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Indovinello con Rima (86)
Prosegue in:
Diversi gli umori (fuori e dentro ogni muro) (88)
La
soluzione dell’annunciato indovinello si trova poco dopo il Tempio del Cielo,
ove se ben ricordi mio caro uditore, nessuna Anima tantomeno Spirito conferirono
l’udienza richiesta. Il Tempio detto si trova precedente a questa breve
‘metafora’ porta d’un più vasto regno sottinteso per chi di vera democrazia
s’intende che fra breve andrò a declamare in assenza di qualsivoglia
artificiosa alchimia. La contempli ed osservi e scruti, talvolta perplesso, nel
muscolo far mostra di sé stesso privato dall’arguzia, e taluni pur dicono,
intelligente astuzia, comporre solo il quadro di una fredda cornice specchio d’una materia sottratta alla pitagorica
o simmetrica magica scienza dalla quale deriva, una deriva ‘Democritea’ in
assenza del filosofo detto, donde, almeno così si dice, ogni retta e saggia
scienza ragione della nostra vita dall’ingegno suo proviene.
Si trova
nel breve racconto porta d’accesso del nostro, o meglio, del vostro Universo,
che mai sia detto strano ambulatorio con una grande sala d’aspetto. Con tanti
troppi pazienti, malati ed incurabili tiranni. Tutto frutto di una lenta se pur
grave malattia che mai sia detta Vita intera. Iniziò e progredì quando l’uomo
‘evoluto’ imparò la Parola nel Secondo della breve sua hora, giacché non ancor
Rima. Imparò, in verità e per il vero, la dialettica quando vide che ogni ‘verso’
si accordava bene alla propria sua natura non essendo musica o color di
pittura, con la paura che ogni suo gesto incuteva e incute ancora. Imparò la
dialettica come fosse un lungo e solenne comizio scordando la vera Poesia
motivo dell’intera sua Vita. Imparò il ‘glutterato’ urlo ancora istinto in cima
ed in fondo ad uno specchio d’acqua vicino ad un cielo azzurro ove ogni stella
nasceva e dischiudeva la vera Natura dell’intero Parlamento assiso alto in
trono del vero sempiterno Olimpo. Voleva salire e declamare quello, mentre
tapino si nascondeva tutto entro la Terra che pur l’aveva partorito e nutrito
meditando ogni nuova conquista ben dipinta ed incisa per ogni muro non ancora
fortezza a difesa dell’eterno feudo dell’intera vita. Dentro la caverna
forgiava la Parola come un utensile poi la scagliava addosso al suo nemico, la
povera bestia donde il meschino proveniva lo guarda fiero della conquista
incisa e dipinta e conservata per ogni biblioteca ben numerata in ricordo
dell’intera Storia. Lo guarda percependo, poverina, la malattia dalla prima
sillaba quando appena neonato l’aveva pronunciata nell’eterna caduta divenuta
malattia, che sia una mela o una scala difettosa della corda, ciò poco importa
per la malattia che ognuno porta e di cui vittima in difetto di una strana….
lingua….
….Fuori dai corridoi bui dell’università di medicina tradizionale gli
uffici erano vuoti, fatta eccezione per l’enorme scrivania e per la presenza
del professore associato Yang. Avevo deciso di andare a trovarlo motivo della
metafora annunziata.
La medicina cinese osservava molte parti del corpo ai fini diagnostici:
l’addome, le mani, gli occhi; ma a suo dire, nessuna era meravigliosa e
delicata come la lingua!
‘Naturalmente è possibile capire cose dall’osservazione del viso o del
torace del paziente, o persino dal suo modo di parlare inveire o tossire, o dal
suo polso’
disse, e tutto questo sembrava deluderlo un po’.
‘Ma nulla è efficace come l’esame di una lingua’.
‘Vuol vedere le mie lingue?’.
Entrammo in una stanza stretta lungo le cui pareti si allineavano
bacheche di vetro come tante piccole biblioteche. Girò un interruttore e lì, a
ogni parete e da ogni stipo di vetro, fila dopo fila in uno splendore rosato,
duecento e più lingue private del corpo come della mente gridavano un oltraggio
muto.
‘Sono modelli di cera come tanti burattini’,
Disse allegramente.
‘Tutte malate’.
Mi guardai attorno sbattendo gli occhi!
Erano oscenamente realistiche. Avevo la sensazione che quelle sulle
pareti appartenessero a persone che se ne stavano nella stanza vicina e
protendevano la lingua attraverso fori nelle pareti come sovente succede quando
si cammina per una via trafficata e all’improvviso appaiono una infinita serie
di schermi e tante lingue muoversi da qualcuno mosse.
C’erano lingue raggrinzite e gonfie, lingue lucide, lingue gialle
tipiche di disturbi gastrici (gente che per il troppo mangiare e bere cede alla
melanconia divenuta insopportabile vomito di parole così diagnosticherebbe il
nostro Aristotele….); spettrali lingue opaline e piccole cose rosse biforcute e
seccate (annunciare perdita o vittoria alla stessa e medesima hora in cui sulla
piazza si celebra precoce sommario giudizio… ed il popolo riunito per l’antico
rito….); lingue coperte di una patina (delicata - dico e non dico - prenoto e
disdico - mi quieto e parlo a sproposito - tanto l’indice d’ascolto e un intero
compromesso che poco si addice alla verità del giorno…); lingue sezionate
(posso o non posso - devo o non devo - concesso o non concesso - ammesso e non
concesso - pur medesimo compromesso per ugual indice d’ascolto alla pagina
dipinto…); lingue spaccate (vado sfascio rompo t’accoppo te gonfio te rompo te
zompo addosso e me faccio cresce la calvizia visto che il filosofo è er meglio
parrucchiere che gira d’intorno), verdastre, ritratte, putride, foruncolose…
Yang le ispezionò con preoccupazione paterna (da remoti tempi non si è
abituati ad animarle più del dovuto altrimenti ornerebbero trofei di ben altri
musei….).
Ma lui senza volerlo è pur un grande filosofo o fors’anche psicologo e
così diagnostica questa o quella malattia…
‘Quello rosso scuro indica un problema di fegato’…
‘Quella scolorita un problema di stomaco’…
Scosse la testa.
‘Vuol dire che lo stomaco non filtra adeguatamente e non fa circolare i
liquidi nel corpo’…
‘Vede quella con un rivestimento asimmetrico? Insufficienza renale in
arrivo (il pil tira poco appena al di sotto dello zero zero zero contorto….)’…
Oltrepassammo derisori reggimenti color del gelso, file ammutinate di
oggetti verdi. Divenni nervosamente consapevole della mia stessa lingua e la
feci scivolare sul labbro inferiore sulle screpolature.
Osservammo un esemplare blu essiccato (recitare sempiterna litania un
bel comizio di ugual secolare accento declamare diritto uguaglianza giustizia
trattenute e recitate a mal partito e così essiccare il vero principio per ogni
avverbio di troppo per ogni diritto tolto per ogni ingiustizia così tradita…).
‘Cuore’ mi disse Yang.
Poi sopraggiunse un modello spaccato e giallo con macchie deboli.
‘Scarlattina (o melanconia dipende dal punto di vista d’alterna
coscienza contesa - sottintese Yin suo invisibile alterego e segreto maestro)’.
Poi ci fermammo davanti ad un esemplare di un porporato vivo.
‘Questa è una epatite cronica: occhio vitreo, bianco sudario, marmorea
vista alla vita così ben dipinta o non più ben vista, ma la lingua sua
condividiamo e da quel sudario il vino ancor beviamo che sia Dionisio o Bacco
poco importa per ogni verità crocefissa e malmente sofferta….’.
Ed infine ci spostammo verso una bacheca ancora più strana. Rilucevano
un paio di sospetti di cancro. Il tumore benigno o maligno spuntava da dietro
come una cupola bianca; il carcinoma se ne stava appollaiato come un satellite
parabola della nuova parola: pensai ai pazienti sulle cui lingue erano stati
modellati i campioni. Mi chiesi dove fosse ora il proprietario del pezzo di
carne sinistro e perlaceo etichettato al vetro (detto secondo odierno gergo del
pitocco ‘window’) con il numero 172.
Che cosa era successo al povero dispeptico 59?
E il 112 era più riuscito a ritrarre la lingua, o viveva ancora in uno
stato di provocazione involontaria (da cui la famosa teoria donde ogni calvizie
deriva…)…
L’88, comunque era morto di sicuro!
(Giuliano & C. Thubron)
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