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Vi è poi una terza condizione
di estraneità, nella quale lo Straniero è interpretato quale concetto chiave e
primario dallo gnosticismo.
Gli gnostici infatti portano infatti alle estreme conseguenze l’uso
della metafora presente nel Vangelo di Giovanni. E ciò, in una duplice
direzione. Da un lato, lo Straniero, in quanto oggetto, diventa il mondo,
concepito come lo Straniero esterno e cioè il nemico per antonomasia.
Dall’altro, lo Straniero, in quanto oggetto, coincide ora con lo stesso
gnostico. La radicalizzazione dell’oggetto corre parallela con la
radicalizzazione del soggetto, come effetto di un dualismo cosmologico che si
radica in un processo di demonizzazione totale del cosmo.
In questa prospettiva, la caratteristica principale dell’uso gnostico
della metafora può individuarsi nel fatto che tendono a scomparire i gradi
intermedi rilevati nell’uso cristiano. Lo gnostico è uno Straniero esterno, che
non ricerca né vuole avere alcuna possibilità di compromesso, alcun permesso di
soggiorno temporaneo nel mondo. Anzi, si può dire che il suo problema consista
appunto nel rendersi conto di questa sua condizione: soltanto quando ne avrà
preso consapevolezza, gli si aprirà veramente quella possibilità di ritorno in
patria (celeste), che costituisce la sua unica ancora di salvezza.
Questa concezione dello gnostico come Straniero si fonda su di un
radicale sentimento di estraneità al mondo, che porta alle sue estreme
conseguenze spunti platonici, biblici e cristiani. Attraverso l’analisi del
collegato vocabolario gnostico è possibile cogliere una climax, che aiuta a
comprendere come l’autoconsapevolezza dello gnostico come Straniero sia il
punto di arrivo di un processo di progressiva estraneazione nei confronti del
mondo.
L’estraneità al mondo che vive lo gnostico e descrivono i testi
gnostici è prima di tutto un sentimento, il quale riflette una condizione
esistenziale di disagio. La descrizione di questa situazione conosce varie
sfumature, che aiutano meglio a comprendere la profondità e la raffinatezza
dell’analisi psicologica soggiacente ai testi gnostici. Si va da un senso iniziale e generico in cui essere estraneo o
Straniero coincide in fondo con l’esser strano o con la ‘novità’ della
situazione. Questa iniziale e indistinta situazione si precisa nella misura
in cui approfondisce il confronto col mondo e le sue potenze, un mondo
avvertito in tutti i sensi ostile.
Anche se i testi gnostici mettono il lettore di fronte a uno spettro
variegato di posizioni dualistiche,
quelle che ora devono interessare sono le espressioni più decise e conseguenti,
che presuppongono una concezione dualistica radicale, fondata a sua volta su di
una concezione totalmente pessimistica del mondo e del suo creatore. E, allora,
confrontandosi con questo mondo e col suo signore che lo gnostico prende
progressivamente consapevolezza della stranezza
del mondo e, nel contempo, della sua totale estraneità a questo mondo.
Quest’ultimo, inizialmente avvertito come qualcosa di estraneo, di diverso da
noi, da ‘me’, dal vero io o sé, senza che questa estraneità comporti però una
reale presa di distanza, in una seconda fase o in un secondo stadio di questo
percorso ideale di estraneazione e, per converso, di presa di consapevolezza
della propria estraneità, si configura non soltanto per noi ma anche per sé come
qualcosa di estraneo, un quid di minaccioso ed ostile.
Il terzo stadio, di questo processo ideale può essere individuato nel
sorgere e nel manifestarsi di un sentimento di estraneità quanto tale, in sé.
Gli gnostici quindi sono gli Stranieri per definizione, in quanto appartengono
non ad un tertium genus (il che
presume il diritto ad esistere di due altri genera e la necessità di essere
riconosciuti da questi), ma alla stirpe straniera per definizione, che si
presenta e coincide con l’unica stirpe ‘vera’.
Questa orgogliosa consapevolezza
trova espressione in talune affermazioni che i testi gnostici mettono in bocca
al loro rilevatore. Così, nella seconda Apocalisse di Giacomo, il rivelatore
gnostico, identificato col Cristo risorto, esclama a Giacomo: ‘Io sono lo Straniero’; o Mani, un personaggio storico fondatore
di una tipica religione di gnosi come il manicheismo, definisce se stesso ‘il
primo Straniero, lo Straniero proveniente dalla grande gloria, il figlio del
dominatore’; e così si definisce anche il salvatore nei testi mandei.
Ma lo gnostico è Straniero, così come lo è il rivelatore, perché, in
ultima analisi, Straniero è lo stesso Dio della gnosi, nella sua assoluta
trascendenza inaccessibile alla ragione umana e conoscibile soltanto mediante
rivelazione della gnosi: in questo mondo, il volto del Cristo neotestamentario,
vicino e lontano nel contempo, si è trasformato nel volto di un Dio Straniero,
assolutamente inaccessibile, salvo, appunto, che per chi è a lui
consustanziale.
Lo Straniero, di conseguenza, viene a chiamare lo Straniero, viene a
salvare gli stranieri; e, viceversa, salvando gli stranieri dispersi nel mondo,
Egli salva se stesso.
(G. Filoramo, Veggenti Profeti Gnostici)
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