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del 27 Giugno.... (13)
Come
interpretare questa variazione?
A prima
vista sembrerebbe ovvio supporre che, di fronte al prolungarsi degli
interrogatori e alla nuova incarcerazione, il Gasparutto abbia tentato di districarsi dalle maglie
dell’inquisizione accentuando ulteriormente le motivazioni cristiane della sua
‘professione’ con l’inserzione del motivo dell’angelo, senza avvedersi di
aggravare così la propria posizione.
Il Gasparutto ha appena finito di parlare
dell’apparizione dell’angelo ‘tutto d’oro’, che l’inquisitore insinua con
repentina brutalità: ‘che cosa vi
promesse, donne, da mangiare, salti et che cosa?’.
E’ bastato
l’accenno all’angelo, fatto da Paolo per convincere fra’ Felice del carattere effettivamente diabolico dei ‘giochi’ dei
benandanti, e della loro identità con il sabba…
Il Gasparutto nega recisamente, e si
difende attribuendo le accuse che gli vengono mosse agli altri, ai nemici, agli
stregoni: ‘non mi promesse alcuna cosa,
ma quelli altri ballano et saltano, et gli ho visti perché combattemo con
loro’.
Allora
l’inquisitore attacca un altro caposaldo della narrazione di Paolo: ‘dove andò il Spirito vostro quando l’angelo
vi chiamò?’.
‘Uscì fuora, perché nel corpo non può parlare’, rispose Paolo.
Ed il dialogo si fa serrato: ‘chi vi ha detto che ’l Spirito esca di fora acciò parli con l’angelo?’.
‘L’angelo medesimo me l’ha detto’.
‘Quante volte avete visto questo angelo?’.
‘Ogni volta che io andava fora, perché sempre
veneva con me’ (e
poco dopo aggiungerà: ‘lui sta in persona
apresso la nostra bandiera’)’.
Finora si
era avuto quasi un monologo del Gasparutto
rotto solamente da richieste di chiarimenti da parte dell’inquisitore. Finché i
racconti dei ‘giochi’ notturni dei benandanti rivelavano una realtà
sconcertante, lievemente sospetta, ma comunque non inquadrabile nei consueti
schemi demonologici, fra’ Felice
aveva mantenuto un atteggiamento passivo, misto di stupore e di distaccata
curiosità.
Ora, di
fronte allo spiraglio insperatamente offerto da Gasparutto, la tecnica dell’interrogatorio cambia, diventa
palesemente suggestiva…
(ed intimidatoria, in riferimento a ciò dobbiamo considerare il fine dell’inquisitore, il quale non solo vigile pastore e custode dell’Anima quanto dello Spirito, di ogni Anima e Spirito, - ieri come oggi con prassi invariata ad altri delegata e comandata ed ugualmente ed efficacemente abdicata ad una più moderna tecnica altrettanto vigile alla coscienza innestata e controllata, ed in cui lo Spirito costretto ad un ‘sogno’ materiale a lui avverso, ‘comandato’ e ‘innestato’ a forza d’una falsa ragione della vigilata Coscienza; non si dimentichi, altresì, l’interesse puramente materiale dell’aspetto, o meglio, gli aspetti, che la stessa ‘Orwelliana’ inquisizione incarna nei confronti degli ‘interessi’ puramente terreni dell’inquisito…):
l’inquisitore vuole ad ogni costo far
aderire le confessioni del benandante al modello (telogico ed in futuro
‘psicologico’) di cui dispone il suo manuale: il sabba.
Dapprima egli inquina subdolamente la figura dell’angelo con attributi demoniaci: ‘quando vi appare overo si parte da voi, vi spaventa questo angelo?’; Paolo ribatte puntigliosamente: ‘non ne spaventa mai, ma quando ci partemo dalla squadra ne dà la beneditione’.
‘Questo angelo non si fa adorare?’.
‘L’adoramo sì come adoriamo il nostro signor Jesu
Cristo in chiesa’.
Allora fra’ Felice cambia discorso: ‘vi mena quest’angelo dove è quel altro in quella bella sedia?’.
Inutile
dire che nel racconto del Gasparutto
mancava qualsiasi accenno a diavoli o a sedie; ma la risposta anche questa
volta è prontissima, e venata d’indignazione:
‘ma ’l non è della nostra lega, Dio ci guardi di impicciarci con quel falso
nemico!... sonno li stregoni di quelle belle sedie’.
L’inquisitore
incalza: ‘havete mai visto li stregoni a quella bella sedia?’.
E il Gasparutto, muovendo le braccia,
sentendosi prigioniero della rete che gli è stata tesa dall’inquisitore: ‘ma signor no, che noi non femo altro che
combattere!’.
Ma fra Felice è implacabile: ‘qual è più bel angelo, il vostro o quello
di quella bella sedia?’.
E Paolo,
contraddicendosi disperatamente: ‘non vi
ho detto che non ho visto quelle sedie?...’.
Ormai il
processo volge al termine…
L’inquisitore è sostanzialmente riuscito a ricondurre la testimonianza del Gasparutto all’interno dei propri schemi, delle proprie coordinate teologiche: i convegni dei benandanti e degli stregoni non sono altro che il sabba, e la ‘compagnia’ dei benandanti, che falsamente asseriscono di essere sotto la protezione divina e di combattere sotto la guida e la protezione di un angelo, è così diabolica.
Di fronte
all’incalzare delle domande dell’inquisitore la sicurezza del Gasparutto sembra vacillare, come se la
realtà in cui egli credeva avesse improvvisamente mutato aspetto, gli fosse
sfuggita dalle mani. Qualche giorno dopo, ripresentandosi a fra’ Felice, dichiarerà: ‘credo che la aparitione di quel angelo
sia stato il demonio che mi tentasse, poi che mi avete detto che si può
trasfigurare in agnolo’.
Si è
parlato dei benandanti come di una
setta: una setta particolarissima, le cui cerimonie, a detta dei benandanti
stessi, hanno la caratteristica di essere, staremmo per dire, puramente
oniriche. In realtà i benandanti si
esprimono diversamente, e non mettono mai in dubbio la ‘realtà’ dei loro
convegni a cui si recano ‘in Spirito’. L’atteggiamento delle streghe processate
in altre parti d’Italia (e non soltanto in Italia) era perfettamente analogo.
Si veda ad esempio il caso di Domenica Barbarelli, una strega di Novi
processata dall’inquisizione modenese nel
1532 la quale affermava l’andare in sogno ‘in Spirito’, anche in questo caso di Eresia l’‘andare in Spirito’ è percepito come qualcosa di reale; per
questo la strega può beffarsi degli astanti: ella, o meglio il suo Spirito è
veramente andato al ‘corso’.
Ci soffermeremo più avanti sul significato di questo andare ‘in Spirito’ per streghe e benandanti; cominciamo intanto col notare che tanto le une che gli altri affermavano di cadere, prima di recarsi ai ‘convegni’, in uno stato di profonda prostrazione, di catalessi, sulla cui origine si è discusso molto. Si tratta di un problema senza dubbio marginale per l’interpretazione della stregoneria: anche se potessimo (e non possiamo) determinare con sicurezza la natura di questi stati catalettici, rimarrebbe da spiegare ciò che più importa, e cioè il significato delle ‘visioni’ di streghe e benandanti. Ma non c’è dubbio che il problema vada almeno posto (e valutato con ugual Spirito di ricerca).
Le
interpretazioni avanzate sono sostanzialmente di due tipi: o si è supposto che
streghe e stregoni fossero individui affetti di epilessia, o di isterismo, o da
altre malattie nervose non meglio individuate; oppure si sono attribuite le
perdite di coscienza accompagnate da allucinazioni, da essi narrate, all’azione
di unguenti composti di sostanze soporifere o stupefacenti. Cominciamo col
discutere la seconda ipotesi.
Che le streghe si ungessero prima di recarsi al sabba, è risaputo. Già a metà del ’400 il teologo spagnolo Alfonso Tostado, commentando la ‘Genesi’, notava incidentalmente che le streghe spagnole, dopo aver pronunziato determinate parole, si spalmavano di unguenti e cadevano in un profondo sonno, che le rendeva insensibili perfino al fuoco o alle ferite; ma, risvegliate, asserivano di essersi recate in questo o quel luogo, magari lontanissimo, a ‘convegno’ con le altre compagne, banchettando e amoreggiando.
Mezzo secolo più tardi, il Della Porta ottenne un identico risultato facendo ungere una
vecchia in fama di stregoneria, ed elencando poi minutamente gli ingredienti
dell’unguento adoperato. L’esperimento è stato ripetuto modernamente da due
studiosi, con risultati discordanti. Sembra tuttavia ragionevole supporre che
se non tutte, almeno una parte delle streghe confesse, si servissero di
unguenti capaci di provocare stati di delirio allucinatorio. Non è facile,
tuttavia, estendere questa ipotesi anche ai benandanti. Né il Gasparutto né il
Moduco fanno parola di unguenti: essi parlano soltanto di sonni profondi, di
letarghi che li rendono insensibili consentendo l’uscita dello Spirito dal
corpo.
Passiamo ora all’altra ipotesi…
Che molte
streghe fossero epilettiche, e che molte indemoniate fossero isteriche, è
certo. E tuttavia, non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a manifestazioni
che è impossibile ridurre all’ambito della ‘patologia’: per motivi statistici
(di fronte ad un numero così elevato di ‘malati’ anche i confini tra salute e
malattia si spostano), e, soprattutto, perché le presunte allucinazioni,
anziché situarsi in una sfera individuale, privata, posseggono una consistenza
culturale precisa – si pensi anzitutto al loro ricorrere in un ben circoscritto
periodo dell’anno: le quattro tempora – ed esprimono contenuti propri di una
determinata religiosità popolare o di un particolare misticismo deviato.
Lo stesso
discorso vale per i benandanti…
Verrebbe spontaneo attribuire a crisi epilettiche le catalessi e i letarghi in cui essi asseriscono di cadere. Di fatto, un solo benandante – una donna, Maria Panzona, processata prima a Latisana e poi a Venezia dal Sant’Uffizio, nel 1618-1619 – risulta soffrire del ‘bruto male’, cioè di epilessia. Certo, nel suo caso le crisi che la colgono di continuo, perfino nel corso di un interrogatorio, avranno assunto in determinate circostanze – durante le tempora – la fisionomia dei letarghi rituali dei benandanti. Comunque sia il problema dei benedanti e delle loro credenze va risolto nell’ambito della storia della religiosità popolare, non della farmacologia o della psichiatria.
Comune denominatore di una determinata ‘socialità’ e ‘società’ il rifiuto e la conseguente emarginazione soggetta sempre ad invariate prassi e schemi comportamentali riflessi nella costante incapacità di comprensione, sia questa teologica, che, (seppur moderna scienza), psichiatrica (quindi medica). Nel definire e intendere, cioè, con il dono della vera conoscenza la formula ‘storica’ alla circoscritta diagnosi della pratica ortodossa e/o teologica, per sempre coniata da ugual identica medesima Storia (compresa l’odierna) coniata.
Circoscrivere enumerare, nonché il pretendere decifrare (con formule ‘dogmatiche esatte’) tali fenomeni ed eventi ponendoli di fatto in un contesto alieno in cui evoluti e motivati, sottintesi al comune senso di percepire vita e natura così come all’alba del Sacro in ognuno nato, indistintamente essere Spirito Anima di codesto incompreso Creato.
Quindi nel paradosso di tale intento, cioè, ciò in cui si attesta il mito (o motivo) e la successiva sua evoluzione nel Sacro percepito, reprimendo o peggio riducendo (e/o talvolta o troppo spesso), consistenza e storicità antropologica della stessa sua genetica evoluzione, certificando ‘sicuro miracolo’ (là ove regna il ‘falso raggiro’, a tal proposito si rimembri l’attribuzione della presunta santità attestata o al contrario perseguitata); e negando incompreso evento trasmutato in ‘pericolo’ Eretico enunciato e successivamente denunziato.
Come se volessimo negare all’adorata montagna, all’elemento pregato, all’animismo nato, allo Sciamano studiato, stratigrafica voce ed appartenenza quindi ‘crosta’ cui il comune mondo abitato nato. E di cui, come ogni Elemento in Lei evoluto, Parola del Dio (Primo o Secondo) universalmente studiato. Invisibile allo Spazio e Tempo evoluto, frapposto e in bilico fra un’equazione, Big-Bang di certa consistenza, ed opposta ed immateriale ma sicura certezza (il campo di battaglia fra opposti ed invisibili Universi di cui Milarepa non fu certo il primo, cui i benandanti non furono né secondi né ultimi).
Ritornando all’invariato punto di partenza di questa Eretica ‘ricerca’ ma con uguale ed immateriale (nonché invisibile - così come lo Spirito -) certezza!...
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