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& con la materia
Torniamo allora alla cosmogonia di Menocchio, che all’inizio ci era parsa indecifrabile. Ora possiamo ricostruirne la complessa stratificazione. Essa cominciava discostandosi subito dal racconto del Genesi e dalla sua interpretazione ortodossa, affermando l’esistenza di un caos primordiale:
‘Io ho detto che, quanto al mio pensier et
creder, tutto era un caos, cioè terra, aere, acqua et foco insieme...’ (7 otobre).
In un
interrogatorio successivo, come abbiamo visto, il vicario generale interruppe
Menocchio che stava discorrendo dei Viaggi di Mandeville per chiedergli ‘se questo libro parlava niente del chaos’.
Menocchio rispose negativamente, riproponendo (in forma consapevole, questa
volta) l’intreccio già accennato tra cultura scritta e cultura orale:
‘Signor no, ma questo l’ho visto nel Fioretto
della Bibia; ma l’altre cose ch’io ho detto circa questo chaos le [ho] formate
da mio cervelo’.
In realtà Menocchio non ricordava bene, il Fioretto della Bibbia non parla propriamente del caos tuttavia, il racconto biblico della creazione vi è preceduto, senza alcuna preoccupazione di coerenza, da una serie di capitoli derivati in gran parte dall’Elucidarium di Onorio di Autun, dove la metafisica si mescola all’astrologia e la teologia alla dottrina dei quattro temperamenti. Il capitolo IV del Fioretto, Come Dio creò l’huomo di quattro elementi, comincia cosí:
‘Sí come è decto Dio
circa il principio fece una grossa materia, la quale non haveva forma né
maniera: et fecene tanta che ne poteva trarre et fare ciò che voleva, et divisela
et partilla sí che ne trasse l’homo formato di quatro elementi...’
Qui, come si vede, viene postulata un’indistinzione primordiale degli elementi, che esclude di fatto la creazione ex nihilo: ma il caos non è menzionato.
È probabile che Menocchio traesse questo termine dotto da un libro a cui accennò incidentalmente nel corso del secondo processo (ma nel 1584, come si dirà, gli era già noto): il Supplementum supplementi delle croniche dell’eremitano Jacopo Filippo Foresti.
Questa cronaca, scritta alla fine del Quattrocento ma d’impianto ancora nettamente medievale, comincia con la creazione del mondo. Dopo aver citato Agostino, patrono del suo ordine, il Foresti scriveva:
‘... et è ditto, nel principio fece Iddio el cielo et la terra: non che questo già fussi, ma perché essere potea, perché di poi se scrive esser fatto el cielo; come se le seme d’un arbore considerando diciamo quivi essere le radice, la forza, li rami, li frutti et le foglie: non che già sieno, ma perché di quivi hanno ad essere. Cosí è ditto, nel principio fece Iddio il cielo et la terra, quasi seme dil cielo et della terra, essendo anchora in confuso la materia del cielo et della terra; ma perché gli era certo di quella dovere essere il cielo et la terra, però già quella materia cielo et terra fu chiamata. Questa adunque spaciosa forma, che di certa figura mancava, Ovidio nostro nel principio del suo maggiore volume, et anchora alcuni philosophi Caos la chiamorono, de la qual cosa esso Ovidio in quel medesimo libro fa mentione dicendo: “La natura avanti che fusse la terra et lo mare et il cielo che copre il tutto, havea un vulto in tutto il suo circuito, il quale li philosophi chiamorono Caos, grossa et indigesta materia: et non era se non un peso incerto et pegro, et radunata in quel medesimo circulo, et semi discordanti delle cose non bene congionti” ’.
Partito dall’idea di mettere d’accordo la Bibbia con Ovidio, il Foresti finiva con l’esporre una cosmogonia piú ovidiana che biblica. L’idea di un caos primordiale, di una ‘grossa et indigesta materia’ colpi fortemente Menocchio di qui trasse, a forza di rimuginare, ‘l’altre cose... circa questo chaos... formate da suo cervelo’.
Queste ‘cose’,
Menocchio cercò di comunicarle ai compaesani.
‘Io gli ho inteso a dir, riferí Giovanni Povoledo, che nel principio questo mondo era niente,
et che dall’acqua del mare fu batuto come una spuma, et si coagulò come un
formaggio, dal quale poi nacque gran multitudine di vermi, et questi vermi
diventorno homini, delli quali il piú potente et sapiente fu Iddio, al quale
gl'altri resero obedientia..’
Si trattava di una testimonianza molto indiretta, addirittura di terza mano : il Povoledo riferiva ciò che gli aveva raccontato un amico otto giorni prima, ‘caminando per strada, andando al mercado a Pordenon’; e l’amico aveva raccontato a sua volta ciò che aveva saputo da un altro amico, che aveva parlato con Menocchio. Di fatto, questi diede, nel primo interrogatorio, una versione un po’ diversa:
‘Io ho detto che quanto al mio pensier et creder,
tutto era un caos... et quel volume andando cosí fece una massa, aponto come si
fa il formazo nel latte, et in quel deventorno vermi, et quelli fumo li angeli;
et la santissima maestà volse che quel fosse Dio et li angeli; et tra quel
numero de angeli ve era ancho Dio creato anchora lui da quella massa in quel
medesmo tempo...’
Apparentemente, a furia di passare di bocca in bocca, il discorso di Menocchio si era semplificato e deformato. Una parola difficile come ‘caos’ era scomparsa, sostituita da una variante piú ortodossa (‘nel principio questo mondo era niente’). La sequenza formaggio - vermi - angeli - santissima maestà - Dio il più potente degli angeli-uomini, era stata abbreviata, strada facendo, in quella formaggio - vermi - uomini - Dio il più potente degli uomini.
D’altra
parte, nella versione data da Menocchio l’accenno alla spuma battuta dall’acqua
del mare non compariva affatto. Impossibile che il Povoledo se lo fosse
inventato. Il seguito del processo mostrò chiaramente che Menocchio era pronto
a variare questo o quell’elemento della sua cosmogonia, pur lasciandone
immutata la fisionomia essenziale. Così, all’obiezione del vicario generale
‘Che cosa
era questa santissima maestà?’
‘Io intendo che quella santissima maestà fusse il
spirito de Dio, che fu sempre’.
In un
interrogatorio successivo precisò ancora: il giorno del giudizio gli uomini
saranno giudicati da…
‘quella santissima maestà che ho detto di sopra,
che era inanti che fusse il caos’.
E in un’ulteriore
versione sostituí Dio alla ‘santissima maestà’, lo Spirito santo a Dio:
‘Io credo che l’eterno Dio de quel caos che ho
detto di sopra habbia levata la più perfetta luce a guisa che si fa del
formaggio, che si cava il più perfetto, et di quella luce habbia fato quei spiriti
quali noi dimandamo angeli, delli quali elesse il piú nobile, et a quello gli
dette tutto il suo sapere, tutto il suo volere et tutto il suo potere, et
questo è quello che nui addimandiamo Spirito santo, il qual il pose Iddio sopra
la fabrica de tutto il mondo...’
Quanto all’anteriorità di Dio rispetto al caos, mutò ancora parere:
‘Questo Iddio era nel caos come uno che sta ne l’aqua
si vuol slargare, et come uno che sta in un boscho si vuol slargare: cosí
questo intelleto havendo cognosciuto si vol slargare per far questo mondo’
Ma allora,
chiese l’inquisitore,
‘iddio è
stato eterno et sempre con il caos?’
‘Io credo. rispose Menocchio, che sempre siano stati asieme, né mai siano stati separati, cioè il
caos senza Iddio, né Iddio senza il caos’
Di fronte a questo guazzabuglio l’inquisitore cercò (era il 12 maggio) di raggiungere un po’ di chiarezza, prima di chiudere definitivamente il processo.
MENOCCHIO: ‘L’opinion mia è che Dio fusse eterno con il caos, ma non si cognosceva
né era vivo, ma dopo si cognobbe, et questo intendo esser fatto dal caos’
INQUISITORE: ‘Di sopra havete detto
Idio haver l’intelletto; come adunque prima non cognosceva se stesso, et qual
fu la causa che dopo si cognobbe? Dichiarate ancho che cosa è venuta in Dio per
la quale Dio non essendo vivo sii poi vivo’
MENOCCHIO: ‘Credo che Iddio sia venuto come alle cose di questo mondo le quali
procedeno da imperfetto a perfecto, sí come per esempio il putto mentre è nel
ventre della madre non intende né vive, ma uscito dal ventre comenza a vivere,
et tuttavia crescendo comenza intendere: cosí Iddio mentre era con il caos era
imperfetto, non intendeva né viveva, ma poi allargandosi in questo caos lui
comenzò a vivere et intendere’
INQUISITORE: ‘Questo intelleto divino
in quel principio cognosceva ogni cosa distintamente et in particulare?’
MENOCCHIO: ‘Cognobbe tutte le cose che si dovevano fare, cognobbe gli homini, et
anche de quelli doveano nassere li altri; ma non cognobbe tutti quelli havevano
da nassere, esempio di quelli che hano li armenti, il quali sano che di quelli
han da nasser delli altri, ma non san determinatamente tutti quelli che han da
nassere. Cosí Iddio vedeva il tutto, ma non vedeva tutti quelli particulari che
dovevan vennire’
INQUISITORE: ‘Questo intelletto
divino in quel principio hebbe cognitione di tutte le cose: donde hebbe tal
notitia, o dalla propria essentia o per altra via?’
MENOCCHIO: ‘L’intelletto riceveva la cognitione dal caos, nel quale eran tutte le
cose confuse: et di poi a esso intelleto li dette l’ordine et cognitione, a
similitudine che noi cognosciamo la terra, aqua, aere et fuogo, et poi ponemo
distintion fra di loro’
INQUISITORE: ‘Questo Iddio non haveva
la voluntà et il potere avanti che facesse tutte le cose?’
MENOCCHIO: ‘Sì, come crescete lui la cognitione, cosí crebe in lui il volere et
potere’
INQUISITORE: ‘Il voler et il poter
sono una medema cosa in Dio?’
MENOCCHIO: ‘Sono distinte sí come in nui: con il volere bisogna che vi sia il
poter fare una cosa, esempio il marangone vuol far uno schagno, è di bisogno
delli instrumenti di poterlo fare, et se non ha il legnamo è vana quella sua
voluntà. Cosí diciamo de Iddio, oltra il volere bisogna il poter’
INQUISITORE: ‘Quale è questo poter de
Dio?’
MENOCCHIO: ‘Operare per mezo della maestranza’
INQUISITORE: ‘Quelli angeli che per
te sono ministri de Iddio nella fabrica del mondo, furono fati da Dio
inmediatamente, o da chi?’
MENOCCHIO: ‘Della piú perfetta sustantia del mondo furono dalla natura produtti, a
similitudine che de un formaggio si producono i vermi, ma venendo fuor a
ricceveno la voluntà, intelleto et memoria da Iddio benedicendoli’
INQUISITORE: ‘Poteva Iddio fare ogni
cosa da se stesso senza aiuto de angeli?’
MENOCCHIO: ‘Sí, come uno nel far una casa usa la maestranza et opere, et si dice
che l’ha fatta colui: cosí nella fabrica del mondo ha usato Iddio li angeli, et
si dice che l’ha fatta Dio. Et si come quel maestro nel fabricar la casa può
far ancho da se stesso, può far con piú longo tempo, cosí Iddio nel fabricar il
mondo l’haverebe fabricato da se stesso, ma però con piú longezza di tempo’
INQUISITORE: ‘Se non vi fusse stato
quella sustantia della qual vi è produto tutti quei angeli, non vi fusse stato
il caos, havarebbe possuto Iddio far tutta la machina del mondo da se stesso?’
MENOCCHIO: ‘Io credo che non si possa far alcuna cosa senza materia, et Iddio anco
non harebbe potuto far cosa alcuna senza materia’
INQUISITORE: ‘Quel spirito o angelo
supremo dimandato da vui Spirito santo, è d’una medema natura et essentia de
Dio?’
MENOCCHIO: ‘Iddio et li angeli sono dell’essentia del caos, ma è differentia in
perfetione, perché è piú perfetta la sustantia de Dio che non è quella di che è
il Spirito santo, essendo Iddio piú perfetta luce: et il medemo dico de
Christo, che è di minor sustantia de quella de Dio et de quella de Spirito
santo’
INQUISITORE: ‘Questo Spirito santo è
di tanto poter quanto puole Iddio? et ancho Christo è di tanto potere quanto
che è Iddio et quanto che è il Spirito santo?’
MENOCCHIO: ‘Il Spirito santo non è di tanto poter quanto che è Iddio, et Christo
non è di tanto poter quanto è Iddio et il Spirito santo’
INQUISITORE: ‘Quel che vui adimandate
Dio è fato et produto da qualche un altro?’
MENOCCHIO: ‘Non è produto da altri ma riceve il moto nel movere del caos, et va da
imperfetto a perfecto’
INQUISITORE: ‘Il caos chi ’l movea?’
MENOCCHIO: ‘Da sé’
(Ginzburg)
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