giuliano

mercoledì 6 agosto 2025

LA CAMORRA UN PO' PIU' A SUD

   








 

 

‘ Nui non simmmo gravanari,

Nui non simmo realisti,

Ma nui simmo Camorristi,

Cuffiano a chili’ea chisti!’

 

(Non siamo Carabinieri,

Noi non siamo realisti,

Ma noi siamo camorristi

Al diavolo gli altri!)

 


 

 

 

La parola camorra deriva dallo spagnolo ‘chamarra’ (in italiano gamurra, da cui tabarra, tabarro), che significa ‘mantello’ solitamente indossato da ladri e bulli. Da ciò deriva la parola spagnola camorra, ‘una lite a pugni’, e l’espressione ‘hacer camorra’, traducibile abbastanza bene come ‘cercare guai’. Sarebbe difficile trovare una definizione più precisa di quest’ultima per l’attività della camorra napoletana.

 

Giuseppi Alongi, allievo e seguace di Lombroso, nonché una delle principali autorità italiane in materia, afferma a proposito dell’ascesa dell’organizzazione napoletana:

 

“La camorra ebbe certamente origine nelle carceri di Napoli. I vecchi criminali si consideravano aristocratici del crimine e si comportavano come padroni nelle loro case, formando una sorta di classe privilegiata. All’interno del carcere. L’idea di imporre tasse ai nuovi arrivati venne loro naturale quanto quella, tra i soldati, di chiedere alla recluta di ‘pagare il suo pedaggio’. Che la camorra napoletana sia così coinvolta nella religione è dovuto al fatto che il criminale locale unisce la ferocia alla superstizione religiosa, mentre la straordinaria devozione della popolazione alla ‘Madonna del Carmelo’, venerata come simbolo di amore materno, offre un facile mezzo per sfruttare la loro credulità. Divenne quindi consuetudine esigere pedaggi dalla popolazione, con il pretesto che fossero destinati a scopi religiosi. I camorristi celebrano quattrocento feste ogni anno e la Chiesa del Carmelo a Napoli è ancora il loro centro religioso”.



Tra il 1820 e il 1860, essere un camorrista era motivo di orgoglio e una rara distinzione tra i più vili. Lungi dal nascondere la propria appartenenza, il camorrista la ostentava all’estero, ostentando persino un costume particolare che lo rendeva inconfondibile. Una cravatta rossa, le cui estremità pendevano dalle spalle, una fascia multicolore e un bastone pesantemente ornato di anelli di ottone, lo contraddistinguevano come un ‘uomo cattivo’ in questo periodo romantico. Ma, per quanto pittoresca potesse essere, la Camorra divenne presto la società segreta più temuta e ripugnante del mondo.

 

Potevano diventare membri solo coloro che avevano dimostrato la loro preferenza per la malavita e fornito prove tangibili della loro criminalità. I candidati che si erano qualificati per il noviziato dimostravano la loro idoneità per il grado successivo compiendo qualche atto brutale, come tagliare la gola a un vecchio da un orecchio all’altro.

 

L’attività della Camorra è l’estorsione organizzata, supportata da omicidi e violenza. Il camorrista è un bullo, uno che sa usare il coltello. In questo veniva istruito fino a diventare un maestro nell’accoltellamento artistico con una discreta conoscenza dell’anatomia. Vari stili di coltello venivano usati per scopi diversi: il settesoldi, per sfregiare e duelli insignificanti tra i membri; ‘o zumpafuosso’, o coltello ufficiale mortale, per il ‘duello saltato’; il triangolo per gli omicidi, ecc.




Il taglio vero e proprio di solito non veniva eseguito dal camorrista stesso, ma da qualche aspirante membro della società che desiderava dare prova della sua virtù e a cui, più che altro per favore, era permesso di correre tutti i rischi. Di conseguenza, il giovane ‘onorato’ sceglieva il coltello giusto e si appostava alla sua vittima, assistito da un palo , o ‘stallo’, che avvertiva del pericolo e forse faceva in modo che la vittima inciampasse proprio nel momento in cui il colpo stava per essere sferrato.

 

Segnali segreti facilitavano le cose.

 

Anche oggi, l’americano a Napoli che non ha ‘paura di tornare a casa al buio’ farebbe meglio ad affrettare i suoi passi se sente vicino l'abbaiare di un cane, il miagolio di un gatto, il canto di un gallo o uno starnuto, uno qualsiasi dei quali non convince della sua autenticità. Questi sono tutti segnali comuni di attacco camorristico; mentre melodie popolari come ‘Oi ne’, traseteve, ca chiora!’ (‘Entra, che piove!’) sono avvertimenti dell’avvicinarsi del pericolo.

 

La camorra napoletana ebbe origine in Spagna, il grande Cervantes, in ‘Rinconeto y Contadillo’, ha tracciato un quadro meraviglioso di una confraternita di ladri e malfattori che dividevano i loro profitti illeciti con la polizia e il clero. Questa era ‘La Garduna’, la madre della camorra. Già nel 1417 aveva regole, costumi e ufficiali identici a quelli della camorra del XIX secolo e, come questa, prosperava nelle carceri, che erano praticamente sotto il suo controllo. Indubbiamente questa organizzazione trovò la sua strada in Sicilia e a Napoli sulla scia dell’occupazione spagnola del XIII secolo, e germogliò nelle ripugnanti prigioni dell’epoca fino a quando non fu pronta a esplodere in aperta attività sotto i Borboni.




Il primo grado di aspiranti alla camorra era quello del garzone di mala vita, o ‘apprendista’, che era praticamente un servo, un fattorino o un valletto per i suoi padroni o sponsor, ed era noto come giovine onorato, o giovane onorato. Il secondo grado era quello del picciotti sgarro, o novizio, originariamente difficile da raggiungere e che spesso richiedeva dai sei ai dieci anni di servizio. Il terzo o ultimo stadio era quello del capo paranza, capo di una banda locale, o ‘capo distretto’.

 

La società era divisa in dodici centri, corrispondenti ai dodici quartieri della città di Napoli, ogni centro era a sua volta suddiviso in paranze e aveva un fondo separato o individuale. Il capo di ogni paranza veniva eletto ed era l’uomo più forte o più audace della banda. In passato combinava la carica di presidente, che comportava solo la limitata autorità di convocare le riunioni, con quella di cassiere, che comportava il vantaggio di poter dividere la camorra, ovvero i proventi del crimine. Il capo aveva diritto allo sbruffo, una percentuale dovuta per ‘diritto di camorra’; e questa percentuale appartiene oggi in ogni caso al camorrista che ha pianificato o diretto il particolare crimine in questione.

 

I capi delle dodici divisioni si riunivano, proprio come fanno occasionalmente oggi, per discutere affari di vitale importanza, ma nella maggior parte delle questioni le singole sezioni erano autonome.




Secondo la confessione di un vecchio camorrista, il grado più basso della società veniva raggiunto con il seguente rito:

 

Fu convocata un’assemblea generale del distretto, durante la quale il promotore presentò formalmente il candidato all’assemblea. Il capo stava in piedi in mezzo ai suoi compagni camorristi, tutti disposti in cerchio in base all’anzianità. Se il tesoriere era presente, il presidente aveva tre voti, e l’assemblea era nota nel gergo camorrista come cap’ in trino - tre in uno; in caso di assenza, la società era nota come cap’ in testa, che significa ‘la triade suprema’. Tutti rimasero perfettamente immobili, con le braccia incrociate sul petto e la testa china. Il presidente, rivolgendosi al neofita, disse:

 

“Conosci le condizioni e cosa devi fare per diventare un giovane onorato? Dovrai sopportare disgrazie su disgrazie, sarai obbligato a obbedire a tutti gli ordini dei novizi e dei professi solenni, e a portare loro utili guadagni per fornire loro un servizio utile”.

 

A questo il neofita risponde:

 

“Se non avessi voluto soffrire avversità e difficoltà, non avrei turbato la società”.

 

Dopo un voto favorevole sull’ammissione del candidato, questi fu condotto avanti e gli fu permesso di baciare ogni membro una volta sulla bocca. Il presidente lo baciò due volte. Il neofita chiese quindi all’assemblea alcuni favori, e il presidente rispose:

 

“I favori richiesti saranno accordati secondo le nostre regole. I nostri termini di adesione sono i seguenti:

 

“Primo: che tu non vada a cantare, a remare o a litigare nelle pubbliche strade”.

 

“Secondo: che tu rispetti i novizi e qualsiasi istruzione ti diano”.




“Terzo: che tu obbedisca con tutto il cuore ai nostri membri professati e che adempia ai loro incarichi”.

 

Dopo alcune prove, il candidato veniva affidato al ‘maestro dei novizi’, un membro a pieno titolo sotto il quale avrebbe dovuto svolgere il suo periodo di prova. La durata del suo apprendistato dipendeva dallo zelo, dall’abilità e dalla pronta obbedienza dimostrati nel corso dello stesso. Era completamente alla mercé del suo maestro e, se gli veniva ordinato, doveva sostituirsi a un altro e assumersi sulle proprie spalle i crimini di quest’ultimo; ma chi si rendeva ‘martire’ in questo modo veniva promosso a un grado superiore nella società.

 

La promozione a gradi più elevati comportava un esame più rigoroso e l’ammonizione dei camorristi:

 

“Se vedessi anche tuo padre pugnalare un compagno o uno dei tuoi fratelli, saresti obbligato a difendere il tuo compagno a costo di pugnalare o ferire tuo padre; e Dio ti aiuti se dovessi avere a che fare con traditori e spie!”.

 

Con un piede nelle galere e l’altro nella fossa (simbolicamente), giurò di uccidere chiunque, persino se stesso, se questo fosse stato il desiderio della società. La cerimonia del bacio fu quindi rinnovata e il candidato fu iniziato pienamente ai segreti dell'organizzazione. Gli fu rivelato il numero di armi in possesso della Camorra, i nomi dei fratelli sotto il divieto di sospetto, i nomi di tutti i novizi e postulanti, nonché la parola d’ordine della società e il codice dei segni di riconoscimento.




Superati questi punti del rituale, il candidato era pronto per la cerimonia del sangue, che consisteva nell'assaggiare il sangue di ciascun membro dell’assemblea, estratto da una piccola ferita praticata con un coltello, e infine per il combattimento. Per questa parte necessaria della cerimonia di iniziazione, il candidato doveva scegliere un avversario dall’assemblea. I campioni sceglievano quindi i loro pugnali, sceglievano i loro padrini, si toglievano la camicia e il combattimento aveva inizio. Era una regola che imponeva di mirare solo ai muscoli del braccio, e il presidente, in qualità di capo di tiranta (maestro di combattimento), era presente per garantire che la regola venisse rispettata.

 

Al primo prelievo di sangue, il combattimento terminava e il vincitore veniva portato avanti per succhiare il sangue della ferita e abbracciare il suo avversario. Se il membro appena promosso risultava sconfitto, doveva riprendere il combattimento in seguito con un altro campione; e solo dopo aver vinto una prova veniva definitivamente ‘promosso’.

 

Molte altre sanguinose prove sono state attribuite a questa cerimonia della Camorra; ma queste, così come la precedente nella sua forma rigorosa, sono state in gran parte abolite, tranne che nelle carceri, dove la società conserva ancora la sua formalità. Rimaneva, come fase finale del rituale di iniziazione, il tatuaggio di due cuori uniti da due chiavi. ‘Gli uomini d’onore dovrebbero avere cuore sufficiente per due persone, vale a dire, avere un cuore grande; gli uomini legati solo ai loro colleghi e il cui cuore è come chiuso con una doppia chiave a tutti gli altri’.

 

A volte un ragno prendeva il posto dei cuori, simboleggiando l’operosità del camorrista e il silenzio con cui tesse la ragnatela attorno alla sua vittima. Questo tatuaggio è ancora consuetudine tra i camorristi.




Il consueto tribunale camorrista era composto da un comitato di tre membri appartenenti all’organizzazione distrettuale, presieduto dal camorrista di rango più elevato tra loro, e dirimeva le controversie e le punizioni ordinarie. Da questo si faceva appello per le questioni più importanti al comitato centrale di dodici membri. Quest’ultimo organo eleggeva un capo supremo per l’intera società e deliberava sulle questioni di politica generale. Fungeva anche da tribunale di giurisdizione originaria e definitiva nei casi di tradimento nei confronti della società, come il tradimento dei suoi segreti o l’appropriazione indebita dei suoi fondi, imponeva la pena di morte e nominava i carnefici. I suoi decreti venivano eseguiti con cieca obbedienza, sebbene non di rado la pena di morte venisse commutata in quella di sfiguramento.

 

Tale era dunque la società che nel 1820 controllava già le prigioni, si dedicava ad assassinii e rapine, imponeva ricatti a tutte le classi, trafficava in ogni sorta di depravazione e aveva una base su cui i suoi leader potevano fare assoluto affidamento. Non aveva alcun credo politico, né si interessava di altro che del crimine. Aveva una solidarietà maggiore della polizia, che era quasi altrettanto corrotta. Temuta da tutti, era sfruttata da tutti, perché poteva fare ciò che la polizia non poteva fare.

 

Sotto i Borboni, la polizia riconobbe e utilizzò la Camorra come agente segreto e ne garantì l’immunità in cambio di informazioni e assistenza. Entrambe depredavano i cittadini onesti e vivevano di estorsione e ricatto. ‘Il governo e la Camorra cacciavano con lo stesso guinzaglio’. Eppure, poiché la polizia era considerata uno strumento del dispotismo, il popolo arrivò a considerare i camorristi (che, almeno tecnicamente, erano ostili all’autorità) come alleati contro la tirannia.




Fu in questo periodo della storia italiana che nacquero l’attuale sfiducia nel governo e l’avversione per la legge, così come la simpatia popolare per tutte le vittime di processi legali e l’odio per tutti coloro che indossano l’uniforme della polizia. La Camorra fa ancora appello al terrore della tirannia nel cuore dell’Italia meridionale, a cui in larga misura, con la sua complicità, contribuì. Così, l’amore per la libertà fu trasformato in una scusa per il traffico di criminali; così fu alimentata l’omertà , il perverso codice d’onore che obbliga la vittima a proteggere il suo assassino dalla legge; e così nacque l’avversione per ogni autorità che ancora oggi permane tra i discendenti delle vittime dell'atroce sistema di Ferdinando, che, qualunque ne fosse l'origine, diede alla mala vita – brigantaggio, mafia e camorra – la loro virulenza e tenacia.

 

Nel 1848 la Camorra era diventata così potente che Ferdinando II negoziò con essa per ottenere sostegno; ma la società chiese troppo in cambio e il piano fallì. Per questo motivo la Camorra minacciò di scatenare una rivoluzione! In questo fu senza successo, ma cominciò a manifestare apertamente idee rivoluzionarie e a fingere di essere amico della libertà, mentre i suoi membri imprigionati si atteggiavano a patrioti, vittime della tirannia.

 

Così guadagnò enormemente prestigio e numero di membri, mentre il trono diventava sempre meno sicuro. Ferdinando II concesse un’amnistia generale per accrescere la sua popolarità, e i camorristi che erano stati in carcere ora dovevano essere considerati in aggiunta a quelli fuori. Nel 1859 Ferdinando morì e Francesco II si sedette sul trono vacillante. Il suo prefetto di polizia, Liborio Romano, che la storia ha accusato di aver complottato per la caduta dei Borboni con Garibaldi e di aver giocato a doppio gioco contro il centro, aveva, per forza o per malizia, concepito il piano di imbrigliare la camorra affidandole il mantenimento dell’ordine in città. La polizia era demoralizzata e aveva bisogno di essere ringiovanita, disse. Francesco II ebbe allora un’altra consegna di prigione e ‘Don Liborio’ organizzò una ‘Guardia Nazionale’ e vi arruolò schiere di camorristi, mentre nella gendarmeria reclutò i picciotti come soldati semplici e installò i camorristi regolari come brigadieri.




Apparentemente ci fu una sorta di rinascita della camorra intorno al 1880, alla morte di Vittorio Emanuele II, e sotto la nuova amministrazione di Umberto cominciò ad essere sempre più attiva nella politica e negli affari. A quel tempo, la Camorra alta comprendeva avvocati, magistrati, insegnanti, alti funzionari e persino ministri. L’autore non intende dire che questi uomini abbiano seguito riti di iniziazione o svolto un apprendistato con il coltello, ma che l’intero potere criminale della Camorra era alle loro spalle, e lo utilizzavano a loro piacimento.

 

La ‘Ring’, affiliata com’è ai vertici della società, è ancora la manifestazione più pericolosa della Camorra. Storicamente, è vero, era conosciuta come ‘alta Camorra’ o ‘Camorra elegante’, ma nel linguaggio comune questi termini sono generalmente usati per descrivere i camorristi più strettamente legati alle vere e proprie organizzazioni distrettuali, ma di un ordine sociale superiore: uomini che forse sono passati dalla leadership ai più aristocratici, seppur altrettanto loschi, ambienti criminali. Questi gestiscono le elezioni e il voto, possiedono una o due case da gioco, o anche locali ancora più malfamati, selezionano probabili vittime di ricatti tra i rifiuti della società e fungono da intermediari tra la Ring e l’organizzazione. Forniscono anche l’influenza necessaria per tirare fuori dai guai i camorristi e si mescolano liberamente nella frenetica vita di Napoli e altrove. Il potere della Ring raggiunse il suo apice nel 1900.

 

In cambio dei servizi resi dalla Camorra bassa nell’elezione dei suoi deputati, il governo si assicurò che le attività criminali della società non venissero ostacolate. I prefetti che cercavano di fare il loro dovere si ritrovarono rimossi dall’incarico o trasferiti in altri comuni, e la piaga della Camorra... cadde sul Parlamento, dove controllava un certo numero di deputati provenienti dalle province della “Capitanata”; ogni ingerenza governativa nella camorra fu bloccata e la politica italiana sprofondò nella corruzione.







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