannaro viene da Ansbach nel 1685:

 

Si diceva che la presunta incarnazione di un borgomastro morto di quella città rapisse uomini donne ed infanti in un borgo vicino sotto forma di lupo, divorando con essi il bestiame. Alla fine la bestia feroce fu catturata e sgozzata, e la sua carcassa fu avvolta in un abito di tela di cera color carne, mentre la sua testa e il suo viso furono adornati con una parrucca color castagna e una lunga barba bianca, dopo che il muso dell’animale era stata tagliato e sostituito con una maschera che ricordava i lineamenti del borgomastro morto.

 

Questa effige fu impiccata, la sua pelle imbottita e messa in un museo, dove fu additata come prova dell’effettiva esistenza dei lupi mannari.

 

Questo incidente sembra dimostrare che la credenza nei lupi mannari non è mai stata definitivamente sradicata, ed è del tutto naturale che un tema che ha avuto un tale credito in tutto il mondo si ripeta ripetutamente nella mitologia e nella letteratura.




Ciò che rende visibile il lupo mannaro è la sovreccitazione quasi sonnambulistica causata dalla paura di chi lo vede, i colpi inferti al lupo mannaro lo feriscono davvero, e per la corrispondenza dell’immateriale con il corpo materiale possono ricondurre il corpo alla sua materia originaria.

 

Questa particolarità della ferita inflitta al lupo mannaro riproducendosi nell’essere umano è sottolineata da un incidente avvenuto intorno al 1588 in un minuscolo villaggio situato tra le montagne dell’Alvernia: un signore stava guardando una sera dalle finestre del suo castello quando vide passare un cacciatore di sua conoscenza diretto alla caccia. Chiamandolo, lo pregò che al suo ritorno gli riferisse la fortuna che aveva avuto nella caccia. Il cacciatore dopo aver seguito la sua strada fu attaccato da un grosso lupo. Sparò con la pistola senza colpire l’animale. Poi lo colpì con il suo coltello da caccia, recidendo una delle zampe, che raccolse e mise nello zaino. Il lupo ferito corse rapidamente nella foresta. Quando il cacciatore raggiunse il castello raccontò all’amico della sua strana lotta con un lupo, e per sottolineare la sua storia aprì lo zaino.

 

Il proprietario riconobbe l’anello come di sua moglie, e affrettandosi in cucina per interrogarla la trovò con un braccio nascosto sotto le pieghe di uno scialle. Lo scostò e vide che aveva perso la mano. Poi confessò che era stata lei che, sotto forma di lupo, aveva attaccato il cacciatore.

 

Fu arrestata e bruciata viva poco dopo a Ryon.




Olao Magno dichiara che sebbene gli abitanti della Prussia, della Livonia e della Lituania, soffrano considerevolmente delle depredazioni dei lupi per quanto riguarda il loro bestiame, le loro perdite non sono così gravi in ​​questi stati come quelle che subiscono per mano dei lupi mannari.

 

Alla vigilia di Natale moltitudini di lupi mannari si radunano in un certo punto e si uniscono per attaccare esseri umani e animali. Assediano case isolate, sfondano le porte e divorano ogni essere vivente. Irrompono nelle cantine dove viene conservata la birra e lì svuotano le botti, dimostrando così i loro gusti umani. Un castello in rovina vicino a Curlandia sembra essere stato il loro luogo d’incontro preferito, dove migliaia di persone si riuniscono per mettere alla prova la loro agilità. Se qualcuno di loro non riesce a scavalcare le mura del castello, viene ucciso dagli altri, poiché in tal caso sono considerati incompetenti per il lavoro da svolgere.

 

La paura dell’animale si ricollega a quell’universo di fobie, quasi sempre di natura irrazionale, riconducibile al tema della diversità e che molto spesso ha guidato campagne di persecuzione nei confronti non solo delle altre specie, ma altresì di etnie diverse, di portatori di diversità o semplicemente di persone che non aderivano ai costumi o alle credenze condivise da una particolare comunità.

 

La diffidenza verso tutto ciò che è diverso – nelle sue articolate accezioni: paura, insofferenza, superstizione, odio – fa sì che con molta facilità l’animale diventi una sorta di capro espiatorio ogni qualvolta un gruppo sociale o etnico si senta minacciato per un qualsivoglia motivo. Il portatore di diversità diventa infatti un elemento che perturba l’equilibrio e la stabilità dell’insieme, ovvero il grado di coesione interna, e questa stessa caratteristica guida le pulsioni a lui rivolte che quasi sempre si presentano improntate su una forte ambiguità.




Il capro espiatorio è esemplificazione dei mali che affliggono una particolare comunità, ma nello stesso tempo è punto di aggregazione dei conflitti e quindi purificatore (salvatore) del gruppo che ne decreta il sacrificio. È evidente il carattere sacrale di questo processo che manifesta un profilo relazionale ambivalente, laddove è presente la pulsione di allontanamento – tramite l’uccisione sacrificale – ma nello stesso tempo di incorporazione, seppur simbolica, del diverso.

 

Possiamo notare che quanto più chiuso è il gruppo, e conseguentemente forte il concetto di identità, tanto più facilmente si realizza questo rituale.

 

Nel Medioevo l’animale era il segno che permetteva il complesso di operazioni purificatorie necessarie per far parte della comunità cristiana; il timore dell’animalità era fondato sulla paura di uscire dall’umanità, cioè di contaminarsi ossia di entrare in un territorio ibrido. Sono di questo periodo le più interessanti trattazioni di metamorfosi in animale, rischio a cui andavano incontro coloro che volontariamente o accidentalmente si trovavano in una particolare situazione di isolamento dalla comunità.

 

Andare a vivere in un bosco, rimanere per lungo tempo solo con animali, trovarsi nella foresta in una notte di luna piena... sono alcune delle più consuete spiegazioni al fenomeno della trasformazione in animale, presente nei miti dei miti dei lupi mannari, degli uomini silvestri, delle donne orso. Licantropia, vampirismo ecc. sono altrettante manifestazioni di questa concezione di animale come inquietante oggetto alla deriva, minaccia in grado di frastornare l’uomo e di fargli perdere le sue caratteristiche spirituali.

 

L’animalità è perciò un continente misterioso in cui è facile perdersi o naufragare.




Ritroviamo peraltro questo luogo comune un po’ in tutta la tradizione occidentale, a partire dall’Odissea di Omero per finire nel racconto La metamorfosi di Kafka. La zooantropia (ossia la paura di trasformarsi in animale) è presente in gran parte della letteratura moderna che ne ha fatto un cliché, dando vita a diverse tradizioni. Oggi col termine ‘zooantropia’ si intende anche una forma di malattia psicogena dove il soggetto non solo teme di trasformarsi in animale – spesso con forme di atteggiamenti ossessivo-compulsivi che lo portano a lavarsi in continuazione – ma talvolta è persino convinto di essersi mutato in animale e pertanto di doversi comportare di conseguenza.

 

La paura dell’animale può colpire l’individuo durante il giorno e avere eventi scatenanti nella realtà contingente (un insetto che entra dalla finestra, un cane incontrato durante una passeggiata) oppure può manifestarsi durante il sonno. In questi casi alcune persone arrivano addirittura a non riuscire più a dormire a causa di incubi popolati da animali minacciosi.

 

Nei racconti fantastici rinveniamo l’animale sia sotto forma concreta, ossia come pieno protagonista della vicenda nei diversi ruoli precedentemente esaminati, sia sotto forma simbolica – a rappresentare o a richiamare particolari significati – o ancora come entità capace di facilitare particolari eventi. Il demone (o, riprendendo il vocabolo greco, daimon) animale è uno spirito che abita le zone di confine, sfuggevole e tenebroso, e si manifesta a tempo debito per punire l’arroganza umana o comunque far comprendere all’uomo i suoi limiti.




La presenza di un daimon animale è sempre stata avvertita con timore dall’uomo, che l’ha immaginata come una figura misteriosa e potente, da pacificare ogni qual volta il patto di amicizia tra il mondo degli uomini e quello degli animali veniva turbato da ‘invasioni territoriali’ come per esempio una battuta di caccia. In molte tradizioni culturali l’attività venatoria o sacrificale ancor oggi dev’essere eseguita da un sacerdote e realizzata con opportune liturgie mirate a non turbare la suscettibilità del dio degli animali o comunque a calmare la sua ira.

 

Alcune fra le teorie più accreditate, per dare una spiegazione ai graffiti paleolitici che raffigurano scene di caccia, li considerano veri e propri tributi per pacificare la divinità degli animali e scongiurare la sua vendetta. Il daimon animale abita le foreste, le vette dei monti, gli abissi, in altre parole i luoghi più ostili e irraggiungibili; incarnazione dello spirito primigenio, è il legittimo proprietario dei luoghi lussureggianti di vegetazione, il signore delle forze primordiali. E a questo proposito è necessaria una piccola digressione. La forza del daimon animale è riconducibile alle rigogliose energie della natura in termini di fertilità, vigore, istintività, piena capacità di reagire agli scacchi dati dal mondo esterno.

 

La capacità della natura di riprendere possesso di quanto le è stato tolto dal lavoro dell’uomo – pensiamo al vigore delle piante selvatiche, alla capacità riproduttiva degli invertebrati, alle grandi calamità naturali – rafforza nell’uomo questo senso di religiosità che nasce ovviamente da un sentimento di inferiorità e di precarietà. Il reato di ‘animalicidio’ non solo scatena il senso di colpa – in genere stornato attraverso un vasto repertorio di finzioni, tra cui la cosiddetta ‘commedia dell’innocenza’  – ma soprattutto può scatenare le ire del dio degli animali, di qui il bisogno di una liturgia di pacificazione.




Ma il daimon animale è altresì il regno dei grandi istinti, il luogo della perdita della razionalità, della follia, del panico (parola legata a Pan, dio della natura); questo territorio presenta vaste aree di congiunzione con il mondo ultraterreno e magico, cosicché lo spirito animale si trova ad affiancare l’uomo nei riti e nelle pratiche esoteriche. Pertanto possiamo affermare che l’abbondanza di immagini e simbologie animali testimonia il valore di primo piano da sempre attribuito al daimon animale come presenza misterica propiziatoria o comunque da pacificare attraverso tributi e liturgie.

 

Il daimon animale come entità negativa può riemergere nell’uomo recuperando o dando voce alle pulsioni più profonde e istintive del suo intimo: di qui il mito della ‘bestia umana’ rinvenibile in buona parte della narrativa del XIX e XX secolo. In queste narrazioni le pulsioni di retaggio animale – quelle sconvenienti – vengono individuate non nel complesso della natura umana ma nella collezione di sentimenti tenuti a freno dalle norme sociali o adempiuti in ambito privato: l’aggressività, la pulsione sessuale, le grandi funzioni fisiologiche.

 

Nei racconti in genere il daimon animale riemerge per una caduta di razionalità o, più genericamente, di umanità; la trasformazione in animale viene collegata alla vita nei boschi in totale isolamento, all’esposizione ai raggi lunari in una notte di luna piena, alle pratiche di zoorastia, alla morsicatura di una belva feroce, alla follia o a patologie neurologiche quali l’epilessia. Ma ritornando genericamente al concetto di animale come simbolo misterico possiamo dire che ha come punto di partenza l’idea, presente tanto nella tradizione monoteista quanto in quella politeista, che alcune specie abbiano un rapporto di comunione con la divinità: il figlio di Dio è l’agnello, lo Spirito Santo la colomba, il Maligno il serpente, solo per citare gli esempi classici della tradizione cristiana.




Questa comunione nasce e si fonda sul presupposto che il divino, nel bene come nel male, si appalesi prima al mondo animale poi a quello degli uomini. Le qualità misteriche dell’animale, che lo legano indissolubilmente alla sfera del sacro, sono pertanto riconducibili a una sorta di continuità tra ambito divino e animale. In altri termini, l’uomo ritiene che gli animali in genere, e alcune specie in particolare, siano graditi agli dèi: la divinità parla attraverso l’animale, si traveste da animale, elegge l’animale a suo alter ego.

 

È in questo senso che va letto uno degli utilizzi più frequenti della simbologia misterica dell’animale: il capro espiatorio. Il sacrificio, in genere, è connotato dall’offerta al sovrannaturale di qualcosa di prezioso per l’officiante, ma soprattutto gradito alla divinità. Esistono diverse letture della pratica sacrificale; secondo René Girard, il capro espiatorio ha il compito di prendere su di sé tutte le colpe della comunità – divenendo il colpevole che ha turbato l’ordine naturale e soprannaturale – ma al tempo stesso ha il compito, con la sua morte, di ristabilire tale armonia liberando la comunità dai mali che la affliggono. 

 

 

GIRARD CI DICE 

 

  

In numerosi rituali, il sacrificio si presenta in due opposte maniere, ora come una ‘cosa molto santa’ da cui non ci si potrebbe astenere senza grave negligenza, ora, invece, come una specie di delitto che non si potrebbe commettere senza esporsi a rischi altrettanto gravi.

 

C’è un mistero del sacrificio…


(PROSEGUE....)








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