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Riconciliare gli Inconciliabili
Prosegue con:
il pane e il circo (7) & [7/8]
(Per il capitolo completo: L'uomo circo [6] )
Il
padre di Iosif Dzugasvili era uno dei
tanti servi della gleba emancipati, nel
1861, dall’editto di Alessandro II. Nel
1875 aveva lasciato il suo villaggio natale per trasferirsi, sempre in
Georgia, nella piccola cittadina di Gori, sulle rive del Kura, le cui acque
impetuose scendevano dalle cime del Caucaso. Si chiamava Vissarion - per gli
amici Beso - e aveva una figura smilza, con baffi, barba e capelli nerissimi.
Voleva tentare la fortuna facendo il calzolaio. Sempre in quell’anno prende
casa e sposa una quindicenne, Ekaterina Gheladze, che mette continuamente
incinta. Ben tre figli nascono dal 1875
al 1878, ma muoiono tutti poco dopo il parto.
Il 21 dicembre 1879 viene al mondo il quartogenito, cui impongono il nome di Iosif Vissarionovic. Il neonato sopravvive, sembra robusto. Trascorre i primi anni dell’infanzia in un modestissimo alloggio, una stanza col mattonato, il soffitto di rozze tavole, poche sedie, un tavolo, una finestra e una cucina col focolare, che serve anche al padre per il suo lavoro. Il cortile al livello dell’abitazione è fangoso. Uno squallore. Appena può Iosif - che i suoi cominciano a chiamare affettuosamente Soso - se ne esce per strada a giocare con i coetanei.
A
sette anni il vaiolo gli lascerà il volto butterato, per sempre. Verso i dieci
una carrozza lo travolge: un’infezione contratta alla mano sinistra si propaga
per il corpo. Rischia di morire. Più tardi Iosif
ricorderà di essere sopravvissuto per la sua ‘forte costituzione’. O forse
per gli ‘unguenti di un ciarlatano del villaggio’. Ma la completa articolazione
del braccio sinistro gli rimarrà impedita, anche questa per sempre. Il lavoro
del padre non va bene, soldi in casa ne entrano pochi, anche se Ekaterina
s’ingegna con mille lavori, va al servizio, fa la lavandaia. Spesso Vissarion
torna dall’osteria ubriaco e litigioso. (Un giorno Iosif per difendere la madre gli lancerà un coltello: dovette
rifugiarsi dai vicini per evitare la vendetta del genitore infuriato.)
Soso si sente attratto dalla madre, donna austera e religiosa ma di pronta intelligenza, concreta, e che ha idee molto diverse dal marito sull’avvenire di suo figlio. Vuol farne un prete, mandarlo alla scuola parrocchiale di Gori. E ci riesce, nel settembre del 1888. Quasi mezzo secolo dopo, ricordando quel periodo, la donna dirà a dei giornalisti sovietici che la intervistavano:
Mio figlio riusciva molto bene negli
studi, ma suo padre... decise di toglierlo dalla scuola e di insegnargli il
mestiere di calzolaio. Mi opposi con tutte le mie forze e litigai anche con mio
marito, ma invano: egli rifiutava di cedere. Poco dopo, tuttavia, riuscii a
rimandare a scuola il ragazzo.
Ekaterina, per delicatezza, non accennò al fatto che Vissarion, nel frattempo, era morto. (Forse a causa di una coltellata, durante una rissa.) Per Iosif non dev’essere stata una gran perdita, quella del padre. Ne parlerà una sola volta, indirettamente, pochi anni dopo, in un trattatello di marxismo scolastico, nel quale raccontava le traversie di un artigiano che, in difficoltà economiche, accetta di entrare in fabbrica, un calzaturificio di Tiflis, ma con il recondito pensiero, messo da parte qualche soldo, di tornare al suo lavoro autonomo.
Come vedete
…scrive
il giovane autore
la condizione di questo calzolaio è
già quella di un proletario, mentre la sua coscienza non è ancora proletaria,
bensì piccolo - borghese in tutto e per tutto.
A
suo padre era proprio andata così.
Ma la morte aveva messo fine a tutti i progetti di quel povero piccolo - borghese. Adesso Iosif- Soso poteva dedicarsi a tempo pieno agli studi. E ci riusciva bene, sveglio com’era e desideroso di ben figurare agli occhi della madre. Con i compagni era allegro, pronto ai giochi e agli scherzi. Insomma, come tutti i georgiani, estroverso e combattivo.
Nel
luglio del 1894 Soso si diplomò con ottimi voti nella scuola di Gori, e qui la
madre compie il suo capolavoro. Grazie alle sue insistenze, il direttore dell’istituto,
con un’apposita borsa di studio, e il prete di Gori riescono a farlo ammettere al seminario di Tiflis, il non lontano
capoluogo georgiano. Superati gli esami di ammissione in autunno, Soso diventa allievo ‘convittore’.
È
la prima svolta della sua vita.
Quando si presenta ai religiosi del seminario è pieno di belle speranze. Ha un viso intelligente, che ricorda quello della madre, con occhi intensi, dal taglio un po’ a mandorla, il naso forte e diritto, le orecchie leggermente a sventola. Ha i capelli del padre, scuri e forti, con la scriminatura a sinistra. Alla scuola di Gori aveva imparato il russo ma il suo amore per il georgiano è rimasto intatto. In quella lingua ha letto libri eccitanti per la sua immaginazione, storie di amori, intrighi e ribellioni contro i rappresentanti russi dell’autocrazia.
Uno
in particolare l’aveva colpito: ‘II parricidio di Alexander Kazbegi’. Narrava
le vicende di Koba, un Robin Hood locale, vendicatore dei torti, forte,
silenzioso, intrepido, buon tiratore. Quel Koba gli rimase sempre impresso in
mente. Fu il suo primo modello.
Ma nel seminario, un edificio a tre piani, che dava ospitalità a seicento allievi, non c’era spazio per lo spirito d’avventura. Ammassati in una lunga ala si dovevano svegliare alle sette, recitare le preghiere, poi studiare sino alle due, con pranzo alle tre, di nuovo preghiere, ripasso delle lezioni, tè alle otto e poi alle dieci a letto.
Teologia,
sacre scritture, letteratura, logica, matematica, storia, greco e latino le
materie del corso. Tipico di un seminario l’insegnamento: dogmatico, piatto, a
forte componente russa. Il georgiano era difatti bandito, così come la lettura
di testi in quella lingua.
Proprio questa proibizione causava continue proteste. L’anno prima dell’arrivo del giovane Dzugasvili, c’era stato in seminario un prolungato sciopero degli allievi: chiedevano l’allontana mento di alcuni funzionari dell’istituto particolarmente oppressivi, e la creazione di una cattedra di georgiano. Dovettero intervenire persino le autorità. Il seminario venne chiuso per un mese e alla sua riapertura 87 studenti furono espulsi.
Quel
seminario inculcava dunque la ribellione. Non poteva stupire: era, in pratica,
l’università di Tiflis, l’unica scuola di studi superiori. Vi accedevano figli
del bisogno, ma anche ragazzi della piccola e media borghesia locale, ricchi di
fermenti nazionalistici, la futura intellighenzia della regione.
Ben
pochi di loro pensavano davvero di diventare preti.
La tetra atmosfera del convitto, metà monastero, metà caserma, con le delazioni e il sospetto che la caratterizzavano, modifica radicalmente il carattere di Soso, che deve in fretta adeguarsi al nuovo tipo di vita. Diventa cauto, diffidente nei rapporti, introverso. Partecipa alle funzioni religiose, avendo una bella voce fa parte del coro, ma le sue inclina zioni mistiche – se mai ne avesse avute - si perdono per strada. Emerge invece, e piuttosto presto, la propensione per il proibito.
Al
secondo anno del corso, un monaco- sorvegliante lo sorprende con un libro
all’indice e fa rapporto:
...Dzugasvili possiede una tessera
della biblioteca circolante (* Di Tiflis) e prende a prestito libri. Oggi gli
ho sequestrato I lavoratori del mare di Victor Hugo...
Il preside, ricordato che già in precedenza il ‘ribelle’ era stato trovato con un’altra opera di Hugo, si ripropone di rinchiuderlo in cella di punizione per un lungo periodo. Fu solo la prima delle numerose infrazioni dell’allievo Dzugasvili, il quale, malgrado i richiami, le frequenti visite alla prigione interna, continua a percorrere i sentieri vietati alle letture.
I libri…
ricorda
un suo compagno di corso
erano gli amici inseparabili di
Iosif: non li lasciava neppure durante i pasti.
E
dalla biblioteca circolante si riforniva di Gogol, Cecov, Saltikov- Scedrin, e Darwin.
Soso, che si avviava ai 17 anni, non aveva più nulla in comune con il ragazzino georgiano entrato in seminario. Nelle sue uscite in città, a Tiflis, aveva cominciato a frequentare un circolo di orientamento marxista, diretto da intellettuali locali e frequentato dagli operai d’avanguardia dell’epoca, i ferrovieri. Anche in Georgia, in quegli anni, il capitalismo cominciava a fare la sua prima, massiccia comparsa. Si aprivano miniere, una ferrovia collegava Tiflis a Baku, sul mar Caspio, dove si era iniziata l’estrazione del petrolio, grazie a cospicui investimenti stranieri.
Plechanov,
il grande divulgatore del marxismo in Russia, più positivismo e darwinismo componevano
una miscela esplosiva per quei ragazzi come Dzugasvili che anelavano a uscire
dalle ristrettezze mentali dell’epoca, e a cambiare un paese che sentivano
arretrato, per tanti versi chiuso e immobile. Quando già era il capo
riconosciuto della Russia bolscevica, Dzugasvili riandrà, in alcune interviste,
a quegli anni ancora con ira malcelata:
Diventai socialista nel seminario ecclesiastico, per ribellione contro quel sistema disciplinare. Lì non c’erano che continui spionaggi e angherie. Il mattino ci recavamo a prendere il tè e quando ritornavamo nei nostri dormitori, trovavamo tutti i tiretti manomessi e rovistati. E come nelle nostre carte, ci frugavano negli angoli più riposti delle nostre anime. Tutto ciò m’era intollerabile, e mi spinse alla ribellione...
Nell’ultimo
anno del corso Soso entrò in aperto
conflitto con le autorità del seminario. Si faceva volutamente sorprendere dai
monaci sorveglianti mentre leggeva ad alta voce testi proibiti. Nel registro di
disciplina è scritto:
Dzugasvili... ha avuto degli alterchi
con gli ispettori, facendosi portavoce del malcontento suscitato fra gli
studenti da queste ispezioni... Generalmente, l’allievo Dzugasvili è rude e
irrispettoso verso le autorità....
Tutto
era maturo per la rottura.
Al giovane, morso dalla tarantola della politica, quel seminario stava stretto; e così non si presenta agli esami dell’ultimo anno, nel 1899, precludendosi l’iscrizione presso un’università statale. Fu una decisione che addolorò molto la madre: il sogno di vedere il figlio ben sistemato come prete di campagna era svanito.
E
pur di preservarlo nella sua mente, negherà sempre, anche molti anni dopo, che Soso
fosse stato espulso o si fosse autoescluso dal seminario:
Lo ritirai io, per motivi di salute,
…disse
più volte
quando entrò era fresco e forte. Ma poi
studiò troppo e il medico disse che poteva diventare tubercolotico. Perciò lo
ritirai. Lui voleva rimanere, io lo riportai a casa.
I suoi sacrifici, comunque, non erano stati inutili: Soso aveva avuto un’istruzione, per quell’epoca, più che sufficiente. Ma da quei cinque anni di seminario usciva con l’animo esacerbato e colmo di risentimenti. Il suo carattere ne sarebbe rimasto segnato per sempre. Sua figlia Svetlana, una delle poche persone che ebbe la ventura di raccoglierne le confidenze e di sopravvivergli, scriverà:
...Sono convinta che la scuola
ecclesiastica ebbe un’enorme importanza per il carattere di mio padre e per
tutta la sua vita, accentuando e consolidando le sue peculiarità innate. Non fu
mai dotato di sentimento religioso. Le infinite preghiere, l’insegnamento
religioso forzato... potevano suscitare soltanto il risultato opposto: un
estremo scetticismo... l’assimilazione dell’ipocrisia, della falsa devozione,
della doppiezza.
Soso non era molto portato all’introspezione e questi suoi aspetti negativi gli rimasero certo sconosciuti. A vederlo in una foto d’epoca sembrava molto sicuro di sé: la capigliatura adesso era bohémien, i folti baffi, quelli che lo renderanno famoso, già ben delineati, con in più la barba che gli copriva guance e mento.
Gli
occhi si erano fatti febbrili.
Ma
erano calma e prudenza le sue qualità migliori, abbastanza rare per un
ventenne. Chi lo ricorda come compagno di classe dice:
Quando veniva interrogato, di
qualsiasi argomento si trattasse, Iosif lasciava passare qualche minuto prima
di rispondere.
(Rocca Gianni)
(& il capitolo completo, ovvero, L'uomo circo [6] )
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