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Quindi, il
regime giuridico dell’Artico attiene principalmente alla ricostruzione dei diritti
e dei poteri che gli Stati costieri possono esercitare sulle acque adiacenti
alle proprie coste. L’effettiva base giuridica dell’irradiazione della
sovranità territoriale sul mare non va letta nell’occupazione effettiva di
spazi marini o di un effettivo potere di imperio su di essi, quanto piuttosto
si inscrive nella sovranità territoriale spettante allo Stato marittimo in
senso stretto.
Per cui, secondo tale prassi, l’irradiazione del
potere di imperio di uno Stato, si identifica nell’estensione naturale dello
svolgimento delle attività dello Stato sul mare ed in relazione alle esigenze
di difesa dell’azione di governo, conformemente alla natura dello spazio marino
e alla situazione di continuità del mare territoriale rispetto alla terraferma.
Ne discende, allora, che il potere di imperio si identifica nella naturale
estensione dello svolgimento in mare delle attività di governo, o meglio
sovranità, messe in atto dallo Stato costiero.
Quest’impostazione,
anche nei riguardi della regione artica, sembra
fondarsi sulla Convenzione di Montego Bay. Tuttavia, prima di analizzare il
regime giuridico dell’Artico, occorre precisare alcune questioni riguardanti la
sovranità sulla terra. Si tratta di precisazioni fondamentali ai fini di una
migliore comprensione sulle dinamiche di acquisto della sovranità territoriale
nel Mar Glaciale Artico, indipendentemente dal requisito dell’effettività. Alla
luce di quanto scritto, si dimostra come le relazioni artiche non avvengano,
come sostenuto da una parte della dottrina, in un vuoto giuridico, ma in un
complesso quadro convenzionale e regolamentare, sia di hard che di soft law, a
partire comunque dalle norme del diritto del mare applicabili all’area
geografica in questione.
Nonostante
le Nazioni Unite e la diplomazia multi bilaterale siano i fora principali per
la discussione delle controversie territoriali e marittime, negli ultimi anni
il Consiglio Artico, di cui si è
accennato precedentemente, ha visto crescere e mutare il proprio ruolo,
trasformandosi in un organismo in cui affrontare tematiche di comune interesse
e provare ad elaborare strategie concertate per la governance della regione. Nato
nel 1996 nel solco della Arctic Environmental Protection Strategy (AEPS,
conosciuta anche come Iniziativa Finlandese) e della Dichiarazione di Ottawa, il Consiglio aveva inizialmente lo
scopo di promuovere riunioni cicliche tra i rappresentanti dei Paesi Artici per
migliorare e coordinare le politiche in materia di protezione ambientale e
tutela della biodiversità. Tuttavia, l’oggetto di discussione del forum si è
esteso finanche includendo settori a rilevanza politica: il riconoscimento dei
reciproci interessi marittimi e la difesa dei diritti dei popoli artici.
Le regioni polari vanno considerate,
secondo la dottrina, soggette alla sovranità di nessuno Stato.
In particolare,
per l’Antartico si parla di territorio “internazionalizzato”, intendendo così
un complesso di norme che ne disciplina l’utilizzazione. Infatti, il Trattato di Washington, sottoscritto il 01/12/1959, congela
le pretese territoriali, e le opposizioni alle stesse, consentendo al sistema
internazionale di funzionare. Al riguardo, alcuni
articoli del Trattato sanciscono delle caratteristiche fondamentali:
interdizione di ogni attività militare; la libertà di ricerca scientifica e la
cooperazione in questo settore. Inoltre,
il Trattato distingue due categorie di Stati contraenti: gli Stati
consultivi, ossia i firmatari originari e coloro che dimostrino il proprio
interesse per l’Antartide conducendo attività di ricerca scientifica, che
godono del diritto di decidere, all’unanimità ma con effetti vincolanti, sulle
questioni rientranti nel dominio del Trattato e gli Stati non consultivi. Ciò
detto, è bene precisare che il Trattato vincola solo i contraenti: quindi, per
gli Stati terzi vige il regime di libertà. Tuttavia, in considerazione di
alcune risoluzioni ONU prese a maggioranza20 che considerano le risorse
antartiche come “patrimonio comune dell’umanità” e, soprattutto, in virtù del
Protocollo di Madrid del 1991 (che sostituisce la Convenzione di Wellington del
1988 non entrata in vigore) ed entrato in vigore nel 1998, vieta lo
sfruttamento delle risorse minerarie della regione per 50 anni e sottopone ogni
attività ad una valutazione di impatto ambientale. Certo, non sono mancate le
rivendicazioni territoriali sulle regioni polari ma, come si è visto, in
Antartide esse sono considerate infondate dal Trattato mentre qualche profilo
problematico si riscontra ancora nel Mar Glaciale Artico. Ciò che preme sottolineare
in questa sede sono le teorie su cui si fondino tali pretese.
Nel XIX secolo, alcuni Stati hanno fatto appello alla “teoria della
contiguità” o “della prossimità geografica” per trovare una base
giuridica ai fini della legittimazione di sovranità. Essa si applicherebbe nel
momento in cui uno Stato considera un territorio non sottoposto ad effettiva
occupazione come un “unicum” contiguo dal punto di vista geografico in
territori così ostili alla vita umana. Invece, la tendenza degli Stati artici a
rivendicare i territori che si estendono al di là del Circolo Polare Artico è
denominata “teoria dei settori”. Assecondando tale visione, gli Stati
dovrebbero considerare sotto la propria potestà di imperio tutti gli spazi,
terrestri e marittimi, “inclusi in un triangolo avente il vertice nel Polo Nord
e la sua base in una linea che congiunge i punti estremi delle coste proprie di
ciascuno Stato”. Inoltre, proprio con il riguardo all’Artico, tale teoria era
alla base delle rivendicazioni sovrane anche sui ghiacciai, sul mare e sullo
spazio sovrastante, nonché l’alto mare.
Nonostante
le dichiarazioni in passato di alcuni Stati, specie dell’allora Unione
Sovietica, la contestazione degli altri Stati Artici, specie Canada, Stati
Uniti, Danimarca e Norvegia, ha reso invalide tali teorie. Tuttavia, le pretese
di sovranità sui territori polari sono sempre state respinte dalla maggioranza
degli Stati. La dottrina le considera come infondate e non sorrette dalla
effettiva occupazione. In particolare, il Canada e la Federazione Russa hanno
avuto un certo protagonismo.
Già nel XX secolo hanno elaborato una
dottrina secondo la quale il loro paese godeva di una forma teorica di
sovranità che si estendeva sul territorio fino al Polo Nord, considerando
quest’ultima come “terra nullius”. Quest’affermazione
si fonda sulla già richiamata teoria dei settori, che, sebbene formalmente abbandonata,
permane nella visione dell’azione politica dei due Stati. Come si ricordi, la
teoria dei settori prevedeva l’estensione dei confini marittimi lungo le
dorsali delle latitudini fino al Polo Nord. Anche gli Stati Uniti e la
Danimarca hanno usato la teoria dei settori per far avanzare le loro
rivendicazioni sovrane. Tuttavia, la contestazione eccepita da altri attori
internazionali ha fatto cadere in desuetudine tale prassi.
Nonostante
ciò, attualmente è interessante notare come il Canada consideri varie
ondulazioni dell’Oceano Artico a nord del territorio canadese come di sua
sovranità: sono le mappe prodotte dal Natural
Resources Canada, sebbene il Dipartimento degli Affari Esteri non citi più
il principio settoriale. Ai fini delle delimitazioni territoriali circa le
acque artiche, è importante sottolineare come il riferimento al diritto del
mare nella Dichiarazione di Ilulissat sgombrasse il campo sia dall’idea di
internazionalizzare l’Artico sia che in quest’ultimo le relazioni tra Stati si
svolgessero in vuoto giuridico. I contraenti, in quanto Stati costieri che
godono di diritti e responsabilità sovrani e impegnati a seguire rigorosamente
le procedure che delimitano le piattaforme continentali esterne, rivendicano la
piena giurisdizione sulle acque territoriali, ivi inclusi i diritti sovrani
sulle zone economiche esclusive e sulle piattaforme continentali esterne.
Tuttavia, tra i contraenti permangono i disaccordi relativi allo status internazionale
dei due passaggi artici: il Passaggio a nord-ovest e la rotta del Mare del
Nord.
Sebbene
essi abbiano avuto modo di ribadire che la delimitazione dei confini marittimi
si risolverà in maniera pacifica, la
questione della sovranità sulle acque dell’Oceano Artico è centrale perché con
essa si fa riferimento all’alto mare, al fondale marino ed al sottosuolo oltre
la giurisdizione nazionale.
In alto
mare, tutti gli stati hanno la libertà di pescare soggetti al diritto
internazionale e godono di altre libertà, inclusa la navigazione. Ai fini di
una maggiore chiarezza, è bene precisare cosa si intende per “diritto del
mare”. Il riferimento generale riportato dalla Dichiarazione sembra corrispondere
alla richiamata Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982.
Di conseguenza, dalla prassi degli Stati costieri dell’area, si potrebbe evincere
che Montego Bay sia lo strumento
giuridico generalmente applicabile nell’Artico. Eppure, non bisogna dimenticare
l’assenza di specifici riferimenti all’Artico nelle dichiarazioni che hanno accompagnato
l’adesione degli Stati artici alla suddetta Convezione.
Approfondendo l’analisi sugli strumenti
giuridici, si può affermare che il regime giuridico dell’Artico si identifichi
non solo con il diritto del mare richiamato dalla Dichiarazione di Ilulissat ma
con quello complessivamente considerato, cioè in combinato disposto con norme
di portata particolare contenute in accordi multi-bilaterali.
In effetti,
non tutte le disposizioni contenute nella Convenzione di Montego Bay sono di natura consuetudinaria e inoltre, non bisogna
dimenticare come il generico riferimento al “diritto del mare”, e non ai
diritti e obblighi della Convenzione di Montego
Bay, sia da attribuire alla mancata ratifica statunitense della stessa. Senza
dubbio, si tratta di un profilo problematico da un punto di vista
interpretativo. Una parte della dottrina considera indispensabile la ratifica
di Washington per operare su un piano di parità con gli Stati della regione,
riguardo le summenzionate materie oggetto di controversia e regolamentazione.
Secondo alcuni,
invece, la ratifica sarebbe inutile poiché gli Stati Uniti hanno acconsentito
alla formazione della maggior parte del contenuto della Convenzione di Montego
Bay. Sebbene si tratti di una discussione aperta, si può pacificamente
sostenere come sia preferibile adottare una posizione che muova da un’interpretazione
letterale del testo della Dichiarazione di Ilulissat quando essa richiama “il
diritto del mare vigente”. Un passaggio che nulla aggiunge in capo agli Stati
Uniti rispetto ai diritti ed obblighi previsti dal diritto del mare generale o
dalle disposizioni convenzionali di cui sono parte.
In
conclusione, per quanto attiene all’irradiazione della sovranità territoriale
degli Stati costieri nel Mar Glaciale Artico è pacifico sostenere come
qualsiasi controversia nell’ambito della sovranità vada risolta alla luce del
diritto del mare secondo la Convenzione di Montego
Bay già richiamata.
Tutto ciò premesso, è evidente che la governance di cui si parla non sia coerente e sistematica: essa risente degli interessi particolaristici degli Stati artici, specie quelli costieri.
Tutto ciò premesso, è evidente che la governance di cui si parla non sia coerente e sistematica: essa risente degli interessi particolaristici degli Stati artici, specie quelli costieri.
Quindi,
spesso per trattare le tematiche artiche si è oscillato tra hard e soft law e anche la dottrina si è interrogata per capire quale possa
essere il futuro dell’Artico da un punto di vista del diritto internazionale. In
effetti, essa è divisa tra i fautori di un regime giuridico ad hoc, sulla falsariga dell’Antartide, chi
propende per un consolidamento degli strumenti vincolanti già esistenti con la
creazione di altre norme vincolanti o, infine, chi predilige l’elaborazione di
strumenti non vincolanti legati ad un rafforzamento dell’architettura istituzionale
esistente, ossia il Consiglio Artico. Nello specifico, i fautori di una
soluzione convenzionale ad hoc per
l’Artico pongono l’accento sulla necessità
di regolamentare la crescente attività commerciale mediante strumenti giuridici
vincolanti per tutelare il delicato ecosistema della regione.
Si
tratterebbe di elaborare un trattato che regoli gli interessi degli Stati
artici, della Comunità Internazionale, della preservazione della regione stessa
nonché delle popolazioni autoctone. Effettivamente, uno strumento convenzionale
sarebbe in grado di porre in essere obblighi cogenti direttamente in capo ai
contraenti con la fissazione di obiettivi, strumenti e programmi vincolanti.
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