giuliano

domenica 16 luglio 2017

E BREVI FRAMMENTI IN RIMA (2)



















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Note del Tempio in rovina (1)














....Ed io che non conosco e non prego croci,
su una croce di legno segneranno la mia moneta,
e il tempo di chi la conia.
La rabbia ci assale,
nel ricordo del sentiero cancellato,
nella certezza di un inganno mai raccontato.
Se anche lo fosse, ed è,
il tempo e denaro non permettono l’indugio della verità.
La verità ammirata, annusata, respirata, contemplata, pregata e pianta,
nell’angolo di un torrente, nell’antro di un caverna, nel fitto di un bosco,
al margine di una vecchia mulattiera,
vicino ad una lapide,
un sasso che parla,
una croce che urla,
un granaio che brucia,
una casa che piange,
una donna che fugge,
uno sparo che insegue,
una fila di cadaveri che compare invisibile,
una corda che pende,
il silenzio di un urlo…e nessuno che ha udito.
Volti che piangono,
volti che scompaiono,
anime che imprecano,
vendette che esplodono.
Ma nel fragore di tanto silenzio qui o lassù,
tutto il tempo che è e ci è appartenuto, muove l’anima,
fa vibrare l’oscuro sentimento dell’oracolo,
dello sciamano,
del pazzo.
Pazzi per secoli, abbiamo contato tempo e denaro,
per il Dio del sacrificio.
Pazzi per millenni abbiamo confuso ragione e sentimento,
verità e preghiera, Dio e Diavolo.
In cima alla via, in fondo alla valle, hanno chiuso il libro
che per millenni si è aperto ai nostri occhi,
hanno eretto croci e segnato vie e sentieri,
cancellato pietre e montagne,
mari e civiltà, anime e universi,
di un mondo e una natura che parla la sua lingua,
la sua storia,
il verso del tempo e del luogo,
il geroglifico stratigrafico della pietra…
…nostra compagna che impreca, che suda, che scorre e arma.
Il tempo dell’essere ed appartenere,
la moneta di un più giusto e probabile Dio. (2)

Così ora, tra una pagina e l’altra,
che dono come panorami mai morti della natura umana,
che offro come acqua preziosa,
come un fiume dove non ci bagnammo mai due volte,
ma che tanto sangue ha visto scorrere,
compongo in frammenti,
sentieri e strade,
fra scenari da non dimenticare,
fra vallate da ricordare,
fra case da contare,
fra sogni da numerare,
fra guerre da fotografare,
fra promesse fatte e altre…
appena scordate,
fra templi e monoliti scolpiti,
fra croci e cimiteri,
fra confini e tradizioni,
che si muovono in cartine nel sentimento di ciò che chiamano geografia,
dove ammutoliti guardiamo amori e rancori,
gioie e dolori,
inverni e sudori,
ghiaccio e fiori,
bestie e signori,
servi e padroni.
Fra una pagina e l’altra,
compongo i panorami muti alla vista,
dipingo i volti morti alla storia,
ricompongo le anime vive nella coscienza.
Fra una voce e l’altra,
fra una chiacchierata e l’altra,
con i miei illustri ospiti, converso con Pietro,
il mio amico Pietro,
a lui faccio tesoro, caro lettore …. se ve ne fosse qualcuno,
dei miei stati d’animo, e della coscienza che li compone,
del sogno che li anima,
della paura che li incita,
del coraggio che arma,
della preveggenza che li chiama.
Dell’oracolo che li implora,
dello sciamano che li prega,
del Cristo che li veglia,
dell’eretico che li implora,
del Budda che li osserva,
di Giuda che impreca,
del sacerdote che conta moneta.
Con lui, e solo con lui (il mio eretico Pietro),
lettori ammutoliti,
viandanti terrorizzati,
preti ubriachi,
soldati angosciati;
cerco il sano conforto della dialettica,
quella a noi negata.
Quell’oste allegra che dona sollievo e conforto,
alla speranza e un po’ di linfa che chiamano vita.
Quella bevanda sacra,
che accompagna
il felice e ingordo pasto del viandante affamato,
su per queste difficili vie, per questi agitati mari.
Per quelle lontane cime,
per quei fari dimenticati.
Quella sete di ridere e raccontare la vita,
quella fame di tacitare il ventre del ricordo divenuto rancore,
quel piacere di immaginare vista ed odori,
con ugual appetito alla stessa tavola della storia.
Alla stessa tela del quadro,
cui vorremmo dipingere un panorama degno della cornice,
di ciò che chiamano tempo e denaro,
geografia e storia.
Allo stesso spettacolo,
dove molti si saziarono e videro,
altri piansero e morirono.
Allo stesso panorama,
dove componiamo la lenta stratigrafia della roccia,
poggiata su roccia,
pagina poggiata su pagina,
montagne incastonate nella fitta trama della natura,
che compone una lenta geologia,
tomi accatastati nel fitto bosco della parola,
e del pensiero che la precede,
in una infinita biblioteca che nominano sapere,
a cui ho dato l’onore e l’offesa di una luce prematura,
al pensiero ed al gesto dell’uomo (classificato) evoluto.
Dove conservo pretesa, e con essa l’ambizione,
di perdermi in questo grande mare,
dove il navigare non mi è facile.
Dove il raccontare non è propizio alla natura dei tempi.
Ma spingo la vela, arranco su per il sentiero.
Spero così, che ciò che non si concilia con il tempo,
sposerà serena verità di un passato mai morto,
nell’Universo nascosto e raccolto dove ogni sogno non è mai morto,
ed ogni illusione diviene una stella,
ogni speranza una nuova terra.
Ciò che è immagine,
combatte nella difficile crosta di terra,
di ciò che è spirito.
Non vendo l’anima,
nel ricco mercato prima del tempio,
non vendo Cristo ai nuovi sacerdoti della casta,
non incido immagini prima della scrittura,
e parole prive di filosofia,
perché il Sogno che difendo,
è prima dell’immagine e della parola,
del pensiero e la coscienza,
dell’istinto e dell’azione.
Atemporale al tempo e al luogo,
eterno come l’anima e quel Dio che la compone,
imperscrutabile come quell’onda che avvolge,
come la particella che penetra.
Come la vita che avanza.
Immutabile e perfetto,
come la simmetria che precede il tutto.
Così caro Pietro,
siamo diventati un algoritmo di memoria
in un circuito prestampato,
in una connessione super-veloce,
ricomposto su uno schermo ultrapiatto,
digitato dall’uno all’altro polo di un nuovo mare,
osservato dall’uno all’altro occhio di questo oceano.
Deriso o contemplato su ogni terra,
ed isola che questa Odissea ci comanda.
Siamo tornati nel difficile viaggio dell’umanità,
di nuovo frammenti apparentemente scomposti,
di antico e immutato sapere,
di intuizione,
lasciata scorrere nella nuova geografia che si forma,
ogni volta e per tutte le volte,
che l’infinito e perfetto compone nel grande oceano dell’Universo,
nel vasto mare del sapere,
ogni volta e per sempre bruciati,
al rogo di ciò che intuimmo in ‘infiniti mondi’.
Ho raccontato di te, Pietro,
ed ho subito i patimenti e conosciuto l’ingiuria,
e con essa l’ingiustizia,
che pagò il tuo ed il mio pensiero.
Pagammo con la vita,
la nostra umile conversazione,
pagammo con l’inganno la vera intuizione,
morimmo a stento in quell’aula,
in quella bottega,
nel mulino della grande visione,
del sogno che diventa verità,
del pensiero che diventa realtà,
del Dio che compone la sua Terra.
Pagammo con l’offesa e con essa l’umiliazione,
con il rogo del sacrificio,
con le risa dell’inganno,
con il sangue della guerra,
con la privazione di una casa,
di una famiglia,
di una verità.
Non ci fu concessa in questo mondo che creammo,
non ci fu permessa in questo Universo che preghiamo,
non ci fu lasciata possibilità di spiegare,
fra un’anima e l’altra che incarniamo.
Non ci fu possibile sognare,
non ci fu possibile parlare,
piangere e ascoltare,
il suono che avevamo composto:
vento che agita,
acqua che penetra,
ghiaccio che parla,
fuoco che urla.
Non ci fu possibile ascoltare il suono scomposto prima,
ordinato poi,
di ciò che è pensiero non ancora parola;
divenimmo parola poi,
quando in cima alla montagna,
al largo di quel mare,
urlavamo all’idea divenuta creazione,
componevamo il pensiero divenuto frammento,
pregavamo allo spirito divenuto materia,
celebravamo,
luogo tempo e verità in oscure caverne,
in sperduti anfratti,
in segreti luoghi,
sognavamo il sogno prima del sogno,
per questa anima inquieta,
e per suo Dio che la canta,
pagammo con la vita per aver osato la verità.
Siamo morti tante volte Pietro,
su quel sentiero,
in quella strada,
nell’immenso grande mare,
siamo rinati altrettante vite,
nella testimonianza di ciò che lasciammo e scrivemmo,
ricomposto in frammenti che scriviamo e abbiamo scritto,
secoli e millenni fa.
Così,
fra un Universo e l’altro di un anima che li ha composti,
scopriamo un Dio che li ha pensati,
e di una realtà mai una verità,
che li ha uccisi e dimenticati.
Hanno composto così la geografia,
nel quadrante della storia che non ci appartiene;
hanno sacrificato così il pensiero
che non vogliono,
ed il sogno che non desiderano,
perché fra desiderio e volontà c’è un baratro non compreso,
fra spirito e materia, c’è una immensa linea stratigrafica,
fra il divenire e l’essere,
che muove la terra,
che segna la crosta,
che cambia la vita.
Ciò che eravamo e non siamo più,
ciò che è, ma è mutato fra il sé originario e immutato,
e il lento divenire,
di questa grande geologia che è fuori e dentro noi.
Ma prima è dentro noi, poi lentamente creata.
Questo sogno antico che non riusciamo più a sognare,
questo pensiero primo che non riusciamo più ad afferrare,
questo Dio che non riescono ad immaginare.
Quando sognammo, il sogno comune della vita,
il geroglifico della creazione,
avevamo tanti nomi diversi, ma tutti simmetrici fra loro.
Avevamo volti diversi,
ma medesime linee sul corpo,
sulla roccia,
sulla terra.
Stessi graffiti, stesse intuizioni, stesse paure, angosce …e visioni.
Uguali stupori, stessi tremori, e sogni premonitori.
Ci siamo dati nomi diversi, ma un solo intento ci unisce,
ci siamo inchinati agli stessi dèi,
celebrato la stessa fonte di vita,
adorato il fuoco,
interrogati sulla pietra,
ascoltato il vento,
contemplato per millenni la nostra terra,
in un luogo e mille altri diversi.
Poi abbiamo ritrovato le parole,
sconnesse,
divinatorie,
allucinate,
senza apparente logica e nesso,
suoni multiformi prima, di stupore poi;
lo stupore è divenuto oracolo e intuizione del creato.
Stupore di tutto nel tutto,
dove a stento ci siamo formati,
stupore di quel cielo nero riflesso nelle acque,
stupore di poter uscire da queste,
per un qualcosa che assomiglia ad un arrancare,
poi ad un lento camminare,
in fine una corsa retta,
agile ed eretti su quelle che sembrano ora due gambe. (3)

Pietro,
abbiamo ripercorso assieme tutte queste tappe della memoria,
ci siamo visti e parlati migliaia di volte,
ti ho riconosciuto negli occhi di tanti esseri animati e non,
la tua anima ha vagato così a lungo ed è ovunque,
che ogni volta trovarti mi par cosa così facile,
che gli altri,
i savi…dicono,
ci guardano inorriditi, stupefatti, schifati, preoccupati,
ed in onor della loro grande ed immensa rettitudine,
che ci accompagna per milioni di anime più sfortunata della tua,
debbo ritrovare e scavare nella memoria.
No! Pietro,
non è un semplice lavoro di archeologi della terra e della mente,
non è solo un’opera da eruditi fuori dal tempo, disadattati alla vita,
non è solo un fuggire a ritroso per non vedere il futuro,
respirare il presente,
che puntualmente celebriamo nel tempio che divide Dèi ed uomini.
Perché troppo spesso,
in questo sognare ci siamo sentiti esseri di altri universi,
pensieri di altri mondi,
luce prima della luce,
né onda né particella.
Qualcosa di indefinito e incomprensibile nello stesso tempo e luogo,
quando tempo e luogo sono ancora nella nostra mente,
e vederli pian piano comporsi, per poi dissolversi,
lasciandoci soli in quello che altri,
nel pieno della loro luce,
chiamano con nomi innominabili,
con frasi e gesti ripetuti nella costanza del loro tempo,
con una precisione meccanica,
che nulla ha dell’universale che pregano,
cantano e celebrano.
Medesimi gesti,
urla,
imprecazioni,
accuse,
umiliazioni,
morti e resurrezioni,
privazioni,
solitudini,
angosce e dolori.
Visioni che ci chiamano a custodire la memoria.
Spiriti che ci vogliono custodi di un sogno lontano,
e non ancora del tutto svelato. (4)

(Gao Xingjian, La montagna dell’Anima  & G. Lazzari, Frammenti in Rima)








        










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