giuliano

lunedì 9 dicembre 2019

DOSSIER "ARTICO" (12)

















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Quindi, il regime giuridico dell’Artico attiene principalmente alla ricostruzione dei diritti e dei poteri che gli Stati costieri possono esercitare sulle acque adiacenti alle proprie coste. L’effettiva base giuridica dell’irradiazione della sovranità territoriale sul mare non va letta nell’occupazione effettiva di spazi marini o di un effettivo potere di imperio su di essi, quanto piuttosto si inscrive nella sovranità territoriale spettante allo Stato marittimo in senso stretto.

Per cui, secondo tale prassi, l’irradiazione del potere di imperio di uno Stato, si identifica nell’estensione naturale dello svolgimento delle attività dello Stato sul mare ed in relazione alle esigenze di difesa dell’azione di governo, conformemente alla natura dello spazio marino e alla situazione di continuità del mare territoriale rispetto alla terraferma. Ne discende, allora, che il potere di imperio si identifica nella naturale estensione dello svolgimento in mare delle attività di governo, o meglio sovranità, messe in atto dallo Stato costiero.




Quest’impostazione, anche nei riguardi della regione artica, sembra fondarsi sulla Convenzione di Montego Bay. Tuttavia, prima di analizzare il regime giuridico dell’Artico, occorre precisare alcune questioni riguardanti la sovranità sulla terra. Si tratta di precisazioni fondamentali ai fini di una migliore comprensione sulle dinamiche di acquisto della sovranità territoriale nel Mar Glaciale Artico, indipendentemente dal requisito dell’effettività. Alla luce di quanto scritto, si dimostra come le relazioni artiche non avvengano, come sostenuto da una parte della dottrina, in un vuoto giuridico, ma in un complesso quadro convenzionale e regolamentare, sia di hard che di soft law, a partire comunque dalle norme del diritto del mare applicabili all’area geografica in questione.

Nonostante le Nazioni Unite e la diplomazia multi bilaterale siano i fora principali per la discussione delle controversie territoriali e marittime, negli ultimi anni il Consiglio Artico, di cui si è accennato precedentemente, ha visto crescere e mutare il proprio ruolo, trasformandosi in un organismo in cui affrontare tematiche di comune interesse e provare ad elaborare strategie concertate per la governance della regione. Nato nel 1996 nel solco della Arctic Environmental Protection Strategy (AEPS, conosciuta anche come Iniziativa Finlandese) e della Dichiarazione di Ottawa, il Consiglio aveva inizialmente lo scopo di promuovere riunioni cicliche tra i rappresentanti dei Paesi Artici per migliorare e coordinare le politiche in materia di protezione ambientale e tutela della biodiversità. Tuttavia, l’oggetto di discussione del forum si è esteso finanche includendo settori a rilevanza politica: il riconoscimento dei reciproci interessi marittimi e la difesa dei diritti dei popoli artici.

Le regioni polari vanno considerate, secondo la dottrina, soggette alla sovranità di nessuno Stato.




In particolare, per l’Antartico si parla di territorio “internazionalizzato”, intendendo così un complesso di norme che ne disciplina l’utilizzazione. Infatti, il Trattato di Washington, sottoscritto il 01/12/1959, congela le pretese territoriali, e le opposizioni alle stesse, consentendo al sistema internazionale di funzionare. Al riguardo, alcuni articoli del Trattato sanciscono delle caratteristiche fondamentali: interdizione di ogni attività militare; la libertà di ricerca scientifica e la cooperazione in questo settore. Inoltre, il Trattato distingue due categorie di Stati contraenti: gli Stati consultivi, ossia i firmatari originari e coloro che dimostrino il proprio interesse per l’Antartide conducendo attività di ricerca scientifica, che godono del diritto di decidere, all’unanimità ma con effetti vincolanti, sulle questioni rientranti nel dominio del Trattato e gli Stati non consultivi. Ciò detto, è bene precisare che il Trattato vincola solo i contraenti: quindi, per gli Stati terzi vige il regime di libertà. Tuttavia, in considerazione di alcune risoluzioni ONU prese a maggioranza20 che considerano le risorse antartiche come “patrimonio comune dell’umanità” e, soprattutto, in virtù del Protocollo di Madrid del 1991 (che sostituisce la Convenzione di Wellington del 1988 non entrata in vigore) ed entrato in vigore nel 1998, vieta lo sfruttamento delle risorse minerarie della regione per 50 anni e sottopone ogni attività ad una valutazione di impatto ambientale. Certo, non sono mancate le rivendicazioni territoriali sulle regioni polari ma, come si è visto, in Antartide esse sono considerate infondate dal Trattato mentre qualche profilo problematico si riscontra ancora nel Mar Glaciale Artico. Ciò che preme sottolineare in questa sede sono le teorie su cui si fondino tali pretese.




Nel XIX secolo, alcuni Stati hanno fatto appello alla “teoria della contiguità” o “della prossimità geografica” per trovare una base giuridica ai fini della legittimazione di sovranità. Essa si applicherebbe nel momento in cui uno Stato considera un territorio non sottoposto ad effettiva occupazione come un “unicum” contiguo dal punto di vista geografico in territori così ostili alla vita umana. Invece, la tendenza degli Stati artici a rivendicare i territori che si estendono al di là del Circolo Polare Artico è denominata “teoria dei settori”. Assecondando tale visione, gli Stati dovrebbero considerare sotto la propria potestà di imperio tutti gli spazi, terrestri e marittimi, “inclusi in un triangolo avente il vertice nel Polo Nord e la sua base in una linea che congiunge i punti estremi delle coste proprie di ciascuno Stato”. Inoltre, proprio con il riguardo all’Artico, tale teoria era alla base delle rivendicazioni sovrane anche sui ghiacciai, sul mare e sullo spazio sovrastante, nonché l’alto mare.




Nonostante le dichiarazioni in passato di alcuni Stati, specie dell’allora Unione Sovietica, la contestazione degli altri Stati Artici, specie Canada, Stati Uniti, Danimarca e Norvegia, ha reso invalide tali teorie. Tuttavia, le pretese di sovranità sui territori polari sono sempre state respinte dalla maggioranza degli Stati. La dottrina le considera come infondate e non sorrette dalla effettiva occupazione. In particolare, il Canada e la Federazione Russa hanno avuto un certo protagonismo.

Già nel XX secolo hanno elaborato una dottrina secondo la quale il loro paese godeva di una forma teorica di sovranità che si estendeva sul territorio fino al Polo Nord, considerando quest’ultima come “terra nullius”. Quest’affermazione si fonda sulla già richiamata teoria dei settori, che, sebbene formalmente abbandonata, permane nella visione dell’azione politica dei due Stati. Come si ricordi, la teoria dei settori prevedeva l’estensione dei confini marittimi lungo le dorsali delle latitudini fino al Polo Nord. Anche gli Stati Uniti e la Danimarca hanno usato la teoria dei settori per far avanzare le loro rivendicazioni sovrane. Tuttavia, la contestazione eccepita da altri attori internazionali ha fatto cadere in desuetudine tale prassi.




Nonostante ciò, attualmente è interessante notare come il Canada consideri varie ondulazioni dell’Oceano Artico a nord del territorio canadese come di sua sovranità: sono le mappe prodotte dal Natural Resources Canada, sebbene il Dipartimento degli Affari Esteri non citi più il principio settoriale. Ai fini delle delimitazioni territoriali circa le acque artiche, è importante sottolineare come il riferimento al diritto del mare nella Dichiarazione di Ilulissat sgombrasse il campo sia dall’idea di internazionalizzare l’Artico sia che in quest’ultimo le relazioni tra Stati si svolgessero in vuoto giuridico. I contraenti, in quanto Stati costieri che godono di diritti e responsabilità sovrani e impegnati a seguire rigorosamente le procedure che delimitano le piattaforme continentali esterne, rivendicano la piena giurisdizione sulle acque territoriali, ivi inclusi i diritti sovrani sulle zone economiche esclusive e sulle piattaforme continentali esterne. Tuttavia, tra i contraenti permangono i disaccordi relativi allo status internazionale dei due passaggi artici: il Passaggio a nord-ovest e la rotta del Mare del Nord.




Sebbene essi abbiano avuto modo di ribadire che la delimitazione dei confini marittimi si risolverà in maniera pacifica, la questione della sovranità sulle acque dell’Oceano Artico è centrale perché con essa si fa riferimento all’alto mare, al fondale marino ed al sottosuolo oltre la giurisdizione nazionale.

In alto mare, tutti gli stati hanno la libertà di pescare soggetti al diritto internazionale e godono di altre libertà, inclusa la navigazione. Ai fini di una maggiore chiarezza, è bene precisare cosa si intende per “diritto del mare”. Il riferimento generale riportato dalla Dichiarazione sembra corrispondere alla richiamata Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. Di conseguenza, dalla prassi degli Stati costieri dell’area, si potrebbe evincere che Montego Bay sia lo strumento giuridico generalmente applicabile nell’Artico. Eppure, non bisogna dimenticare l’assenza di specifici riferimenti all’Artico nelle dichiarazioni che hanno accompagnato l’adesione degli Stati artici alla suddetta Convezione.




Approfondendo l’analisi sugli strumenti giuridici, si può affermare che il regime giuridico dell’Artico si identifichi non solo con il diritto del mare richiamato dalla Dichiarazione di Ilulissat ma con quello complessivamente considerato, cioè in combinato disposto con norme di portata particolare contenute in accordi multi-bilaterali.

In effetti, non tutte le disposizioni contenute nella Convenzione di Montego Bay sono di natura consuetudinaria e inoltre, non bisogna dimenticare come il generico riferimento al “diritto del mare”, e non ai diritti e obblighi della Convenzione di Montego Bay, sia da attribuire alla mancata ratifica statunitense della stessa. Senza dubbio, si tratta di un profilo problematico da un punto di vista interpretativo. Una parte della dottrina considera indispensabile la ratifica di Washington per operare su un piano di parità con gli Stati della regione, riguardo le summenzionate materie oggetto di controversia e regolamentazione.





Secondo alcuni, invece, la ratifica sarebbe inutile poiché gli Stati Uniti hanno acconsentito alla formazione della maggior parte del contenuto della Convenzione di Montego Bay. Sebbene si tratti di una discussione aperta, si può pacificamente sostenere come sia preferibile adottare una posizione che muova da un’interpretazione letterale del testo della Dichiarazione di Ilulissat quando essa richiama “il diritto del mare vigente”. Un passaggio che nulla aggiunge in capo agli Stati Uniti rispetto ai diritti ed obblighi previsti dal diritto del mare generale o dalle disposizioni convenzionali di cui sono parte.

In conclusione, per quanto attiene all’irradiazione della sovranità territoriale degli Stati costieri nel Mar Glaciale Artico è pacifico sostenere come qualsiasi controversia nell’ambito della sovranità vada risolta alla luce del diritto del mare secondo la Convenzione di Montego Bay già richiamata.

Tutto ciò premesso, è evidente che la governance di cui si parla non sia coerente e sistematica: essa risente degli interessi particolaristici degli Stati artici, specie quelli costieri. 





Quindi, spesso per trattare le tematiche artiche si è oscillato tra hard e soft law e anche la dottrina si è interrogata per capire quale possa essere il futuro dell’Artico da un punto di vista del diritto internazionale. In effetti, essa è divisa tra i fautori di un regime giuridico ad hoc, sulla falsariga dell’Antartide, chi propende per un consolidamento degli strumenti vincolanti già esistenti con la creazione di altre norme vincolanti o, infine, chi predilige l’elaborazione di strumenti non vincolanti legati ad un rafforzamento dell’architettura istituzionale esistente, ossia il Consiglio Artico. Nello specifico, i fautori di una soluzione convenzionale ad hoc per l’Artico pongono l’accento sulla necessità di regolamentare la crescente attività commerciale mediante strumenti giuridici vincolanti per tutelare il delicato ecosistema della regione.

Si tratterebbe di elaborare un trattato che regoli gli interessi degli Stati artici, della Comunità Internazionale, della preservazione della regione stessa nonché delle popolazioni autoctone. Effettivamente, uno strumento convenzionale sarebbe in grado di porre in essere obblighi cogenti direttamente in capo ai contraenti con la fissazione di obiettivi, strumenti e programmi vincolanti.

(rivistadidiritto.it)












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