giuliano

venerdì 21 giugno 2024

L'ERETICO PAPA & LA FABBRICA DEL DUOMO

 








Precedenti capitoli 


per chi 'Nulla' 


avesse compreso







Dalla seconda metà degli anni Duemila un gruppo di laici ricchi e influenti hanno preso il potere in seno alla Chiesa americana inondandola di generose donazioni. L’esempio più noto è quello dei Cavalieri di Colombo. A metà strada fra il Rotary e una massoneria cattolica, questa confraternita è stata fondata nel 1882, nella fase in cui si affermava la dimensione comunitaria del cattolicesimo americano, per garantire tramite un’assicurazione un sostentamento alle donne e ai bambini disagiati.

 

Oggi con due milioni di membri, continuando a proporre assicurazioni sulla vita, i Cavalieri di Colombo sono seduti su un gruzzolo dichiarato di quasi 100 miliardi di dollari che rende in media circa 2 miliardi di dollari all’anno, sufficienti per fare generose donazioni alle istituzioni della Chiesa statunitense e di altri paesi.

 

Da un’inchiesta pubblicata nel 2017 sul settimanale ‘National Catholic Reporter’ risulta che, per quanto una parte non trascurabile di queste donazioni affluisca effettivamente nelle casse di enti di beneficenza, anche la Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti e numerose diocesi godono dei contributi dei Cavalieri di Colombo, e non ultimo il Vaticano, che ha avuto come membro di diversi suoi organismi il cavaliere supremo Carl Anderson, ex consigliere di Ronald Reagan alla Casa Bianca.

 

Dal ‘National Catholic Reporter’ emerge anche che i Cavalieri sovvenzionano senza alcuna remora svariate istituzioni che esibiscono le posizioni più conservatrici, in sintonia con la svolta decisamente più dura impartita, alla fine degli anni Duemila, dall’élite del cattolicesimo americano, in particolare come reazione alla politica di Barack Obama. Al centro della battaglia era l’ObamaCare, la riforma che obbligava gli imprenditori a pagare ai dipendenti una forma di protezione sociale, comprendente anche il rimborso delle spese sostenute per la contraccezione e l’aborto. Tale finanziamento di atti contrari ai propri princìpi era per i cattolici americani in netta contraddizione con la loro libertà di coscienza: sarà questa, come si vedrà, la base della lotta sferrata successivamente contro i democratici da una parte del cattolicesimo americano.

 

Vi parteciperanno anche i Cavalieri, finanziando la Marcia annuale per la vita, per esempio, o il Becket Fund for Religious Liberty che difende istituzioni e datori di lavoro cattolici che hanno fatto valere la loro obiezione di coscienza e rifiutano di applicare l’ObamaCare.

 

I Cavalieri destinano anche ingenti somme ai media.




 Gian Galeazzo ambiva a creare uno Stato nazionale italiano e diventare, chissà, re d’Italia; bisognava quindi preparare una chiesa degna della futura capitale, e non solo morale, del vagheggiato regno. Secondo Bonvesin da la Riva, un frate innamorato della sua città, Milano meritava addirittura di ospitare la sede pontificia, tanto era ricca e prestigiosa. Nel suo ‘de magnalibus urbis Mediolani’ ossia ‘Le meraviglie dalla città di Milano’ (1288), ne aveva tessuto un appassionato elogio attribuendole, con qualche esagerazione, duecentomila abitanti, trecento forni, settanta scuole elementari, dieci ospedali, centoventi giureconsulti, millecinquecento notai, novecento mulini nel contado, floride fabbriche d’armi e di seta: i tessuti si esportavano fino al paese dei tartari.

 

Ottomila destrieri e centomila cani fornivano alla nobiltà piacevoli svaghi. Mancava soltanto la cattedrale, che vincesse in splendore le duecento chiese esistenti in città.

 

Gian Galeazzo era chiamato conte di Virtù, dal feudo di Vertus portatogli in dote dalla prima moglie, Isabella di Valois, ma virtù cristiane ne aveva poche. Un giorno del 1385 mandò a dire allo zio Bernabò:

 

‘Il 6 maggio vado a fare un pellegrinaggio al Sacro Monte di Varese. Già che passo dalle tue parti, vorrei darti un salutino. Perché non esci dalla città? Ti vedrei con molto piacere’

 

 Bernabò abboccò e cavalcando una mula andò, accompagnato da alcuni figli (non tutti: ne ebbe diciassette legittimi e venti naturali) a incontrare il nipote nei pressi di sant’Ambrogio, allora in periferia. Appena vide lo zio, Gian Galeazzo fece un cenno ai suoi uomini che lo arrestarono, lo condussero al castello di Trezzo, dove morì dopo sette mesi, per una indigestione di fagioli (avvelenati) Qualcuno pensa che il nipote abbia dato inizio al duomo per riparare l’orrendo delitto, altri per ringraziare il Signore del ‘buon esito’ della liquidazione dello zio, altri ancora per ottenere dalla Madonna la grazia d’un figlio maschio, impegnandosi a chiamare Maria il nascituro.

 

La Madonna concesse la grazia doppia e nacquero Giovanni Maria e Filippo Maria Visconti. I lavori furono affidati ai maestri campionesi, a uno dei quali, Marco Frisone, morto nel 1390, si attribuisce il progetto originario (assieme a quello del ponte sul Ticino a Pavia e del duomo di Crema) Questi maestri, oriundi da Campione e da Lugano, erano architetti e scultori eccellenti nel lavorare la pietra e avevano formato un'affiatata scuola artigiana, tramandandosi l’arte di padre in figlio. Richiesti in tutta Italia per la loro valentia, lavorarono un po’ dappertutto, alla Certosa di Pavia, alle Arche Scaligere di Verona, a Brescia.




Ogni anno versano trecentocinquantamila dollari al sito Internet Crux (pari al 40 per cento del suo bilancio), creato dal Boston Globe che in seguito se n’è dissociato per mancanza di sufficienti risorse pubblicitarie. Analogamente, 1,5 milioni di dollari sono andati all’emittente televisiva di stampo molto conservatore Eternal World Television Network (EWTN), fulcro di una nebulosa mediatica che raggruppa anche la Catholic News Agency (CNA) – diffusa in inglese, spagnolo, portoghese e italiano – e il settimanale ‘National Catholic Register’, una delle prime testate a pubblicare la testimonianza di monsignor Viganò. Timothy (detto Tim) Busch, uno degli amministratori di EWTN, in un’intervista al New York Times ha raccontato – per poi ritrattare – di essere perfino stato consultato prima della pubblicazione del pamphlet dell’ex nunzio.

 

Tim Busch, avvocato e promotore immobiliare specializzato in complessi di lusso, è una delle figure di maggior spicco di questa nuova generazione di laici facoltosi che costituiscono ormai il nucleo dirigente del cattolicesimo americano. ‘Timothy Busch è un uomo ricco dalle grandi ambizioni’ scrive il giornalista Tom Roberts, secondo il quale l’uomo d’affari difende un ‘cattolicesimo privo di complessi che si esprime fra cene di gala con ampia scelta di vini e sigari, cocktail party per cattolici tradizionali rigorosamente selezionati, messe in latino per chi lo desidera, sessioni di rosario patriottico abbinate a letture di George Washington e Robert E. Lee, e l’eventuale pausa per una partita a golf’.

 

Tim Busch è fra l’altro il fondatore del Napa Institute che promuove in parallelo una teologia conservatrice e una visione molto libertaria dell’economia. ‘L’evangelizzazione di fascia alta del Napa Institute si svolge in contesti come il Meritage Resort and Spa di Busch, nella Napa Valley, o in luoghi prestigiosi quali il Trump International Hotel di Washington’ racconta Tom Roberts. ‘Ai suoi eventi non manca mai una spruzzata di zucchetti rossi e viola … che conferiscono ai dibattiti una certa credibilità e legittimità’. Si vanta dell’appoggio dell’arcivescovo di Filadelfia, monsignor Charles Chaput, capofila dei vescovi conservatori americani, e arriva persino ad accogliere come consulente fino all’estate 2018 monsignor John Nienstedt, dopo che questi è stato destituito dal suo ruolo di arcivescovo di Saint Paul e Minneapolis per avere coperto abusi sessuali.

 

Tim Busch è anche il fondatore della Busch School of Business presso la Catholic University of America, anch’essa promotrice di un liberismo economico radicale. Il ricco uomo d’affari non esita del resto ad applicare la propria visione imprenditoriale alla sfera ecclesiale. Nel marzo 2017, durante un convegno nella cripta della basilica dell’Immacolata Concezione di Washington, sottolineava così che ‘l’evangelizzazione del nostro paese è portata avanti da fondazioni private e ONG cattoliche come il Napa Institute e Legatus’.




La fabbrica del Duomo cominciò nel 1386, in un clima di gareggiante generosità. Ricchi e poveri prestarono la loro opera gratis, talvolta pagavano per avere l’onore d’impugnare la cazzuola. La corporazione degli avvocati, nel primo giorno che andò a lavorare, offrì quarantaquattro fiorini d'oro, i nobili duecentosettantadue lire (al tramonto, sfiniti, prosciugarono una botte di vino)

 

Le meretrici offrirono una giornata, o meglio, una nottata di lavoro, un condottiero la spada, la parrocchia di san Marcello un asino, quella di Porta Orientale (oggi porta Venezia) un vitello. Marco Carelli, facoltoso mercante, si ridusse in miseria per aver donato tutti i suoi averi, trentacinquemila scudi d’oro, guadagnati trafficando schiavi sul mercato di Venezia, dove una bella tartara di diciotto anni valeva trentadue scudi, ma se ne aveva ventotto, il prezzo scendeva a trenta. Questo gesto, munifico fino all’autodistruzione, gli fu compensato con un ricordo che sfida i secoli: una tomba in duomo, nella quarta campata della navata minore di destra.

 

Sempre per racimolare denaro, giravano per la città le cantegole, cortei di ragazzine biancovestite che suonavano pifferi, mentre le dame di Porta Vercellina organizzavano spettacolini mitologici, con Giasone e Medea a pagamento.

 

Quali erano le famiglie della Milano-bene, fine Trecento?

 

Ce lo dice un accertamento fiscale ordinato da Gian Galeazzo. Occorrendogli diciannovemila fiorini per comprare dall’imperatore Venceslao il titolo di duca, il Visconti impose un prestito forzoso, in realtà una nuova tassa, ai più facoltosi operatori economici e proprietari terrieri.

 

La stima, fatta nel 1395, vede in testa, nella ripartizione del gravame, Giacomino Vismara di porta Vercellina, tassato per centoventi fiorini, seguito dai fratelli Giovanni e Antonio di Lignatiis di porta Comasina (novantasei fiorini), Andreotto del Maino (sessantaquattro), Bolo Resta di porta Vercellina (cinquantacinque), Cressino de Monte di porta Vercellina (cinquantatré), Luigi da Gallarate di porta Vercellina (cinquantadue), Francescolo de Fossalto di porta Vercellina (cinquanta), Rizzardo Resta di porta Vercellina (cinquanta), Cesare Borri di porta Romana (quarantotto), Gervasio Resta di porta Vercellina (quarantotto)

 

Dare un’idea anche approssimativa del potere d’acquisto del fiorino è impresa difficile, com’è difficile tentare una comparazione tra le monete d’allora e quelle d’oggi. A titolo indicativo, si pensi che in Lombardia, secondo un documento del 1375, con trenta lire una persona si manteneva per un anno, scrive l’economista Carlo M. Cipolla; e pochi anni più tardi una famiglia benestante spendeva per il proprio mantenimento una media di circa cinquanta lire annue per persona. Quanto al fiorino, nel decennio 1390- 1400, esso valeva una lira e settanta centesimi.

 

Nel giubileo del 1390, siccome molti lombardi erano impediti, dalle guerre e dalle pestilenze, di recarsi a Roma, Bonifacio IX concesse le stesse, immutate indulgenze a chi versava alla Fabbrica del duomo i due terzi del denaro che avrebbe speso se avesse fatto il viaggio. ‘Purché pentiti e confessati’ precisava la bolla pontificia. Ma qualche zelante imbroglione, più preoccupato di raccogliere soldi per il cantiere che anime per il paradiso, mise in giro la voce che, per l’occasione, la chiesa s’accontentava del denaro, senza pretendere che il fedele s'accostasse ai sacramenti. Il che recò molti quattrini alle casse della Fabbrica e altrettanto dolore al cuore del papa.




 Quest’ultimo organismo è un club di imprenditori cattolici che si proclamano ‘ambasciatori di Cristo sulle piazze del mercato’. Riservata a dirigenti di imprese che vantano giri d’affari di almeno cinque milioni di dollari e versano ogni anno un contributo minimo di millecinquecento dollari, l’associazione è stata cofondata da Tom Monaghan, il creatore di Domino’s Pizza. Dopo aver venduto nel 1998 la maggior parte delle quote dell’azienda, si è dedicato a iniziative ancorate in un cattolicesimo molto identitario, come per esempio l’Ave Maria University e la città costruita tutt’intorno, che vuole essere un’autentica cittadella cattolica, sita nella Florida meridionale, dove sono banditi aborto e contraccezione, e gli omosessuali sono guardati con diffidenza.

 

Oltre a essere membro di Legatus, dal canto suo Frank Hanna è uno dei più importanti filantropi cattolici americani, munificente dispensatore di assegni al Becket Fund, al Napa Institute, a EWTN o anche all’Acton Institute, un centro di ricerca ‘dedicato ai princìpi di libertà individuale, di governo limitato, di libero mercato e di pace’ e che assegna annualmente un premio Milton Friedman, dal nome dell’economista ultraliberista americano, premio Nobel nel 1976. Frank Hanna è pure un generoso donatore dell’Ethics and Public Policy Center animato da George Weigel – l’assai conservatore biografo di Giovanni Paolo II – e della Federalist Society.

 

Questa potente lobby conservatrice, che riunisce settantamila giuristi degli Stati Uniti, aveva già goduto di una grande influenza sotto le presidenze dei Bush padre e figlio, adoperandosi con successo per la nomina dell’attuale presidente della Corte suprema, John Roberts, oltre che dei giudici Samuel Alito e Clarence Thomas. Sotto Donald Trump, la Federalist Society ha anche partecipato alla designazione del nuovo giudice Neil Gorsuch. Effettivamente, da diversi anni la lobby si occupa di reclutare giovani e talentuosi studenti di legge noti per le loro idee conservatrici, mettendoli in contatto con giudici delle alte sfere o studi di amici avvocati. Si tratta oggi di una vasta rete i cui membri si aiutano reciprocamente a ottenere impieghi, per esempio alla Corte suprema, dove cinque successivi giudici hanno beneficiato della loro appartenenza alla lobby. ‘Qualsiasi avvocato conservatore è membro della Federalist Society’ scrive sul sito dell’Huffington Post Carrie Severino, capogiurista del Judicial Crisis Network, un gruppo conservatore vicino a Leonard Leo, vicepresidente della Federalist Society.




La morte di Gian Galeazzo segna, con la decadenza dello Stato, un arresto dei lavori dopo quindici anni di intenso cantiere. La peste, le lotte dei fuorusciti che volevano ricondurre in città il ramo dello spodestato Bernabò, le difficoltà economiche ostacolano l’azione del giovanissimo successore Giovanni Maria. Ora non è più il principe che finanzia la fabbrica, bensì la fabbrica che, nei momenti di necessità pubblica, finanzia il principe, concedendo un prestito di duecento fiorini per riparare le mura della città.

 

Morto Giovanni Maria, pugnalato mentre entrava in chiesa a san Gottardo, gli successe il fratello Filippo Maria, obeso, gottoso, superstizioso, non voleva attorno a sé gente vestita di scuro, cambiava letto tre volte per notte, durante i temporali si nascondeva per paura dei fulmini, addolorato per tutta la giornata se al mattino, sbadatamente, gli veniva fatto d’infilare la scarpa sinistra invece della destra, e teneramente devoto delle immagini dei santi Antonio, Cristoforo, Sebastiano, Pietro Martire, Elisabetta e Maddalena.

 

Filippo Maria impose a tutti i dipendenti del comune una trattenuta del dieci per cento pro duomo, e affrontò la questione del tiburio, la struttura che copre l’incrocio dei bracci della croce latina. Problema di durata secolare, per il quale saranno interpellati anche Leonardo e il Bramante, quando Milano passerà dai Visconti agli Sforza.

 

Nel 1447 morì Filippo Maria e si proclamò l’effimera Repubblica Ambrosiana, con l’inevitabile strascico di epurazioni e vendette, ammantate di sacri principi. Così fu licenziato, dopo mezzo secolo di onorato servizio, l’architetto Filippino da Modena, autore dei tre finestroni dell’abside (che ospiteranno le vetrate più grandi del mondo) L’accusa era di vita scellerata e di essersi dato a vizi et disordini d’ogni maniera. I fondi della fabbrica furono dirottati a costruire palle di cannone, alla faccia dei donatori che morendo avevano destinato i lasciti a fine di bene e di pace.

 

Fatto un boccone dell’imbelle Repubblica Ambrosiana, che aveva tra l’altro commesso l’ingenuità di affidargli la propria difesa, l’ambizioso condottiero Francesco Sforza entrò il 26 febbraio 1450 in Milano che, stanca di tre anni di anarchia, lo acclamò duca, mentre a cavallo si dirigeva verso il duomo, per inginocchiarsi davanti all’altar maggiore. Francesco riprese i lavori, ‘posando un’altra delle tante prime pietre del tempio’ annota argutamente il Cassi Ramelli, nel quadro d’una illuminata politica culturale che vide fiorire l’università di Pavia e iniziare in una cappella del duomo un servizio di biblioteca circolante, gestito da un bibliotecario che, nel nome della cultura, s’accontentava d’un quarto di vino al giorno. Anche Lodovico il Moro incrementò i lavori, poi arrivarono le grandi pestilenze a troncarli.




Dopo aver personalmente approvato diverse nomine di giudici federali a partire dall’inizio del mandato di Donald Trump, nel febbraio 2018, Leo ha comunicato la sua decisione di lasciare momentaneamente la Federalist Society per assistere il presidente nella scelta del successore del giudice Anthony Kennedy che andava in pensione. In definitiva, dei venticinque candidati selezionati dalla Casa Bianca (una lista stilata in prevalenza da Leonard Leo), ventiquattro sono membri della Federalist Society, la quale, dopo la conferma di Brett Kavanaugh nell’ottobre 2018, risulterà quindi direttamente coinvolta nella nomina di quattro dei nove membri della Corte suprema!

 

‘Siamo arrivati al punto in cui quasi tutta la Corte suprema ha qualcosa a che vedere con Leonard Leo’ osserva divertita Carrie Severino. ‘Nessuno conosce meglio di lui il mondo giuridico conservatore’. Carl Tobias, professore di diritto alla University of Richmond (Virginia) ed esperto nella nomina dei giudici, commenta: ‘Ha avuto più influenza di chiunque altro, e so che il presidente George W. Bush ha contato parecchio su di lui per due candidati. Ma in questa amministrazione si battono tutti i record’.

 

Vale a dire che gli ambienti conservatori – sia evangelici sia cattolici – si fregano le mani sotto la presidenza di Donald Trump.

 

Durante la sua campagna elettorale il candidato repubblicano non aveva d’altronde nascosto le promesse che aveva fatto loro: la nomina di un vicepresidente scelto fra le loro file e quelle di giudici pro-vita alla Corte suprema, la salvaguardia della libertà religiosa, la fine del finanziamento federale alla Pianificazione familiare e il ripristino della politica di Città del Messico istituita da Ronald Reagan che vietava il finanziamento americano delle organizzazioni internazionali a favore del diritto all’aborto…

 

Con l’eccezione della Pianificazione familiare – della quale un Congresso spaccato in due non ha voluto sopprimere il finanziamento – Donald Trump ha mantenuto la parola su tutta la linea. ‘Ho fatto un buonissimo lavoro. Possono essere fieri di me’ dichiarava nella conferenza stampa del 7 novembre 2018 in risposta a una domanda di EWTN l’indomani del voto di metà mandato.




Anno 1630: la peste descritta dal Manzoni, la grande fabbrica del duomo vista da Renzo Tramaglino è ferma, mancano braccia e denari. Ogni epidemia, falcidiando la popolazione, provocava rarefazione della mano d’opera e aumento dei salari, per la ineliminabile legge della domanda e dell’offerta; pertanto, se da un male si può ricavare un bene, gli sconquassi economici e sociali conseguenti alle terribili stragi portarono al progressivo miglioramento delle condizioni dei lavoratori superstiti.

 

Durante la peste del 1630, lunghe processioni di cittadini e magistrati, vestiti di sacco, i piedi nudi, sfilarono in duomo davanti al corpo di Carlo Borromeo, il santo che nel 1576 aveva pregato, e ora veniva pregato affinché cessasse il flagello. La sua ardente carità e purezza di vita gli avevano cattivato la fiduciosa devozione dei milanesi, colpiti dalla semplicità dei costumi, in eroico contrasto con la nobiltà delle origini.

 

Ricchissimo, si cibava di pane e acqua. Se i medici visitavano gli appestati a distanza, fermandosi sull’uscio e sollevando con una lunga bacchetta le coperte e le vesti del malato, il naso coperto da un enorme becco colmo di essenze odorose per difendersi dall’aria ‘corrotta’; se i parenti scappavano impauriti ('i pare no voleva andar dal fio, né 'i fio dal pare si legge in una cronaca veneziana), Carlo non temeva di accostarsi a quegl’infelici. Dormiva nudo sul pavimento, rifiutava ogni forma di comfort e di mondanità, provenisse dal governo spagnolo o dalla sede apostolica.

 

Il suo era un cristianesimo arduo, aspro, intransigente non soltanto con gli eretici ma anche con molte monache che tralignavano. Protagonista del rinnovamento spirituale della Controriforma, impose ai pastori l’obbligo della residenza, ponendo fine allo scandalo di vescovi titolari di diocesi che nemmeno sapevano dove fossero sulla carta geografica. Istituì seminari per la formazione e selezione del clero, spesso reclutato secondo criteri in cui il censo familiare, la carriera individuale, la vanità sociale facevano aggio sulla vocazione. Accortosi che gli erbivendoli, per raggiungere più rapidamente il mercato, attraversavano il duomo dalle porte laterali, coi muli carichi di merce, allontanò i mercanti dal tempio facendole chiudere.

 

Processò le streghe con estremo rigore, ma vendette il principato di Oria per quarantamila ducati, che distribuì ai poveri. Il suo corpo è conservato in un’urna di cristallo e argento, dono di Filippo IV di Spagna, dentro il sacello sotto l’altar maggiore, cui si accede attraverso il coro iemale (invernale), dove di solito si riunisce il capitolo dei canonici. La cripta è aperta al pubblico il 4 novembre, festa del santo. Sul petto dell’arcivescovo, una croce di smeraldi e diamanti offerta dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria. La maschera d’argento che ricopre il viso è dono di Giovan Battista Montini, quand’era cardinale di Milano, prima di diventare Paolo VI.




Un mese prima, durante un convegno sulla riforma nella Chiesa organizzato dal Napa Institute, il suo fondatore Tim Busch si rallegrava dell’imminente nomina di Brett Kavanaugh alla Corte suprema, salutando Leonard Leo, vicepresidente della Federalist Society, seduto al suo fianco. ‘Con questo nuovo giudice’ diceva ai duecentocinquanta partecipanti ‘i tribunali saranno nostri per i prossimi quarant’anni. E con cinquantuno seggi al Senato vedremo qualche cambiamento’.

 

Organizzato dopo le rivelazioni sugli abusi sessuali in Pennsylvania e, soprattutto, dopo la testimonianza di monsignor Viganò, questo incontro era particolarmente critico nei confronti di papa Francesco, al quale si chiedeva un cambio di rotta. Durante il convegno, chiamando in causa il problema dell’omosessualità, Tim Busch si spingeva fino a denunciare un grande e immorale complotto omosessuale in Vaticano, ma passava bellamente sotto silenzio le accuse di stupro rivolte da una donna contro Brett Kavanaugh, accuse che minacciavano la conferma da parte del Senato del suo incarico alla Corte suprema: un ‘due pesi e due misure’ da parte di un uomo che non lesina gli attacchi contro la corruzione sessuale del Vaticano.

 

Per lo storico della Chiesa Massimo Faggioli, la crisi degli abusi sessuali ha creato un vuoto di autorità nel quale si sono insinuati cattolici miliardari diventati in pochi anni i veri dirigenti del cattolicesimo americano:

 

Non è un vuoto di potere, che sta sempre nelle stesse mani (almeno per il momento), ma un vuoto di autorità, vale a dire che mette in gioco la fiducia e la credibilità.

 

La natura ha orrore del vuoto, e quelli che hanno un libretto degli assegni aperto e un’agenda ideologica molto chiara hanno riempito questo vuoto.

 

Il denaro parla forte e chiaro.

 

I cattolici che dispongono di risorse finanziarie cospicue e di stretti legami con i vertici dell’episcopato americano tentano di colmare il vuoto con un programma ufficialmente imperniato sulla riforma. Ma in realtà questo corrompe ancora di più la Chiesa, sebbene in modo diverso …

 

Ci sarebbe molto da dire su come le autorità ecclesiastiche cattoliche siano diventate insensibili alla minaccia rappresentata dal denaro per il carattere cristiano della comunione dei fedeli.

 

Tale desensibilizzazione è una delle conseguenze dell’abbandono di una teologia che prende sul serio i rapporti di produzione, come li chiama Karl Marx, per concentrarsi invece sulla cultura e sull’identità come strumenti di opposizione al materialismo.

 

È invece emerso che questa teologia della cultura post-materialista, incentrata sui valori, serve gli interessi di coloro che controllano i rapporti di produzione: la rete influente dei ricchi filantropi cattolici di destra, che di recente ha stabilito stretti legami con i vescovi conservatori degli Stati Uniti.

 

Secondo lo storico, questa evoluzione sarebbe paragonabile alla crisi attraversata dalla Chiesa intorno all’anno Mille, quando i potenti feudatari avevano messo le mani sull’istituzione e sulle sue risorse. Crisi che era sfociata nella Riforma gregoriana.

 

Per Faggioli, a essere in gioco oggi negli Stati Uniti è proprio l’indipendenza della Chiesa cattolica di fronte alla potenza del denaro.

 

‘Il denaro è il carburante che assegna a certe voci ciò che qualcuno potrebbe giudicare un peso smisurato’ spiega Tom Roberts, che propone l’esempio di un Tim Busch che ‘mira a influenzare le istituzioni religiose e a plasmare la narrativa cattolica acquisendo influenza sulle università e le imprese mediatiche’.

 

Ora, è proprio contro questa potenza che si batte papa Francesco.

 

(N. Senèze & C. Marchi)







Nessun commento:

Posta un commento