giuliano

martedì 13 dicembre 2016

PRIMA IMMAGINE: LA PERSECUZIONE (3)


















































Precedenti capitoli:

Immobilità e silenzio: la camera oscura

Forma e immagine: la camera oscura (2)

Prosegue in:

Forma e immagine: vera e falsa (4)













Quello che mi accingo a raccontare è il frutto di una lunga confessione di
un vecchio disgraziato, che incontrai per la prima volta su di una panchina.
Dall'aspetto non era per il vero tanto vecchio, ma i modi e il suo fare, nel
complesso, lo rendevano più datato di quanto in realtà apparisse.
Di lui, oggi, dopo l'impegno che mi sono assunto, non ho  saputo più nulla.
L'ho cercato per valli e monti, l'ho forse intravisto da lontano, anche rincor-
so, oggi spesso vivo nel riflesso della sua ombra.
Ma poi è svanito, come un fantasma, delegandomi unico esecutore testamen-
tario della sua vicenda, di questo gravoso impegno. Nei termini, da lui indica-
ti, fra il romanzo ed il 'taglio giornalistico'.




Nei termini di questo patto, dove ora da lontano vedo scorrere acqua limpida
e fragorosa, ho combattuto in prima persona per mantenere l'impegno, del
suo narrare e confessarsi, a metà tra il romanzo ed il racconto autobiografico.
Sin dall'inizio mi fece preghiera affinché divenissi custode e banchiere della sua
esperienza. Il disgraziato lo incontrai molte volte, in un arco di tempo di circa
vent'anni.
Se da principio erano fugaci incontri, a cui entrambi non davamo troppo peso,
in seguito divenne amicizia sincera.
Ci vedevamo sovente in luoghi apparentemente differenti, ma in realtà sempre
uguali. Belli ed infiniti, come gli incubi, che di volta in volta trasudavano dalla
pelle di quell'uomo, nell'apparenza di una morte imminente, che si affacciava
come una verità nuova al mio braccio. Brancolando nel lucido delirio di un bo-
sco pieno di fantasmi.




All'inizio pensavo, che erano null'altro che spettri della sua mente, i deliri di un
malato. Poi mi convinsi del contrario. Con questa persona ci siamo incontrati,
spesso, e il più di nascosto, perché la storia del suo racconto (che poi ho sco-
perto essere vera...) mi affascianava.
Ci siamo incontrati per ravvivare questa memoria (storica) che via via è divenu-
ta romanzo, in luoghi di eterna bellezza. Come la bellezza, che dalla sua anima,
mi accorsi, traspirava.
Abbiamo camminato assieme, per valli, boschi, mari e borghi. I quali per il vero,
erano tutti i porti da lui frequentati prima di riprendere il cammino da un luogo al-
l'altro dell'eterna persecuzione subita....
Ci siamo dati segreti appuntamenti. Ed ogni volta, dopo il racconto, il mio casuale
amico mi sembrava un po' migliorato dal suo male di vivere. Dal rancore che di
volta in volta, i ricordi, i sogni, gli incubi, facevano riaffiorare.




Il suo aspetto era dignitoso e talvolta regale nei modi, il volto invece mutevole co-
me i mari e luoghi che esplorava. Il suo, imparai a capire, non era un vivere, come
il resto dell'umanità concepisce la vita. Ma una continua esplorazione, un continuo
viaggiare attraverso essa. Ed in essa e nei suoi elementi, vagare in perigliose esplo-
razioni. Per uscirne ogni volta sconfitto.
Ma ogni sconfitta è una vittoria in questa doppia morale dell'apparenza.
....Per me, il vederlo, ed essere testimone e custode della sua avventura, è divenu-
to una sorta di incubo nello specchio della sua immagine, quando appena cerco di
dar forma al suo spirito, alla sua anima, alle dolorose e vere sue vicissitudini. A cui,
sono sincero, ho impiegato venti lunghi anni, prima di rendergli la dovuta giustizia.




Mi fece giurare che in qualche maniera avrei dovuto divulgare l'esperienza, l'inganno,
la sottile tortura dei suoi aguzzini, di cui mi faceva costante tesoro.
Pur non svelando i nomi, mi diceva, per la sua incolumità personale.
...Talvolta gli credevo, altre volte no.
Ma il giuramento era stato fatto, non potevo venire meno alla fedeltà con cui mi a-
veva affidato il suo tesoro, di una esperienza unica (ripetuta nell'immagine della me-
moria storica....), che a suo dire, ancora si protraeva ed alla quale per suo desiderio,
mai nessuno si doveva misurare.
Perché non è una esperienza che appartiene all'uomo, ma al suo lato peggiore, come
una continua mistificazione della realtà, che a suo dire - e non posso dargli torto - è
peggiore della guerra, perché è la giustificazione corrotta di ogni guerra, di ogni delit-
to di stato, di ogni persecuzione, di ogni crociata contro l'eresia, la cultura, la ragione,
...l'intelligenza...




E' la fonte del male.
Mi spiegava, che pur non essendo manicheo, pur conoscendone approfonditamen-
te la storia, quella sua esperienza segnava il confine certo e vero fra il baratro del
male e il suo contrario....
Se da principio avevo paura, in seguito, complice la storia, imparai ad amare l'eremi-
ta ed il lupo solitario che erano in lui.
Il monaco mancato, l'uomo preistorico che ha imparato l'arte della comunicazione
che risiede fra la coscienza e la volontà. Volontà di capire. Se ci priviamo di quella,
mi ripeteva ed insegnava, non possiamo vivere.
Il sacrificio degli uomini, mi spiegava, divenuto Cristianesimo, è una forma di evolu-
zione (...dicono??). Uomini geneticamente più evoluti devono soccombere di fronte
alla forza senza ragione del branco, della violenza, della mistificazione, della falsità,
dell'inganno, della calunnia.........

(Giuliano Lazzari per Pietro Autier, Storia di un Eretico)

 















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