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Compatti su nuove riforme. Era stato questo il messaggio, contenuto in un comunicato ufficiale, che la maggioranza di destra aveva voluto comunicare l’11 marzo scorso dopo una riunione tra i capigruppo al ministero della Giustizia con Carlo Nordio. Tra i temi che erano stati trattati a quella riunione, si leggeva nel comunicato, c’era stata anche “la definizione dei limiti per l’uso dei trojan nelle indagini e il tetto per le intercettazioni di 45 giorni”. Quest’ultimo atto è stato approvato il 20 marzo alla Camera ed è diventato legge, ora il nuovo obiettivo della destra è l’utilizzo del trojan, cioè il captatore informatico che viene utilizzato per le intercettazioni.
ALLA
CAMERA, infatti, c’è un provvedimento in cui la maggioranza sta pensando di
normare l’utilizzo della microspia: il disegno di legge a prima firma del
forzista Pier Antonio Zanettin che limita la possibilità di sequestrare gli
smartphone. La norma è stata approvata ad aprile 2024 al Senato e da un anno è
ferma a Montecitorio. Ma adesso, mentre al Senato entro metà aprile sarà
approvata in seconda deliberazione la riforma sulla separazione delle Carriere,
la maggioranza vuole accelerare. Calendarizzare il prima possibile il testo in
commissione Giustizia e approvarlo entro l’estate. Cioè tutti quelli che
riguardano politici, imprenditori e i cosiddetti “colletti bianchi”.
L’obiettivo sarebbe quello di mantenere il trojan, uno strumento molto invasivo, solo per i reati di criminalità organizzata e terrorismo.
D’altronde
la maggioranza aveva già dato un indirizzo preciso in questo senso. Lo scorso
15 maggio, pochi giorni dopo l’inchiesta che aveva coinvolto il presidente
della Regione Liguria Giovanni Toti, la destra (insieme a Italia Viva) aveva
approvato un ordine del giorno proprio di Costa per limitare l’utilizzo del
trojan. Nel testo, la microspia veniva definita come uno strumento che “invade
il terreno della riservatezza penetrando anche nelle sfere più intime e
private” e si chiedeva al governo di “prevedere una disciplina organica che, da
un lato, indichi le gravi forme di criminalità per le quali ammettere
l’utilizzo del captatore informatico e, dall’altro, dettagli le condizioni
applicative e le modalità operative di utilizzo, con l’obiettivo di bilanciare
l’accertamento delle ipotesi delittuose ed i principi costituzionali previsti
dagli articoli 14 e 15 della Costituzione”.
L’emendamento del forzista Costa ha già avuto il via libera dell’esecutivo con l’ok a un ordine del giorno votato dopo il caso Toti
Ed è in
questa cornice che una parte della maggioranza, nello specifico Forza Italia,
vuole inserire anche la limitazione dell’utilizzo del trojan per le indagini
per i reati contro la Pubblica Amministrazione. È Enrico Costa, deputato
forzista e alfiere della battaglia garantista nella maggioranza, che intende
presentare l’emendamento all’interno del provvedimento.
La proposta
sarebbe quella di escludere i reati contro la Pubblica Amministrazione, è
proprio quello di dare attuazione all’ordine del giorno. Difficile che il resto
della maggioranza possa dire “no” dopo il “sì” all’atto di indirizzo del maggio
scorso.
RESTA da
capire quali saranno i tempi. Questa settimana la commissione Giustizia della
Camera approverà la riforma che limita i poteri e la giurisdizione della Corte
dei Conti che dovrà andare in aula il 7 aprile, poi potrà calendarizzare il
disegno di legge sul sequestro degli smartphone. Nel frattempo, a Palazzo
Madama, la priorità resta quella della separazione delle carriere.
L’obiettivo del ministro della Giustizia Nordio è quello di approvare il testo della riforma costituzionale entro metà aprile per poi tornare in seconda lettura a Montecitorio già a maggio e provare a forzare la mano con il via libera definitivo in entrambe le camere entro l’estate e il referendum confermativo tra fine 2025 o al massimo inizio 2026. In questo modo, ci sarebbe tempo a sufficienza per scrivere le leggi ordinarie di attuazione della riforma ed eleggere in tempo i due nuovi Consigli Superiori della Magistratura. Quello attuale, infatti, scade all’inizio del 2027.
Insomma, il
provvedimento sarebbe composto da questi due pilastri e servirebbe per
rispondere alle esigenze di sicurezza che sia Fratelli d’italia che la Lega
stanno portando avanti da settimane a difesa delle forze dell’ordine.
Restano
però dei dubbi di carattere tecnico nel governo. In primis, sul tipo di
strumento da utilizzare: intervenire con un decreto legge immediatamente
applicabile o con un disegno di legge, che sarebbe lo strumento più idoneo ma
che allungherebbe i tempi? In quest’ultimo caso è possibile che il testo possa
essere inserito sotto forma di emendamento al disegno di legge Sicurezza in
discussione al Senato che tanto dovrà tornare alla Camera per l’approvazione in
terza lettura.
INOLTRE, resta qualche perplessità politica anche all’interno dell’esecutivo. Sulla misura c’è anche l’attenzione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che dovrà vigilare: non è chiaro come il governo riuscirà a scrivere un provvedimento che tuteli solo la categoria delle divise escludendo tutti gli altri cittadini. Che la maggioranza voglia andare avanti, però, è sicuro. La premier Giorgia Meloni ne aveva parlato anche a inizio anno durante la consueta conferenza stampa auspicando di voler fare “di più” in termini di sicurezza. Il provvedimento potrebbe andare all’interno di un altro decreto che sarà approvato nel prossimo Consiglio dei ministri su Caivano che servirà per riqualificare otto periferie stanziando 180 milioni di euro.
(IlFattoQuotidiano)
GLI
ALLEATI
Lunedì un
tribunale di Parigi ha giudicato colpevole di appropriazione indebita di fondi
pubblici del Parlamento europeo Marine Le Pen, leader del partito di estrema
destra Rassemblement National. Le Pen è stata anche condannata
all’ineleggibilità, cioè all’impossibilità di candidarsi alle elezioni locali o
nazionali, ma non è ancora stato comunicato se questa pena verrà applicata da
subito e quanto durerà.
Nel caso in
cui il tribunale accettasse la richiesta della procura, ossia di cinque anni di
ineleggibilità e cinque anni di carcere (di cui tre con pena sospesa), Le Pen
non potrà candidarsi alle elezioni presidenziali del 2027.
Insieme a
lei sono stati riconosciuti colpevoli anche otto eurodeputati, anche loro
condannati all’ineleggibilità, e dodici persone che erano state assunte come
assistenti parlamentari, e che quindi venivano pagate dal Parlamento europeo,
ma che in realtà, ha stabilito il tribunale, lavoravano per il partito in
Francia: lo statuto del Parlamento vieta espressamente che i fondi versati ai
deputati per assumere assistenti siano usati per finanziare l’attività politica
nazionale. Il tribunale ha stimato che i fondi europei usati impropriamente in
questo modo, fra il 2004 e il 2016, ammontino a 2,9 milioni di euro.
Se i giudici decideranno di accettare la richiesta della procura sull’ineleggibilità con “esecuzione provvisoria” (cioè che venga applicata immediatamente, anche in caso di ricorso) Le Pen non potrà candidarsi alle elezioni presidenziali francesi, previste nel 2027. La condanna all’ineleggibilità sarebbe una notizia grossa, anche perché Le Pen sembra la grande favorita a vincere le prossime presidenziali. Mancano due anni ed è presto per prendere troppo sul serio i sondaggi, ma vanno tenute a mente due cose: il Rassemblement National non è mai stato così popolare, ed è stato il singolo partito più votato alle elezioni legislative dell’anno scorso (quelle vinte di fatto dalla coalizione di sinistra del Nuovo Fronte Popolare, anche grazie a un’alleanza prima del secondo turno con la coalizione centrista del presidente Emmanuel Macron).
Le Pen era accusata di aver assunto quattro assistenti parlamentari, ma il tribunale ha dato ragione alla procura dicendo che Rassemblement National aveva creato un più ampio «sistema» di appropriazione indebita e «contratti fittizi». Secondo la procura questo sistema aveva l’obiettivo di «far risparmiare» il partito ed era nato sotto la direzione di Jean-Marie Le Pen, il padre di Marine Le Pen e il più influente politico di estrema destra francese degli ultimi decenni, morto lo scorso gennaio. Marine Le Pen avrebbe ereditato questo sistema quando gli è succeduta alla guida del partito nel 2011 e avrebbe avuto un ruolo centrale nella sua attuazione. Questo sarebbe avvenuto specialmente dopo le elezioni europee del 2014, grazie alle quali l’allora Front National passò da tre a 23 europarlamentari. Le indagini cominciarono nel 2016.
(IlPost)
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