giuliano

martedì 12 luglio 2022

(il Pensiero) VIVENTE

 






















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…Non vi è alcuna differenza intrinseca tra le associazioni dei pensieri viventi che costituiscono il Sé vivente, pensante e conoscente e quelle attraverso cui i diversi Sé possono relazionarsi e formare così delle associazioni. Inoltre, visto che i Sé sono loci di pensieri viventi – tappe effimere ed emergenti in un processo dinamico – non c’è nessun sé unitario. Non si può mai “essere” una sola cosa: “[…] una persona non è un individuo nel senso pieno del termine. I suoi pensieri sono ciò che egli va ‘dicendo a se stesso’, ovvero ciò che va dicendo a quell’altro se stesso che sta appunto venendo alla vita nel flusso del tempo” (Peirce).

 

Visto che tutti i Sé, ogni esperienza e ogni pensiero sono semioticamente mediati, l’introspezione, l’intersoggettività tra esseri umani e persino la simpatia e la comunicazione trans-specie non sono categorialmente differenti. Sono tutti processi segnici. Secondo Peirce, il cogito cartesiano, l’“io penso”, non è esclusivamente umano, non è situato nella mente, e non può afferrare in maniera esclusiva e non mediata il suo oggetto piú intimo: quel sé che generalmente riteniamo l’unico responsabile dei nostri pensieri*.




[*Chi può stabilire quale sia il linguaggio consono all’essere umano e al suo sviluppo inteso come evoluzione?

 

Ma cos’è sviluppo, e cosa è evoluzione?

 

Lo sviluppo è tutto ciò che si compie grazie all’evoluzione. All’evoluzione dell’uomo che consolida grazie al progresso tutte le proprie fasi evolutive. Potrebbe essere così…, per taluni. Ma in senso antropologico avanzo riserve. Non perché padroneggio tale conoscenza e ne adopero impropriamente la sua terminologia, che in taluni punti discorsivi potrebbe apparire elegante ed erudita. Ma perché, se riconosciamo nel passato quanto nel presente, le capacità dell’uomo di produrre manufatti, non è detto che le stesse civiltà che progressivamente ne sono scaturite abbiano, per l’appunto, avuto affermazioni maggiori rispetto ad altre in apparenza arretrate.

 

Cosa distingue l’arretratezza rispetto al progresso misurato con i manufatti?

 

Dal punto di vista sociale molto. Infatti dal punto pratico è comprovato che coloro che detengono tale primato lo fanno a danno dei più arretrati. Quanto  affermato lo possiamo cogliere in pieno dagli accordi climatici appena conclusi (Copenaghen 2009 e successive conferme). I più poveri ed i più piccoli danneggiati dai più ricchi. Ma non solo, si chiede ai più poveri lo stesso onere del ricco ed ingordo inquinatore.




L’evoluzione in questo caso, intesa come fenomeno di uguaglianza e parità dove poter misurare le distanze da ciò che eravamo a quello che siamo (divenuti), rimane immutata. Il ricco ed agguerrito villaggio detiene il monopolio del rigoglioso fiume, da dove provengono le necessità al suo mantenimento. La tribù vicina pretende lo stesso diritto e non privilegio alla vita. Ma la tribù più forte e numerosa dissente ed uccide. Se sia un fiume d’acqua o petrolio la situazione ai margini dell’evoluzione decide poco. Nei confini del progresso molto.

 

Qualcuno potrebbe indicarmi il ‘comportamento’ essere una prerogativa genetica immutata. Altri, che l’essere umano è rivolto unicamente al male. Concordo con l’uno e l’altro. Infatti stiamo qui disquisendo la differenza fra progresso ed evoluzione, nel fattore umano che in sé conserva qualcosa di irrimediabilmente dèmoniaco, privilegia incontrovertibilmente l’ascesa di un ‘gene egoista’ che qualche dotto e moderno evoluzionista (della grande casa degli spiriti del villaggio) vorrebbe spiegare e legittimare come normale.

 

Giustificando abomini passati e futuri.




Anche perché alcune economie prosperano in queste ed altre guerre, altrimenti come concepire il principio di una pace difesa con lo scudo della guerra. Due opposti generare l’energia della discordia e aumentare di conseguenza e in proporzione odio e divisione. Incomprensione ed intolleranza. Tutto ciò di cui vuole essere portatore l’uno viene immediatamente rigettato dall’altro, e viceversa. Perché appunto la grande disuguaglianza della disparità.

 

L’assetato pretende anche lui il diritto alla vita, nelle medesime condizioni e principi, e ciò non viene adeguatamente valutato (così come nel capitolo precedente espresso circa la spirale nella fattispecie della comune solidarietà giacché anche questa caratteristica dovrebbe differenziarci dalle dette ‘bestie’) dal dotto e ricco evoluto giacché nel curare v’è più materia dalle case farmaceutiche nutrita nel prevenire, ed ecco così il virtuale e l’inganno assommati comporre in apparente e voluta regressione divenuta disgrazia, prendere il sopravvento se non addirittura ben motivati (così come la guerra giacché il proseguo della bellica rissosa espressione, valuta, in successivo assestamento delle medesime condizioni in economica condizione posti).

 

Chi interpreta poi questa sete o volontà di sopravvivenza, tende, come è normale (per ciò di cui si compone la normalità al senso partecipativo dell’odierna vita), a codificarli e gestirli secondo i parametri della propria evoluzione, socialità, …ed istinto, immutato nell’arco dei secoli.

 

Ecco la volontà di capire e percepire la differenza.




Questo a mio avviso lo sforzo evolutivo che consacra e distingue l’uomo progredito rispetto a ciò che era, perché i suoi istinti mutati giammai immutati,  mi sforzo di individuare detta mutazione genetica ed istintuale per il vero  riscontrabile nella propria costante frequenza (con picchi ben evidenti dalla rivoluzione industriale detta sino all’oggi posta) con delle rare eccezioni che si discostano dal comportamento generalizzato della massa. Un equilibrio ‘puntinato’ manifestare l’evoluzione nella piena regressione, con la convinzione del contrario.

 

Colui che indica lo stress (depressivo) della società sarà adoperato inconsapevolmente dalla stessa per motivare il problema, e poi, nella sua dubbia morale, manipolare tal malessere per fini puramente economici. Non individuando la fonte del problema per prevenirlo e renderlo adeguatamente prevedibile. L’economia non permetterà mai ciò, ma tenderà a ‘ricodificarlo’ in maniera vantaggiosa per adeguarlo ai propri interessi confacenti con la propria natura (disgiunta dai principi della Natura cui indistintamente apparteniamo).

 

E’ condizione necessaria e sufficiente per mantenere una economia che soddisfi tutte le esigenze dell’uomo evoluto, un progressivo e massiccio inquinamento di tutti quei paesi che al contrario necessitano di essa (economia di sviluppo). Un esempio che può rendere vagamente l’idea su quanto sto disquisendo è il ‘fumatore nell’ascensore’.




Siamo costretti a salire con lui (il fumatore) ai piani più alti perché sembra si goda di miglior visuale ‘globalizzata’ in quanto tutti gli uffici di comando  ubicati a tale livello, ma in compenso siamo costretti a respirarci tutto il fumo della sigaretta, rischiando poi, al piano attico della sala ‘aggiornamento e congressi’ di imbatterci in una nuova e ben nutrita schiera di fumatori incalliti. Ne usciremo divorati dall’intossicazione e a rischio di un probabile cancro.

 

Non fumiamo, per di più per nostra abitudine cerchiamo sfogo dallo stress di una nuova rivoluzione industriale con altri principi terapeutici. Ma sembrerebbe che nel ricco villaggio dell’uomo bianco le malattie ed il modo di prevenirle e curarle, oltre quello di innestarle per logici motivi di economico e vantaggioso progresso, appartengono al mondo del business oltre che delle case farmaceutiche. ] 

 



È molto difficile, partendo dai nostri quadri analitici contemporanei, comprendere il mondo biologico come qualcosa che è costituito da pensieri viventi. Se seguiamo la diagnosi di Max Weber (1976 [1915], 1948 [1919]) questo disincanto del mondo moderno è in parte un effetto della diffusione del razionalismo scientifico. Nella misura in cui vediamo il mondo in termini sempre più meccanicistici, perdiamo di vista il telos, la significanza, le relazioni mezzi-fini – in breve, quelle che definisco intenzioni-significati, per evidenziare la stretta relazione tra mezzi e significati – che invece un tempo avevano un posto nel mondo.

 

Il mondo perde il suo incantamento, nel senso che i fini non si trovano più nel mondo, ed esso diventa letteralmente privo di significato. I fini vengono dislocati in un regno umano o spirituale che diventa sempre più piccolo e sempre più distaccato dal mondo quotidiano, mentre la visione della scienza si espande ad ambiti sempre più numerosi. Se le moderne forme di conoscenza e i modi di manipolare il mondo non umano si caratterizzano per una comprensione del mondo come meccanismo, allora il disincanto è un’ovvia conseguenza.




Le macchine, in quanto oggetti materiali, sono mezzi per raggiungere dei fini che per definizione e progetto sono esterni a esse. Quando osserviamo una macchina – per esempio, una lavastoviglie – mettiamo tra parentesi i fini che sono di fatto intrinseci al suo essere, ovvero il fatto che è stata costruita da qualcuno per un determinato fine. Applicare questa logica al mondo vivente non umano e vedere la natura come una macchina implica la stessa operazione del mettere i fini tra parentesi, e di conseguenza la loro attribuzione agli esseri umani, agli dèi o alla Natura.

 

Il dualismo è uno dei risultati di questa messa tra parentesi.

 

Un altro è quello di iniziare a perdere completamente di vista i fini. Il disincanto si diffonde nel regno dell’umano e in quello spirituale nel momento in cui cominciamo a sospettare che forse, semplicemente, non ci sono fini, e, dunque, nessun significato – da nessuna parte. I fini non si trovano da qualche parte al di fuori del mondo, ma prosperano costantemente in esso. Sono intrinseci al regno della vita. I pensieri viventi ‘indovinano’ e, così facendo, creano futuri, in base ai quali poi modellano se stessi.

 

La logica che struttura il mondo vivente non è quella di una macchina.




A differenza delle macchine, i pensieri viventi emergono come un tutto, e non vengono costruiti parte dopo parte da qualcuno messo tra parentesi sullo sfondo. Se prestiamo attenzione alle interazioni dei Runa con altri generi di esseri, come intendo fare proponendo un’antropologia oltre l’umano, possiamo arrivare a considerare i sé (umani e non umani) come delle tappe nella vita dei segni – dei loci di incantamento – e questo può aiutarci a immaginare un diverso modo di prosperare in questo mondo oltre l’umano in cui viviamo. La tesi che propongo riguarda alcune proprietà della vita ‘in Sé’. Sebbene riconosca che la vita in quanto tale possa essere qualcosa di storicamente circoscritto – che determinati concetti diventano pensabili solo all’interno di specifici contesti storici, sociali o culturali (Foucault, 1967).

 

Il linguaggio e i relativi regimi discorsivi che condizionano fortemente il nostro pensiero e il nostro agire non sono chiusi. Anche se dobbiamo essere molto cauti sui modi in cui il linguaggio (e, per estensione, alcune modalità di pensiero e di azione stabilite socialmente) naturalizza le categorie di pensiero, possiamo spingerci a parlare di qualcosa come la vita ‘in sé’ senza essere completamente vincolati dal linguaggio che ci permette di esprimerlo. I Sé non umani, dunque, possiedono delle proprietà ontologicamente uniche associate alla loro natura costitutivamente semiotica. Tali proprietà, in una certa misura, sono per noi conoscibili, e differenziano i Sé dagli oggetti o dagli artefatti. Trattare i non umani in maniera generica – raggruppando indiscriminatamente le cose e gli esseri – non ci permette di osservare tale differenza. A mio avviso, quest’approccio dominante che mira a espandere il campo delle scienze sociali per includervi i non umani è il più grande limite degli studi di scienza e tecnologia*….




[*Sono uscito per un istante dal torre di babilonica memoria per raccontare un passo della mia e altrui storia nell’intelligibile occhio dello Spirito nutrito da una Natura risorta, una parabola o forse solo un miracolo taciuto nel quale il ‘notaio’, ora occupato per altre vicende di economica ragion di stato, non vuol certificare testimonianza d’una diversa salita per questa impervia via scrutata alla ‘parabola’ dal ‘canone’ distribuita, cui, indistintamente, dal ragazzo all’anziano affidano sicuro e ortodosso ingegno nella vista della dottrina così evoluta.

 

Miracolo non certo gradito al sentiero di codesto cammino, in quanto Eretico d’un passo antico caduto su una veloce simmetria evoluta da una spirale d’un diverso deserto e pista senza freccia e tempo comporre fiocchi e gelo: pregato esilio precipitato per taluni… divertimento per tutti assicurato nella corsa del Teschio annunciato. Là dove io ammiro Alberi e componimenti d’un Primo Ingegno altri scorgono facile diletto per il pasto d’ingorda moneta nutrito, nella quale il passo antico percorso all’alba di un mattino mi fece scorgere oltre la pecunia di un diverso belare, anche la bellezza della vita alla sua fonte appagata.




….Così come dicevo, il fanciullo che era ed è… ancora… prova terrore di quel mondo e quando la sua Anima o solo lo Spirito da una discesa risale ad un’altra avventura, lui scorge degli strani uomini in questa vita ove il ricordo affiora. Sono vestiti dal corpo materiale privato dello Spirito come dei provetti cadetti, voce della moneta a lui negata, lo calunniano e forse perseguitano, ma ora che il ricordo si fa ancora più vivo, rimembro quei cavalieri lungo il cammino, lo braccano e perseguitano in nome e per conto di una dottrina non più condivisa al porto dell’ortodossa parola pur pregando non comprende la Rima e con lei l’intera Poesia, lo aspettano in cima al passo di un’altra ed ogni salita come il male… perseguitare la vita, e lui sempre deve fuggire ugual via…

 

Ora ho trovato lo Spirito braccato e disceso per questa difficile pista.


Ora ho trovato il ricordo.


Ora ho scoperto il motivo.


Ora ho trovato Madre Natura cui affidato il grido e con lei la promessa.


Ora comprendo la vita.


Ora scorgo il motivo d’ogni rinuncia…




Così, come dicevo, fu costretto a non far trapelare la vera sua Natura unita quale solo Elemento con la neve ed il vento…, perché quando pensa è come un volare d’uccello, quando cammina con i rami ai piedi ed alle mani sembra un lupo, anche se in verità e per il vero… solo un umile viandante di cui la Natura farà retto Profeta alla disciplina della vita; e così  in vero, causa lo scellerato patto non apprende nessuna lezione alla genesi e tempio della propria ed altrui discesa…, insegnata allevata e nutrita ad ogni Adamo o viandante che sia, attraverso la ‘retta’ pista ben battuta misurare il grado di quanto guadagnato e appreso… per ogni salita e discesa entro la materia così pensata… Ed ogni fuoripista ben osservato e disprezzato come il peggiore peccato consumato ed arrecato… ed anche non pagato, e par logico di conseguenza, nell’offesa dispensata di codesta natura fuggita rimembrare in vero deserto da un tempio nato…(di certo ricordo non fui l’unico non fui il solo preferire diversa ‘dottrina’ per ogni pilone e croce …intimidire la vista… ci fu qualcun’altro con ugual amor dal Creato nato…). 




Approdato alla fine della salita, ove la  memoria diviene confessione affidata a quella Natura che ora l’accompagna quale eterna compagna,  alla vista di quei strani cavalieri o provetti atleti… imparò a lasciare la coda del somaro cui aggrappato, la tonaca del prete con cui cresciuto, il sicuro cavo a cui ‘legato’ per compiere la nuova avventura cui destinato, privato però, del libero arbitrio cui la morale insegna e presiede ogni raggiro tortura inganno scritto nella retta ‘pista’ della vita. Il fanciullo possiede un segreto Infinito condiviso ed appreso da una Natura che nella bufera insegna la promessa della vita per regalare allo Spirito rinato e smarrito il Sogno perduto e ritrovato al candore di chi mai tortura.

 

Nella salita cui l’Anima inquieta si aggrappa alla vita e nella discesa cui ogni saggezza condannata dalla loro materia, lo Spirito tornare alla  dimora di un Primo Universo invisibile al Tempo nello spazio condiviso. 




Così quando poco manca al passo, alla cima, alla vita desiderata di questa o altra via patita ed inquisita, lui, prima della difficile risalita aveva imparato nella strana sua Eresia, ad abbandonare il cavo della sicura via, cui ogni spirito aggrappato braccare altrui intento. Tutti in fila fino alla cima, poi una lenta o veloce discesa, chi maestro chi allievo chi semplice pellegrino, chi viandante, chi solo commerciante, chi scudiero, chi servo, chi padrone, chi peccatore, chi semplice inquisitore…, tutti alla coda alla disciplina dal Tempo ben distribuita.

 

Ma il fanciullo  l’inganno aveva intuito, giacché la tortura sapeva scritta ed incisa innanzitutto nella retta discesa compiuta, in quanto nella materia di ugual Tempo condiviso lo Spirito sacrificato nella morte cui si diletta il corpo così appagato con sano e veloce divertimento… e nella (ri)salita di ogni nuova vita (se quella la pista…)]

 

(E. Kohn & Giuliano, ovvero, l’Eretico Viaggio eternamente perseguitato dall’umano apostolo del Diavolo…) 







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