Precedenti capitoli...:
Prosegue nella...:
…Non vi è
alcuna differenza intrinseca tra le associazioni dei pensieri viventi che
costituiscono il Sé vivente, pensante e conoscente e quelle attraverso cui i
diversi Sé possono relazionarsi e formare così delle associazioni. Inoltre,
visto che i Sé sono loci di pensieri viventi – tappe effimere ed emergenti in
un processo dinamico – non c’è nessun sé unitario. Non si può mai “essere” una
sola cosa: “[…] una persona non è un individuo nel senso pieno del termine. I
suoi pensieri sono ciò che egli va ‘dicendo a se stesso’, ovvero ciò che va
dicendo a quell’altro se stesso che sta appunto venendo alla vita nel flusso
del tempo” (Peirce).
Visto che
tutti i Sé, ogni esperienza e ogni pensiero sono semioticamente mediati,
l’introspezione, l’intersoggettività tra esseri umani e persino la simpatia e
la comunicazione trans-specie non sono categorialmente differenti. Sono tutti
processi segnici. Secondo Peirce, il cogito cartesiano, l’“io penso”, non è esclusivamente
umano, non è situato nella mente, e non può afferrare in maniera esclusiva e
non mediata il suo oggetto piú intimo: quel sé che generalmente riteniamo
l’unico responsabile dei nostri pensieri*.
[*Chi può stabilire quale sia il linguaggio consono all’essere umano e al suo sviluppo inteso come evoluzione?
Ma
cos’è sviluppo, e cosa è evoluzione?
Lo
sviluppo è tutto ciò che si compie grazie all’evoluzione. All’evoluzione
dell’uomo che consolida grazie al progresso tutte le proprie fasi evolutive.
Potrebbe essere così…, per taluni. Ma in senso antropologico avanzo riserve.
Non perché padroneggio tale conoscenza e ne adopero impropriamente la sua
terminologia, che in taluni punti discorsivi potrebbe apparire elegante ed
erudita. Ma perché, se riconosciamo nel passato quanto nel presente, le capacità
dell’uomo di produrre manufatti, non è detto che le stesse civiltà che
progressivamente ne sono scaturite abbiano, per l’appunto, avuto affermazioni
maggiori rispetto ad altre in apparenza arretrate.
Cosa
distingue l’arretratezza rispetto al progresso misurato con i manufatti?
Dal
punto di vista sociale molto. Infatti dal punto pratico è comprovato che coloro
che detengono tale primato lo fanno a danno dei più arretrati. Quanto affermato lo possiamo cogliere in pieno dagli
accordi climatici appena conclusi (Copenaghen 2009 e successive conferme). I
più poveri ed i più piccoli danneggiati dai più ricchi. Ma non solo, si chiede
ai più poveri lo stesso onere del ricco ed ingordo inquinatore.
L’evoluzione in questo caso, intesa come fenomeno di uguaglianza e parità dove poter misurare le distanze da ciò che eravamo a quello che siamo (divenuti), rimane immutata. Il ricco ed agguerrito villaggio detiene il monopolio del rigoglioso fiume, da dove provengono le necessità al suo mantenimento. La tribù vicina pretende lo stesso diritto e non privilegio alla vita. Ma la tribù più forte e numerosa dissente ed uccide. Se sia un fiume d’acqua o petrolio la situazione ai margini dell’evoluzione decide poco. Nei confini del progresso molto.
Qualcuno
potrebbe indicarmi il ‘comportamento’ essere una prerogativa genetica immutata.
Altri, che l’essere umano è rivolto unicamente al male. Concordo con l’uno e
l’altro. Infatti stiamo qui disquisendo la differenza fra progresso ed
evoluzione, nel fattore umano che in sé conserva qualcosa di irrimediabilmente
dèmoniaco, privilegia incontrovertibilmente l’ascesa di un ‘gene egoista’ che
qualche dotto e moderno evoluzionista (della grande casa degli spiriti del
villaggio) vorrebbe spiegare e legittimare come normale.
Giustificando
abomini passati e futuri.
Anche perché alcune economie prosperano in queste ed altre guerre, altrimenti come concepire il principio di una pace difesa con lo scudo della guerra. Due opposti generare l’energia della discordia e aumentare di conseguenza e in proporzione odio e divisione. Incomprensione ed intolleranza. Tutto ciò di cui vuole essere portatore l’uno viene immediatamente rigettato dall’altro, e viceversa. Perché appunto la grande disuguaglianza della disparità.
L’assetato
pretende anche lui il diritto alla vita, nelle medesime condizioni e principi,
e ciò non viene adeguatamente valutato (così come nel capitolo precedente
espresso circa la spirale nella fattispecie della comune solidarietà giacché
anche questa caratteristica dovrebbe differenziarci dalle dette ‘bestie’) dal
dotto e ricco evoluto giacché nel curare v’è più materia dalle case
farmaceutiche nutrita nel prevenire, ed ecco così il virtuale e l’inganno
assommati comporre in apparente e voluta regressione divenuta disgrazia, prendere
il sopravvento se non addirittura ben motivati (così come la guerra giacché il
proseguo della bellica rissosa espressione, valuta, in successivo assestamento
delle medesime condizioni in economica condizione posti).
Chi
interpreta poi questa sete o volontà di sopravvivenza, tende, come è normale
(per ciò di cui si compone la normalità al senso partecipativo dell’odierna
vita), a codificarli e gestirli secondo i parametri della propria evoluzione,
socialità, …ed istinto, immutato nell’arco dei secoli.
Ecco
la volontà di capire e percepire la differenza.
Questo a mio avviso lo sforzo evolutivo che consacra e distingue l’uomo progredito rispetto a ciò che era, perché i suoi istinti mutati giammai immutati, mi sforzo di individuare detta mutazione genetica ed istintuale per il vero riscontrabile nella propria costante frequenza (con picchi ben evidenti dalla rivoluzione industriale detta sino all’oggi posta) con delle rare eccezioni che si discostano dal comportamento generalizzato della massa. Un equilibrio ‘puntinato’ manifestare l’evoluzione nella piena regressione, con la convinzione del contrario.
Colui
che indica lo stress (depressivo) della società sarà adoperato
inconsapevolmente dalla stessa per motivare il problema, e poi, nella sua
dubbia morale, manipolare tal malessere per fini puramente economici. Non
individuando la fonte del problema per prevenirlo e renderlo adeguatamente
prevedibile. L’economia non permetterà mai ciò, ma tenderà a ‘ricodificarlo’ in
maniera vantaggiosa per adeguarlo ai propri interessi confacenti con la propria
natura (disgiunta dai principi della Natura cui indistintamente apparteniamo).
E’
condizione necessaria e sufficiente per mantenere una economia che soddisfi
tutte le esigenze dell’uomo evoluto, un progressivo e massiccio inquinamento di
tutti quei paesi che al contrario necessitano di essa (economia di sviluppo).
Un esempio che può rendere vagamente l’idea su quanto sto disquisendo è il
‘fumatore nell’ascensore’.
Siamo costretti a salire con lui (il fumatore) ai piani più alti perché sembra si goda di miglior visuale ‘globalizzata’ in quanto tutti gli uffici di comando ubicati a tale livello, ma in compenso siamo costretti a respirarci tutto il fumo della sigaretta, rischiando poi, al piano attico della sala ‘aggiornamento e congressi’ di imbatterci in una nuova e ben nutrita schiera di fumatori incalliti. Ne usciremo divorati dall’intossicazione e a rischio di un probabile cancro.
Non
fumiamo, per di più per nostra abitudine cerchiamo sfogo dallo stress di una
nuova rivoluzione industriale con altri principi terapeutici. Ma sembrerebbe
che nel ricco villaggio dell’uomo bianco le malattie ed il modo di prevenirle e
curarle, oltre quello di innestarle per logici motivi di economico e
vantaggioso progresso, appartengono al mondo del business oltre che delle case
farmaceutiche. ]
È
molto difficile, partendo dai nostri quadri analitici contemporanei, comprendere
il mondo biologico come qualcosa che è costituito da pensieri viventi. Se
seguiamo la diagnosi di Max Weber
(1976 [1915], 1948 [1919]) questo disincanto del mondo moderno è in parte un
effetto della diffusione del razionalismo scientifico. Nella misura in cui
vediamo il mondo in termini sempre più meccanicistici, perdiamo di vista il telos, la significanza, le relazioni
mezzi-fini – in breve, quelle che definisco intenzioni-significati, per
evidenziare la stretta relazione tra mezzi e significati – che invece un tempo
avevano un posto nel mondo.
Il
mondo perde il suo incantamento, nel senso che i fini non si trovano più nel
mondo, ed esso diventa letteralmente privo di significato. I fini vengono
dislocati in un regno umano o spirituale che diventa sempre più piccolo e
sempre più distaccato dal mondo quotidiano, mentre la visione della scienza si
espande ad ambiti sempre più numerosi. Se le moderne forme di conoscenza e i
modi di manipolare il mondo non umano si caratterizzano per una comprensione
del mondo come meccanismo, allora il disincanto è un’ovvia conseguenza.
Le macchine, in quanto oggetti materiali, sono mezzi per raggiungere dei fini che per definizione e progetto sono esterni a esse. Quando osserviamo una macchina – per esempio, una lavastoviglie – mettiamo tra parentesi i fini che sono di fatto intrinseci al suo essere, ovvero il fatto che è stata costruita da qualcuno per un determinato fine. Applicare questa logica al mondo vivente non umano e vedere la natura come una macchina implica la stessa operazione del mettere i fini tra parentesi, e di conseguenza la loro attribuzione agli esseri umani, agli dèi o alla Natura.
Il
dualismo è uno dei risultati di questa messa tra parentesi.
Un
altro è quello di iniziare a perdere completamente di vista i fini. Il
disincanto si diffonde nel regno dell’umano e in quello spirituale nel momento
in cui cominciamo a sospettare che forse, semplicemente, non ci sono fini, e,
dunque, nessun significato – da nessuna parte. I fini non si trovano da qualche
parte al di fuori del mondo, ma prosperano costantemente in esso. Sono
intrinseci al regno della vita. I pensieri viventi ‘indovinano’ e, così
facendo, creano futuri, in base ai quali poi modellano se stessi.
La logica che struttura il mondo
vivente non è quella di una macchina.
A differenza delle macchine, i pensieri viventi emergono come un tutto, e non vengono costruiti parte dopo parte da qualcuno messo tra parentesi sullo sfondo. Se prestiamo attenzione alle interazioni dei Runa con altri generi di esseri, come intendo fare proponendo un’antropologia oltre l’umano, possiamo arrivare a considerare i sé (umani e non umani) come delle tappe nella vita dei segni – dei loci di incantamento – e questo può aiutarci a immaginare un diverso modo di prosperare in questo mondo oltre l’umano in cui viviamo. La tesi che propongo riguarda alcune proprietà della vita ‘in Sé’. Sebbene riconosca che la vita in quanto tale possa essere qualcosa di storicamente circoscritto – che determinati concetti diventano pensabili solo all’interno di specifici contesti storici, sociali o culturali (Foucault, 1967).
Il
linguaggio e i relativi regimi discorsivi che condizionano fortemente il nostro
pensiero e il nostro agire non sono chiusi. Anche se dobbiamo essere molto
cauti sui modi in cui il linguaggio (e, per estensione, alcune modalità di
pensiero e di azione stabilite socialmente) naturalizza le categorie di pensiero,
possiamo spingerci a parlare di qualcosa come la vita ‘in sé’ senza essere
completamente vincolati dal linguaggio che ci permette di esprimerlo. I Sé non
umani, dunque, possiedono delle proprietà ontologicamente uniche associate alla
loro natura costitutivamente semiotica. Tali proprietà, in una certa misura,
sono per noi conoscibili, e differenziano i Sé dagli oggetti o dagli artefatti.
Trattare i non umani in maniera generica – raggruppando indiscriminatamente le
cose e gli esseri – non ci permette di osservare tale differenza. A mio avviso,
quest’approccio dominante che mira a espandere il campo delle scienze sociali
per includervi i non umani è il più grande limite degli studi di scienza e
tecnologia*….
[*Sono uscito per un istante dal torre di babilonica memoria per raccontare un passo della mia e altrui storia nell’intelligibile occhio dello Spirito nutrito da una Natura risorta, una parabola o forse solo un miracolo taciuto nel quale il ‘notaio’, ora occupato per altre vicende di economica ragion di stato, non vuol certificare testimonianza d’una diversa salita per questa impervia via scrutata alla ‘parabola’ dal ‘canone’ distribuita, cui, indistintamente, dal ragazzo all’anziano affidano sicuro e ortodosso ingegno nella vista della dottrina così evoluta.
Miracolo
non certo gradito al sentiero di codesto cammino, in quanto Eretico d’un passo
antico caduto su una veloce simmetria evoluta da una spirale d’un diverso
deserto e pista senza freccia e tempo comporre fiocchi e gelo: pregato esilio
precipitato per taluni… divertimento per tutti assicurato nella corsa del
Teschio annunciato. Là dove io ammiro Alberi e componimenti d’un Primo Ingegno
altri scorgono facile diletto per il pasto d’ingorda moneta nutrito, nella
quale il passo antico percorso all’alba di un mattino mi fece scorgere oltre la
pecunia di un diverso belare, anche la bellezza della vita alla sua fonte
appagata.
….Così come dicevo, il fanciullo che era ed è… ancora… prova terrore di quel mondo e quando la sua Anima o solo lo Spirito da una discesa risale ad un’altra avventura, lui scorge degli strani uomini in questa vita ove il ricordo affiora. Sono vestiti dal corpo materiale privato dello Spirito come dei provetti cadetti, voce della moneta a lui negata, lo calunniano e forse perseguitano, ma ora che il ricordo si fa ancora più vivo, rimembro quei cavalieri lungo il cammino, lo braccano e perseguitano in nome e per conto di una dottrina non più condivisa al porto dell’ortodossa parola pur pregando non comprende la Rima e con lei l’intera Poesia, lo aspettano in cima al passo di un’altra ed ogni salita come il male… perseguitare la vita, e lui sempre deve fuggire ugual via…
Ora
ho trovato lo Spirito braccato e disceso per questa difficile pista.
Ora
ho trovato il ricordo.
Ora
ho scoperto il motivo.
Ora
ho trovato Madre Natura cui affidato il grido e con lei la promessa.
Ora
comprendo la vita.
Ora
scorgo il motivo d’ogni rinuncia…
Così, come dicevo, fu costretto a non far trapelare la vera sua Natura unita quale solo Elemento con la neve ed il vento…, perché quando pensa è come un volare d’uccello, quando cammina con i rami ai piedi ed alle mani sembra un lupo, anche se in verità e per il vero… solo un umile viandante di cui la Natura farà retto Profeta alla disciplina della vita; e così in vero, causa lo scellerato patto non apprende nessuna lezione alla genesi e tempio della propria ed altrui discesa…, insegnata allevata e nutrita ad ogni Adamo o viandante che sia, attraverso la ‘retta’ pista ben battuta misurare il grado di quanto guadagnato e appreso… per ogni salita e discesa entro la materia così pensata… Ed ogni fuoripista ben osservato e disprezzato come il peggiore peccato consumato ed arrecato… ed anche non pagato, e par logico di conseguenza, nell’offesa dispensata di codesta natura fuggita rimembrare in vero deserto da un tempio nato…(di certo ricordo non fui l’unico non fui il solo preferire diversa ‘dottrina’ per ogni pilone e croce …intimidire la vista… ci fu qualcun’altro con ugual amor dal Creato nato…).
Approdato alla fine della salita, ove la memoria diviene confessione affidata a quella Natura che ora l’accompagna quale eterna compagna, alla vista di quei strani cavalieri o provetti atleti… imparò a lasciare la coda del somaro cui aggrappato, la tonaca del prete con cui cresciuto, il sicuro cavo a cui ‘legato’ per compiere la nuova avventura cui destinato, privato però, del libero arbitrio cui la morale insegna e presiede ogni raggiro tortura inganno scritto nella retta ‘pista’ della vita. Il fanciullo possiede un segreto Infinito condiviso ed appreso da una Natura che nella bufera insegna la promessa della vita per regalare allo Spirito rinato e smarrito il Sogno perduto e ritrovato al candore di chi mai tortura.
Nella
salita cui l’Anima inquieta si aggrappa alla vita e nella discesa cui ogni
saggezza condannata dalla loro materia, lo Spirito tornare alla dimora di un Primo Universo invisibile al
Tempo nello spazio condiviso.
Così quando poco manca al passo, alla cima, alla vita desiderata di questa o altra via patita ed inquisita, lui, prima della difficile risalita aveva imparato nella strana sua Eresia, ad abbandonare il cavo della sicura via, cui ogni spirito aggrappato braccare altrui intento. Tutti in fila fino alla cima, poi una lenta o veloce discesa, chi maestro chi allievo chi semplice pellegrino, chi viandante, chi solo commerciante, chi scudiero, chi servo, chi padrone, chi peccatore, chi semplice inquisitore…, tutti alla coda alla disciplina dal Tempo ben distribuita.
Ma
il fanciullo l’inganno aveva intuito,
giacché la tortura sapeva scritta ed incisa innanzitutto nella retta discesa
compiuta, in quanto nella materia di ugual Tempo condiviso lo Spirito
sacrificato nella morte cui si diletta il corpo così appagato con sano e veloce
divertimento… e nella (ri)salita di ogni nuova vita (se quella la pista…)]
(E. Kohn & Giuliano, ovvero, l’Eretico Viaggio eternamente perseguitato dall’umano apostolo del Diavolo…)
Nessun commento:
Posta un commento