giuliano

mercoledì 6 agosto 2025

LA CAMORRA UN PO' PIU' A SUD

   








 

 

‘ Nui non simmmo gravanari,

Nui non simmo realisti,

Ma nui simmo Camorristi,

Cuffiano a chili’ea chisti!’

 

(Non siamo Carabinieri,

Noi non siamo realisti,

Ma noi siamo camorristi

Al diavolo gli altri!)

 


 

 

 

La parola camorra deriva dallo spagnolo ‘chamarra’ (in italiano gamurra, da cui tabarra, tabarro), che significa ‘mantello’ solitamente indossato da ladri e bulli. Da ciò deriva la parola spagnola camorra, ‘una lite a pugni’, e l’espressione ‘hacer camorra’, traducibile abbastanza bene come ‘cercare guai’. Sarebbe difficile trovare una definizione più precisa di quest’ultima per l’attività della camorra napoletana.

 

Giuseppi Alongi, allievo e seguace di Lombroso, nonché una delle principali autorità italiane in materia, afferma a proposito dell’ascesa dell’organizzazione napoletana:

 

“La camorra ebbe certamente origine nelle carceri di Napoli. I vecchi criminali si consideravano aristocratici del crimine e si comportavano come padroni nelle loro case, formando una sorta di classe privilegiata. All’interno del carcere. L’idea di imporre tasse ai nuovi arrivati venne loro naturale quanto quella, tra i soldati, di chiedere alla recluta di ‘pagare il suo pedaggio’. Che la camorra napoletana sia così coinvolta nella religione è dovuto al fatto che il criminale locale unisce la ferocia alla superstizione religiosa, mentre la straordinaria devozione della popolazione alla ‘Madonna del Carmelo’, venerata come simbolo di amore materno, offre un facile mezzo per sfruttare la loro credulità. Divenne quindi consuetudine esigere pedaggi dalla popolazione, con il pretesto che fossero destinati a scopi religiosi. I camorristi celebrano quattrocento feste ogni anno e la Chiesa del Carmelo a Napoli è ancora il loro centro religioso”.



Tra il 1820 e il 1860, essere un camorrista era motivo di orgoglio e una rara distinzione tra i più vili. Lungi dal nascondere la propria appartenenza, il camorrista la ostentava all’estero, ostentando persino un costume particolare che lo rendeva inconfondibile. Una cravatta rossa, le cui estremità pendevano dalle spalle, una fascia multicolore e un bastone pesantemente ornato di anelli di ottone, lo contraddistinguevano come un ‘uomo cattivo’ in questo periodo romantico. Ma, per quanto pittoresca potesse essere, la Camorra divenne presto la società segreta più temuta e ripugnante del mondo.

 

Potevano diventare membri solo coloro che avevano dimostrato la loro preferenza per la malavita e fornito prove tangibili della loro criminalità. I candidati che si erano qualificati per il noviziato dimostravano la loro idoneità per il grado successivo compiendo qualche atto brutale, come tagliare la gola a un vecchio da un orecchio all’altro.

 

L’attività della Camorra è l’estorsione organizzata, supportata da omicidi e violenza. Il camorrista è un bullo, uno che sa usare il coltello. In questo veniva istruito fino a diventare un maestro nell’accoltellamento artistico con una discreta conoscenza dell’anatomia. Vari stili di coltello venivano usati per scopi diversi: il settesoldi, per sfregiare e duelli insignificanti tra i membri; ‘o zumpafuosso’, o coltello ufficiale mortale, per il ‘duello saltato’; il triangolo per gli omicidi, ecc.




Il taglio vero e proprio di solito non veniva eseguito dal camorrista stesso, ma da qualche aspirante membro della società che desiderava dare prova della sua virtù e a cui, più che altro per favore, era permesso di correre tutti i rischi. Di conseguenza, il giovane ‘onorato’ sceglieva il coltello giusto e si appostava alla sua vittima, assistito da un palo , o ‘stallo’, che avvertiva del pericolo e forse faceva in modo che la vittima inciampasse proprio nel momento in cui il colpo stava per essere sferrato.

 

Segnali segreti facilitavano le cose.

 

Anche oggi, l’americano a Napoli che non ha ‘paura di tornare a casa al buio’ farebbe meglio ad affrettare i suoi passi se sente vicino l'abbaiare di un cane, il miagolio di un gatto, il canto di un gallo o uno starnuto, uno qualsiasi dei quali non convince della sua autenticità. Questi sono tutti segnali comuni di attacco camorristico; mentre melodie popolari come ‘Oi ne’, traseteve, ca chiora!’ (‘Entra, che piove!’) sono avvertimenti dell’avvicinarsi del pericolo.

 

La camorra napoletana ebbe origine in Spagna, il grande Cervantes, in ‘Rinconeto y Contadillo’, ha tracciato un quadro meraviglioso di una confraternita di ladri e malfattori che dividevano i loro profitti illeciti con la polizia e il clero. Questa era ‘La Garduna’, la madre della camorra. Già nel 1417 aveva regole, costumi e ufficiali identici a quelli della camorra del XIX secolo e, come questa, prosperava nelle carceri, che erano praticamente sotto il suo controllo. Indubbiamente questa organizzazione trovò la sua strada in Sicilia e a Napoli sulla scia dell’occupazione spagnola del XIII secolo, e germogliò nelle ripugnanti prigioni dell’epoca fino a quando non fu pronta a esplodere in aperta attività sotto i Borboni.




Il primo grado di aspiranti alla camorra era quello del garzone di mala vita, o ‘apprendista’, che era praticamente un servo, un fattorino o un valletto per i suoi padroni o sponsor, ed era noto come giovine onorato, o giovane onorato. Il secondo grado era quello del picciotti sgarro, o novizio, originariamente difficile da raggiungere e che spesso richiedeva dai sei ai dieci anni di servizio. Il terzo o ultimo stadio era quello del capo paranza, capo di una banda locale, o ‘capo distretto’.

 

La società era divisa in dodici centri, corrispondenti ai dodici quartieri della città di Napoli, ogni centro era a sua volta suddiviso in paranze e aveva un fondo separato o individuale. Il capo di ogni paranza veniva eletto ed era l’uomo più forte o più audace della banda. In passato combinava la carica di presidente, che comportava solo la limitata autorità di convocare le riunioni, con quella di cassiere, che comportava il vantaggio di poter dividere la camorra, ovvero i proventi del crimine. Il capo aveva diritto allo sbruffo, una percentuale dovuta per ‘diritto di camorra’; e questa percentuale appartiene oggi in ogni caso al camorrista che ha pianificato o diretto il particolare crimine in questione.

 

I capi delle dodici divisioni si riunivano, proprio come fanno occasionalmente oggi, per discutere affari di vitale importanza, ma nella maggior parte delle questioni le singole sezioni erano autonome.




Secondo la confessione di un vecchio camorrista, il grado più basso della società veniva raggiunto con il seguente rito:

 

Fu convocata un’assemblea generale del distretto, durante la quale il promotore presentò formalmente il candidato all’assemblea. Il capo stava in piedi in mezzo ai suoi compagni camorristi, tutti disposti in cerchio in base all’anzianità. Se il tesoriere era presente, il presidente aveva tre voti, e l’assemblea era nota nel gergo camorrista come cap’ in trino - tre in uno; in caso di assenza, la società era nota come cap’ in testa, che significa ‘la triade suprema’. Tutti rimasero perfettamente immobili, con le braccia incrociate sul petto e la testa china. Il presidente, rivolgendosi al neofita, disse:

 

“Conosci le condizioni e cosa devi fare per diventare un giovane onorato? Dovrai sopportare disgrazie su disgrazie, sarai obbligato a obbedire a tutti gli ordini dei novizi e dei professi solenni, e a portare loro utili guadagni per fornire loro un servizio utile”.

 

A questo il neofita risponde:

 

“Se non avessi voluto soffrire avversità e difficoltà, non avrei turbato la società”.

 

Dopo un voto favorevole sull’ammissione del candidato, questi fu condotto avanti e gli fu permesso di baciare ogni membro una volta sulla bocca. Il presidente lo baciò due volte. Il neofita chiese quindi all’assemblea alcuni favori, e il presidente rispose:

 

“I favori richiesti saranno accordati secondo le nostre regole. I nostri termini di adesione sono i seguenti:

 

“Primo: che tu non vada a cantare, a remare o a litigare nelle pubbliche strade”.

 

“Secondo: che tu rispetti i novizi e qualsiasi istruzione ti diano”.




“Terzo: che tu obbedisca con tutto il cuore ai nostri membri professati e che adempia ai loro incarichi”.

 

Dopo alcune prove, il candidato veniva affidato al ‘maestro dei novizi’, un membro a pieno titolo sotto il quale avrebbe dovuto svolgere il suo periodo di prova. La durata del suo apprendistato dipendeva dallo zelo, dall’abilità e dalla pronta obbedienza dimostrati nel corso dello stesso. Era completamente alla mercé del suo maestro e, se gli veniva ordinato, doveva sostituirsi a un altro e assumersi sulle proprie spalle i crimini di quest’ultimo; ma chi si rendeva ‘martire’ in questo modo veniva promosso a un grado superiore nella società.

 

La promozione a gradi più elevati comportava un esame più rigoroso e l’ammonizione dei camorristi:

 

“Se vedessi anche tuo padre pugnalare un compagno o uno dei tuoi fratelli, saresti obbligato a difendere il tuo compagno a costo di pugnalare o ferire tuo padre; e Dio ti aiuti se dovessi avere a che fare con traditori e spie!”.

 

Con un piede nelle galere e l’altro nella fossa (simbolicamente), giurò di uccidere chiunque, persino se stesso, se questo fosse stato il desiderio della società. La cerimonia del bacio fu quindi rinnovata e il candidato fu iniziato pienamente ai segreti dell'organizzazione. Gli fu rivelato il numero di armi in possesso della Camorra, i nomi dei fratelli sotto il divieto di sospetto, i nomi di tutti i novizi e postulanti, nonché la parola d’ordine della società e il codice dei segni di riconoscimento.




Superati questi punti del rituale, il candidato era pronto per la cerimonia del sangue, che consisteva nell'assaggiare il sangue di ciascun membro dell’assemblea, estratto da una piccola ferita praticata con un coltello, e infine per il combattimento. Per questa parte necessaria della cerimonia di iniziazione, il candidato doveva scegliere un avversario dall’assemblea. I campioni sceglievano quindi i loro pugnali, sceglievano i loro padrini, si toglievano la camicia e il combattimento aveva inizio. Era una regola che imponeva di mirare solo ai muscoli del braccio, e il presidente, in qualità di capo di tiranta (maestro di combattimento), era presente per garantire che la regola venisse rispettata.

 

Al primo prelievo di sangue, il combattimento terminava e il vincitore veniva portato avanti per succhiare il sangue della ferita e abbracciare il suo avversario. Se il membro appena promosso risultava sconfitto, doveva riprendere il combattimento in seguito con un altro campione; e solo dopo aver vinto una prova veniva definitivamente ‘promosso’.

 

Molte altre sanguinose prove sono state attribuite a questa cerimonia della Camorra; ma queste, così come la precedente nella sua forma rigorosa, sono state in gran parte abolite, tranne che nelle carceri, dove la società conserva ancora la sua formalità. Rimaneva, come fase finale del rituale di iniziazione, il tatuaggio di due cuori uniti da due chiavi. ‘Gli uomini d’onore dovrebbero avere cuore sufficiente per due persone, vale a dire, avere un cuore grande; gli uomini legati solo ai loro colleghi e il cui cuore è come chiuso con una doppia chiave a tutti gli altri’.

 

A volte un ragno prendeva il posto dei cuori, simboleggiando l’operosità del camorrista e il silenzio con cui tesse la ragnatela attorno alla sua vittima. Questo tatuaggio è ancora consuetudine tra i camorristi.




Il consueto tribunale camorrista era composto da un comitato di tre membri appartenenti all’organizzazione distrettuale, presieduto dal camorrista di rango più elevato tra loro, e dirimeva le controversie e le punizioni ordinarie. Da questo si faceva appello per le questioni più importanti al comitato centrale di dodici membri. Quest’ultimo organo eleggeva un capo supremo per l’intera società e deliberava sulle questioni di politica generale. Fungeva anche da tribunale di giurisdizione originaria e definitiva nei casi di tradimento nei confronti della società, come il tradimento dei suoi segreti o l’appropriazione indebita dei suoi fondi, imponeva la pena di morte e nominava i carnefici. I suoi decreti venivano eseguiti con cieca obbedienza, sebbene non di rado la pena di morte venisse commutata in quella di sfiguramento.

 

Tale era dunque la società che nel 1820 controllava già le prigioni, si dedicava ad assassinii e rapine, imponeva ricatti a tutte le classi, trafficava in ogni sorta di depravazione e aveva una base su cui i suoi leader potevano fare assoluto affidamento. Non aveva alcun credo politico, né si interessava di altro che del crimine. Aveva una solidarietà maggiore della polizia, che era quasi altrettanto corrotta. Temuta da tutti, era sfruttata da tutti, perché poteva fare ciò che la polizia non poteva fare.

 

Sotto i Borboni, la polizia riconobbe e utilizzò la Camorra come agente segreto e ne garantì l’immunità in cambio di informazioni e assistenza. Entrambe depredavano i cittadini onesti e vivevano di estorsione e ricatto. ‘Il governo e la Camorra cacciavano con lo stesso guinzaglio’. Eppure, poiché la polizia era considerata uno strumento del dispotismo, il popolo arrivò a considerare i camorristi (che, almeno tecnicamente, erano ostili all’autorità) come alleati contro la tirannia.




Fu in questo periodo della storia italiana che nacquero l’attuale sfiducia nel governo e l’avversione per la legge, così come la simpatia popolare per tutte le vittime di processi legali e l’odio per tutti coloro che indossano l’uniforme della polizia. La Camorra fa ancora appello al terrore della tirannia nel cuore dell’Italia meridionale, a cui in larga misura, con la sua complicità, contribuì. Così, l’amore per la libertà fu trasformato in una scusa per il traffico di criminali; così fu alimentata l’omertà , il perverso codice d’onore che obbliga la vittima a proteggere il suo assassino dalla legge; e così nacque l’avversione per ogni autorità che ancora oggi permane tra i discendenti delle vittime dell'atroce sistema di Ferdinando, che, qualunque ne fosse l'origine, diede alla mala vita – brigantaggio, mafia e camorra – la loro virulenza e tenacia.

 

Nel 1848 la Camorra era diventata così potente che Ferdinando II negoziò con essa per ottenere sostegno; ma la società chiese troppo in cambio e il piano fallì. Per questo motivo la Camorra minacciò di scatenare una rivoluzione! In questo fu senza successo, ma cominciò a manifestare apertamente idee rivoluzionarie e a fingere di essere amico della libertà, mentre i suoi membri imprigionati si atteggiavano a patrioti, vittime della tirannia.

 

Così guadagnò enormemente prestigio e numero di membri, mentre il trono diventava sempre meno sicuro. Ferdinando II concesse un’amnistia generale per accrescere la sua popolarità, e i camorristi che erano stati in carcere ora dovevano essere considerati in aggiunta a quelli fuori. Nel 1859 Ferdinando morì e Francesco II si sedette sul trono vacillante. Il suo prefetto di polizia, Liborio Romano, che la storia ha accusato di aver complottato per la caduta dei Borboni con Garibaldi e di aver giocato a doppio gioco contro il centro, aveva, per forza o per malizia, concepito il piano di imbrigliare la camorra affidandole il mantenimento dell’ordine in città. La polizia era demoralizzata e aveva bisogno di essere ringiovanita, disse. Francesco II ebbe allora un’altra consegna di prigione e ‘Don Liborio’ organizzò una ‘Guardia Nazionale’ e vi arruolò schiere di camorristi, mentre nella gendarmeria reclutò i picciotti come soldati semplici e installò i camorristi regolari come brigadieri.




Apparentemente ci fu una sorta di rinascita della camorra intorno al 1880, alla morte di Vittorio Emanuele II, e sotto la nuova amministrazione di Umberto cominciò ad essere sempre più attiva nella politica e negli affari. A quel tempo, la Camorra alta comprendeva avvocati, magistrati, insegnanti, alti funzionari e persino ministri. L’autore non intende dire che questi uomini abbiano seguito riti di iniziazione o svolto un apprendistato con il coltello, ma che l’intero potere criminale della Camorra era alle loro spalle, e lo utilizzavano a loro piacimento.

 

La ‘Ring’, affiliata com’è ai vertici della società, è ancora la manifestazione più pericolosa della Camorra. Storicamente, è vero, era conosciuta come ‘alta Camorra’ o ‘Camorra elegante’, ma nel linguaggio comune questi termini sono generalmente usati per descrivere i camorristi più strettamente legati alle vere e proprie organizzazioni distrettuali, ma di un ordine sociale superiore: uomini che forse sono passati dalla leadership ai più aristocratici, seppur altrettanto loschi, ambienti criminali. Questi gestiscono le elezioni e il voto, possiedono una o due case da gioco, o anche locali ancora più malfamati, selezionano probabili vittime di ricatti tra i rifiuti della società e fungono da intermediari tra la Ring e l’organizzazione. Forniscono anche l’influenza necessaria per tirare fuori dai guai i camorristi e si mescolano liberamente nella frenetica vita di Napoli e altrove. Il potere della Ring raggiunse il suo apice nel 1900.

 

In cambio dei servizi resi dalla Camorra bassa nell’elezione dei suoi deputati, il governo si assicurò che le attività criminali della società non venissero ostacolate. I prefetti che cercavano di fare il loro dovere si ritrovarono rimossi dall’incarico o trasferiti in altri comuni, e la piaga della Camorra... cadde sul Parlamento, dove controllava un certo numero di deputati provenienti dalle province della “Capitanata”; ogni ingerenza governativa nella camorra fu bloccata e la politica italiana sprofondò nella corruzione.







domenica 8 giugno 2025

STORIE DI UN PASTORE & IL SUO GREGGE (Alla memoria di Roberts Morley 29/12/1857 - 8/6/1942)

 








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Con l’introduzione delle recinzioni, che ora si stanno diffondendo con incredibile rapidità, la pastorizia come arte è inevitabilmente destinata a scomparire. Quando conoscevo il Texas nord-occidentale, qualche anno fa, non c’era una recinzione tra il Rio Grande e il nord del Panhandle, ma ora il filo spinato o il nuovo filo spinato elettrificato & sempre connesso sono la regola, e nei pascoli non è più così necessario badare alle pecore giorno e notte. 

 

In Australia non ho visto le pecore sotto la mia custodia per una settimana o più di fila. Finché c’era acqua nel recinto, non mi sono mai nemmeno preoccupato di cacciarle nelle centinaia di miglia quadrate di pianura grigio-verde con i suoi rari gruppi di bosso nano. Se venivano segnalati dei dingo in giro, tenevo gli occhi aperti, naturalmente, ma erano molto rari nei blocchi posteriori di Lachlan, e non sono mai riuscito a guadagnare la ricompensa di cinque scellini per la coda di questo predatore giallo.




Ma in Texas ci sono più animali selvatici il coyote, l’orso, la pantera o il puma – ed è impossibile lasciare le pecore completamente a se stesse, anche nei pascoli che impediscono loro di vagare. Tuttavia, prendersi cura di loro su terreni recintati è molto diverso dallo stare con loro ogni giorno e ogni ora, dormire con loro la notte, seguirle e dirigerle di giorno, stando sempre attenti che nessuno si separi accidentalmente dal gregge principale, o che l’intero gruppo non veda la mandria di un altro proprietario di pecore e vi si precipiti tumultuosamente.

 

Ma il pastore nuovo e inesperto della prateria tende a procurarsi molti problemi inutili.

 

Ci vuole del tempo per imparare che un gregge di pecore è come un organismo a maglie larghe che non si separa né si divide se può evitarlo. Potrebbe essere paragonato a una medusa di bassa qualità, o persino a un anemone di mare, perché in condizioni favorevoli di sole e cielo si allarga per nutrirsi, lasciando tra ogni membro una distanza praticamente costante.




Infatti, quando il tempo cambia, si avvicinano e qualsiasi allarme li trasforma in una massa compatta. Ho sentito uno sparo di cannone inaspettato, e poi ho visto circa 2000 pecore, sparse liberamente su un cerchio irregolare, di circa mezzo miglio di diametro, correre verso un centro comune con un istinto infallibile. E poi si allargano gradualmente di nuovo, come quello stesso anemone di mare che emette i suoi filamenti dopo essere stato toccato.

 

Il nuovo pastore, tuttavia, è costantemente terrorizzato dal fatto che si separino e si dividano a tal punto da perderne il controllo. Ho percorso inutilmente molti chilometri cercando di mantenere un gregge entro limiti innaturali prima di scoprire che non si allontanavano mai oltre una certa distanza dal centro. E questa distanza variava strettamente con il numero di capi.




Di notte iniziano a radunarsi e, se non vengono messi in un recinto o in un ovile, alla fine si accampano in una massa piuttosto compatta, rimanendo tranquilli, se non disturbati, fino all’avvicinarsi dell’alba. Ma se hanno avuto una giornata difficile per il pascolo, a volte si alzano al sorgere della luna e iniziano a brucare. Allora il pastore può svegliarsi e, scoprendo di essere solo, dover andare a cercarli. Dato che di solito pascolano con la testa controvento, non è difficile individuarli. Se la luna è coperta da un cielo nuvoloso, spesso si accampano di nuovo.

 

I giorni più difficili per il pastore sono quelli freddi, quando soffia forte. Perché allora le pecore viaggiano a gran velocità e non vanno in silenzio finché il sole non spunta dal cielo grigio del gelido vento del nord, che forse si attenua verso mezzogiorno. Ma con un tempo simile non si curano di accamparsi a mezzogiorno e, invece di sparpagliarsi, continuano a viaggiare senza sosta.

 

Senza dubbio si sentono a disagio e inquieti.




Dopo una giornata del genere, sono inquieti di notte, soprattutto quando c’è la luna. Dopo aver sperimentato entrambe le condizioni, ritengo che le pecore non al pascolo se la cavino molto meglio di quelle che vengono attentamente curate. In Australia la nostra percentuale di agnelli era talvolta del 104%, e qualsiasi abusivo penserebbe che qualcosa non va se le sue pecore in pianura producessero meno del 90%.

 

Ma in Texas, dove le madri vengono sorvegliate e aiutate, l’aumento è raramente del 75% su 100, molto più spesso del 60%. Mi chiedevo se le perdite causate dagli animali selvatici avrebbero eguagliato la perdita del 25% di aumento, che credo sia interamente dovuta alla cura che si presta loro.

 

Perché la pastorizia è essenzialmente un processo preoccupante, anche quando praticato da un uomo che conosce bene le pecore. Le madri non vengono mai lasciate sole e devono essere condotte in un recinto di notte. Di conseguenza, spesso vengono separate dai loro agnelli prima di imparare a conoscerli, e una delle cose più pietose vista da un pastore è la povera pecora distratta che si rifiuta di riconoscere la propria prole anche quando gliela si mostra. In questi casi, li mettevamo insieme in un piccolo recinto durante la notte, sperando che la ‘prendesse’ entro la mattina. Ma molto spesso non lo faceva, e allora l’agnello di solito moriva.




Se, in effetti, era di costituzione più robusta della maggior parte, si rifiutava di morire e diventava una specie di Ismaele nel gregge. Il latte necessario lo prendeva, o cercava di prenderlo, dalla pecora, che, anche solo per un attimo, poteva non accorgersi che un estraneo stava cercando di condividere il diritto del suo agnello. Un’orfana del genere raramente cresce, e la maggior parte muore rapidamente, perché viene malmenata e crudelmente sfruttata da coloro che non si interessano minimamente dell’emarginato diseredato di quella società ovina egoista.

 

Eppure la sua vera madre è nel gregge, riconciliata con la sua perdita dopo pochi giorni di sofferenza.

 

Nonostante la mia attuale decisa avversione ad avere a che fare con le pecore, sono, come ogni altro animale, molto interessanti se studiate da vicino. Ho trascorso alcuni anni in loro compagnia nel Nuovo Galles del Sud e ne so qualcosa. Poco prima di lasciare il ranch di Ennis Creek, nel Texas nord-occidentale, un accadde un incidente molto curioso, che non riuscii mai a spiegare in modo del tutto soddisfacente, perché credo che lo spavento più grave che abbia mai provato in vita mia sia stato causato proprio da questi inoffensivi e innocenti quadrupedi.




Non mi fu inflitto da un ariete, che a volte è bellicoso, ma da pecore con i loro agnelli, e ricordo distintamente di essere rimasto sorpreso come se mi fosse caduto il cielo o mi fosse capitato di fronte a qualcosa di completamente opposto a ogni causalità.

 

Voglio incontrare un uomo, anche di comprovato coraggio, che non si spaventi al punto da vedere una mezza dozzina di pecore voltarsi all’improvviso e caricarlo con la furia di un bue all’assalto. Non sussulterebbe, non rimarrebbe ammutolito e non guarderebbe con gli occhi sbarrati la natura consueta che lo circonda, proprio come se avessero proferito un discorso orribile?

 

Immagino di sì, perché so che mi ha scosso i nervi per un’ora dopo, anche se a quel punto avevo ritrovato abbastanza coraggio per fare esperimenti su di loro per vedere se si sarebbe ripetuto lo stesso risultato. Avevo circa 500 pecore e agnelli sotto la mia cura. La giornata era calda, sebbene il vento soffiasse forte, e quando si avvicinò mezzogiorno il gregge si diresse lentamente verso il luogo in cui desideravo che si accampassero a mezzogiorno.




Per incitarli, presi una grande bandana un fazzoletto e lo colpii con la più vicina a me mentre camminavo dietro. Mentre lo facevo, il vento lo soffiò con forza, e all’improvviso mi venne in mente di farne una specie di bandiera per vedere se li avrebbe spaventati. Ne afferrai due angoli e lo tenni sopra la testa, in modo che potesse gonfiarsi completamente.

 

Ora, se fosse dovuto al colore abbagliante, o alla strana posizione, o allo schiocco del bordo esterno del fazzoletto nel vento – e credo che sia stata l’ultima – non saprei dirlo, ma le pecore più arretrate si fermarono all’improvviso, si voltarono, mi guardarono selvaggiamente, e poi una mezza dozzina si lanciò in una carica disperata, mi colpì alle zampe, mi gettò a terra e fuggì precipitosamente mentre cadevo.

 

Fu un’esperienza inaspettata!




Rimasi sdraiato per un po’ a guardare le cose, aspettandomi di vedere almeno il sole azzurro, poi mi ricomposi lentamente. A dire il vero, non sono mai stato così sorpreso in vita mia, ed ero quasi pronto a essere morso da una pecora. Mi ricordai la storia australiana del ricco abusivo che aveva sorpreso un uomo che uccideva una delle sue pecore.

 

‘Perché lo fai?’

 

…chiese, come premessa alla richiesta di far tornare la sua compagnia a casa in attesa che la polizia fosse chiamata.




L’interrogato alzò lo sguardo e rispose freddamente: sebbene non, immagino, senza un luccichio negli occhi:

 

‘Uccido! Perché la uccido? Senti, amico mio, ucciderò la pecora di chiunque mi morda’.

 

Da parte mia, non credo che mordere mi avrebbe allarmato di più. Dopo di che ho fatto esperimenti sulle pecore, e ho sempre scoperto che la bandana volante le spaventava fino alla disperazione più totale, quando nient’altro avrebbe potuto farlo.

 

Ci è voluto molto tempo prima che si abituassero. Vorrei sapere se altri pastori hanno mai avuto la stessa esperienza, in patria o all’estero.




In un altro libro ho parlato di agnelli che, da piccolissimi, prendevano il mio cavallo come madre. Questo accadeva in California; ma in Texas li ho visti spesso rincorrere un bue o un toro. Un giorno, nella prateria, durante il campeggio, era nato un agnello e, quando aveva circa due ore, un piccolo gruppo di bovini scese ad abbeverarsi alla sorgente. Tra questi c’era un toro molto grosso, con corna lunghe quasi un metro, che si avvicinò alla madre, proprio in quel momento impegnata a pulire la sua prole.

 

Lei corse via, belando perché il suo agnello lo seguisse. Il piccolo, tuttavia, giunse alla conclusione che il toro lo stesse chiamando e si avvicinò barcollando all’enorme animale, che torreggiava su di lui come la parete di un canone, apparentemente molto... imbarazzato di quest’ultimo.




Il toro lo osservò attentamente e sollevò le zampe per allontanarle mentre l’agnello vi correva contro, indietreggiando persino un po’, come se fosse sorpreso quanto lo ero stato io quando le pecore mi avevano aggredito. Poi, all’improvviso, scosse la testa come ridendo, mise un corno sotto l’agnello, lo gettò a circa due metri di distanza dalla schiena e proseguì tranquillamente.

 

Pensai che l'ignaro agnello fosse morto, ma salendo lo trovai solo stordito e, essendo ancora tutto cartilagine, si riprese presto abbastanza da riconoscere la sua vera madre, che aveva assistito al suo improvviso sollevamento, scalpitando per la paura e l’ansia.




Chi non l’ha mai praticato, ritiene che la pastorizia sia un modo facile, ozioso e pigro di procurarsi da vivere; ma nessuno che conosca i loro usi quanto me la penserà così. È vero che ci sono momenti in cui c’è poco o niente da fare – quando un uomo può sedersi tranquillamente sotto un albero e pensare a tutto il mondo tranne che al suo particolare compito; ma per lo più, se ha una coscienza, sentirà su di sé un peso di responsabilità che di per sé, indipendentemente dal lavoro che potrebbe dover svolgere, gli farà guadagnare il suo piccolo salario mensile di venti dollari e il ruvido cibo da ranch a base di ‘maiale e mais’.

 

Perché non c’è cessazione del lavoro per il pastore texano delle pianure; sia la domenica che nei giorni feriali, l’alba dovrebbe vederlo con il suo gregge, e anche di notte è ancora con loro mentre vengono ‘ammassati’ all’aperto. Anche se riesce a ‘radunarli’ in un recinto accidentato, qualche coyote furtivo potrebbe avvicinarsi e spaventarli, spingendoli a oltrepassare i limiti; e quando non sono radunati, la luna luminosa potrebbe indurli a pascolare tranquillamente controvento, finché alla fine il pastore si sveglia e scopre che il suo gregge è scomparso e deve essere cercato con ansia.




In Australia, come ho detto, le pecore sono lasciate a se stesse per la maggior parte dell’anno, a meno che non ci sia un’insolita scarsità d’acqua; ma anche lì, avere la cura di così tante migliaia di animali e di così tanti chilometri di recinti, non rende il compito invidiabile, mentre il lavoro, quando arriva, è duro e incessante. Nel Nuovo Galles del Sud sono stato spesso in sella per ventitré ore, e sono arrivato a casa così stanco che facevo fatica a smontare.

 

Un giorno ho usato tre cavalli e ho percorso più di novanta miglia, più di ottanta delle quali al galoppo o al piccolo galoppo – e se questo non è lavoro, vorrei sapere cos’è. Anche questo si ripete giorno dopo giorno durante la tosatura, proprio quando le giornate sono più calde. Il caldo diventa sempre più intenso, l’erba scarsa imbrunisce e l’acqua diventa sempre più scarsa.

 

E come ricompensa?




Non ce n’è nessuna nel lavorare con le pecore.

 

Sono silenziose, pacifiche, stupide, illogiche, incapaci di suscitare affetto, capacissime di scatenare l’ira; ben diverse dalla terribile eccitazione di una mandria di bovini dalle lunghe corna che muggisce mentre si lancia in una fuga precipitosa, tra cui si annidano pericolo e morte improvvisa e la gloria del movimento e della conquista; o con cavalli che rombano sulla pianura a centinaia, come uno squadrone senza cavaliere che scuote il terreno con criniere ondeggianti, lunghe code fluenti e occhi scintillanti, che si può amare e deliziare, e a cui si può gridare con una gioia strana e vivida che fa fremere il sangue al cuore e al cervello.




Se dovessi tornare a una vita del genere, sceglierei il pericolo e sarei scontento di procedere a tentoni dietro ai lenti e innocui portatori di lana, imprecando ogni tanto contro la loro stoltezza, e poi arrancando ancora una volta, ammassato in una massa inerte su un cavallo che va piano, che allunga stancamente il collo quasi fino a terra mentre sogna, forse, i lunghi, esaltanti galoppi dietro ai suoi simili che una volta facevamo insieme, essendo consapevole, oserei dire, della sprezzante pietà che provo per i lenti montoni condannati che strisciano davanti a noi sulla lunga e stanca pianura.

 

È altamente probabile che l’introduzione di recinti avrà effetti diversi dall’aumento del numero di agnelli nati e allevati. La pastorizia scomparirà quasi completamente quando le bestie selvatiche del Texas saranno estinte, cosa che accadrà presto, poiché un territorio recintato è assolutamente inadatto a tali animali. Ma allora la gloria naturale delle vaste praterie sarà scomparsa e la civiltà distruggerà gradualmente tutto ciò che era così delizioso, persino quando le mie pecore, tormentandomi, mi hanno insegnato ciò che ho qui esposto. 

(Morley Roberts)