giuliano

venerdì 2 febbraio 2018

QUAL'E' OGGI LA FUNZIONE DELLA POESIA? (78)












































Precedenti capitoli:

Se merda son le nostre, a dirlo netto.... (77)

Prosegue in:

L'avanzata continua (79) &

Il Paradiso perduto (80)














La domanda si rivela non meno urgente per il fatto di essere posta in tono provocatorio da tanti babbei o soddisfatta con risposte apologetiche da tanti sciocchi.
La funzione della Poesia è l’invocazione religiosa della Musa; la sua utilità è la sperimentazione di quel misto di esaltazione e di orrore che la sua presenza eccita.

Ma oggi?




La funzione e l’utilità rimangono le stesse: solo l’applicazione è mutata. Un tempo la Poesia serviva per ricordare all’uomo che doveva mantenersi in armonia con la famiglia delle creature viventi tra le quali era nato, mediante l’obbedienza ai desideri della padrona di casa; oggi ci ricorda che l’uomo ha ignorato l’avvertimento e ha messo sottosopra la casa con i suoi capricciosi esperimenti filosofici, scientifici e industriali attirando la rovina su se stesso e la sua famiglia.

L’oggi è una civiltà in cui gli emblemi primi della Poesia sono disonorati; in cui il serpente, il leone e l’aquila appartengono al tendone del circo; il bue, il salmone e il cinghiale all’industria dei cibi in scatola; il cavallo da corsa e il levriero al botteghino delle scommesse; e il bosco sacro alla segheria. Una civiltà in cui la Luna è disprezzata come un satellite senza vita e la donna è personale statale ausiliario. In cui il denaro può comprare ogni cosa eccetto la verità, e chiunque eccetto il Poeta posseduto dalla verità.
Privo come sono della coda, ossia del contatto con la civiltà urbana, tutto ciò che scrivo deve suonare assurdo e irrilevante a quelli tra voi che sono ancora legati agli ingranaggi della macchina industriale, sia direttamente come operai, dirigenti, commercianti o pubblicitari, sia indirettamente come funzionari, editori, giornalisti, insegnanti o dipendenti di una rete radiofonica.

Se siete Poeti, comprenderete che l’accettazione della mia tesi storica vi obbliga ad una confessione di tradimento che sarete restii a fare. Avete scelto il vostro lavoro perché vi prometteva un’entrata costante e il tempo libero necessario per rendere un prezioso culto a metà tempo alla dèa (o demone) che adorate.




…Ed allora il curatore del blog (e non solo di quello ma anche dello Spirito) vi consiglia da Poeta dalla Poesia nutrito di non leggere Rime a voi avverse di non trovare accordi laceranti con la dèa materia che soddisfa il vostro istantaneo coito & godimento diluito nel picciolo schermo a pochi pixle nutrito; di non cercare misteri arcani infondati o avversi sulla Verità Prima qual Poesia arroccata a difesa dell’antica Teologia; di cambiare, se non appagati del Principio travasato qual Poesia o Verso che sia, ad altro panorama abdicando lo Spirito o l’Anima in altra piacevole e comoda vista… ma quantunque sempre da una stella servita… Giacché dalla Natura alla Natura sempre si torna… E quel che lessi lo leggo ancora solo per udire vedere e patire il ritratto della nuova pittrice dipingere il martirio al bosco del Cristo assiso in umile attesa della sua eterna strofa…; ed incorniciare, o se preferite, incidere la Spirale infondere principio della Vita per chi l’avesse smarrito…







E lui a me….



Mentre regnava al mondo
La cortesia, ma poi ch’ell’è partita
E l’Avaritia in campo compartita,

Ho sì in odio la vita
Che, qual novo Timon, bramo lontano
Ritirarmi in tutto dal commercio humano.

E però non è vano
Questo pensier, se dentro il mio palazzo
Non voglio cosa che porga sollazzo,

Poscia che’ l mondo pazzo
Hoggi più apprezza i tristi e vitiosi,
Che non fa gli huomini saggi e virtuosi.

E però i curiosi
Non s’ammirin, se sol di cose meste
Bramo ornar le mie stanze, e se sol queste

Historie aspre e moleste
Cerco d’haver, perché in esse mirando,
E le sciagure altrui considerando,

Alquanto consolando,
Anderò del mio cor la grave pena,
Che quasi a disperato fin mi mena.

Perché la mia Camena,
Che si vede seccar l’acqua del fonte,
Più non ha, com’havea, le rime pronte,

Ma sta con mesta fronte
Sola e pensosa, a un pioppo secco sotto,
Con la lira stemprata, e’ l plettro rotto.

E tace e non fa motto,
Tutta bramosa di veder quel giorno
Ch’a noi Zethe e Calai faccian ritorno,

E che scaccian d’intorno
La mensa di Fieno, lo stuol fetente
De l’arpie, come fero anticamente,

Quali, oltre che col dente
Lor famelico e ingordo, tran de’ vasi
I cibi, forza è d'atturare i nasi

Al puzzo lor, che quasi
Il fiato toglie, tanto è crudo e rio
Intendami chi può, che m’intend’io.

E però, mastro mio,
Fate, prego, il disegno quanto pria,
Fin che simil pensiero ho in fantasia.

Che da la parte mia
Anch’io farò quel tanto che va fatto
E da me a pien sarete soddisfatto.

Horsù, venghisi all'atto,
Né per spesa si stia, che già di quanto
Fa di mestieri, ho preparato in tanto

E ridotta in un canto
Ho tutta la materia che vi vuole,
A edificar questa superba mole





Ed io a lui….



L’incontro un libro scritto
o forse ancora non del tutto …pregato.

La preghiera diviene litania,
e uguale componimento nelle pagine della storia,
la frase sconnessa
l’oracolo di tanti e troppi Dèi dimenticati.
E …mai pagati!

La moneta ti osserva, il tempo la comanda.
La ricchezza ti scruta, la potenza l’orienta.
La volontà la sveglia, il sangue s’appresta,
l’orgoglio avanza.
Il tempo, suo compagno, ti inganna,
mentre contempli il tutto che danza.

Il tempo ritorna in cima alla vetta,
in cima alla stanza,
dove il libro sporge con incuranza
e evidenzia una verità che parla,
e non vuol essere contata.
Una verità che segna il tempo e non vuole tempo,
che gela le membra, che annebbia la vista,
che duole fin dentro le ossa,
quelle dei vivi e quelle dei morti
…e quelli che moriranno ancora.

Il tempo in essa spera e comanda,
mentre la cima con orgoglio ritrovato contempli,
come un vecchio tomo mai morto,
come una vecchia stampa che ravviva i ricordi.

Sembra facile, per taluni, andare e tornare,
sembra facile, per alcuni, andare e parlare.
Ma io che non conosco moneta e tempo,
dovrò patire gli inganni della storia;
ed io che non conosco e non prego croci,
su una croce di legno segneranno la mia moneta,
e il tempo di chi la conia.

La rabbia ci assale,
nel ricordo del sentiero cancellato,
nella certezza di un inganno mai raccontato.
Se anche lo fosse, ed è,
il tempo e denaro non permettono l’indugio della verità.

La verità ammirata, annusata, respirata, contemplata,
pregata e pianta,
nell’angolo di un torrente, nell’antro di un caverna,
nel fitto di un bosco,
al margine di una vecchia mulattiera,
vicino ad una lapide,
un sasso che parla,
una croce che urla,
un granaio che brucia,
una casa che piange,
una donna che fugge,
uno sparo che insegue,
una fila di cadaveri compare invisibile,
una corda che pende,
il silenzio di un urlo… e nessuno che ha udito.

Volti che piangono,
volti che scompaiono,
anime che imprecano,
vendette che esplodono.





…E L’Architetto che tutto vede e crea…



Croce gentil, ho inteso il tuo pensiero
Intieramente, e la tua fantasia (acciò la delego ancor…),
Né mi dispiace questa bizzarria,
Se come amico t’ho da dire il vero.

E son pronto e parato a far l’intiero
Disegno, e in breve lo porrò a la via,
Pur ch’io non getti l’opra, e’ l tempo via,
Ch’ogn’un per premio al fin fa il suo mestiero.

E per mostrarti ch’io son huom d’ingegno,
E ch’a Vitruvio o ad altri inferiore
Non son, del mio saper ti darò segno,

E, acciò meglio conosci il mio valore,
Eccoti d’un tellurico strato il disegno
non meno della rima v’è ingegno
nel difendere ciò che pensiam disastrato…








...La Natura a tutti loro….


Pagammo con la vita,
la nostra umile conversazione,
pagammo con l’inganno la vera intuizione,
morimmo a stento in quell’aula,
in quella bottega,
nel mulino della grande visione,
del sogno che diventa verità,
del pensiero che diventa realtà,
del Dio che compone la sua Terra.

Pagammo con l’offesa e con essa l’umiliazione,
con il rogo del sacrificio,
con le risa dell’inganno,
con il sangue della guerra,
con la privazione di una casa,
di una famiglia,
di una verità.

Non ci fu concessa in questo mondo che creammo,
non ci fu permessa in questo Universo che preghiamo,
non ci fu lasciata possibilità di spiegare,
fra un’anima e l’altra che incarniamo.

Non ci fu possibile sognare,
non ci fu possibile parlare,
piangere e ascoltare,
il suono che avevamo composto:
vento che agita,
acqua che penetra,
ghiaccio che parla,
fuoco che urla.

Non ci fu possibile ascoltare
il suono scomposto prima,
ordinato poi,
di ciò che è pensiero non ancora parola;
divenimmo parola poi,
quando in cima alla montagna,
al largo di quel mare,
urlavamo all’idea divenuta creazione,
componevamo il pensiero divenuto Frammento,
pregavamo allo Spirito divenuto materia,
celebravamo,
luogo tempo e verità in oscure caverne,
in sperduti anfratti,
in segreti luoghi,
sognavamo il sogno prima del sogno,
per questa anima inquieta,
e per il suo Dio che la canta,
pagammo con la vita per aver osato la verità.

Siamo morti tante volte Giulio,
su quella Croce,
su quel sentiero,
in quella strada,
nell’immenso grande mare,
siamo rinati altrettante vite,
nella testimonianza di ciò che lasciammo e scrivemmo,
ricomposto in Frammenti
che scriviamo e abbiamo scritto,
secoli e millenni fa….

(R. Graves; G. Lazzari; G.C. Croce)















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