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Della 'Grande Depressione' (31)
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Bicicletta (33/4)
Il ‘finto’
Capitano, al contrario, era piccolotto, quasi nano, tanto che ai tempi
dell’Arena veniva chiamato Salgarello. Nel terzo dei tre necrologi che Salgari
scrisse in occasione del suicidio dell’esploratore vengono raccontati nel
dettaglio l’arrivo della bara alla stazione di Verona e la partenza verso il
Piemonte. Un quarto di secolo dopo, compiendo lo stesso identico percorso – ma
in direzione opposta - anche la bara del suicida Salgari passerà dalla stessa
stazione, diretta al cimitero di Verona.
Quel
mattino di agosto di 130 anni fa, Salgari aveva preso il testimone da Bove. E
la realtà dal primo stava per scivolare nel mondo di fantasia del secondo…
Leggendo le
biografie dei personaggi di cui stiamo seguendo le tracce, mi imbatto in una
matassa di altre coincidenze che ha come fulcro proprio il suicidio.
Strano,
penso di fronte a ciò che sembra diventare un vero e proprio tormentone: non
solo Bove e Salgari si sono ammazzati. Si suicideranno anche i figli di Salgari,
Romero e Omar, e anche il padre Emilio si era tolto la vita gettandosi dalla finestra
a Verona. Così pure si suiciderà il futuro marito di Luisa, vedova Bove. E si
suiciderà anche Furio, primogenito di un altro personaggio che incontreremo in
queste pagine, Edmondo De Amicis: Furio De Amicis si sparerà un colpo di
pistola alla tempia sotto un albero (come Bove) al parco del Valentino, a
Torino.
Indecifrabili
tutti questi suicidi, rifletto davanti ai libri, alle fotografie e alle
fotocopie di altri libri sparpagliati sulla mia scrivania. Non riesco più a
raccapezzarmi di fronte a tutte queste morti volontarie.
Strano,
tanto più che a quel tempo non si era ai primi dell’Ottocento, quando togliersi
la vita invocando la propria amata era divenuto un gesto alla moda, mettendo in
atto ciò che gli psichiatri hanno poi definito ‘effetto Werther’.
Non c’era
pietà per i suicidi nella bigotta Italia di allora.
Le spoglie
del Capitano Bove vennero portate a Genova dalla vedova. Ma a Genova la bara fu
rifiutata:
‘Niente
funerale per un suicida da noi’
le
risposero!
‘No, non
c’è posto per lui insieme agli altri al campo santo’.
La vedova
decise allora di ripiegare su Aqui Terme, la cittadina vicino a Maranzana,
paese natale del Capitano. Ma anche qui resistenze a non finire che sfociarono
in un clima di tensione. Dicono le cronache riportate dalla Gazzetta di Aqui
che il giorno della tumulazione, domenica 14 agosto, il prete non volle officiare
il funerale. Alla vedova tra le lacrime venne persino rifiutato di apporre una
lapide sulla tomba del marito.
Chi si
credeva quello per decidere di andarsene per suo conto?
Lungo la
strada del cimitero era accorsa una folla silenziosa: Bove era pur sempre una
celebrità nazionale, allora. Curiosi che volevano veder passare la bara del famoso
esploratore. Ma tra i presenti non figurava il sindaco di Aqui, tal avvocato
Accusani del Partito clericale. E suonava molto stridente, quasi beffardo, ciò
che aveva dichiarato Bove nella sua lettera di addio, come avesse ribaltato l’ordine
delle cose:
‘Ringrazio
Dio di avermi spinto al triste passo’.
Ma sapeva
ciò che stava scrivendo? O era talmente disperato da non rendersene conto? Ci
vuole una certa dose di presunzione per decidere autonomamente la propria
uscita di scena (qualcuno lo pensa ancora oggi).
La vita non
appartiene a noi stessi, si sa: c’è ben altro che sovraintende alla nostra esistenza!
Colpevole di una tale offesa, la damnatio memoriae cadde inesorabile come
una scure sul poveretto. E presto il grande pubblico si dimenticò di lui e del
suo significativo passaggio tra i vivi durato trentacinque anni, tra il 1852 e il 1887.
Rimosso per
colpa di quell’ultimo, imperdonabile, gesto, Bove entrò nel buio. Eppure un
ghiacciaio, un monte e un fiume in Patagonia oggi portano il suo nome. Così
come un promontorio sull’isola Dickson oltre il circolo polare artico, e anche
una vecchia base scientifica italiana in Antartide. Nel mondo occidentale Giacomo
Bove significa qualcosa.
In Italia
molto meno.
Ma non penso
sia stato solo il velo nero della Chiesa ad aver sancito la definitiva
rimozione dell’esploratore piemontese. Forse ha concorso in misura maggiore un
certo disinteresse degli italiani per lo studio della geografia, di cui
esploratori e vecchi alpinisti sono i portabandiera. Nelle scuole della Gran
Bretagna si studiano le esplorazioni ai poli come da noi si studiano le guerre d’indipendenza,
e si tengono appassionanti lezioni sulle vicende di Shackleton a bordo
dell’Endurance. L’esploratore polare e premio Nobel per la pace Fridtjof Nansen
è, in Norvegia, un eroe nazionale come da noi lo sono Mazzini o Garibaldi.
E Bove, in Italia,
chi lo conosce?
(Marco
Albino Ferrari, La via incantata)
VISITA DI
MENKA, CAPO DEI CIUKKI
Questa
mattina fummo visitati dal capo dei Ciukki della Penisola omonima, il quale
dimora a Markowa e trovasi da queste parti per riscuotere il tributo delle
popolazioni poste lungo la spiaggia di questa penisola. Wassily Menka, non
appena messo piede a bordo, ci presentò un ‘ukase’ scritto in russo nel quale
era considerato come il capo dei Ciukki della parte orientale della baia di
Coliucin, i quali dovevano ubbidirgli e pagargli quei tributi che egli sarebbe
andato a riscuotere.
Questo ‘ukase’
portava il timbro della Cancelleria imperiale di Ircutsk. Fu fatto scendere nel
quadrato, ed egli, vedendo alcuni quadri appesi lungo le parti e credendoli
santi, cominciò a gesticolare dinanzi ad essi facendosi a più riprese il segno
della croce e borbottando certe preghiere senza darsi il minimo pensiero delle
persone che gli stavano intorno. Finita che ebbe la sua preghiera dinanzi ad un
quadro che rappresentava una visita notturna di Romeo, ci salutò con lunghi ‘probasci’
(unica parola che sapesse di russo e che vuol dire buongiorno).
Nordquist,
che giunge già a farsi capire in ciukkcio, gli rivolse diverse domande. Rispose
che veniva da Markowa, distante dieci giorni, e che, lasciate le sue renne ad
una giornata di marcia a monte di Pitlekai, s’era spinto con una slitta e due
schiavi a detto villaggio, non tanto attiratovi dal tributo che doveva riscuotere
dagli abitanti di Pitlekai, quanto dalla notizia del nostro arrivo, che a quest’ora
credo abbia già fatto il giro di tutta la penisola. Gli furono offerti dei
sigari, che egli fumò colla voluttà che impiega un barbaro quando arriva a
mettersi in bocca uno di questi malanni dell'umanità; ma ciò che gli stava a
cuore era la bottiglia di cognac.
Il Menka,
di capo non ne ha certamente la presenza: è piccolo e con una faccia delle più
brutte che si possano immaginare. Gli si domandò quando ripartiva per Markowa,
rispose: dopodomani; allora il professor Nordenskiold lo pregò di portare una
lettera al Governatore di Anadirsk, ove si diceva che la ‘Vega’ era giunta all’est
della Biaia di Coliucin, e si attendeva che le acque si facessero libere per
continuare il nostro viaggio.
Gli furono
consegnate, chiuse tra due tavolette, anche delle lettere personali, e Hovgaard
e Nordquist seguirono Menka sino al suo prossimo accampamento. Menka volle
vedere quello che le tavolette contenevano e apertele tirò fuori la lunga
lettera al Governatore, la spiegazzò dinanzi al popolo e cominciò con un sangue
freddo ammirabile a leggere, benché il brav’uomo non si fosse accorto che il
foglio era capovolto.
Menka gode
di tutta l’autorità di un capo e su di questo pare non voglia transigere. Ed
invero, sia che si trovi nella tenda che lo ha ospitato, sia fuori di essa, i
restanti stanno a rispettosa distanza e si fanno un dovere se non un piacere di
prevenire qualunque suo desiderio. Del resto la nostra presenza nella rada di
Pitlekai deve aver servito non poco ad aumentare la sua autorità, poiché egli
ebbe l'onore di scendere nel nostro quadrato.
Intanto
Menka non è partito; alle 9 viene nuovamente a bordo e, nel mentre stava nel
nostro quadrato, gli fu annunziato l’arrivo di tre distinti personaggi. Si
slanciò sulla prua per riceverli e senza avvedersene pose il suo trono presso
un luogo poco decente. I tre signori montarono a bordo e levatisi il berretto
baciarono per tre volte Menka, che li abbracciò affettuosamente e restituì loro
il bacio. Dopo aver salutato anche noi, questi uomini cominciarono con Menka
una lunga chiacchierata.
Questi tre
Ciukki vengono dal Colima e sono diretti allo stretto di Bering per fare
acquisto di pellicce. Vestono finissime pellicce di renna come veste Menka, il quale
oggi però ha pensato bene di indossare una lunga ‘zimatra’, che, a giudicare a
lume di naso, doveva essere una volta bianca, ma che oggidì darebbe dieci punti
alla famosa camicia della non meno famosa Regina Isabella.
Menka è
appassionatissimo della musica e della danza: gli basta di sentire strimpillare
uno strumento qualunque che si anima di una gioia quasi selvaggia, e comincia a
dimenare le gambe, piedi, testa, sì da farlo credere invaso dal…demonio…
Ed invero,
per lui deve essere ben qualche cosa più di un demonio quella piccola scatola
la quale senza dar segno alcuno di vita manda suoni che gli scendono fin nel
profondo del cuore…
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